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Autore: EmilyW14A    02/07/2017    4 recensioni
[Spin-off di Without You I'm Nothing] Takanori è un uomo bello, dolce, intelligente e appassionato di cultura. I libri sono la sua vita, la sua più grande passione, il suo passatempo preferito. Vive le avventure di Dorian Grey, cammina nei giardini insieme ad Elizabeth e al signor Darcy e partecipa a maestosi e magnifici balli insieme al giovane Werther. Takanori vive costantemente nei suoi sogni, nelle sue atmosfere surreali e romantiche. Cos'è la realtà se si può vivere costantemente in un sogno? Forse le fiabe sono molto più reali di quello che noi crediamo. Takanori questo lo sa bene. Un giorno incontra un uomo completamente diverso da lui: un uomo misterioso e bellissimo, proprio come accade nei suoi romanzi preferiti. Perchè quell'uomo sembra guardarlo con così attenzione? Chi è e cosa ci fa lì? Ma soprattutto: perchè Takanori non riesce a smettere di pensarci?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kai, Reita, Ruki
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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EVERY YOU,
       EVERY ME







(Without You I'm Nothing spin-off)











Corro velocemente su per le scale  sperando di risparmiare qualche secondo rispetto all’ascensore. Conosco ogni scalino a memoria. Sono più o meno 36 scalini quelli che mi stanno separando dal mio obbiettivo. Se mantengo la calma riesco a timbrare il cartellino prima delle nove e trenta. Devo solamente mantenere il ritmo e salire il più veloce che posso.
Possibile che proprio oggi non è suonata la sveglia? Eppure la mia sveglia funziona benissimo…
“Bah” esclamo tra me e me mentre continuo a salire le scale fino al terzo piano.  Vedo da lontanto il cartello giallo che mi avvisa di essere arrivato nella sezione ‘NARRATIVA’ della biblioteca e finalmente tiro un sospiro di sollievo.
Entro dall’ingresso della sala lettura e, ad una velocità supersonica, raggiungo Yutaka.
“Yutaka-san! Chiedo scusa per il ritardo! La sveglia oggi ha deciso di andarsene in vacanza!” compio numerosi inchini uno dopo l’altro cercando di non sbattere la fronte sul bancone della sala.
Lascio passare la mia tessera personale su un lettore apposito che conferma la mia presenza a lavoro.
“Tranquillo Taka-chan!” il mio collega alza una mano in modo affettuoso per farmi capire che non è un grosso problema. Eppure ho ritardato di venti minuti! Evidentemente oggi tutto lo staff è di buonumore. Beh, meglio per me; anche se ammetto che non sopporto essere in ritardo. Quando andavo a scuola ero perennemente in ritardo e percorrevo la distanza tra casa e il mio liceo correndo o pedalando come un pazzo sulla mia bicicletta mezza sfasciata.
Mi ricompongo leggermente prima di sparire in una piccola stanza dietro la scrivania del personale in cui si trova lo spogliatoio di noi bibliotecari. Entro e cerco con gli occhi il mio armadietto. Mi svesto velocemente e indosso i pantaloni neri stretti e la camicia grigia. Abbottono accuratamente ogni bottone e sistemo in bella vista il piccolo cartellino sulla tasca della camicia con il mio nome stampato sopra. Mi rendo conto di aver messo su qualche chilo appena mi guardo allo specchio considerando che qualche mese fa questa divisa mi stava perfettamente mentre ora la camicia mi stringe mettendo in risalto etti e etti di dolci e gelati che ho consumato nell’ultimo periodo e che si sono accumulati sulla mia pancia e sui fianchi.  Devo smetterla di uscire in una pasticceria diversa ogni settimana.
Esco velocemente dallo spogliatoio raggiungendo il mio collega.
