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Autore: LatersBaby_Mery    03/07/2017    14 recensioni
Dopo aver letto numerose volte gli ultimi capitoli di “Cinquanta sfumature di Rosso” ho provato ad immaginare: se dopo la notizia della gravidanza fosse Christian e non Ana a finire in ospedale? Se in qualche modo fosse proprio il loro Puntino a “salvarlo”?
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anastasia Steele, Christian Grey, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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!!Prima che leggiate il capitolo ci tengo a fare una piccola comunicazione: nel capitolo troverete qua e là alcune nozioni mediche, che ho ricavato in parte dalla mia, per ora breve, esperienza di studio, e in parte da internet. Pur attenendomi alla realtà, ho dovuto forzare un pochino per poter adattare le informazioni alla vicenda, quindi mi scuso se non saranno esatte al 100%.
Vi aspetto alla fine del capitolo per i commenti!!
BUONA LETTURA!!


CAPITOLO 61.

POV CHRISTIAN


Faccio accomodare mia madre in salotto, mentre Anastasia va in cucina a preparare un po’ di caffè.
“Allora mamma, cosa succede?” chiedo, sedendomi sul divano di fronte a lei.
Lei si sfila la sciarpa e la appoggia sul bracciolo accanto a sé. “Nulla di allarmante, solo.. una cosa che mi ha destato curiosità, ma voglio aspettare Ana per parlare con entrambi..”
Annuisco, chiedendomi cosa debba dirci di così importante da farla precipitare qui subito dopo il turno, e al contempo imponendomi di non agitarmi. In fondo lei è così calma, quindi non deve trattarsi di nulla di grave, voglio sperare.
“Mentre Anastasia prepara il caffè, vado a salutare i bambini” dice poi mia madre alzandosi.
“Sono nella stanza della televisione a guardare i cartoni..” la informo, sorridendole.
Mia madre mi sorride a sua volta ed esce dal salone. Poco dopo Ana fa ritorno dalla cucina reggendo un vassoio con tre tazzine e una zuccheriera.
“Grace?” domanda, appoggiandolo sul tavolino.
“E’ andata a salutare Teddy e Phoebe” rispondo, sospirando.
“Secondo te cosa deve dirci?”
Sollevo le spalle. “Non ne ho idea. Spero solo non siano altri guai..”
“Hei” mormora Anastasia, sedendosi accanto a me “Cos’è questo pessimismo?” mi prende le mani, ed io gliele stringo. Sollevo il viso e mi perdo nei suoi meravigliosi occhi, che come ogni volta sanno infondermi calma e sicurezza.
Le sorrido e mi allungo a baciarla, staccandomi da lei un attimo prima che mia madre ci raggiunga.
Si siede di fronte a noi e prende la sua tazza di caffè.
“Cos’è successo, Grace?” chiede subito mia moglie.
Mia madre beve un sorso di caffè, e poi si schiarisce la voce.
“Riguarda Ben”
Sussulto a quel nome, e anche Anastasia non sembra felice di ascoltarlo, lo percepisco dal suo corpo che si irrigidisce. Le stringo più forte la mano, chiedendomi cos’altro dobbiamo sapere, e augurandomi che non siano brutte notizie: non so se Ana ed io saremmo in grado di reggerle.
“Cosa.. cos’è successo??” chiedo, timoroso.
“Dunque, in ospedale, non sto a spiegarvi come, ho scoperto che Ben è affetto da un’alfa talassemia di secondo tipo..”
“Una che?” interviene Ana, confusa.
Quando mia madre accenna a certi paroloni è difficile per noi comuni mortali starle dietro.
“E’ una malattia nella quale vi è un difetto nella formazione dell’emoglobina, che è la proteina che trasporta l’ossigeno nel sangue.. Di conseguenza vi è appunto un minore trasporto di ossigeno nel sangue, come una sorta di anemia.”
“Ed è grave?” domando, cercando uno spiraglio per inquadrare la situazione e capire dove voglia portarci mia madre.
Se fosse una malattia grave, potrebbe essere questo il motivo per il quale Shirley si è fatta viva dopo tutti questi anni.
“No, nel suo caso è una patologia quasi asintomatica, come una leggera anemia appunto..” spiega mia madre.
Okei, quindi esclusa l’ipotesi di una patologia grave.
Sono sempre più confuso: perché questa faccenda dovrebbe interessarci così tanto?
“Mamma, scusami, sto perdendo le fila del discorso. Se non si tratta di una cosa grave, perché tutta questa fretta di venire a comunicarcelo?”
Mia madre beve un altro sorso di caffè e appoggia la tazzina sul vassoio, prima di proseguire.
“Il motivo per il quale sono qui non è la gravità della malattia, perché come vi ho detto non ha grandi sintomi, si può vivere in maniera assolutamente normale. Ciò su cui è importante puntare l’attenzione è la modalità di trasmissione della malattia..”
Dio mio, sto capendo sempre meno di tutta questa storia.
“Sarebbe?” mi anticipa mia moglie.
“Dunque, la talassemia è una malattia di tipo autosomico recessivo. Cioè, considerando che noi abbiamo 23 coppie di cromosomi, affinchè la malattia si manifesti, entrambi i cromosomi di una stessa coppia devono aver subito una mutazione..”
Anastasia ed io ci guardiamo un po’ dubbiosi. La medicina non è proprio il nostro campo, e non è semplice comprendere tutte queste nozioni strane.
“Okei, fin qui ci siamo..” dico, invitandola a proseguire.
“Ora, se entrambi i cromosomi sono mutati, e quindi un bambino manifesta la malattia, significa che i genitori sono entrambi affetti dalla stessa malattia, oppure entrambi portatori sani, oppure uno affetto e uno portatore sano..”
Sospiro. Adesso mi è tutto un po’ più chiaro.
Mi volto verso Anastasia, che ha quel broncio e quelle sopracciglia aggrottate tipici di quando sta riflettendo.
“Mamma, cosa stai cercando di dirci?”
“Sto cercando di dirvi che secondo me è opportuno fare ulteriori indagini su di te, Christian..”
“Ulteriori indagini in che senso?”
“Un semplice prelievo del sangue per verificare se sei portatore della malattia o ne sei affetto in forma lieve senza essertene mai accorto..”
Annuisco. “E se lo sono?”
“Se sei portatore o affetto, prenderemo in considerazione l’idea di fare degli accertamenti anche su Anastasia, e solo nel lontano caso che verificassimo eventuali esiti positivi anche su di lei, di conseguenza valuteremo se e quale sia la probabilità che anche i vostri figli possano avere la talassemia che, ripeto, non è assolutamente nulla di grave..”
A sentir parlare di un’eventuale patologia anche ai miei bambini mi si gela il sangue nelle vene. Spero con tutto me stesso che si tratti solo di un gigante castello in aria, e che l’allarme rientri. Però, se le indagini su di me risultassero negative, ci sarebbe la possibilità che…
“E se Christian non dovesse essere portatore né affetto?” chiede ad un tratto Ana, dando voce alla domanda che si stava plasmando nella mia mente, e che non avevo il coraggio di fare.
Mia madre sospira. “Se Christian dovesse risultare omozigote sano.. Beh.. allora sarà il caso di fare due chiacchiere con la madre di Ben..”
Cazzo. Quindi se io dovessi risultare sano potrebbe significare che…
Un momento. Calma. Dobbiamo stare calmi e non fasciarsi la testa prima di rompercela.
“Cioè.. Ben potrebbe non essere mio figlio?” non sono proprio riuscito a trattenermi.
E mi sento un vero bastardo, perché al solo pensiero, da qualche parte dentro di me mi sento sollevato.
“Non possiamo azzardare nessuna ipotesi adesso. Cominciamo col fare le analisi e poi vediamo..” adoro la lucidità e il pragmatismo di mia madre. Ne abbiamo davvero bisogno adesso.
Mi sento così confuso. Da un lato non posso fare a meno di sperare che le indagini su di me risultino negative, e che quindi Shirley possa aver mentito; dall’altro mi sento un uomo spregevole e mi vergogno dei miei stessi pensieri.
Non è giusto che Ben sia sballottato così in mezzo ai nostri casini, è un bambino dolce, simpatico ed intelligente, e gli voglio bene. Gli voglio bene come potrei voler bene ad un amichetto dell’asilo di Teddy, o al figlio di Andrea, ma nulla più di questo. E per quanto mi senta un uomo orribile, non posso sforzarmi di provare emozioni che non provo. I sentimenti non si impongono, nascono e basta, senza neanche rendersene conto.
Poco più tardi, dopo aver fatto le coccole ai suoi nipotini e avermi assicurato che penserà lei a prenotare il prelievo in ospedale, mia madre va via, lasciando me ed Ana in uno stato di incertezza mista in qualche modo a speranza.
“Tesoro” mi chiama mia moglie, notando probabilmente la mia espressione pensierosa.
La guardo. “Dimmi”.
Ana si avvicina al divano e si siede sulle mie gambe. “Ti prego non consumarti il cervello con i pensieri e le supposizioni. Aspettiamo prima di fare le analisi e capirci qualcosa in più, poi penseremo al resto..” dice, accarezzandomi i capelli e la nuca.
“Hai ragione” sospiro “Un passo alla volta”
“Io ho sempre ragione!”
“Mmm.. un po’ troppo presuntuosa per i miei gusti, Mrs Grey..”
“I suoi gusti sono opinabili, Mr Grey..” ribatte, fissandomi con quel sorrisetto e quell’aria di sfida che adoro da morire.
“Non ti conviene provocarmi, moglie” assumo il tono da cavernicolo.
“Altrimenti, marito?”
Chiaramente si diverte da morire a provocarmi; forse ha dimenticato quanto io sia bravo a stare al gioco.
“Altrimenti..” mugugno, un attimo prima di baciarla, assaporando le sue labbra morbide e fruttate.
Non le do tempo e modo di approfondire, perché le mie labbra lasciano le sue per dedicarsi al suo collo. Anastasia intrufola le dita nei miei capelli e mi tiene stretto a sé, sospirando rumorosamente.
È eccitata, lo riconosco perfettamente.
E il fatto di riuscire a farla impazzire semplicemente baciandola fa eccitare anche me, ma proprio quando sto per scavalcare la barriera dei vestiti e sfiorarle i fianchi, Ana mi prende il viso tra le mani, allontanandolo dal suo corpo e guardandomi negli occhi.
“Nono, non possiamo..” mormora, cercando di respirare normalmente “Ci sono i bambini di là, e inoltre prima che cominciassimo a discutere, io stavo lavorando..”
Le mostro il labbruccio, al quale so bene che non sa resistere.
Mia moglie ridacchia e mi sfiora le labbra con le sue. “Non tentare di portarmi sulla cattiva strada. Non posso rimandare..” afferma dispiaciuta.
Annuisco, seppur un po’ contrariato. So che ha ragione.
