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Autore: Lupe M Reyes    02/07/2017    6 recensioni
A Blair piace fare i turni di notte alla biblioteca dell'Arca. Fino alla sera in cui il Cancelliere Jaha non si presenta alla sua porta... Per impedirgli di inviare sulla Terra John Murphy, Blair cede al ricatto e contribuisce al progetto sui Cento. Ma l'incontro con Bellamy Blake cambierà ogni equilibrio. Fino al giorno in cui non diventerà lei stessa la persona numero 101 a raggiungere la Terra.
[Arco temporale: prima stagione]
Personaggi principali: Blair (personaggio nuovo), Murphy, Bellamy, Raven, Clarke, Jaha
Personaggi secondari: Finn, Octavia, Kane, Abby, Sinclair, Jasper, Monty
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, John Murphy, Raven Reyes
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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LA PROPOSTA

Il cambio di argomento mi coglie alla sprovvista. 
“John Murphy?”,
chiedo, nel tentativo di strappare qualche secondo, secondi che vorrei sfruttare per pensare, non fosse che ho il cervello fuori uso. Jaha mi mette troppo in soggezione, specie adesso che mi scruta senza dire una parola. Fa solo sì con la testa, una volta.
“Conosco John Murphy.”, rispondo, cauta.
“E in che rapporti è con il signor Murphy?”, ripete lui, senza mostrare il minimo accenno di frustrazione, anche se lo sa, lo sa bene che sto tergiversando. Ho la sensazione che sia una di quelle domande che si fanno quando già si conosce la risposta.
Mi serve tutta la forza di cui dispongo per non portarmi la mano alla bocca e masticarmi le unghie fino a farle sanguinare.
La sensazione di panico in cui sto precipitando è la stessa che mi assale durante le perlustrazioni a sorpresa nel lotto o i controlli ai posti di blocco a ridosso del coprifuoco. Non ho nulla da nascondere e dunque nulla da temere eppure mi irrigidisco ogni volta e ogni volta la mia testa riepiloga la lista dei motivi per cui potrebbero accusarmi di alto tradimento e condannarmi a morte.
Deglutisco, per poi schiarirmi la voce.
“Il padre di Jonh Murphy e il mio sono amici da molto tempo. Viviamo nello stesso complesso. Ci frequentiamo grazie alle nostre famiglie.”
Ho recitato tutto al presente, anche se nessuna delle cose che ho detto è più vera. Il padre di John è morto e lui non è più a sei lotti di distanza da me. È in galera, in isolamento. Kane l’ha messo in galera. Kane ha giustiziato suo padre. Sto digrignando i denti.
Jaha assume un’espressione nuova, abbassandosi ancora un po’ in mio favore.
“Sono addolorato per il vostro lutto.”,
dice, compassato.

Voglio credergli, mi piace pensare che si senta sinceramente in colpa per il sistema di terrore che supporta.
Ma Kane ha giustiziano James e condannato John, e Jaha ha sempre avuto il potere di veto. Avrebbe potuto fermarlo. C’erano tutti gli estremi per un’assoluzione. La gente avrebbe capito. Di più, la gente avrebbe 
apprezzato.
E invece Kane e i suoi erano così preoccupati di creare un precedente, un crimine impunito che avrebbe incendiato le masse, che hanno preferito uccidere due innocenti.

No, un innocente, un solo innocente, perché Jonh è ancora vivo, mi dico. John è ancora vivo e legge i libri digitali che gli mandi, mangia la frutta che gli compri, si scalda nei maglioni che sgraffigni in giro e spedisci a suo nome all’anello sei.
 
Mio padre non si rende ancora conto della perdita. James Murphy è come un arto fantasma per lui.
Alcune persone senza più un braccio sentono per tutta la vita il braccio amputato prudergli, arrivano a sollevare l’altra mano d’istinto per grattarsi.
Allo stesso modo mio padre continua a digitare il numero del lotto di James dopo cena sul Pad e a comprare gli asparagi il sabato, la sera che, in un mondo in cui Kane non è al potere, è la sera che avremmo passato a mangiare tutti insieme. Gli asparagi piacevano solo a James, perciò ora avanzano, restano intoccati sul loro ripiano del frigo finché non marciscono e mia madre trova il coraggio di buttarli di nascosto da mio padre. Non lo sgrida mai per quella spesa assurda e inutile, nonostante le verdure costino uno sproposito e noi dobbiamo stare più che attenti al bilancio di casa.

 
Jaha sta ancora aspettando che io dica qualcosa.
Quando finalmente lo faccio, dico la cosa sbagliata, che è anche la cosa più vera che possa confessargli:

“Non vi perdoneremo mai.”
Allora tra di noi scorre un intero minuto, che passo a cercare un modo di non guardarlo negli occhi.
Poi Jaha solleva la fronte.

“Ho bisogno del lavoro di un bibliotecario.”

