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Autore: Ardesis    02/07/2017    8 recensioni
E se una piccola deviazione di percorso avesse compromesso l’intera vicenda?
Genere: Erotico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il cielo era un campo di nuvole grigie e gonfie. La pioggia cadeva ad intermittenza e alcune gocce si rincorrevano sui vetri delle finestre, frammentando l'immagine del parco del Palazzo. Verso est una luce soffusa indicava che il sole era sorto.

-Buongiorno, André.-

Oscar era seduta sullo sgabello del pianoforte, ma dava le spalle alla tastiera. 

La tenue luce che si insinuava tra i lembi delle tende tirate a metà era pallida e ferma e dava all’atmosfera un’opacità polverosa. Ogni cosa nella stanza sembrava priva di profondità, come in un mediocre dipinto di un mediocre pittore, anche se qualche ombra stinta cercava a malapena di suggerire un po’ di volume. Oscar era un soggetto perfettamente coerente con il contesto in cui era immersa. Se ne stava seduta immobile sullo sgabello, dritta come un fuso e vivace come può esserlo una statua esposta alle intemperie. André pensò distrattamente che fosse bellissima, molto più bella che in quell’abito tutto scollo e merletti.

Lei gli rivolse uno sguardo spento, mentre la sua mano sfiorava i tasti in una carezza leggera e distratta.

-Buongiorno, Oscar. Mia nonna mi ha detto che volevi vedermi.-

André cercò di mostrarsi gentile, disinvolto e soprattutto lucido, nonostante fosse perfettamente consapevole del proprio pessimo aspetto. Gli strascichi della sbornia che si era procurato con ostinazione gli rendevano il corpo fiacco e la mente torbida. In quello stato, gli fu veramente difficile tenere sotto controllo l’ansia che gli torturava il cuore e simulare un atteggiamento distaccato. Di solito era bravo a disciplinarsi, si disse. “Fossi sobrio...” 

La guardò con attenzione, ma gli occhi di lei tacevano. “Trionfo o sconfitta, Oscar?”

Lei si alzò dallo sgabello del pianoforte e avanzò fermandosi ad un passo da lui, troppo lontana per essere sfiorata, ma abbastanza vicina da non potergli nascondere nemmeno un piccolo fremito delle ciglia.

-Hai una pessima cera. Dove hai passato notte?-

Inquisì.

-Sono stato a Parigi.-

Oscar gettò lo sguardo di lato e socchiuse gli occhi.

-Sarebbe stato meglio venire con te.- Prese fiato e soggiunse: -Devo dimenticare Fersen.-

Il sollievo di André fu così forte e profondo che il cuore gli fece male.

-Cos'è successo?-

Domandò, tentando di dominare la voce. Lei esitò, senza riuscire a guardarlo negli occhi. Schiuse le labbra e poi le serrò, per un paio di volte, incerta se raccontare ogni cosa o se tenersi tutto dentro.

-Preferisco non parlarne.-

Decise infine.

-Come vuoi, Oscar. Sappi che mi dispiace.-

Ed era sincero, almeno in parte, ma decise che non le avrebbe offerto amichevoli e disinteressate parole di conforto o chicche di saggezza prese in prestito da qualche romanzo. Non aveva né la voglia né la lucidità di fingere un dispiacere che di fatto non provava. Di sicuro non avrebbe nemmeno esultato, perché la delusione e la sofferenza di Oscar per lui non sarebbero mai potute essere una vittoria. Provava troppe emozioni contrastanti per riuscire a sceglierne una da esternare. Si concesse soltanto di godersi il dolce senso di liberazione dalla morsa della gelosia.

Dopo un breve sospiro, Oscar gli diede le spalle e tornò a sedersi al pianoforte.

-Sento di avere le idee chiare.-

Mormorò, premendo con rabbia le mani aperte sui tasti. 

-Io so cosa sono, ma so anche cosa voglio essere.-

André si massaggiò la fronte per provare a tamponare l’emicrania e conservò un cortese silenzio.