“Anche io dovrei lavorare, ma preferisco stare un po’ con i bambini. Al lavoro penserò dopo.” dico, pregustando già l’idea di rilassarmi sul divano e farmi coccolare dai miei cuccioli.
Ana sorride, mi accarezza il viso e si avvicina con le labbra al mio orecchio “Ti prometto che stasera mi faccio perdonare” sussurra, con quella voce profonda che mi fa venire voglia di mandare tutto al diavolo e strapparle i vestiti di dosso.
Mi mordicchia il lobo prima di alzarsi e dirigersi verso il corridoio. Respiro profondamente, prendendomi qualche minuto per calmarmi.
È assurdo che a (quasi) trentaquattro anni basti davvero poco per eccitarmi come un adolescente in piena tempesta ormonale, ma è l’effetto che mi fa la mia meravigliosa, bellissima e sensuale moglie; effetto che dopo sei anni non è calato, ma al contrario si intensifica sempre di più. Ciò che mi fa impazzire di più di Anastasia è il fatto che non abbia bisogno di sforzarsi di essere sensuale: lei mi fa capitolare restando semplicemente se stessa.
Una volta riacquistato il controllo di me, mi alzo e raggiungo i miei figli nella stanza della televisione. Stanno guardando un cartone animato stesi sul divano con un morbidissimo plaid addosso.
“Posso guardare anche io i cartoni?”
I loro sguardi si illuminano. “Sìììì!!” esclamano, facendomi spazio.
Mi stendo in mezzo a loro, ricoprendo tutti e tre con la coperta. Teddy e Phoebe si accoccolano entrambi a me, uno a destra e uno a sinistra, appoggiando la testa sul mio petto. Li circondo entrambi con le braccia e li stringo forte a me, annusando quello che da quasi cinque anni è per me il profumo più bello del mondo.  
È indescrivibile l’amore che si prova verso i figli, è qualcosa che ti spacca il cuore, che ti fa vivere ogni giorno, ad ogni bacio, ad ogni abbraccio, ad ogni sguardo.
In questo momento ho un bisogno disperato di stare con loro, tenerli stretti a me, sentire il loro affetto e sapere che sono sereni.
“Ma quando esce il pinsipe?” domanda ad un tratto Phoebe.
“Cappuccetto Rosso non ha il principe” le spiega Teddy.
Phoebe annuisce, credo un po’ delusa: per lei tutti i cartoni dovrebbero finire con un principe e una principessa che vivono per sempre felici e contenti. Mi sa che è già un’inguaribile romantica come sua madre.
“Ma tu hai già il tuo principe azzurro” affermo, carezzandole i morbidi capelli corvini “Chi è il tuo principe azzurro??”
Phoebe mi guarda per qualche secondo. “Papii” dice poi sorridendo.
“E dammi un bacio grandissimo” le porgo la guancia.
Mia figlia si sporge verso di me e mi schiocca un tenerissimo bacio sulla guancia, facendomi sciogliere completamente.
Teddy, per non essere da meno, si butta completamente su di me. Li stringo forte entrambi, affogando nel loro abbraccio. E non importa se mi schiacciano e non riesco a prendere aria, loro sono il mio respiro.  
 
Sento bussare alla porta dello studio, e un attimo dopo la testa di mia moglie fa capolino dalla porta socchiusa.
“Hei” sorrido, lasciando andare per un attimo le carte su cui ero concentrato.
Ana ricambia il sorriso, e viene verso di me, sedendosi sulle mie gambe.
“I bambini si sono addormentati?” domando, cingendole i fianchi.
Lei annuisce. “Phoebe ha preteso che le raccontassi qualche storia che avesse un “pinsipe”, non l’ha presa molto bene l’assenza del principe azzurro in Cappuccetto Rosso..”
Rido, scuotendo la testa. “Nostra figlia ha il tuo stesso carattere..”
“Lo prendo come un complimento”
“Lo è, infatti!” le sorrido, rubandole un bacio a fior di labbra.
“Ne hai ancora per molto?” chiede poi mia moglie, indicando il pc con un cenno del capo.
Sbuffo. “Mi sa di sì, domani ho due riunioni importanti e voglio rileggere ancora le varie relazioni, per non rischiare di tralasciare nulla..”
“Christian ti capisco perfettamente, ma sei stanco. È da quando abbiamo finito di cenare che sei rintanato qui dentro. Credo che i tuoi neuroni siano fusi ormai..”
Ha ragione, sono davvero stanco. Ma quando ho degli incontri importanti alla GEH, il tempo trascorso a visionare ogni minimo dettaglio non mi sembra mai abbastanza.
“Hai ragione piccola.. ma credo che mi tratterrò ancora un po’..”
“E vabbe..” sospira Ana, rassegnata, alzandosi dalle mie gambe e parandosi alle mie spalle.
Prima che possa chiederle cos’abbia intenzione di fare, sento le sue mani che si muovono lente sulle mie spalle, regalandomi un delizioso massaggio che mi fa rilassare tutti i muscoli tesi.
“Sei fantastica” mugugno in estasi e sento, anche se non lo vedo, il suo sorriso.
Provo a riportare la mia attenzione ai prospetti che stavo visionando, ma devo ammettere che concentrarmi è difficile: le dolci attenzioni di mia moglie sono una vera distrazione.
Ad un tratto le sue mani lasciano le mie spalle e, se da un lato mi sento dispiaciuto che abbia interrotto quel paradisiaco momento di relax, dall’altro sono consapevole che ora posso tornare a pensare lucidamente.
Mai consapevolezza fu più sbagliata, perché un attimo dopo mia moglie sostituisce le labbra alle mani, ricoprendomi la spalla di piccoli baci. Se attraverso il cotone della camicia avverto il calore della sua bocca, quando giunge al collo scoperto sento la pelle incendiarsi. Le braccia di Ana mi cingono le spalle, e le sue labbra percorrono languidamente il mio collo, dalla spalla fino al retro dell’orecchio.
E con questo posso dire addio a quel barlume di concentrazione che mi era rimasto.
“Com’era quella cosa del non portarti sulla cattiva strada?”
“Evidentemente so essere più persuasiva di te.. o forse sei tu che sei meno bravo a resistermi..”
“Quindi la colpa sarebbe mia?”
“Mmm” mugugna in assenso “Sei sempre sicuro di voler restare qui a lavorare su queste scartoffie noiose?” mi provoca, allungando le mani ad accarezzarmi il petto.
“Uhm, non saprei.. Qual è il programma alternativo?” faccio il sostenuto, ma il mio amichetto dei piani bassi sta già impazzendo per entrare dentro di lei.
“Qualcosa che prevede molti strati di vestiti in meno..” risponde, slacciandomi i primi due bottoni della camicia.
Sta per sfiorare il terzo, quando io le allontano le mani dal mio corpo e mi alzo. Anastasia mi fissa perplessa quando, con estrema lentezza, comincio a spegnere il computer e a riordinare la scrivania.
Allungo la mano verso di lei, che subito posa le sue dita nel mio palmo. La attiro davanti a me, sfiorandole con la punta delle dita le braccia, le spalle e infine il viso. Le prendo le guance tra le mani e la bacio con avidità, invadendo la sua bocca, avvolgendo la sua lingua con la mia. Le sue mani si intrecciano ai miei capelli, tirandoli, mentre le mie le cingono forte i fianchi, tenendola stretta a me.
“Christian..” mormora, quando sente sul suo ventre la prova tangibile della mia eccitazione.
“Sssshh” la bacio ancora, fugacemente. “Siediti” sussurro, con assoluta calma, indicandole la scrivania.
Mia moglie mi scruta con uno sguardo che è un misto tra dubbio e lussuria. Alla fine cede alla mia richiesta e si siede sulla scrivania. Mi avvicino a lei, allargandole le gambe e intrufolandomi nel mezzo, pianto i palmi delle mani sul legno chiaro, imprigionandola con il mio corpo.
Le bacio le labbra, poi le guance, fino a giungere con la bocca a pochi millimetri dal suo orecchio. “Appoggia le mani all’indietro, e non fiatare, se non quando te lo dirò io” le ordino, a voce bassa ma intensa.
Se mia moglie vuole giocare, è ora di ricordarle chi detta le regole. E in fondo so che il mio animo da dominatore la eccita da morire.
Anastasia fa come le dico, piegandosi leggermente all’indietro e agganciando le mani al bordo opposto della scrivania.
Sorrido, come sempre compiaciuto di averla alla mia mercè, incerta su cosa sto per farle, ma al contempo smaniosa di scoprirlo, arrossata, accaldata ed eccitata.
Lentamente sollevo il vestitino che indossa fino alla vita, agganciando poi i bordi delle calze e facendole scendere, sempre molto lentamente, lungo le sue gambe, per poi sfilargliele del tutto. Mi perdo per qualche istante ad ammirare la bellezza delle sue gambe, prima di afferrare nuovamente l’orlo del suo abitino e sfilarglielo dalla testa, lanciandolo da qualche parte.
Dio mio, è meravigliosa. Ogni volta in cui la osservo mi domando come sia possibile racchiudere tanta perfezione in una sola persona. Il suo corpo è il più bello, tonico e sensuale che abbia mai visto in tutta la mia vita, ed è mio, è sempre stato solo mio, e sarà per sempre solo mio.
“Sei bellissima” mormoro prima di catturare le sue labbra con le mie e regalarle un bacio avido e passionale.
Contemporaneamente le mie mani corrono dietro la sua schiena per slacciarle il reggiseno; faccio scorrere le spalline sulle sue braccia per poi toglierle quell’indumento in questo momento superfluo.
Le sfioro con delicatezza i capezzoli, che immediatamente si induriscono sotto il mio tocco. Le mie labbra percorrono con dolorosa lentezza il suo mento, il suo collo e infine il suo seno, andando a succhiare avidamente quello che le mani stavano sfiorando.
“Ah” geme Anastasia, inarcando la schiena e offrendosi ancora di più a me.
Mi stacco per un attimo dal mio Eden personale. “Zitta” le intimo, mostrandole un sorrisetto impertinente e sadico, dopodiché torno a prestare attenzione al suo seno. Nello stesso istante le mie dita la accarezzano al di sopra degli slip, trovandoli praticamente fradici.
Il mio membro sta dolorosamente premendo contro la cerniera dei pantaloni, ma lo costringo a starsene buono: ho altro in mente per ora.
Sfilo ad Anastasia anche l’ultimo indumento intimo rimasto, e mi stacco da lei per poterla rimirare in tutta la sua splendida nudità. Il suo respiro è affannoso, le guance arrossate e gli occhi lucidi. So che le basterebbe poco per esplodere di piacere, ed è per questo che cerco di prolungare la mia lenta e dolce tortura il più possibile.
Le afferro una gamba, ricoprendo di piccoli baci tutto il percorso dal tallone, al polpaccio, al ginocchio, fino a giungere all’interno coscia. Per par condicio faccio lo stesso con l’altra gamba, e questa volta non mi fermo quando giungo a pochi centimetri dalla sua fonte di piacere, ma mi chino davanti a lei e porto le sue gambe sopra le mie spalle, in modo che pendano dietro la mia schiena e la mia testa stia tra le sue cosce.