Ormai sono quattro anni che lavoro in questo bellissima biblioteca. È la più grande di tutta Yokohama e infatti vantiamo la presenza di numerosi testi che sono irreperibili in altre zone del Giappone. Ricordo ancora il mio primo colloquio quando inviai il mio curriculum al direttore e mi richiamò esattamente il giorno dopo. Ero così nervoso e inesperto e non riuscivo nemmeno ad esprimermi nella maniera corretta. Eppure nel giro di pochi giorni il direttore mi richiamò dicendomi che il posto era mio. Non ci potevo credere. Si stava avverando il sogno di una vita. Ho sempre amato i libri. Mio padre me ne comprava tantissimi quando ero piccolo e quando diventai un ragazzo iniziai a mettere da parte qualche soldo per potermi permettere alcune raccolte di poesie costosissime. Leggevo moltissimo e tutt’ora continuo a divorare romanzi e storie come fossero biscotti. Adoro la letteratura occidentale, in particolare i classici ottocenteschi. Sono totalmente affascinato dalle storie d’amore, le storie tristi, storie di potere e di abbandoni. A volte penso di voler tornare indietro nel tempo e raggiungere i miei scrittori preferiti: sorseggiare un tè con Jane Austen, andare a teatro con Oscar Wilde o fare una passeggiata con Charles Dickens. I libri sono la mia vita. Leggo di tutto, dai romanzi ai racconti, passando per i saggi fino ad arrivare a qualsiasi tipo di cosa scritta su un foglio bianco. Per una persona come me lavorare in un posto del genere ogni giorno è un dono prezioso, qualcosa che sento che non devo sprecare. In fondo l’amore per la lettura è tutto ciò che mi collega a mio padre. È tutto ciò che mi rimane di lui, eccetto per i miei ricordi di quando ero ancora un ragazzino con i capelli colorati.
Uno schiocco di dita mi riporta alla realtà.
“Sembra proprio che il signorino oggi non sia molto presente…altro che la sveglia!” esclama Yutaka dandomi una pacca sulla spalla.
“Ti chiedo scusa Yutaka-san! Sono un po’ distratto. Mi metto subito a lavoro!” dico tirando su le maniche della mia camicia.
“Sbaglio o quella camicia ti stava perfetta una volta?”
“Zitto Yutaka! Sono solo un po’ ingrassato, ok? Non serve che tu me lo faccia notare” sussurro ridacchiando.
“Ma sto scherzando Taka-chan! E poi anche se hai messo su qualche chilo sei sempre troppo magro e minuto. Anzi, stai benissimo così…”
Sorrido del complimento mentre ci lanciamo due occhiate complici.
“Bene…da dove comincio?”
“Occorre riordinare un bel po’ di documenti nella sezione ‘ARCHIVISTICA’ te la senti?”
“Certo Yutaka-san!” compio un piccolo inchino e gli faccio un cenno con la mano raggiungendo le pesanti porte di emergenza che separano la sala lettura aperta al pubblico dall’archivio della biblioteca. La stanza è in penombra ed è più fredda rispetto alle altre. Mi stringo nelle braccia per riscaldarmi e inizio a darmi da fare. Tiro fuori da uno scaffale un pesante fascicolo di documenti e inizio pazientemente a controllarli uno per uno. Mi siedo ad una scrivania vecchia e polverosa e accendo una piccola luce per illuminare i numerosi fogli di carta che stringo tra le mani.
Mi scrocchio le dita e distendo le braccia. Mi aspetta un lungo lavoro molto noioso e non posso fare altro che iniziare il prima possibile. Ammetto che questa parte del mio lavoro è quella che non apprezzo molto, ma semplicemente perché è un lavoro di grande concentrazione e io invece sono un ragazzo un po’ distratto e con la testa tra le nuvole. In fondo cosa potrei mai aspettarmi da una persona che adora i romanzi e le storie d’amore immaginarie?
Se fossi solo più sicuro di me stesso e se fossi anche più creativo, sicuramente farei lo scrittore. Sarebbe bellissimo immaginare frasi, atmosfere, situazioni. Personaggi bizzarri, malinconici, fuori di testa, sognatori, poeti maledetti. Un sogno! Però non sono mai stato bravo con la scrittura. Non riesco mai a concludere quello che inizio. Quando ero più giovane tenevo dei piccoli diari segreti e delle agende su cui appuntavo le cose da fare seguite da una lista di pensieri che mi frullavano per la testa. Mi sarebbe piaciuto tenere un diario su cui appuntare ogni giorno le avventure dei miei anni all’università, ma ero, e sono, troppo pigro per una cosa del genere. A volte mi annoio persino a scrivere la lista della spesa e infatti finisce che straccio il pezzo di carta e quando sono di ritorno dalla mia spesa alimentare mi accorgo di non aver acquistato niente di quello che mi serviva. Sono un inguaribile testone e disordinato.
Raccolgo in ordine alfabetico i documenti sparsi per la scrivania. Sospiro e mi scappa uno sbadiglio davvero poco elegante. In questi ultimi giorni ho sempre voglia di dormire e di rotolarmi tra le coperte. Vorrei passare le giornate a letto a leggere e guardare i documentari sugli animali in televisione. A volte lascio la televisione accesa per ore; mi piace la compagnia ininterrotta di una voce che parla e racconta cose di cui non sono a conoscenza. Adoro in particolare seguire i documentari sui delfini. Sono creature meravigliose e vorrei poterle vedere dal vivo.