-Mi piacerebbe che tornassero i tempi in cui credevo di essere un maschio e in cui tu mi trattavi come un tuo amico, André. So che non sarò mai un uomo fuori, ma voglio esserlo dentro, voglio sentirmi uomo.-

Ad André non sfuggì affatto il lieve tremore nella sua voce. Osservò la linea rigida delle sue spalle e le sue belle dita affusolate che continuavano a spingere sui tasti del pianoforte ormai muti.

-Se spiove, potremmo andare a fare una cavalcata più tardi.-

Mormorò gentile. Oscar annuì senza voltarsi e cominciò a suonare, furiosa, veloce. Scelse di getto un Bach, poi cambiò su un D’Agincourt, che trasformò all’improvviso in un Rameau. Non si accorse quando André lasciò la stanza e non si accorse nemmeno di aver bagnato i tasti con un paio di lacrime. Si fermò di colpo -il respiro corto, le dita doloranti- gettò la testa indieto e si coprì gli occhi con le mani.

Doveva ritrovare in se stessa l'uomo che aveva creduto di essere vent’anni prima. Rivoleva quell’illusione, a costo di sembrare folle, più folle di suo padre.

Si voltò per cercare il volto dell’amico che poco prima era alle sue spalle, ma trovò solo uno spazio vuoto. “Da quanto tempo sono sola?”

Sospirò. Le mancavano i momenti di spensieratezza dell’infanzia, quando il cuore non avanzava pretese, quando tutto ciò che contava era di diventare l’orgoglio della casata e soprattutto quando tra lei e André non esistevano né differenze né segreti. 

“E, invece, ora André ha una donna.”

Non aveva dubbi. Il profumo che aveva sentito sui suoi vestiti era senza dubbio un’essenza femminile.

“Dunque avevo intuito bene” si disse, ripensando alla conversazione che avevano avuto solo qualche sera prima davanti ad un bicchiere di vino, “André è innamorato.”

-È un uomo adulto, ha la libertà di fare ciò che vuole della propria vita.-

Lo disse ad alta voce, ma non riuscì a rassegnarsi. Il pensiero che forse, di lì a poco, avrebbe dovuto fare a meno anche di lui fece contorcere il suo cuore già dolorante. 

D’altra parte, non poteva negare che André non avesse più niente del ragazzino con la brama di rincorrere i brividi dell’avventura. Era un uomo maturo e gli uomini maturi -Oscar lo sapeva- desideravano avere una moglie nel letto e qualche bambino intorno alle gambe. Di sicuro non meritava di condividere con lei la vita amara che si sarebbe scelta.

“Devo imparare a vivere da sola.”

 

 

 

 

 

-Generale Bouillet, avete richiesto la mia presenza. Ai vostri ordini.-

Oscar, sull’attenti, osservò l’imponente Generale accomodato sulla sua imponente sedia intarsiata e attese di ricevere l’urgente comunicazione per cui era stata mandata chiamare.

-Colonnello Jarjayes, devo mettervi al corrente di una questione che mi sta provocando non pochi fastidi. Nelle ultime settimane, Parigi è stata teatro di alcune gravi rapine ai danni della nobiltà cittadina. L'ultimo furto si è verificato ieri notte. Le testimonianze ci fanno pensare che il ladro agisca sempre da solo e che indossi una maschera e un abito nero. È molto abile a farla franca e ad irritare i miei nervi.-

Oscar increspò impercettibilmente le sopracciglia.

-Signore, con tutto il rispetto, non è compito dei miei uomini occuparsi di queste faccende.-

Il Generale si sollevò dalla sedia e si appoggiò al proprio bastone.

-Sto chiedendo a voi personalmente di indagare, non come Colonnello della Guardia Reale, ma come mio fidato collaboratore. Non vorrei sollevare un inutile polverone. Un dispiego importante di forze darebbe alla questione più visibilità del dovuto, capite?-

Oscar esitò un momento, poi annuì.