La guardo per un lunghissimo istante e mi passo la lingua sulle labbra prima di fiondarmi con la bocca nella sua essenza più intima.
Bastano poche stoccate e la sento già tremare, segno che è vicina al limite. I suoi talloni premono contro la mia schiena, le sue cosce stringono come una morsa la mia testa, e giuro che se potessi farei durare questo momento in eterno.
“Christian..” ansima “Sto per venire..”
I movimenti della mia lingua si fanno più rapidi, in concomitanza con il respiro di Anastasia che diviene accelerato e rumoroso. Le accarezzo le cosce e i fianchi e la accompagno pian piano ad un intenso e violento orgasmo, mentre le sue grida di piacere riempiono la stanza e il suo corpo trema.
È una visione. Gli occhi chiusi, l’espressione del godimento stampata sul viso, le labbra gonfie e i capezzoli duri, mentre il fuoco del piacere la consuma.
Mi alzo e la tengo stretta a me, ascoltando i suoi respiri affannosi e il battito del suo cuore impazzito contro il mio petto, mentre il suo corpo lentamente riacquista il controllo di sé.
La guardo negli occhi, appannati dal piacere, più azzurri che mai; quegli occhi che sono in grado di farmi sentire in pace con il mondo. La bacio con avidità, bagnando anche le sue labbra dei suoi umori. Sto per staccarmi da lei quando le sue mani raggiungono la cintura dei miei pantaloni, slacciandola. Prima che possa arrivare a sfiorarmi e a farmi impazzire, le blocco i polsi.
“Non qui” mormoro, prendendola tra le braccia.
Cinque minuti più tardi siamo sotto la doccia, con l’acqua tiepida che scorre timida tra i nostri corpi. Anastasia mi bacia, tenendomi il viso tra le mani, mentre io la stringo forte a me. Dalle mie guance, le sue mani scendono lente ad accarezzarmi il petto, l’addome e infine ad afferrare il mio membro, che pulsa, impaziente di essere dentro di lei. Mia moglie lo sfiora dalla base alla punta, e questo basta a farmi rabbrividire. So bene che se non la smette rischio di venire nel giro di pochi secondi, e non è quello che voglio; così, con un gesto fulmineo, faccio voltare Ana tra le mie braccia, in modo che abbia la schiena incollata al mio petto.
“Mani attaccate al muro” le ordino all’orecchio, baciandole poi il collo.
Lei fa ciò che le dico, e sporge leggermente il sedere all’indietro. Vorrei sprofondare subito dentro di lei, ma ho la sensazione che mi basterà davvero poco per perdere completamente il controllo, e non voglio di certo lasciare mia moglie insoddisfatta.
Così decido di portarla prima al limite, immergendo due dita nella sua intima morbidezza.
“Christian.. ti prego..” ansima ad un tratto.
“Cosa c’è, amore?”
“Ti voglio” mormora, con la voce smorzata dalle mie carezze.
Le bacio sensualmente il collo, mentre con le mani la invito gentilmente a divaricare le gambe, e un attimo dopo sono dentro di lei, strappandole un gemito strozzato.
Le cingo la vita, e lei intreccia le dita con le mie, ferme sul suo ventre e le stringe di più ad ogni spinta, inarcando la schiena e poggiando la testa all’indietro sulla mia spalla.
“Oh mio Dio, Christian..” geme, facendomi impazzire.
Tenendole forte le mani continuo a spingere, sempre più forte, sempre più veloce, continuando contemporaneamente a baciarle collo e spalla.
Sono sull’orlo del precipizio, e anche lei è vicina, lo avverto dai suoi muscoli che si stringono come una morsa intorno alla mia erezione.
Lascio una delle sue mani e scendo a sfiorarle il clitoride gonfio. E quello basta per farla esplodere di nuovo, mentre le sue grida riecheggiano contro le pareti del bagno. La raggiungo pochissimi istanti dopo, riversandomi dentro di lei e lasciandomi andare ad un orgasmo che mi squassa corpo e anima.
“Non sento più le gambe..” mugugna mia moglie, ed io istintivamente sorrido.
Adoro sfinirla e adoro sapere che questa notte, e forse anche domani, sentirà addosso le conseguenze del piacere che io le ho provocato.
La prendo tra le braccia e, stando attento a non scivolare, mi siedo sul pavimento della cabina doccia, tenendo mia moglie saldamente stretta a me.
Anastasia appoggia la testa sul mio petto e mi bacia un capezzolo. “È inspiegabile quanto sia bello fare l’amore con te, in qualsiasi modo” mormora, facendomi sciogliere il cuore.
La stringo più forte e le lascio un bacio tra i capelli. “Ti amo. Ti amo da morire”.
 

Tre giorni dopo...

Varco l’ingresso del Seattle Hospital, tenendo il cellulare tra l’orecchio e la spalla.
“Sì, mamma, sono entrato dall’ingresso Nord. Adesso??”
“Adesso devi andare in accettazione, presentare il foglio di prenotazione delle analisi, e poi loro ti diranno a che piano dirigerti. Chiaro?”
“Sì, chiarissimo. Grazie mamma!”
“Ciao tesoro, a dopo”
La saluto e attacco, infilando il cellulare in tasca e guardandomi intorno. Scorgo la grande scritta rossa ACCETTAZIONE, e mi dirigo a passo spedito verso lo sportello. Frugo nella ventiquattrore alla ricerca del foglio e lo porgo all’operatrice dietro al vetro.
La giovane donna, non mascherando uno sguardo di apprezzamento, digita qualcosa al computer e poi mi restituisce il mio foglio, insieme ad un altro su cui sono attaccate alcune etichette riportanti i miei dati anagrafici e il codice assegnatomi dall’ospedale.
“Per il prelievo può recarsi al quarto piano, lato destro, la prima stanza sulla sinistra è la medicheria. Le basterà presentare il foglio di prenotazione” mi spiega con un sorriso.
Le sorrido a mia volta e la ringrazio, per poi dirigermi verso l’ascensore. Impiega un’eternità per arrivare, e un’altra eternità per condurmi al quarto piano. O forse sono io ad essere troppo teso e impaziente.
Questi due giorni e mezzo ad attendere di fare le analisi sono sembrati lunghissimi, ma durante il week-end non possono essere effettuati prelievi che non provengano dai reparti di degenza o da situazioni strettamente urgenti. Per cui, nonostante il mio cognome, mia madre ha potuto prenotare il prelievo solo per oggi, che è lunedì.
Due giorni e mezzo possono sembrare pochi, ma quando si ha la testa che scoppia di pensieri, di ipotesi e di domande irrisolte, ogni ora si dilata.
Per fortuna, grazie alla mia meravigliosa moglie e ai nostri splendidi bambini, sono riuscito in parte a liberare la mente, dedicandomi esclusivamente alla mia famiglia. Anastasia, dal canto suo, si finge tranquilla e cerca continuamente di spronarmi a non cedere troppo al peso dei pensieri; ma io la conosco, e so che è solo apparenza, che anche lei è ansiosa di scoprire di più, anche lei si sta scervellando in ipotesi e supposizioni.
Quando le porte dell’ascensore finalmente si aprono, tiro un sospiro di sollievo ed esco, dirigendomi verso destra. Busso alla porta che porta la scritta “MEDICHERIA” e, dopo aver udito un forte e chiaro “Avanti!”, la apro ed entro.
“Buongiorno!” esclama un’infermiera sulla quarantina, venendomi incontro.
“Buongiorno, sono Christian Grey, dovrei fare un prelievo” le comunico, porgendole il foglio di prenotazione.
La donna lo legge velocemente. “Sì. Prego, si accomodi pure..” mi sorride e mi indica la sedia accanto ad un lettino.
Potrà sembrare una romantica banalità, ma quando si vive una giornata particolarmente stressante, incontrare dei sorrisi, soprattutto in un ambiente come l’ospedale, può davvero migliorare l’umore.
“Katy, puoi preparare una provetta con tappo viola e una con tappo rosso e attaccare le etichette?” l’infermiera si rivolge ad una ragazza molto più giovane, impegnata al computer.
La ragazza scatta subito e apre l’armadietto, mentre l’infermiera prepara ago, laccio emostatico e batuffolo di cotone con il disinfettante.
Katy torna con le provette e ci attacca sopra le etichette che mi hanno consegnato giù in accettazione.
“Potrebbe togliere la giacca, Mr Grey?” mi invita gentilmente l’infermiera.
Mi sfilo la giacca e sbottono la camicia ad un polso, sollevando la manica fino al gomito.
“Devo togliere anche la camicia?”
“Nono, non è il caso” risponde la donna mentre infila i guanti. Poi si rivolge alla ragazza, porgendole il laccio emostatico. “Vuoi farlo tu?”
Lei annuisce. “Se per il signore non è un problema..” mormora timida.
“Katy è una delle studentesse del corso di infermieristica generale. Come ben sa il nostro è un ospedale universitario” mi spiega l’infermiera “Per lei sarebbe un problema se facesse lei il prelievo?”
Qualcun altro potrebbe sentirsi intimidito dall’inesperienza della tirocinante, o addirittura offeso di essere sfruttato come cavia. Io, invece, sono contento che il miglior ospedale della nostra città formi ogni anno quelli che saranno gli infermieri del futuro, e mi fa piacere dare, per quel che posso, il mio contributo.
E poi questa fanciulla ha un paio d’occhi e un’espressione che mi ricordano la mia Ana, quindi anche volendolo non riuscirei proprio a dire di no.
“Nessun problema!” affermo sicuro, sorridendo.
Katy sembra ringraziarmi con lo sguardo, infila i guanti e poi mi invita a porle il braccio. Avvolge il laccio emostatico alcuni centimetri più su della fossa del gomito, e poi inizia a palpare nei pressi di quest’ultima.
“Questa si sente benissimo” dice, alludendo alla mia vena.
L’infermiera palpa a sua volta e dà il suo assenso, invitandola a proseguire. La ragazza disinfetta accuratamente l’area prescelta e poi inserisce l’ago, e nell’istante stesso in cui lo fa, i lineamenti del suo viso si tendono al massimo, per poi rilassarsi un attimo dopo, quando il sangue comincia a fluire nel tubicino.
“Bravissima” la elogia l’infermiera “Lei cosa ne pensa, Mr Grey?”
Sorrido. “Sono assolutamente d’accordo!”.
Katy sorride e va avanti con la procedura, sotto lo sguardo attento dell’infermiera.
Al termine del prelievo applica sul punto in cui ha bucato un batuffolo di cotone con un cerotto. Abbasso la manica della camicia e indosso nuovamente la giacca.
“Per i risultati può passare domani pomeriggio, Mr Grey”
Dio, altre ventiquattro ore d’ansia.