Continuo a sfogliare e trascrivere finchè qualcuno non mi distrae dal mio conteggio.
“Yutaka!”
“Taka…sono passate due ore. Basta così! O vuoi rimettere a posto tutto l’archivio?” dice il mio collega sogghignando.  Nella mano stringe due bicchieri colmi di caffè fumante; pochi attimi dopo si sporge porgendomene uno.
“Tieni…sono sicuro che ne hai bisogno.” Sussurra.
Raccolgo i documenti e li ripongo con attenzione e cura nel fascicolo da cui li ho presi per poi riporlo su uno scaffale polveroso alla mia destra. Ringrazio Yutaka per il caffè e mi alzo dalla postazione su cui sono stato seduto per quasi tutta la mattina. Insieme raggiungiamo l’uscita sorseggiando la nostra bevanda calda preferita. Chiudo la porta dell’archivio e torno nell’atmosfera calda e rilassante della sala studio.
Mi guardo intorno.
Ci sono alcuni studenti che studiano per il compito di biologia, altri che studiando matematica o geometria. Su alcune poltrone sono sedute persone di una certa età che sfogliano quotidiani o romanzi mentre ascoltano la musica dalle cuffie del loro mp3. Altri ancora prendono appunti frettolosamente sul proprio notebook schiacciando ritmicamente sui tasti e provocando un rumore continuo che fa da sottofondo all’intero piano. Rumore di fotocopiatrici, sospiri, lo stridere della penna sui fogli, lo scricchiolio delle pagine che vengono sfogliate una per volta. Questi sono i rumori con cui convivo ogni giorno. Sono rumori che mi fanno sentire vivo, che mi fanno sentire parte di qualcosa. Per non parlare degli odori. Potrei passare le ore a distinguere i vari profumi presenti nella stanza. L’odore di inchiostro dei libri più datati, quello di carta appena stampata dei quotidiani e infine l’odore di tessuto delle copertine dei tomi più sfogliati. Odore di dita che scorrono sulle pagine. Odore di sospiri, odore di sguardi che leggono le storie più affascinanti. Odore di persone vive intorno a me.
Mi sistemo dietro il bancone nella postazione riservata ai prestiti e alle prenotazioni e mi siedo sulla sedie girevole. Accendo il computer e vengo immediatamente salutato dal logo della Windows che mi annuncia l’elaborazione e il caricamento dei dati. Appena mi connetto al server accedo al catalogo on line controllando ogni richiesta di prestito. Cinquanta prestiti, ventisette consultazioni e tre libri ancora non rientrati. Stampo tutte le informazioni necessarie cliccando sulla piccola icona a forma di stampante. Mi alzo e raggiungo la grande fotocopiatrice posizionata all’ingresso della sala studio. Cammino a passo svelto. Non vedo l’ora di staccare il turno.
“Ho una fame terribile” penso tra me e me.
Percorro il corridoio ricoperto dalla moquette blu e per puro caso mi cade l’occhio sullo scaffale alla mia destra.

SEZIONE N. 5 – HORROR E THRILLER

Sento un tonfo e mi volto immediatamente. Un signore di spalle a me ha appena fatto cadere un testo. Lo raccoglie e lo riposiziona sullo scaffale. Senza accorgersi di me continua a sfogliare indisturbato alcuni testi di fantascienza. Mi soffermo qualche secondo ad osservarlo. È un cliente un po’…bizzarro. Indossa una giacca di pelle nera con delle borchie, un paio di pantaloni di jeans consumati e ai piedi porta degli anfibi neri e pesanti. Ha i capelli biondo scuro che ricadono sulle spalle disordinatamente. Non riesco a dargli un’età precisa considerando che non riesco a vederlo in faccia.
Mi schiarisco la voce.
“Buon pomeriggio signore. Ha bisogno di aiuto?”
L’uomo davanti a me scatta improvvisamente girandosi verso la mia parte. Non pensavo che un centauro del genere potesse spaventarsi con così poco.