Scuoto la testa, confusa. Questa conversazione va troppo veloce per me.
“Che lavoro?”
“Un lavoro particolare, signorina.”
“Che lavoro?”
“Prima di spiegarglielo con precisione, devo farle firmare dei documenti.”
“Documenti di riservatezza?”
“Sì. Se viola il segreto...”
“Se violo la legge so cosa succede. Per cosa dovrei rischiare la vita? Che lavoro?"
“Non posso spiegarle nulla, se prima non ho la certezza che sarà riservata.”
Inspiro più profondamente che posso, con la netta sensazione che i miei polmoni si siano ristretti nell’ultima mezz’ora.
Intravedo uno spiraglio e mi ci fiondo:

“Perché io e non Doug? È lui il vero bibliotecario, è lui il professore. Io sono un’allieva.”
Jaha è così serio che potrei contare le rughe della sua fronte.
“Il professor Lehman non risponde ad alcuni requisiti.”,
replica, piatto. A me quasi viene da ridere.
“Siccome faccio fatica a credere che io abbia qualcosa che manca al professor Lehman, può per cortesia…”
A quel punto, finalmente, il mio cervello fa contatto e io capisco.
Mi alzo in piedi, perché devo fare qualcosa e non posso fare quello che vorrei davvero fare, cioè prendere a pugni il Cancelliere.
Jaha mi segue con gli occhi, immobile.
“Doug non ha John Murphy in galera.”, scandisco, ad alta voce. La biblioteca amplifica le mie parole, più di quanto vorrei. È probabile che le guardie mi abbiano sentita. Forse è solo la mia suggestione, ma mi sembra di percepire il suono dei caricatori immessi nelle pistole.
Sto tremando. Non mi è chiaro se di rabbia, di dolore o di paura, certo è che il mio corpo è scosso dai brividi.

“Non le basta che firmi la mia condanna a morte, accettando gli accordi di riservatezza? Le serve che io sia ricattabile?”
Sto sputanto le sillabe una per una. 
Jaha si alza, costringendomi a sollevare il mento per poterlo continuare a guardare in faccia. Dio, è davvero alto.
“Il mio non è un ricatto, signorina. È un lavoro stipendiato dal Governo.”
I suoi occhi non hanno mai smesso di guardarmi con dolcezza, nemmeno di fronte al mio scatto. 
“Io ho bisogno di un bibliotecario. I candidati siete lei e il professor Lehman. Il professor Lehman è più esperto ma sì, signorina Foer, meno ricattabile. Meno controllabile."
Incasso il colpo. Il cuore corre, forsennato. Mi porto d’istinto la mano al petto per trattenerlo, per non farmelo scappare dalla cassa toracica. Jaha prosegue: 
"Le persone sono disposte a sacrificare loro stesse per un’idea ma non sacrificherebbero chi amano per la stessa idea. L'ho imparato a mie spese, a spese di tutti noi, in passato. E per me, in questo caso più che mai, la segretezza è più importante di un lavoro ben fatto.”
Cerco di rallentare il ritmo del respiro, così che anche il cuore si calmi.
L’ultima volta che ho avuto un attacco di panico eravamo in mezzo alla folla inferocita: mi trovavo nel bel mezzo della manifestazione contro Kane che è seguita all’espulsione di James. Era stata Clarke a salvarmi.
Clarke Griffin, un’altra orfana di Stato. Ma anche lei ora è in prigione. Sono sola.

 
Dio, se solo John fosse qui. Lui se ne uscirebbe con qualcosa del tutto fuori luogo, di assurdamente spavaldo e stupido, arrogante e idiota, e saprebbe che cosa fare di fronte a quest’uomo così alto, saldo e adulto, mentre io mai nella vita mi sono sentita più inutile di così. Nemmeno quando mi hanno strappato John dalle mani per portarlo via in isolamento, un John ancora febricitante e fragile, lasciandomi spezzata a battere i pugni contro una parete sigillata.
 
Siccome rischio di mettermi a piangere, mi affretto a parlare:
“Come faceva a sapere tutte queste cose su di me?”
Finalmente anche Jaha da qualche segno di cedimento. Abbandona le spalle, abbassa la fronte.
Si prende il suo momento di smarrimento per poi tornare a fissarmi con rinnovata energia.
Sotto i suoi occhi meravigliosi e terribili sono consapevole ora più che mai della mia giovinezza. Mi chiama.
“Signorina Foer…”
“E se mi rifiutassi?”,
sbotto, di getto. 
Porto il mento più in alto e le mani sui fianchi. Se mollo la presa, sento le mani tremare. Devo portare questa recita fino in fondo. Deve credermi capace di oppormi.
“Se mi rifiutassi. Se decidessi di non firmare, non saperne niente e non fare il lavoro che vuole da me. Potrei farlo?”
Lui mi valuta. Traccia un solco con lo sguardo che va dalle mie scarpe ai miei occhi. 
“Certo che può rifiutarsi.”, sillaba.
E dopo quelli che mi sembrano diecimila anni, Jaha sorride. 
Sorride il sorriso di chi sta per portarsi a casa la partita.

“Ma perché perdere l’occasione di salvare la vita al signor Murphy?”

****

02/07/17
Nel prossimo capitolo, "La preferita", approfondiamo il rapporto tra Blair e John... Spero vi piacerà :)
A presto!,
LRM
 
   
 
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