Cerco di non mostrare il mio disappunto e con un sorriso congedo le due donne, per poi andare via.
“Sono a casa!” esclamo, sfilandomi il cappotto e appoggiando la ventiquattrore all’ingresso.
La prima cosa che sento sono urla provenienti dal salone, e so perfettamente a chi appartengono. Infatti, non appena arrivo in salone, trovo Phoebe che scappa e Teddy che la rincorre, mentre Anastasia tenta di farli calmare.
“Dammelo è mioooo!!” strilla Teddy tentando di raggiungere Phoebe, che però è piccola e veloce e riesce ad intrufolarsi ovunque.
È un casino, ma anche questa è atmosfera di casa. Ed è bellissima. 
Con uno scatto acciuffo la principessa e la prendo in braccio, nonostante lei si dimeni.
“Oddio, menomale che sei arrivato..” sospira Ana, raggiungendomi e tenendo fermo Teddy, che continua a tenere il broncio.  
“Buonasera” do un rapido bacio a fior di labbra a mia moglie, per poi concentrarmi sulle due piccole pesti. “Si può sapere che sta succedendo?”
“Phoebe non vuole darmi il mio cane!” si lamenta Teddy.
Abbasso lo sguardo e noto che effettivamente Phoebe ha tra le mani un peluche nuovo di zecca.
“Uh, da dove è saltato fuori questo?”
“Oggi è venuta Mia con i bambini, e ha portato una bambola a Phoebe e il cane a Teddy.. Ovviamente però adesso Phoebe vuole giocare con il cane, e Teddy non vuole darglielo..”
“Lei ha la bambola, il cane è mio!” protesta mio figlio.
“E non potete fare un po’ cambio?” propongo.
“A me non piace giocare con le bambole. Voglio il mio cane!”
“No, ci voglio giocare anche io” interviene Phoebe.
Hanno entrambi un caratterino molto peperino, un po’ come me e sua madre: entrambi amano avere l’ultima parola. Per fortuna solitamente vanno d’accordo, ma talvolta capitano i momenti di bisticci, altrimenti non sarebbero fratello e sorella, e quando succede è difficile far fare ad uno dei due un passo indietro.
“Dammelo!!” Teddy si arrampica e cerca di tirare il peluche dalle mani della sorella.
“No!” si indispettisce Phoebe.
“Basta!” esclamo “Lo sapete che mi arrabbio quando litigate per i giocattoli. Ne avete tanti e lo sapete che se litigate per un gioco solo, lo prendo io e non ci gioca proprio nessuno. Okei?”
Entrambi annuiscono.
“Allora adesso o trovate un modo per giocare insieme con il cane senza litigare. Oppure con il cane giochiamo io e la mamma..” guardo Anastasia, che si porta una mano alla bocca per nascondere una risata.
“Facciamo che io lo porto con il guinzaglio e tu gli dai la pappa?” propone ad un tratto Teddy.
Phoebe annuisce, ed io sorrido, felice che abbiano trovato un punto di incontro.
“Braavii!” esclamo, mettendo giù Phoebe “Prima che andiate a giocare, però, voglio un bacio gigante e un abbraccio gigante..”
Mi chino alla loro altezza ed entrambi mi abbracciano forte, schioccandomi baci sulle guance.
E questo è il momento più bello del mio rientro a casa: i baci e gli abbracci dei miei figli, e quelli della loro mamma ovviamente; il calore e la gioia della mia famiglia. Cavolo, mi sembra impossibile che fino a qualche anno fa l’idea di una famiglia non era assolutamente contemplata nei miei piani.
“Andiamo adesso!” Teddy prende per mano sua sorella e insieme si dirigono verso il corridoio.
“Eccoli.. un attimo prima a litigare, e un attimo dopo mano nella mano..” osserva Anastasia, divertita e affascinata.
“È la grande meraviglia dei bambini..” affermo. Dopodiché prendo mia moglie tra le braccia “Sbaglio, o qualcuno non mi ha ancora salutato come si deve?”
Anastasia sorride e allaccia le braccia intorno al mio collo, allungandosi poi a sfiorare le mie labbra con le sue. Dopo qualche leggero bacetto, perdo la pazienza e le prendo il viso tra le mani, baciandola come Dio comanda: mordo leggermente il suo labbro inferiore, invitandola a schiudere la bocca e spingendo la lingua ad incontrare la sua.
È bellissimo sentire i suoi gemiti sommessi, e la carezza delle sue dita tra i miei capelli: mi rilassano e mi eccitano allo stesso tempo.
Con immensa fatica mi stacco dalle sue labbra e la guardo negli occhi, accarezzandole dolcemente le guance e i capelli. “Tu lo sai che ti amo da morire?”
Anastasia mi rivolge il sorriso più dolce del mondo e annuisce, stringendosi poi a me e appoggiando la testa sul mio petto. La tengo qualche minuto stretta a me, inspirando il profumo dei suoi capelli, e poi mi siedo sul divano, facendola sedere sulle mie gambe e accoccolare al mio petto.
“Hai fatto il prelievo??”
Sospiro. “Sì. I risultati devo ritirarli domani..”
“Che palle. Dobbiamo aspettare fino a domani..”
Le accarezzo i capelli. “Hai ragione piccola. E’ dura..”
Ana mi sfiora delicatamente il braccio. “Dai, ne abbiamo superate tante, e supereremo anche questa..” solleva il viso e mi guarda negli occhi.
Chino il capo e la bacio. “Come farei senza di te?”
“Non lo scoprirai mai..” sorride e mi bacia ancora.
 

Il giorno seguente

Siamo in macchina, diretti verso Bellevue. Ho firmato una delega a mia madre per ritirare le analisi in laboratorio, ed ora siamo diretti verso casa dei miei genitori per aprirle insieme. Voglio leggere i risultati con lei perché ho bisogno di un parere esperto per interpretarli.
In questo momento mi piacerebbe tanto essere una di quelle persone istintive, che hanno un sesto senso, che dentro di sé, da qualche parte, sentono in qualche modo di sapere quale sarà l’epilogo della faccenda. Io, invece, non ho la minima idea di cosa sveleranno i risultati delle analisi, e mi sento un codardo perché non riesco ad ammettere neanche a me stesso che, in fondo, spero in un risultato ben preciso, anche se questo significherebbe affrontare Shirley a viso aperto.
Mi rendo conto che siamo arrivati solo quando Taylor si ferma davanti al cancello principale per premere il pulsante del campanello. Pochi istanti dopo il cancello si apre e l’auto imbocca il vialetto della villa dei miei genitori. Mia madre ci aspetta sull’uscio della porta; i primi a correrle incontro, una volta scesi dalla macchina, sono Teddy e Phoebe, la nonna li stringe forte a sé e poi saluta me ed Ana, facendoci entrare in casa.
“Papà non c’è?” domando, non vedendo in giro il mio vecchio.
“È uscito poco fa dal tribunale, sta tornando. Vuoi aprire subito le analisi o vogliamo aspettare lui?”
Da un lato vorrei chiederle di non farmi attendere oltre, in modo da togliermi il dente il prima possibile e provare a capire qualcosa di tutto questo casino; ma dall’altro non mi sento ancora pronto, come se avessi paura di ciò che potrà esserci scritto su quei fogli, e non mi dispiacerebbe avere un supporto in più, per cui scelgo di aspettare mio padre, e nel frattempo cerchiamo di distrarci chiacchierando del più e del meno.
Mezz’ora più tardi rientra finalmente mio padre, felicissimo di essere accolto dai suoi nipotini.
“Nonno, ci fai vedere le foto di papà di quando era piccolo?” domanda ad un tratto Teddy.
Un pomeriggio di qualche mese fa, per puro caso, mio padre mostrò ai miei figli alcuni album di foto di quando Elliot, Mia ed io eravamo piccoli. Non ero un bambino che adorava l’obiettivo della macchina fotografica, ma in occasioni come compleanni, Natale, Ringraziamento e feste in famiglia varie non potevo sfuggire a mia madre e al suo flash. Da quel giorno Teddy e Phoebe ogni volta in cui vengono qui adorano sfogliare quegli album e divertirsi a riconoscere i componenti della famiglia.
“Cucciolo adesso la nonna ed io dobbiamo parlare un attimo con mamma e papà di cose importanti.. magari dopo..” spiega mio padre, accarezzandogli i capelli.
“Vi va di dare una mano a Gretchen in cucina?” interviene mia madre.
“Sìììì!!” esclamano i bambini saltellando.
Mia madre sorride e li prende per mano, accompagnandoli in cucina. Torna poco dopo, con in mano la busta del laboratorio analisi del Seattle Hospital.
Sento il cuore battere più forte e la fronte imperlarsi di sudore. Anastasia avverte il mio stato d’animo e mi stringe forte la mano.
“Apro io?” domanda mia madre.
Annuisco, sospirando e passandomi nervosamente una mano tra i capelli.
Mia madre strappa un lembo della busta e tira fuori il foglio piegato in tre. Lo apre e lo legge attentamente. Scruto attentamente il suo sguardo, per cercare di captare anche il minimo cambiamento d’espressione; ma mia madre ha l’impassibilità dei medici incorporata nel DNA, per cui riuscire a capire qualcosa è impossibile.
“Grace per favore non tenerci sulle spine!” la supplica mio padre.
Mia madre sospira e ripiega nuovamente il foglio. “Il test è negativo, Christian” annuncia, guardandomi negli occhi.
“Sarebbe a dire?” chiedo, per avere una conferma di quello che credo di aver già capito.
“Sarebbe a dire che non hai la talassemia e non sei neanche portatore sano..”
Mi volto verso Anastasia, ci guardiamo per pochi lunghissimi istanti, confusi, dubbiosi e quasi timorosi di aprire bocca.
Sento come uno strano vuoto allo stomaco: il risultato del test mi ha spiazzato, ma a sconcertarmi ancora di più è il rendermi conto che, nonostante lo shock, è il risultato che in fondo dentro di me speravo di scoprire.
“Mamma.. questo cosa.. cosa vuol dire?”
Mia madre sospira e si siede accanto a mio padre, che la guarda negli occhi, quasi implorandola di dare spiegazioni.
 “Questo, con molta probabilità, potrebbe voler dire che Ben non è tuo figlio..” mormora, come se temesse di dirlo a voce alta.
Mi lascio andare contro lo schienale del divano, chiudendo gli occhi e strofinandomi le mani sul viso. In questo momento sento il mondo girare vorticosamente, ed io sono al centro della spirale: mi sento confuso, perso, agitato e.. deluso.
E la cosa peggiore è che non so se sono più incazzato con Shirley per l’enorme bugia che molto probabilmente mi ha raccontato, o con me stesso perché non posso negare che le parole di mia madre mi abbiano provocato un certo sollievo.
Non riesco più a stare fermo, mi alzo, camminando nervosamente per il salone dei miei. Anastasia mi guarda, ma non proferisce parola; glielo leggo negli occhi che è turbata e confusa quanto me.