“Mi dispiace non volevo spaventarla. Tuttavia...è vietato sfogliare o leggere i libri in piedi davanti agli scaffali. Può prendere tutti i libri che vuole, ma le consiglio di sedersi se vuole leggere. Se ha bisogno di cercare qualche titolo specifico può chiedere a me”
l’uomo si volta completamente lasciandomi osservare attentamente il suo volto. Non è giovane, avrà sicuramente più di trentacinque anni, eppure ha dei lineamenti bellissimi. Lo sguardo è profondo e misterioso ed è in netto contrasto con la curva dolce del naso e delle labbra. Faccio un passo avanti incrociando le mani davanti a me per dimostrarmi il più disponibile possibile.
“M-Mi scuso non conosco le regole della vostra biblioteca. Sono un po' sbadato”
La sua voce risulta più buffa di quanto mi aspettassi. È una voce virile, la tipica voce del protagonista di un film per teenager o qualcosa di simile. Però è calda e morbida. Tuttavia il suo aspetto e il tono della sua voce cozzano terribilmente con il suo imbarazzo e la sua sbadataggine. Sorrido internamente.
Gli chiedo se stia cercando un titolo in particolare. Non capisco perché ma ho la sensazione che non sappia minimamente dove si trovi né cosa voglia. Probabilmente è il tipico tizio che non è mai entrato in una libreria in vita sua e ora vuole fare il figo.
“S-Sì....io stavo guardando, cioè sto cercando...Lolita di Nabokov”
Nabokov? Letteratura russa? Qui nella sezione thriller?
Trattengo a stento una risata. Gli rispondo che si trova nella sezione sbagliata e così lo accompagno nello scaffale di letteratura russa. Mentre cammino sento il suo sguardo addosso. Lo vedo osservarmi in maniera curiosa e sorpresa. Non sembra  uno sguardo malizioso, piuttosto uno sguardo attento a cercare qualcosa. Forse gli ricordo una persona che conosce.
‘Che tipo strano’ penso.
Gli porgo gentilmente il libro attendendo una sua risposta. I suoi occhi sembrano così sorpresi e…spaventati. Come se avessi tirato fuori un serpente lungo due metri dalle pagine del libro. Perché mi sta guardando i capelli? Forse non mi sono pettinato accuratamente questa mattina. D’altronde sono sempre di fretta. Accidenti a me. Forse ho qualcosa sul naso? Mi è cascata qualche goccia di caffè sulla divisa?
Perché quest’uomo mi sta fissando?
“Ecco a lei. Ottima scelta. Adoro la letteratura russa. Vuole prenderlo in prestito?” cerco di assumere il tono più autoritario possibile. Non voglio dargliela vinta. Se è venuto qui a perdere tempo poteva benissimo restarsene a casa.
Eppure qualcosa nei suoi occhi mi dice che non ha strane intenzioni. Sembra piuttosto confuso. Forse l’ho disturbato mentre stava pensando qualcosa di importante. Ma allora cosa ci fa qui?
Mi risponde che vuole prendere il volume in prestito. Gli suggerisco di seguirmi al banco prestiti in cui uno Yutaka fin troppo silenzioso guarda la scena con la coda dell’occhio mentre lavora al computer. Sfoglio il libro controllando che sia tutto apposto. Inserisco i dati e di tanto in tanto osservo senza farmi troppo notare l’uomo davanti a me. È così misterioso ma anche così bello. Mi schiarisco la voce.
“Mi scusi...per il prestito ho bisogno dei suoi dati personali e di un documento”.
In pochi secondi l’uomo biondo mi consegna la sua carta di identità su cui compare il suo nome e cognome. Si chiama Akira Suzuki e ha trentotto anni. La fototessera sul suo documento mostra un ragazzo visibilmente più giovane ma di eguale bellezza. I lineamenti dolci e morbidi e lo sguardo severo e profondo.
Cerco di non farmi notare, eppure è davvero difficile rinunciare ad ammirare un volto del genere. Forse nella vita lavora come modello o qualcosa di simile. Mi chiedo proprio come sia arrivato fin qui una persona così.
Sospiro senza farmi notare
“Ecco a lei.” Affermo porgendo lui il libro.
Lo vedo indugiare per pochi attimi. Afferra il testo dalla copertina rossa ma sembra ancora più confuso di prima. Mi gratto la cute. Sto iniziando ad imbarazzarmi anche io.
Lo sento sussurrare qualcosa. Parla a denti stretti quindi non capisco perfettamente le sue parole.
“Sì?” lo incito a ripetere la frase.
“Ho una cosa importante da dirle...io....no, non io....lei, cioè io” riprende il mio interlocutore.
Attendo curioso.
“.....è una bellissima biblioteca questa” continua.