-Come avrete già intuito dalla mia premessa, quest’uomo non è un normale ladruncolo. Oltre ad essere maledettamente sfuggente, è riuscito a conquistarsi la stima del popolo. La gente lo ritiene un eroe.-

-Capisco, in questo caso comprendo la vostra ansia di risolvere la faccenda in fretta e con discrezione.- rispose lei -Comincierò immediatamente a raccogliere informazioni. Intanto mi permetto di approfittare di questo incontro, per manifestarvi il mio desiderio di abbandonare il comando della Guardia Reale.-

Sul volto impassibile del Generale si tratteggiarono spesse rughe di sorpresa. Congiunse le mani sul pomo del bastone e scrutò con sospetto gli occhi di Oscar.

-Per quale motivo?-

-Per una ragione strettamente personale, Signore. Non chiedo una promozione, chiedo solo l’assegnazione di un incarico diverso, lontano da Versailles.-

-Dovrò presentare la questione a Sua Maestà, la Regina, prima di accogliere la vostra richiesta. Farò il possibile per accontentarvi.-

-Vi ringrazio, Signore.-

Il Generale scrollò i grossi baffi spioventi sul labbro superiore e batté un colpo di bastone sul pavimento.

-Molto bene, se è tutto, potete andare, Colonnello Jarjayes.-

Oscar si congedò con un inchino e scivolò fuori dalla stanza salutando con un cenno garbato il paggio dall’aria annoiata che le aprì la porta.

Quando fu da sola nel corridoio, liberò un sospiro profondo. Quell’ultima missione che Bouillet le aveva affidato sarebbe stata un degno epilogo dei suoi lunghi anni di fedele servizio nella Guardia reale. E anche un ottimo modo per tenere il cuore e la mente impegnati. 

Mentre si sfilava i guanti riflettendo sul da farsi, ebbe la sensazione di essere osservata. Sollevò lo sguardo e si ritrovò addosso quello di Fersen, che era a pochi passi da lei, appoggiato con la spalla ad una parete. I ricordi della sera precedente le invasero la mente, come uno sciame di api agitate.

-Così vi riconosco.-

Le disse lui con un filo di voce e un mezzo sorriso. Oscar strinse i guanti nel pugno e gli si avvicinò senza abbassare lo sguardo.

-Voi qui, Fersen?-

Chiese aggrappandosi con una mano all’orlo della propria uniforme.

-Sono stato nominato Colonnello, credevo che ne foste al corrente. Presidio gli appartamenti del Generale Bouillet.-

Oscar annuì e ripose i guanti nelle tasche.

-Avete già conferito con la Regina?-

-Sì, questa stessa mattina. Sua Maestà tornerà a risiedere a Versailles a breve.-

-Bene. È un sollievo, per me, saperlo.-

Un sorriso sicuro e vagamente sfrontato piegò le labbra rosse del conte, che tese una mano e prese quella di Oscar, per sollevarla all’altezza del proprio petto. Lei non si oppose, ma si irrigidì.

-Nessuno al ballo vi ha riconosciuta.- le disse abbassando la voce di un tono -La vostra bellezza ha abbacinato tutti. E ammetto di essermi lasciato abbagliare anche io... se soltanto non mi fossi accorto di un dettaglio!-

Le aprì con gentilezza la mano e le accarezzò il palmo seguendo con la punta dell’indice la mappa di linee disegnate su di esso, alla maniera di un chiromante in cerca di qualche presagio.

-Abbiamo gli stessi calli sulle mani, marchi indelebili per chi maneggia la spada.-

Spiegò infine. Lo sguardo di Oscar crollò sulle proprie mani e le fissò in silenzio.

-Ah, Madamigella, consideratela una fortuna. Siete cambiata molto in questi anni e forse un paio di guanti sarebbero stati sufficienti ad impedirmi di riconoscervi.-

Oscar ritirò bruscamente la mano e si accigliò.

-Volete gettare sale sulla ferita, Fersen?-

-No, non è questa la mia intenzione. Vorrei soltanto farvi comprendere quanto sia meschina la mia natura e quanto sia stato meglio per voi che io non vi abbia presa tra quelle siepi. Oh Oscar, vedete, non posso che essere spietatamente sincero con voi, perché mi siete cara e desidero solo il vostro bene. Vi avrei fatta mia senza tanto riguardo, se solo voi foste stata un’altra. Ma io di voi ho un grande rispetto.-

Oscar prese fiato e tese le braccia lungo il corpo, stringendo le mani a pugno.