“Che cosa devo fare adesso??” domando, rivolgendomi ai miei genitori.
“Per prima cosa dovresti parlare con Shirley.. Se.. se ti avesse raccontato una bugia, davanti alle evidenze dei fatti non potrebbe che arrendersi e dirti la verità, e di conseguenza spiegarti i motivi del suo gesto..” risponde mia madre, lucida e pragmatica come sempre.
“Quante probabilità ci sono che.. Shirley invece possa aver detto la verità, e che quindi Ben sia figlio di Christian, nonostante le analisi?” interviene mio padre.
Mia madre indugia qualche secondo. “Pochissime” dice infine.
“Questo.. questo vorrebbe dire che ha falsificato il test??” domanda Anastasia.
“Questa è una questione a parte.. però.. sì.. Non so in quale modo, ma il test è stato falsificato..”
Ad un tratto vedo tutto nero. Rabbia, delusione e una voglia matta di spaccare tutto si impossessano di me.
“Puttana” impreco, avviandomi convulsamente verso la porta.
“No Christian, no!” esclama mio padre, alzandosi per bloccarmi “Che cosa vuoi fare?”
“Vado da Shirley. Deve dirmi la verità, deve darmi una spiegazione!” urlo.
“Christian non adesso, non così. Sei troppo agitato..” mia madre tenta di calmarmi.
Cerco di respirare regolarmente. “Agitato? Quella.. quella..” non riesco neanche a classificarla “Si è presentata qui dopo otto anni, raccontandomi quasi sicuramente una bugia che potrebbe o comunque avrebbe potuto sconvolgere la mia vita, la nostra vita da capo a fondo.. Ed io non dovrei essere agitato?”
“Non sto dicendo questo. Tu hai tutte le ragioni del mondo ad essere arrabbiato e a pretendere spiegazioni. Ti sto chiedendo solo di calmarti un secondo. Tesoro, devi essere lucido, dobbiamo essere lucidi per affrontare tutto questo..”
Sospiro e mi siedo nuovamente sul divano. Anastasia si avvicina a me e mi stringe una mano, mentre con l’altra mi accarezza la nuca per cercare di rilassarmi.
“Amore, tua madre ha ragione.” mormora. Ed io so che è così, so che dobbiamo riflettere, ma è difficile essere diplomatici nei confronti di una persona che senza porsi troppi problemi si è arrogata il diritto di rivoluzionare la mia vita e quella della mia famiglia. A causa sua Anastasia ed io abbiamo vissuto i giorni più brutti della nostra vita, siamo stati malissimo, ho rischiato di perderla, e questo non posso perdonarglielo.
“Perché lo ha fatto?” chiedo ad un tratto, non so se a loro o a me stesso.
“Christian, tu sei un uomo di spicco nella società, sei ai vertici dell’economia statunitense, sei ricco..”
“Ci ho pensato anche io, papà. Ma lei ha sempre sostenuto che non le è mai interessato nulla dei soldi. E poi, rifletti, se avesse mirato solo a quello, sarebbe venuta da me quando ha scoperto di essere incinta, non dopo otto anni..”
Mio padre riflette per qualche secondo sulle mie parole, poi annuisce.
Io scendo sempre più a fondo di un vortice fatto di pensieri, domande, ipotesi, supposizioni, e poi rabbia, delusione, impazienza. Mi sento soffocare sempre di più ad ogni minuto che passa, avverto il bisogno di uscire, andare, correre, e al contempo mi sento impotente e privo di forze.
“Christian” sussurra mia madre, sedendosi di fronte a me e prendendo la mia mano, nella quale è racchiusa quella di mia moglie “La cosa più importante è restare calmi. Devi parlare con Shirley, scoprire la verità e soprattutto i motivi che l’hanno spinta a comportarsi come si è comportata..”
La guardo negli occhi e annuisco. Dobbiamo restare calmi. Ho bisogno di tutto l’autocontrollo possibile per non dare di matto, perché in tutta questa situazione basta davvero poco per perdere la testa.
“Ma non adesso” prosegue mia madre “Adesso sei troppo sconvolto e arrabbiato per affrontarla.. Hai bisogno di fermarti un attimo, di dormirci su e di calmarti..”
Anastasia mi accarezza ritmicamente la spalla e il braccio, e so perfettamente che è d’accordo con mia madre. Non so se riuscirò ad aspettare almeno fino a domani, ma dovrò fare uno sforzo: c’è in ballo una situazione troppo grande, troppo importante, non posso lasciarmi sopraffare dalla rabbia.
 

POV ANASTASIA

Allungo la mano accanto a me, e apro di scatto gli occhi non appena mi accorgo che il posto di Christian è vuoto e freddo. Mi metto seduta e mi strofino gli occhi, poi prendo il cellulare dal comodino per controllare l’ora: le tre del mattino.
Quasi sicuramente Christian non riusciva a dormire, già ieri sera ha fatto molta fatica a prendere sonno. È agitato, confuso e pieno di dubbi: ieri pomeriggio abbiamo scoperto che Christian per fortuna non è affetto da talassemia e non è neanche portatore, ma questo significa che Shirley al 99% ci ha raccontato una marea di frottole, che Ben non è figlio di Christian, e mio marito non riesce a darsi pace. Stava per correre in albergo da Shirley ieri sera stessa, ma i suoi genitori ed io siamo riusciti a convincerlo ad aspettare e calmarsi. Ma so già che domani mattina parlare con lei sarà la sua priorità: ha comunicato ad Andrea di spostare tutti gli impegni della mattinata e ha telefonato a Shirley per dirle di venire qui; è una questione troppo grande e troppo importante per discuterne tra le fredde mura di un hotel.
Con un sospiro mi alzo, infilo ciabatte e vestaglia ed esco dalla nostra camera. Prima di scendere a cercarlo, passo dalla cameretta dei bambini per rimboccargli le coperte e lasciargli un bacio sulla fronte: è una cosa che adoro moltissimo fare mentre dormono.
Socchiudo la porta della cameretta e scendo in salone: come volevasi dimostrare, Christian è lì, seduto sul divano con il portatile acceso sulle ginocchia, i muscoli del collo e della schiena in evidente tensione.
Non appena avverte i miei passi alle sue spalle, si volta e i suoi lineamenti sembrano rilassarsi un po’.
“Hei” mormora sorridendo.
Ricambio il sorriso e mi avvicino, sedendomi accanto a lui. Non posso fare a meno di sbirciare lo schermo del computer, dove il titolo “Alfa talassemia: trasmissione, sintomi e cura” spicca in caratteri grandi e rossi.
“Christian ti prego basta!” lo supplico, con la voce bassa ma decisa “Si tratta di aspettare qualche ora e poi sapremo la verità, smettila di torturarti!” gli strappo il pc dalle mani e lo spengo, posandolo poi sul tavolino.
Solo adesso noto un bicchiere con un liquido aranciato all’interno.
“Ma che bevi whisky a quest’ora di notte?” strillo inorridita.
Christian mi fissa accigliato. “Ma che whisky, sei matta? È tè caldo!”
Sbuffo, sollevata, lasciandomi sfuggire una risatina isterica.
“Scusami amore” gli accarezzo il braccio “Ma tu non odiavi il tè?”
“Sì, solo che non sapevo in che altro modo provare a placare i nervi..”
Sospiro, accoccolandomi al suo fianco. “Hai ragione amore” mormoro “Anche io sono nervosa..”
Lo sento sospirare. “Io sono arrabbiato, al punto che vorrei spaccare qualcosa, vorrei urlare, non lo so..”
E come dargli torto? Stiamo vivendo una situazione ai limiti del normale. È già tanto che non abbia perso la testa fin’ora.
“Io.. io davvero non riesco a crederci” prosegue Christian, tormentato.
Mi alzo e mi siedo sulle sue gambe, in modo da guardarlo negli occhi. “Secondo te cosa potrebbe avere spinto Shirley a fare una cosa simile?”
Christian scuote la testa. “Non lo so, non lo so. So solo che.. che è una donna senza scrupoli. Già odiavo l’idea che fosse venuta qui di punto in bianco dopo otto anni a parlarmi di un figlio come se si trattasse di un oggetto qualsiasi. Adesso, invece, l’idea che quasi certamente sia tutto falso mi provoca.. disprezzo. Ti rendi conto che ci ha raggirati? Che ha falsificato un maledettissimo test di paternità?!” si sforza di non alzare la voce, ma è evidente quanto sia frustrato e arrabbiato.
“Alla faccenda del test penseremo in un secondo momento. Adesso la cosa più importante è parlare con Shirley e scoprire se e perché ci abbia mentito..”
Christian sbuffa, annuendo. “Sul se ormai non ho più dubbi. Adesso mi spiego perché, nonostante mi sforzassi, non riuscissi a provare emozioni..”
Gli accarezzo i capelli. So quanto si sentisse mortificato e quasi in colpa all’idea di non riuscire a provare per Ben quell’impulso e quell’affetto che legano un padre e un figlio. Forse il suo inconscio aveva già capito tutto.
“Ana, se avesse ragione mio padre? Se Shirley avesse fatto tutto questo solo per soldi?”
Beh effettivamente è difficile non giungere ad una conclusione del genere, anche perché non riesco ad immaginarne altre.
“Potremo scoprirlo solo parlando con lei, Christian..”
Mio marito annuisce, non nascondendo una smorfia.
“Sai cos’è che mi fa stare più male? Che non solo questa donna ha fatto il cazzo che voleva e si è presentata nella nostra vita all’improvviso, sconvolgendo tutto, ma per colpa sua ho rischiato di perderti..” mi sfiora il viso con dolcezza “..per colpa sua ho vissuto i giorni più brutti della mia vita, insieme a quei famosi cinque giorni in cui siamo stati lontani anni fa. Per colpa sua ci siamo allontanati, abbiamo..”
Gli poso due dita sulle labbra. “Ssshh.. ti prego basta..” sussurro, guardandolo negli occhi. Non riesco a sopportare di vederlo così. “Smettila di tormentarti.. E prova a guardare la cosa da un altro punto di vista: a causa di Shirley abbiamo vissuto dei momenti difficili, è vero, ma ancora una volta li abbiamo superati, abbiamo imparato un po’ di più a parlare, ad aprirci, il nostro amore è stato messo alla prova, e ne è uscito ancora più forte..”
Christian accenna un sorriso e mi prende il viso tra le mani. “Ma come fai tu? Come fai a.. a dire e fare sempre la cosa giusta..?”
Sorrido e avvicino le labbra alle sue, baciandolo e lasciandomi baciare. Mio marito mi stringe forte a sé, con passione e dolcezza allo stesso tempo.
“Che dici, andiamo a dormire?” gli chiedo, non appena riesco a staccarmi da lui.
Christian annuisce, e insieme ci alziamo dal divano.
“Aspetta” afferro il bicchiere dal tavolino “Porto questo di là” mi dirigo verso la cucina, e lui mi segue.