Una bellissima biblioteca? Che cazzo sta succedendo? Un tipo alto, biondo, bellissimo che mi osserva confuso e conclude le sue riflessioni con una frase del genere?!  E io che mi aspettavo un complimento, una frase d’effetto. Pensavo che i ‘belloni’ che si vedono sempre nei film avessero sempre la risposta pronta e invece devo ricredermi. E poi avevo capito che volesse pormi una domanda, invece quella che ha appena pronunciato è un’affermazione.
“Concordo. È un edificio bellissimo.” Rispondo. “Ma cosa voleva chiedermi?”
Tentar non nuoce.
“Ehm...entro quando devo restituire questo libro?”
Merda.
“Ha trenta giorni di tempo per leggerlo, ma ovviamente può riportarlo anche prima” rispondo sorridendo cortesemente.
Mi saluta con un cenno del braccio e sparisce nel corridoio. Lo seguo con lo sguardo cercando di imprimere nella mia mente ogni singolo dettaglio che lo riguarda. L’andatura fiera ma imbarazzata, i capelli spettinati, le mani grandi che reggono il testo di Nabokov, la borsa di pelle distrattamente sistemata a tracolla.
Rimango imbambolato per alcuni secondi prima di tornare alla realtà.
Mi volto verso il mio collega che mi osserva curiosamente sorseggiando un succo di frutta alla pesca.
“Yutaka, dimmi che lo hai visto anche tu.”
L’uomo seduto alla mia destra sorride mostrando due piccole fossette ai lati della bocca.
“Non può essere reale. Non può.” Dico io guardando il pavimento.
“Non so se possa farti piacere o meno ma…sì Takanori, l’ho visto anche io. E, scusami se te lo dico così, ma se ne è andato.”
Il mio collega mi spettina i capelli amichevolmente. Lo guardo e sorrido nervosamente.
Non è possibile che fino ad un minuto fa avevo davanti ai miei occhi l’uomo più bello del mondo.
Mi sembra di star sognando eppure Yutaka ha confermato tutto. Ho veramente visto quell’uomo bellissimo e ci ho parlato. E lui sembrava così confuso e distratto.
“Takanori è ora di pranzo, che ne dici se andiamo a prenderci un hamburger nel fast food qua dietro?”
 
 






 
*  *  *
 







 
“Takanori se non mangi quel panino giuro che lo faccio fuori in 3 secondi!”
Guardo il vassoio davanti a me composto da un grande hamburger farcito con carne e verdure, una confezione di patatine fritte e una confezione di chicken nuggets. Sembra tutto appetitoso, eppure non riesco a concentrarmi sulle prelibatezze che ho di fronte.
“Yutaka come posso pensare a mangiare dopo che ho visto un dio romano sorridermi a pochi centimetri dal viso?!” esclamo seriamente.
Il mio collega scoppia a ridere singhiozzando e tenendosi la pancia per non scomporsi troppo.
“Takanori basta! Ti ho portato qui per distrarti e in mezz’ora non hai fatto altro che ripetermi quanto quel biondo fosse sexy, bello e ben messo. Io non ci ho visto nulla di particolare…anzi per quanto ho visto e sentito, mi è sembrato un gran rincoglionito.”
“Sarà pure come dici tu, ma è bellissimo e gentile. Hai sentito il tono della sua voce? Sembra un attore!”
Mi stupisco delle mie stesse parole. Possibile che nel giro di pochi minuti una persona sia riuscita a lasciare un’impressione tale su di me?
Quasi non mi riconosco.
Non so bene perché mi sto ritrovando a pensare cose così. Possibile che mi sia preso una cotta come un ragazzino di quindici anni?
Impossibile.
“Beh Taka-chan, se le cose stanno così allora c’è solo una cosa da fare. Dovete uscire insieme!”
Yutaka pronuncia la frase mentre prendo un sorso di Sprite dal mio bicchiere. Per poco non soffoco.
Inizio a tossire sputando liquido dal naso e dalla bocca. Cerco di riprendere aria e razionalità prima di rispondergli per le rime.
“Ma sei scemo? Ti pare che io possa parlare con lui? Ma lo hai visto? Come minimo sarà già sposato, forse con una modella. E sicuramente non è gay.” Affermo con rassegnazione.
Il mio collega avvicina la sua mano al mio viso tirandomi un leggero pizzicotto sul naso.
“Ah~ il mio piccolo Matsumoto è molto ingenuo, non è vero? Senti. Non vi ho osservati molto ma di una cosa sono certo: quel biondo ti ha fatto la radiografia. Ti ha fissato a lungo e sembrava quasi che ti conoscesse; non so come spiegare. Sembrava che ti avesse riconosciuto.”