-Dunque dovrei ringraziarvi per esservi preso la briga di salvaguardare la mia virtù?- 

-Non intendevo...-

-Ho compreso perfettamente cosa intendevate. Ma vorrei mettere in chiaro che non mi avete salvata né da voi né da me stessa, perciò non dovete prendervi questo merito.- scrollò la testa e sospirò -Siete diverso, Fersen, o forse fingete soltanto di essere diverso, non lo capisco. L’uomo che conoscevo sette anni fa non mi avrebbe mai parlato così. Il modo in cui state giustificando il vostro rifiuto mi ferisce più del rifiuto stesso. Credevate che io avessi bisogno di disprezzare una superficialità, che so non appartenervi, per zittire il mio cuore? Allora avete un’idea molto distorta di me. In ogni caso, non ha importanza. In nome della nostra antica amicizia, Fersen, non torniamo mai più sull'argomento.-

Il conte annuì e la sua aria spavalda evaporò in un istante dal suo viso incipriato.

-Certo, Oscar.-

Sostennero in silenzio il reciproco sguardo per qualche momento, provando entrambi ad ricordare ciò che c’era stato tra loro in passato e ad immaginare ciò che ci sarebbe potuto essere in futuro.

-Ci vedremo spesso qui a Versailles.-

Mormorò lui, abbassando gli occhi per primo.

-Non così spesso, credo.-

 

 

 

 

Oscar decise di addentrarsi in città prima di tornare a casa, in modo da fare un sopralluogo nei pressi della residenza cittadina del Duca di Marmont, il nobile che per ultimo aveva subito un furto da parte del Cavaliere Nero.

Si fermò presso i cancelli della sua residenza e osservò con attenzione le finestre rotte del primo piano. Uno stuolo di servi si stava affaccendando nel cortile, mentre sulla strada alcuni curiosi seguivano i loro movimenti attraverso le inferriate dei cancelli, parlottando animatamente tra loro.

Oscar smontò da cavallo e si avvicinò al gruppo di pettegoli, preoccupandosi di coprire con cura la propria uniforme col mantello.

-Perdonatemi, ho saputo che c'è stato un furto qui. Sapete dirmi cos'è accaduto? Hanno preso il colpevole?-

Un uomo col cappello a tesa larga sputò per terra e grugnì:

-Nessuno riuscirà a catturare il Cavaliere nero. Quello sa il fatto suo.-

Una donna rise a bocca aperta e incrociò le braccia sul petto prosperoso.

-I nobili hanno paura di lui. Finalmente anche i gran signori hanno qualcosa da temere!-

Oscar scrutò con attenzione i volti di quella gente e le sembrarono maschere di puro compiacimento. Il fatto che un nobile avesse subito un danno li entusiasmava. “Bouillet aveva ragione, non sarà una passeggiata.”

Sospirò e non fece commenti di sorta. Rivolse un vago cenno di saluto e rimontò a cavallo.

Passando accanto all'insegna di un'osteria le venne in mente che André era stato a Parigi la notte del furto, perciò poteva aver visto o udito qualcosa di insolito. Decise che la sera successiva sarebbero tornati in città insieme: lui era molto bravo ad ispirare fiducia nelle persone e a farsi raccontare i fatti altrui.

-Devo impormi di non pensare ad altro che a questo ladro. Forse non pensare mi aiuterà.-

Mormorò tra sé con un sospiro.

-Ci vorrà tempo.-

Gracchió una voce rauca alla sua destra. Oscar si voltò di scatto.

Una vecchia cieca stava intrecciando cerini per candele seduta su una sedia instabile sull’uscio di una casa. I suoi occhi appannati vagarono verso Oscar come a volerne catturare la figura a tutti i costi.

Oscar dedusse che l’anziana donna fosse una zingara, forse una di quelle ambigue veggenti che abbindolavano i passanti più superstiziosi, e diede un colpo alle redini per proseguire verso casa.

-Un cuore tanto grande, eppure tanto freddo!-

Le gridò la vecchia con disprezzo. Oscar tiró le redini indignata e si voltò indietro, ma scoprì che la donna non c’era più.

   
 
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