Accendo la luce e ripongo il bicchiere nel lavandino. Ad un tratto, un improvviso quanto insolito languorino mi induce ad aprire il frigorifero, alla ricerca della torta al cioccolato che Gail ha preparato ieri pomeriggio. Il mio sguardo si illumina non appena la intravedo sul ripiano in basso; estraggo il piattino e richiudo il frigorifero, sotto lo sguardo dubbioso di Christian.
“Che fai?”
“Mangio” sottolineo l’ovvio.
“Non sono da te questi spuntini notturni..”
Alzo gli occhi al cielo. “Christian, ho fame. Quindi mangio!” apro il cassetto ed estraggo una forchettina, sedendomi poi al bancone della cucina.
Avanzando a passo lento, mio marito si avvicina a me, ponendosi in piedi al mio fianco, con una mano appoggiata allo schienale del mio sgabello e l’altra piantata sul tavolo, in modo che il lato sinistro del mio corpo sia completamente bloccato dalle sue braccia.
“Sbaglio o hai appena alzato gli occhi al cielo?” mormora al mio orecchio, facendomi venire i brividi.
Sollevo le spalle, guardando dritto davanti a me e fingendomi indifferente. “Forse” mi porto la forchettina alla bocca, gustando quella prelibatezza di cioccolato e panna.
“E continui a sfidarmi..” mi rivolge il suo sorrisetto impertinente.
Mi volto verso di lui, sbuffando. “E tu sei troppo brontolone” affermo, prendendo un pezzetto di torta e portando la forchettina verso le sue labbra.
Tenendo sempre gli occhi puntati nei miei, Christian le schiude, lasciando che la morbidezza del pan di spagna e delle creme invada la sua bocca.
“Buona” mormora, avvicinandosi ulteriormente a me. Mi toglie la fochettina dalle mani e stacca un altro pezzetto di torta, invitandomi a schiudere le labbra per imboccarmi. “Ma credo che su di te sia ancora meglio..” posa la forchettina e mi prende il mento tra le dita, posando la bocca sulla mia.
Le mie labbra si schiudono all’istante, accarezzando le sue; la mia lingua timidamente assaggia e si lascia assaggiare. Il sapore dolce del cioccolato si mescola a quello piccante della nostra passione. Volto lo sgabello, in modo da essere completamente si fronte a Christian; le sue mani finiscono sui miei fianchi e le mie gambe automaticamente si allargano per consentirgli di essere più vicino a me, per poterlo stringere più forte, per poter intrecciare le dita ai suoi capelli morbidi.
Le mani di Christian salgono lentamente verso i lati del mio seno, e i pollici mi sfiorano delicatamente i capezzoli, che si inturgidiscono immediatamente sotto il suo tocco. La pressione nel mio basso ventre aumenta sempre di più, insieme alla sensazione di umido tra le cosce. Mi lascio sfuggire un gemito, mentre le labbra di mio marito scendono ad accarezzarmi il collo.
“Mi fai impazzire” ansima Christian, facendo scorrere la punta del naso tra il mio collo e la mia spalla.
Gli prendo il viso tra le mani e lo bacio ancora, con il cuore che batte forte e lo stomaco in subbuglio.
Christian mi afferra per i fianchi e mi prende tra le braccia.
“Andiamo di sopra?” domando, ma mio marito è già arrivato in salone e dolcemente mi fa stendere sul divano.
“La camera da letto è troppo lontana” dice, sfilandosi la maglietta “Ed io ho bisogno di te. Subito.”
Un istante dopo le sue mani mi stanno sfiorando l’interno coscia.
E chi osa obiettare…
 

Il giorno seguente

“Christian, ti supplico, trova un attimo di pace!” esclamo, esasperata.
È mezz’ora che mio marito non fa altro che guardare nervosamente l’orologio, picchiettare nervosamente le dita sul tavolo, spalmare nervosamente la marmellata sulle fette biscottate, lasciar cadere nervosamente le posate nel piatto, provocando un rumore continuo e fastidioso, e muoversi nervosamente sulla sedia.
Ho già detto che è nervoso?
Lo sono anche io, ovviamente, ma non faccio tutta questa confusione per fare colazione e soprattutto non cerco di trasmettere il mio nervosismo anche agli altri.
Christian posa con più calma il cucchiaino nel piattino e respira profondamente.
“Hai ragione piccola, scusa..” dice dolcemente, prendendomi la mano.
“La mamma non è piccola! Phoebe è piccola!” puntualizza Teddy.
Christian ed io ridacchiamo, grati a nostro figlio per il suo diversivo che ci consente di rilassarci un po’.
“Hai ragione tesoro, ma per me anche la mamma è piccola..” tenta di spiegare mio marito.
Teddy lo guarda confuso, ma la brioche che ha davanti è troppo importante per indagare oltre, per cui riprende la sua colazione senza badare molto ai nostri discorsi.
“A proposito, la piccolina dorme ancora?” domanda poi Christian.
Annuisco, mentre mi porto alle labbra il bicchiere con il succo di frutta. “Vedrai che tra poco si sveglia” rispondo poi, controllando l’orologio.
Questa mattina possiamo prendercela con calma, Christian ed io non andiamo in ufficio, perché tra poco arriverà Shirley, e presumo che sarà una mattinata impegnativa e faticosa.
Abbiamo preferito che Teddy non andasse all’asilo, così potrà restare qui a giocare con Ben, Phoebe e John, in modo tale che noi possiamo parlare con tranquillità. Tra poco arriveranno anche Grace e Carrick: riteniamo fondamentale la loro presenza sia come genitori, e quindi come sostegno morale, sia in qualità di medico e avvocato.
Christian alza ancora una volta lo sguardo all’orologio, sbuffando.
Poso la mano sulla sua. “Hei” mormoro.
Lui si volta verso di me e accenna un sorriso.
“Di cosa hai paura?” chiedo, guardandolo negli occhi.
Christian scuote la testa. “Non lo so.. So solo che non sarà facile.. E ho paura che le risposte che attendiamo di ricevere non ci piaceranno affatto..”
Sospiro. Non posso negare che è esattamente il mio stesso timore. Ho paura di ciò che Shirley potrà dirci, ma al contempo non vedo l’ora di scoprirlo per poter fare chiarezza in tutta questa situazione il prima possibile.
Mi alzo e mi sposto alle spalle di Christian, chinandomi per abbracciarlo e dargli un bacio sulla guancia. “Non sarà facile, amore, è vero. Ma siamo insieme, e siamo più forti di tutto” lo rassicuro.
Pur non vedendolo, so che sta sorridendo. Mi accarezza dolcemente l’avambraccio, posato sul suo petto, e vi lascia un tenero bacio.
“Come farei io senza di te?” si volta e mi sorride dolcemente.
“Mi sa che non lo scoprirai mai” rispondo prima di prendergli il mento tra le mani e stampargli un bacio sulle labbra, con in sottofondo la risatina di nostro figlio.
“E tu cos’hai da ridere, eh?” lo raggiungo e gli faccio il solletico. Teddy ride e si dimena sulla sedia, ed io non posso fare a meno di stritolarlo in un abbraccio.
Pochi istanti dopo, dei passi sulle scale attirano la nostra attenzione. Esco dalla cucina e vedo Phoebe scendere lentamente, con gli occhi gonfi di sonno e di pianto.
“Cucciola, cosa succede?” mi precipito da lei e la prendo in braccio. Phoebe appoggia la testa sulla mia spalla. “Amore mio, cosa c’è?”
“Ho sognato una cosa brutta” mugugna la mia piccolina.
“Noo cucciola no, è tutto finito!”
Faccio ritorno in cucina, e Christian ci viene incontro.
“Che cosa è successo?” domanda mio marito, notando Phoebe che tira su con il naso.
“Ha fatto un brutto sogno” spiego.
“Principessa, vieni da papà” mio marito prende in braccio Phoebe, che subito si accoccola a lui. “Che cos’hai sognato?”
“C’erano i mostri cattivi..” piagnucola Phoebe.
“Noo amore noo” Christian la stringe forte a sé “Nessun mostro ti farà del male, papà li sconfigge tutti!” esclama fiero.
Phoebe sorride, guardando il suo papà con lo sguardo colmo dell’orgoglio di una principessa davanti al suo cavaliere dall’armatura lucente.
 
Sobbalzo non appena sento il campanello, e mi rendo conto di avere le mani sudate.
“Calma. Dobbiamo stare calmi” suggerisce Grace, con la sua solita pacatezza.
Christian ed io ci spostiamo nell’atrio per aprire il cancello principale e poi usciamo sul portico. Trenta secondi più tardi vediamo comparire la macchina di Shirley. Dopo averla parcheggiata, lei e Ben scendono e ci raggiungono. La donna è in ansia, tesa: lo si nota dall’evidente contrazione dei muscoli del collo e delle spalle, dalla voce leggermente tremolante, dal modo circospetto con cui si guarda intorno.
Dopo le presentazioni di rito con i miei suoceri, li facciamo accomodare in salotto e Gail porta un po’ di caffè e qualche dolcetto; meglio cercare prima di distendere l’atmosfera.
Dopo un po’ Roxy convince i bambini ad andare a giocare, e li porta tutti e quattro in giardino; conoscendola so che avrà modo di intrattenerli e farli divertire più tempo possibile.
Ad un tratto sento Christian schiarirsi la voce, e dentro di me comincio a tremare: è arrivato il momento della verità.
“Posso.. posso sapere come mai sono qui?” domanda Shirley, quasi timorosa di aprire bocca.
“Sì” risponde Christian sedendosi sul divano di fronte a lei.
Io sono accanto a lui, e sento a pelle la sua tensione.
“Ti ho chiesto di venire qui perché ci sono delle novità importanti riguardo alle quali ho bisogno di una spiegazione da parte tua..”
Shirley si acciglia. “Sarebbero?”
“Io sono una pediatra del Seattle Hospital” interviene Grace “Lei è a conoscenza del fatto che suo figlio soffre di una leggera anemia?”
“S-sì. Me l’hanno comunicato diversi mesi fa, ma mi hanno anche detto che non è nulla di grave e semplicemente ha dei valori di emoglobina un po’ più bassini della norma..”
Grace annuisce.
“Perché me lo chiede? È successo qualcosa?” domanda poi allarmata Shirley.
“No no no” mia suocera si affretta a rassicurarla “L’anemia a quei livelli non arreca conseguenze. Non c’è alcun problema..”
“Shirley sospira, sollevata. “Scusate, allora potrei sapere perché sono qui? Non riesco a capire il nesso con queste domande..”
Grace lancia un’occhiata a suo figlio, che con un cenno del capo la invita a proseguire.
“Dunque, come le dicevo..”
“Può darmi tranquillamente del tu”
“Ah, va bene. Come ti dicevo, lavoro al Seattle Hospital e dai colleghi di laboratorio ho appurato, potremmo dire per caso, che Ben è affetto da una forma di alfa talassemia che, come ho detto prima, è ad un livello leggero ed è quasi asintomatica..”