“Riconosciuto dici? Io non l’ho mai  visto prima. Uno così sexy e bello me lo sarei ricordato. Ma poi legge Nabokov, va in moto e ha quasi quarant’anni. È perfetto!” esclamo guardando un punto impreciso della stanza.
“Già…sembra tipo un principe rock” risponde Yutaka ridendo.
Già, Yutaka ha proprio ragione. Sembra un principe. È entrato in quella biblioteca e secondo me non è entrato per caso. Possibile che stava cercando me? A volte non mi piace pensare a cose come il destino ma in questo momento non riesco a fare altro.
Non riesco a non pensare ad Akira Suzuki.
Termino il mio panino cercando di cambiare argomento nella conversazione con il mio collega. Parliamo di vacanze e dei nostri progetti. Yutaka mi racconta che ha intenzione di partire in estate e fare una vacanza in America, precisamente a New York. Adoro le metropoli statunitensi, devono essere piene di luci e di colori e la gente deve essere sempre così sorridente. Eppure se qualcuno mi chiedesse di chiudere gli occhi e immaginare un posto dove possa sentirmi rilassato e in pace con me stesso, penserei sicuramente all’Europa. Immaginerei un paesaggio freddo e malinconico come quello delle steppe russe, oppure le brughiere nebbiose e inquietanti della campagna londinese. Aveva ragione mio padre quando mi diceva che sono nato nell’epoca sbagliata e nella nazione sbagliata. Sarei stato un perfetto gentleman vittoriano, oppure un poeta di inizio Novecento. Fin da piccolo ho sempre adorato quello che il passato ci ha lasciato. Avrei tanto voluto iniziare a suonare il pianoforte ma occorreva molta pazienza e molta energia e quando avevo vent’anni spendevo tutte le energie per stare dietro a mio padre, colpito a quei tempi da una gravissima malattia. Per non parlare delle ore passate sui libri le notti prima degli esami all’università.  
Osservo cinque dita sventolare di fronte a me che cercano di catturare la mia attenzione.
“Taka tra pochi minuti dobbiamo riattaccare il turno. È meglio se ci diamo una mossa.”
Ci alziamo dal tavolo del locale e torniamo nel grosso edificio rosa chiaro e imponente che ospita la grande biblitoeca in cui lavoro ormai da tanti anni. Appena mettiamo piede nella hall del palazzo veniamo immediamente accolti dal familiare silenzio che costantemente mette a proprio agio ogni visitatore, studente o dipendente.
Saluto alcuni miei colleghi e salgo ai piani superiori. Mi dirigo nella sezione prestiti e decido di riporre con cura tutti i documenti e le ricevute dei libri che sono stati presi in prestito. Svolgo con cura e con attenzione il mio lavoro, mi assicuro che ogni documento venga riposto in ordine cronologico e nella sezione giusta.
Scorrendo i fogli velocemente lascio cadere lo sguardo su un nome.
Akira Suzuki.
Ripenso ancora al suo volto. Il modo in cui i nostri sguardi si sono incrociati.
Possibile che sia proprio lui il principe azzurro?
Se ci ripenso sembra l’inizio di un bellissimo film romantico americano. Tuttavia non riesco a spiegarmi come mai fosse così confuso quando abbiamo parlato. Probabilmente mi sto facendo troppi viaggi mentali e alla fine scoprirò che sarà il solito bello senza cervello che non è mai entrato in una libreria né ha mai aperto un libro.
Mi appoggio distrattamente ad una mensola all’angolo del corridoio e sospiro. Sto chiedendo tanto? Vorrei solamente trovare un uomo bello e gentile e che condivida con me molte passioni. Eppure tutti gli uomini che sono usciti con me fino ad ora sembravano interessati solo alle cose superficiali.
Io non sono così.
Dodici anni fa presi una decisione precisa, in particolare dopo la scomparsa di mio padre a causa della leucemia che lo aveva consumato nel corso di pochi anni. Decisi di dedicare una parte della mia vita a salvare quelle persone affette da questa orribile malattia. Volevo iniziare a donare il midollo osseo così da poter anche solo sperare di riuscire a salvare qualcuno. Non ho ricevuto notizia da nessun ospedale in cui mi sono iscritto come donatore riguardo qualche possibile paziente che è riuscito a superare la malattia, eppure dentro di me sento che da qualche parte in tutto il Giappone, qualcuno non è morto a causa della leucemia. Mi piace anche solo l’idea di essere riuscito a salvare qualcuno, di averlo riportato tra le braccia dei suoi cari, tra le braccia della persona amata. Molto probabilmente non è andata così. Nessuno si è salvato e la mia speranza non serve a nulla. Però non voglio mollare; voglio continuare a donare il midollo ossero. Lo devo fare per mio padre. Per l’unico uomo della mia vita che mi ha insegnato tanto e che se ne è andato troppo presto.