Non credo che l’abbia scoperto “per caso”, è più probabile che abbia corrotto o esasperato i colleghi del laboratorio analisi dell’ospedale per avere più informazioni possibili. Ma in fondo la adoro anche per questo, per la sua fermezza e la sua determinazione.
“Alfa talassemia” ripete a bassa voce la donna seduta di fronte a me “Non avevo mai sentito questo termine..”
“Forse ti hanno parlato semplicemente di anemia; in realtà la patologia si chiama così. Ma il nome non cambia la sostanza. Il motivo per il quale sei qui è il fatto che la talassemia è una malattia genetica..”
“C-cioè si trasmette dai genitori ai figli?” azzarda Shirley, e potrei giurare di vederla sbiancare.
Grace annuisce. “Vedi, la talassemia fa parte di un gruppo di malattie dette autosomi che recessive, cioè affinchè vengano trasmesse ad un figlio, è necessario che entrambi i genitori siano affetti, oppure entrambi portatori sani oppure uno affetto e uno portatore sano..” spiega, cercando di usare parole semplici e comuni, come ha fatto con noi.
Shirley deglutisce, chiaramente nervosa. “Io sono portatrice sana di una forma di anemia..”
“Ma io no!” interviene brusco Christian.
Notando che la sua ex lo fissa perplessa, si affretta a spiegare. “Ho fatto le analisi qualche giorno fa, ed è risultato che sono completamente sano sotto quel punto di vista. Nessuna malattia conclamata, né forma portatrice..”
Shirley trasalisce, muovendosi a disagio sul divano. “Andate al punto. Cosa state cercando di dirmi?”
Io credo che sappia benissimo cosa stiamo cercando di dirle, ma sta ritardando il più possibile il momento della verità.
Christian, sbuffando esasperato, si alza in piedi. “Stiamo cercando di dirti che ci sono enormi incongruenze tra i fatti e ciò che tu sostieni. In parole ancora più chiare: ci sono altissime probabilità che io non sia il padre di Ben, quindi o all’epoca hai sbagliato i tuoi conti..” si china per essere con il viso all’altezza del suo e intimidirla con lo sguardo “..o mi hai raccontato una marea di cazzate!”
“Christian” lo richiama con pacatezza Carrick, invitandolo con un cenno del capo a risedersi.
Mio marito segue il suggerimento di suo padre, senza mai distogliere lo sguardo da Shirley. Lei si guarda intorno, spaesata e in difficoltà, il che mi fa immaginare che Christian probabilmente non ha tutti i torti, perché se non avesse nulla da nascondere non sarebbe così tesa e quasi.. impaurita.
“Sto aspettando una risposta” incalza mio marito, con il tono sempre più duro.
Shirley sospira, chiude gli occhi e deglutisce. “E’ vero. Ben non è tuo figlio..” lo dice in un tremante sussurro, ma nella mia mente quelle parole rimbombano come gli altoparlanti ad un concerto.
Sento ad un tratto il cuore divenire più leggero, come se quel peso che lo opprimeva da due settimane si fosse ad un tratto sgretolato.
Grace, Carrick, Christian ed io ci guardiamo con gli occhi sgranati e colmi di domande. Shirley non ha il coraggio di sollevare lo sguardo.
Dopo alcuni lunghissimi istanti mio marito riesce a proferire parola.
“Perché?” chiede, apparentemente calmo.
Ma io so che non è calmo. Mi basta guardare il modo in cui muove le mani, o i muscoli in tensione sul collo per capire quanto sia vicino a scoppiare.
Si alza e le si avvicina, sovrastandola.
“Perché mi hai raccontato una bugia simile? Perché volevi rovinarmi la vita? Io ho rischiato di perdere mia moglie per colpa tua!!” urla, come se volesse sfogare tutto il risentimento, l’agitazione e la confusione che lo hanno assalito in questi giorni difficili.
Mi alzo e lo afferro per le braccia. “Christian, ti prego..” lo supplico, guardandolo negli occhi.
Anche io vorrei tanto scoppiare, urlare, piangere, ma non possiamo perdere la testa proprio adesso. Ci sono ancora tante cose che non sappiamo.
Mio marito respira profondamente e si passa le mani sul viso, stizzito e frustrato.
“Tu adesso ci spieghi tutto” punta un dito contro Shirley, risedendosi “Come hai osato farti viva dopo otto anni e ingannarmi in questo modo? A cosa miravi, eh? Ai soldi?”
Shirley scuote la testa, con le gote rigate di lacrime. Vorrei tanto riuscire a provare pietà per lei, ma lei non ne ha avuta per me e per le lacrime che io ho versato a causa sua.
“Ammettilo, sei venuta qui con l’obiettivo di spillarmi qualche generoso assegno mensile?” Christian alza la voce.
“No, no, no!” urla Shirley, con le guance rosse e bagnate e la fronte imperlata di sudore.
Noi quattro la fissiamo sbigottiti; non ci aspettavamo di certo uno scatto simile, considerando che è lei dalla parte del torto.
Si asciuga le lacrime e sospira, mantenendo lo sguardo basso.
“Ben.. ha un tumore metastatico alle ossa..” sibila un attimo dopo.
Il sangue si gela nelle vene. Il mio cuore che pochi minuti fa sembrava essersi alleggerito, all’udire quelle parole diventa un macigno, che mi opprime la gabbia toracica fino alla bocca dello stomaco.
La mano di Christian che stringeva la mia diventa rigida e sudata. Lui si volta verso di me, ci guardiamo negli occhi, increduli. Vorrei non averle mai sentite quelle parole, vorrei non aver mai sentito quel sostantivo che oggi è uno dei più terribili al mondo, soprattutto se associato ad un bambino di sette anni.
“C-che.. che cosa stai dicendo?” farfuglia mio marito non appena riacquisisce la capacità di parlare.
Shirley sospira, afferra un bicchiere d’acqua dal tavolino e beve un lungo sorso, dopodiché alza finalmente lo sguardo per incontrare gli occhi di Christian, poi i miei e infine quelli dei miei suoceri.
“Ad ottobre dell’anno scorso Ben cominciò a lamentare alcuni dolori nella zona inguinale e scrotale, lo portai dal medico, che mi disse che molto probabilmente si trattava di un’ernia, o di un idrocele (accumulo di liquido nel testicolo, NdA), sono molto frequenti nei bambini a quell’età. Sono patologie che si risolvono con interventi semplici, ma prima di prenotare l’operazione dovevo fargli fare gli accertamenti di routine: analisi del sangue, ecografia, cose del genere..” si ferma per prendere un respiro “Dall’ecografia venne fuori che non si trattava di un idrocele, bensì di una massa tumorale. Jamie ed io ad un tratto ci sentimmo completamente persi, impauriti, ma dovevamo fare di tutto per non spaventare Ben. I medici dell’ospedale di Bismarck ci rassicurarono molto, dicendo che il tumore al testicolo è in assoluto uno dei più comuni nei maschi, ma anche uno dei più curabili, soprattutto perché l’avevamo individuato in tempo, e di lì a un paio di settimane ci fissarono l’intervento. L’operazione non durò molto, anche se per noi quelle poche ore furono interminabili, e tirammo un enorme sospiro di sollievo quando il chirurgo uscì dalla sala e ci disse che era andato tutto bene..”
“E poi cosa.. cos’è successo?” interviene mia suocera.
Shirley beve un altro piccolo sorso d’acqua prima di proseguire. “Dall’esame istologico della massa rimossa risultò che in quel breve lasso di tempo il tumore era riuscito a formare delle metastasi..” i suoi occhi si riempiono nuovamente di lacrime, e lentamente anche i miei “Immediatamente i medici sottoposero Ben a radiografie ed esami vari, e si scoprì che le metastasi avevano attecchito in alcune vertebre. Le ossa sono tra gli obiettivi principali delle cellule metastatiche..”
Grace chiude gli occhi e annuisce.
Shirley deglutisce e tira su con il naso, poi va avanti. “Abbiamo cominciato i cicli di chemioterapia. Se non ci fossero state metastasi, sarebbero dovuti essere solo due, com’è da prassi.. Invece Ben è arrivato a farne cinque, tra fine ottobre e fine febbraio..”
Ad un tratto Christian si alza e comincia a camminare per il salone. Quando è nervoso non riesce a stare fermo troppo a lungo.
Shirley solleva lo sguardo verso di lui. “E’ per questo che l’altro giorno, quando sei venuto in hotel, si è sottratto quando hai cercato di arruffargli i capelli. Ben porta una parrucca, la acquistiamo periodicamente proprio in un centro qui a Seattle, la chemio gli ha fatto perdere i capelli. E non è affatto semplice far capire ad un bambino così piccolo perché giorno dopo giorno interi ciuffi gli cadevano tra le dita e sul cuscino..”
Dio santissimo. Non credo di poter resistere ancora molto. Ho la vista completamente appannata dalle lacrime, ma non voglio scoppiare davanti a lei. Ho il cuore in gola, e ogni pulsazione è sempre più dolorosa. Christian è completamente sbiancato, ha le mani strette a pugno e gli occhi lucidi.
“La.. la chemio.. ha portato dei risultati?” domanda poi mio marito, con la voce roca e impastata.
“Ha portato dei miglioramenti, le masse si sono ridotte. Ma i medici non hanno voluto illudermi: la chemio da sola è insufficiente per portarlo alla guarigione. Allo stato attuale le cellule potrebbero riprendere a proliferare da un momento all’altro.. L’unica possibilità sarebbe quella di sottoporre Ben ad una cura sperimentale a Boston, ma i costi sono altissimi, e l’assicurazione sanitaria non copre le cure sperimentali..”
Adesso è tutto chiarissimo. Shirley ha manipolato tutto con l’unico obiettivo di poter ottenere soldi per curare Ben.
“Quindi.. tu hai organizzato tutta questa farsa per…” Christian non riesce a terminare la frase, non ce n’è bisogno; si strofina le mani sul viso e poi le passa nervosamente nei capelli, dopodiché torna a sedersi di fronte a Shirley. “Come hai fatto a falsificare i risultati del test?” le chiede poi.
“Un anno fa Jamie, Ben ed io decidemmo di trascorrere un week-end in un agriturismo poco lontano da Bismarck. La domenica mattina scoppiò un incendio nella fattoria, la maggior parte degli animali riuscì ad uscire dalla porta sul retro e a mettersi in salvo, ma lì dentro c’era anche una ragazza. Gridava, chiedeva aiuto e non riusciva a muoversi. Jamie non si perse d’animo ed entrò per andare a prenderla, e si rese conto che era incinta e probabilmente aveva appena rotto le acque, i dolori le impedivano di muoversi. Jamie riuscì a portarla fuori prima che arrivassero i vigili del fuoco, e la accompagnammo in ospedale. Nonostante la fortissima paura il parto andò tutto sommato bene, e il marito della ragazza ci ringraziò all’infinito e disse che ci doveva la sua vita, quella di sua moglie e della loro bambina. Stringemmo amicizia e abbiamo continuato a tenerci in contatto, e solo due mesi fa ci comunicarono di essersi trasferiti a Seattle perché lui aveva ottenuto un posto di lavoro a tempo indeterminato al Seattle Hospital come caposala di reparto.