Mia madre non mi informò riguardo la sua leucemia se non quando ormai era troppo tardi.
Non glielo perdonerò mai.
Si giustificò dicendo che aveva paura che mi sarebbe potuto accadere qualcosa di brutto se mi fossi sottoposto ad un’operazione così rischiosa. Ammetto che la prima volta che feci una donazione pensai di non voler più fare una cosa del genere nella mia vita. Soffrii di emicranie fortissime, per non parlare della nausea costante e della febbre che quotidianamente mi accompagnava. Eppure lo rifarei e lo avrei fatto volentieri se fosse servito a salvare mio padre.
Ho visto la morte in faccia. L’ho vista arrivare e portarmelo via senza che io potessi fermarla in nessun modo.
Proprio per questo motivo non sopporto le persone superficiali. Le persone che vivono solo pensando alle piccole cose senza rendersi conto di tutto quello che hanno intorno. Ho vissuto in prima persona una situazione orribile: sono stato costretto a guardare la malattia distruggere mio padre senza poter fare niente per aiutarlo.  Non riesco a capire quelle persone che pensano solo alle cose effimere della vita. Quelle persone che fanno tutto in vista dei soldi, della fama e del successo. Tutti moriamo e non sappiamo né come né quando. Perché spendere le proprie energie in cose così stupide?
Eppure tutti i ragazzi con cui sono uscito non si sono che rivelati il prototipo di questa orribile immagine. Persone senza interessi, senza l’amore per le cose. Non c’era arte nei loro sentimenti. C’erano solo soldi e bellezza; le uniche due cose che spariscono con un battito di ciglia. Ogni persona che ho amato nella vita mi ha lasciato con un grande vuoto vuoto dentro, come se avessero portato via un pezzo dei miei organi interni, senza tuttavia donarmi qualcosa in cambio. Tutto quello che ricordo delle mie storie passate sono amori squallidi e spenti. Le persone che non hanno mai visto la morte, spesso non sanno apprezzare le meraviglie della vita.
Guardo distrattamente la sala lettura del terzo piano e ripenso all’uomo bellissimo e biondo che ho incrociato questa mattina. Probabilmente mi sto solo illudendo come l’ingenuo sognatore che sono. Sono sicuro che anche quell’Akira Suzuki sia una persona superficiale. Cosa ne può mai sapere lui della morte e della sofferenza. Sarà l’ennesimo uomo bellissimo e squallido e io sto solo perdendo tempo a sognare cose che non esistono.
Alzo gli occhi all’orologio appeso al muro vicino al banco prestiti e mi meraviglio di come il tempo sia passato così in fretta. È quasi orario di chiusura e tutte le luci del piano sono ancora accese. Informo Yutaka della cosa mentre mi dirigo verso l’interruttore generale del piano. Spengo le luci dei bagni, della sala lettura e della sala consultazione. Spengo la fotocopiatrice e i computer.
Quando mi ritengo soddisfatto mi dirgo finalmente verso gli spogliatoi e mi tolgo la divisa lavorativa. Mi specchio per pochi secondi solo per confermare quello che avevo già pensato questa mattina. Sono ingrassato e ho accumulato tutto sui fianchi. Devo rimediare e devo smettere di uscire con Yutaka andando ogni sabato in una pasticceria diversa. Sono un grande amante dei dolci, ma ahimè non sono molto bravo a cucinare. Uno dei miei sogni proibiti è proprio quello di fidanzarmi con un cuoco o un pasticciere; un uomo alto e distinto che cucina per me tutto quello che gli ordino. Sarebbe un sogno e sarei la persona più felice del pianeta, anche se dovrei fare i conti con la bilancia e con la mia autostima.
“Takanori sei pronto? Andiamo che ho super fame e non vedo l’ora di tornare a casa!”
Una voce fuori campo mi incita a vestirmi frettolosamente. Sento lo stomaco gorgogliare. Ora che ci penso se non mi sbrigo finirà che perderò l’autobus che mi riporta a casa. Raccolgo le ultime cose ed esco dallo spogliatoio chiudendo accuratamente la porta. Io e il mio collega usciamo dall’edificio esausti dalla giornata di lavoro appena trascorso. Yutaka tuttavia è sempre così sorridente. Non l’ho mai visto triste o serio. È un ragazzo dolce, premuroso e adorabile e non hai mai mostrato segni di distaccamento o di incomprensione nei miei confronti quando gli ho confessato la mia omosessualità. Mi ha sempre accettato per quello che sono, proprio come si fa tra migliori amici. Yutaka è veramente un ragazzo d’oro. Mi ha sempre consigliato e ascolta ogni cosa che gli racconto. Ultimamente è diventato molto protettivo nei miei confronti, soprattutto dopo aver visto cosa è successo quando mi sono lasciato con Naohiro. Piangevo per ore e passavo il tempo chiuso nel bagno del personale. Non mangiavo e non dormivo per settimane. Sono stato molto male e tutto quello che ricordo di quel periodo sono gli abbracci e le frasi di conforto di Yutaka. Se non ci fosse stato lui non so cosa avrei fatto. Probabilmente non mi sarei mai ripreso. Ringrazio i Kami ogni giorni per avermi fatto incontrare una persona del genere.
“Cosa hai da sorridere sotto i baffi Taka-chan?” sussurra il mio interlocutore sistemandosi la zip della giacca.
“Niente” rispondo sovrappensiero. “Pensavo al fatto che sono contento di averti conosciuto.”
“Sicuro che non stavi pensando al tuo bel principe azzurro in motocicletta?” domanda sghignazzando.
“Cosa? Ma che cavolo ti passa per la testa? Assolutamente no!” rispondo colto alla sprovvista.
Rimaniamo pochi secondi in silenzio mentre ci incamminiamo verso la fermata del bus. Sospiro guardando il cielo dalle tinte arancioni e viola. Adoro i tramonti.
“Secondo te lo rivedrò ancora?” chiedo in un sussurro.
“Beh…quel Suzuki ha preso un libro in prestito, no? Dovrà pur riportarlo un giorno di questi.” Risponde Yutaka dandomi un pizzicotto sul braccio.
Sorrido.
Arriviamo alla fermata appena in tempo per vedere il bus spuntare dall’angolo della strada e raggiungere il posteggio sulle striscie gialle. Si aprono le grandi porte blu automatiche e sono costretto a salire di fretta. Saluto Yutaka augurandogli una buona serata. Timbro il biglietto e cerco un posto a sedere vicino al finestrino. Mi siedo e guardo il paesaggio urbano fuori dal vetro.
‘Già.’ penso tra me e me. ‘Quell’uomo misterioso dovrà pur riportare il libro che ha preso in prestito.’
Con una piccola sgommata l’autobus riparte lasciandosi alle spalle il centro di una chiassosa e frenetica Yokohama.
 
 
 
 
 
 



















 
Buona sera. Ebbene. Eccomi qua. Dopo tanti mesi sono tornata e sono tornata proprio con uno spin off molto particolare della mia fanfiction. Se siete arrivati fin qua ma non avete mai letto Without You I'm Nothing posso capire la vostra confusione. Infatti ho scritto questo spin-off solamente per chi ha già letto la mia precedente long e infatti ho voluto scriverlo in maniera molto particolare. Fondamentalmente ho raccontato dei fatti che erano già stati descritti in WYIN ma dal punto di vista di Takanori. Mi è piaciuto tantissimo scrivere dal suo punto di vista...è così opposto rispetto a quello di Akira. Takanori è dolce, tenero e disordinato. Mentre Akira è serio, preciso e non si scompone quasi mai. Sono proprio due persone opposte ♥ 
Adoro questo momento particolare della storia. D'altronde è il loro primo incontro e credo che sia la parte più importante di tutta la storia, non credete?
Ci eravamo lasciati nel 25esimo capitolo di WYIN in cui avevo detto che la fanfiction avrebbe avuto un seguito. Sì, il seguito ci sarà. Però non so se lo posterò qui su efp perchè ormai ho visto che le persone che recesinscono sono davvero troppo troppo troppo poche e non so se ho voglia di aprire sempre il mio profilo per leggere un numero esagerato di visualizzazzioni ma solo due recensioni. Se scriverò un seguito, lo scriverò solo e solamente per me stessa e per chi lo vorrà leggere. Però mi sembra veramente uno spreco postare una long qui su efp su questa precisa sezione dove ormai il fandom è praticamente morto. Forse posterò su un blog oppure chissà, magari posterò veramente qui su efp. Stay tuned <3 ! 
   
 
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