E così abbiamo pensato che.. che dopo un anno potevano restituirci il favore.. In fondo per lui sarebbe stato semplice intrufolarsi in laboratorio senza destare sospetti, e così…” lascia cadere la frase, perché ormai il seguito è chiaro a tutti.
Dovrei provare astio verso questa donna, perché mi ha fatto soffrire, ha messo in discussione il rapporto tra me e mio marito, ha rischiato di sconvolgere completamente la nostra vita. Ma non ci riesco. Il pensiero di quello che ha passato e che sta passando mi rende impossibile odiarla, perché sono madre anche io, e solo io posso immaginare cosa lei stia vivendo in questo momento.
“Lei sa di aver commesso un reato, così come l’infermiere, vero?” dice con calma Carrick.
“Lo so, Mr Grey, e me ne vergogno. Ma era la mia unica possibilità..”
“Perché non sei venuta direttamente da me a chiedermi aiuto? Perché hai messo su tutta questa finzione, sconvolgendo così di punto in bianco la mia vita?” la accusa Christian.
“Perché ero disperata!!” esclama, scoppiando in lacrime. “Con quale faccia potevo tornare qui all’improvviso a dire “Hey, mi servirebbe una cifra a cinque zeri per curare mio figlio, non è che potresti darmeli tu in ricordo di quello che c’è stato tra noi otto anni fa?”, come se tu fossi una banca o il monte dei pegni..”
“E invece in base al tuo piano brillante, come ti saresti mossa esattamente??”
Shirley sbuffa, scuotendo la testa. “Non lo so.. Volevo.. volevo che in qualche modo riuscissi ad affezionarti a Ben, che potessi volergli bene per il bambino che è, e non perché è malato. Oltre non ho pianificato. Non ho avuto tempo di pianificare..”
Lancio un’occhiata verso il giardino, e vedo i quattro bambini giocare tutti insieme. Ben non ha affatto l’aspetto di un bambino malato, ha il viso dolce e gli occhietti vispi, e sembra uno di quei bambini ai quali è impossibile non affezionarsi, quelli che hanno sempre la risposta pronta e sanno farsi voler bene. Non è giusto che un bambino così piccolo debba soffrire così tanto. Non è giusto!!
“Quel giorno in cui ci siamo incontrati dal pediatra, eravate lì per.. per la malattia??”  domanda ad un tratto Christian, destandomi dai miei pensieri.
“No, davvero Ben aveva trascorso la notte con la tosse. Non possiamo prendere nulla sottogamba, per Ben anche una banale tosse può rivelarsi un campanello d’allarme. Così ho chiesto in albergo e mi hanno suggerito il nome del vostro pediatra..”
“Chi è il padre biologico di Ben?”
Shirley solleva le spalle. “Non ricordo neanche come si chiami. Sono sicura che non sia figlio tuo perché..” guarda con disagio i miei suoceri “..quando ci siamo lasciati avevo il ciclo.. I giorni seguenti non furono facili, mi mancavi e mi portavo avanti per inerzia.. Poi una sera, un paio di settimane dopo, la mia migliore amica mi costrinse ad uscire di casa per andare a ballare. In discoteca conobbi un ragazzo e, un bicchiere tira l’altro..” si blocca, il seguito è alquanto scontato “Un mese dopo scoprii di essere incinta. Nonostante tutto non ho mai pensato di abortire e ho portato avanti la gravidanza, anche con l’aiuto della mia famiglia. Ben è nato di otto mesi, per questo è stato semplice farti credere che fosse figlio tuo..”
“Non hai pensato alle conseguenze del tuo piano? Al fatto che io avessi già una famiglia, e inevitabilmente avresti sconvolto tutto? E se io non avessi voluto saperne nulla?”
“Dovevo correre il rischio. Dovevo tentare il tutto per tutto. Hai anche tu due bambini e puoi capirmi, per il bene dei propri figli si è disposti a fare qualsiasi cosa, a rischiare anche un procedimento penale..”
Incapace di resistere oltre, senza proferire parola mi alzo e scappo dal salone, da quell’ambiente così grande ma in questo momento così asfissiante. Trovo rifugio in lavanderia, la stanza più lontana, e appoggiandomi alla lavatrice scoppio a piangere, dando finalmente sfogo a quelle lacrime che sto covando da infiniti minuti. Shirley ha ragione, per il bene dei propri figli si è disposti a fare qualsiasi cosa. Ed io non riesco a non domandarmi: se capitasse a me? Se fosse uno dei miei figli ad ammalarsi?
Il solo pensiero mi fa provare un dolore acuto in tutto il corpo, e scatena ulteriormente i miei singhiozzi. Come deve sentirsi Shirley? Quanto grande dev’essere il dolore che prova?
Una madre si sente impotente anche solo se suo figlio ha la febbre. Davanti ad un mostro simile il pensiero di vedere il tuo bambino soffrire, trasformarsi giorno dopo giorno ti logora l’anima, il cuore, i sensi.
Ad un tratto sento la porta della lavanderia aprirsi e poi chiudersi, mi volto e vedo Gail venire verso di me. Mi abbraccia forte, ed io continuo a piangere tra le sue braccia, appoggiando la testa sulla sua spalla. Non abbiamo bisogno di dire nulla, so già che ha sentito tutto, e ha immaginato che sono andata via perché non riuscivo più a sostenere quella conversazione.
“Hei hei, basta su..” mi consola Gail, accarezzandomi la spalla e i capelli.
Vorrei tanto fermarmi, ma i singhiozzi continuano a scuotermi sfuggendo al mio controllo. La mia mente è offuscata da pensieri negativi che mi fanno mancare il respiro.
“Non è giusto Gail, non è giusto..”
“Hai ragione, non è giusto” si stacca da me e mi guarda negli occhi, scostandomi i capelli dal viso con la dolcezza di una sorella maggiore “Ma purtroppo la vita ci mette davanti a degli ostacoli che non possiamo controllare..”
Annuisco. “Che cosa devo fare?”
“Prima di tutto parlare con Mr Grey. Dovete affrontarla insieme questa situazione. E poi devi sorridere, per lui, e soprattutto per i vostri bambini..”
Annuisco ancora una volta. Piano piano mi calmo e mi asciugo le guance. Mi avvicino al lavabo accanto alla lavatrice e mi sciacquo il viso. Mentre sto tamponando la pelle, sforzandomi di non ricominciare a piangere, la porta della lavanderia si apre ed entra Grace, che mi rivolge un sorriso dolce e mi abbraccia.
“Scusa se sono scappata via..” mormoro.
“Non ti preoccupare tesoro. Ti capisco perfettamente, tranquilla..”
“Shirley dov’è?”
“E’ andata via. Ha detto che sarà qui fino a dopodomani e.. che se doveste decidere di denunciarla, vorrebbe saperlo prima da voi..”
Sgrano gli occhi. “Denunciarla? Christian vuole..”
“No no” mi interrompe mia suocera “Christian non ha proprio proferito parola. Shirley non gli ha dato modo di parlare. Era troppo scossa, e credo che avesse paura di ciò che Christian avrebbe potuto dirle, e quindi ha preferito andare via..”
Sospiro. Non posso biasimarla: Christian non è noto certamente per il suo carattere semplice, e per il tono con cui l’ha accusata, è normale che Shirley abbia avuto paura della sua reazione.
“Grace io.. io non riesco a crederci. Ma davvero non ci sono possibilità se non la cura sperimentale?”
Grace sospira, appoggiandosi con il sedere ad un mobiletto. “Le metastasi sono già in sé una complicanza importante. E come ha detto anche Shirley, le ossa sono tra i tessuti più comuni dove le cellule tumorali attecchiscono. Ben ha già fatto cinque cicli di chemio, che sicuramente hanno portato ad una riduzione, ma se le masse non sono state debellate allora sì, l’unica possibilità è affidarsi ad una cura alternativa..”
“Christian dov’è?” domando poi. Devo assolutamente parlare con lui.
“E’ in salone con Carrick..”
“Vado da lui” dico, uscendo dalla lavanderia.
Mi guardo allo specchio nel corridoio, per assicurarmi di avere un aspetto passabile, e poi raggiungo mio marito e mio suocero in salone.
“Christian” sussurro.
Lui si volta e mi viene incontro; mi guarda negli occhi e poi mi abbraccia.
“Dobbiamo parlare..” mormoro, con la bocca contro il suo collo.
Christian si stacca da me e mi prende il viso tra le mani. “Ti prego, piccola, non adesso..”
“Ma..” provo a ribattere.
Appoggia la fronte sulla mia. “Per favore” mi supplica, appoggiando la fronte sulla mia “Adesso devo.. devo andare in ufficio..”
Vorrei urlargli contro, fare sì che mi ascolti, mandare a fanculo il suo e il mio lavoro. Invece mi limito ad annuire, perché so che adesso ha bisogno di stare un po’ da solo, ha bisogno di pensare e di mettere a fuoco la situazione, e il lavoro è la sua valvola di sfogo. Quando si butta a capofitto nelle sue relazioni, nei suoi affari e nei suoi bilanci evade per un po’ dal mondo. Ed io so che devo lasciarlo fare.
Christian mi accarezza teneramente le guance e poi mi bacia. “Ti amo”
Ed io in questo momento non ho bisogno d’altro.
“Ti amo anche io” sussurro.
Poco dopo sia Christian che i miei suoceri, dopo aver salutato i bambini, vanno via.
Teddy e Phoebe si rintanano con John nella stanza della televisione a guardare i cartoni animati; io davvero non riesco a starmene senza far nulla, mi sento di impazzire, così apro la dispensa e comincio a smanettare ai fornelli. Non so cosa verrà fuori, ma adesso la cosa più importante per me è tenermi impegnata e cercare di non pensare. Se ne accorge anche Gail, perché non appena mi vede si limita ad un’alzata di spalle e ad un “Lì dovresti mettere un pizzico di sale”, per poi tornare alle sue faccende.
Il bottino finale del mio momento di foga culinaria è una pizza salata ripiena di ricotta, prosciutto cotto e salame a dadini, un ciambellone con scagliette di cioccolato fondente, e il sugo alla besciamella.
Poco dopo l’una Christian mi invia un sms avvisandomi che non tornerà per pranzo, ed io vorrei tanto averlo qui con me per strozzarlo, così, giusto per sfogarmi.
I bambini, per quanto noi cerchiamo di mascherare, avvertono l’atmosfera pesante che c’è in casa, e a tavola sono più irrequieti del solito, tanto che mangiano poco e male rispetto ai loro standard, e dopo pranzo impiegano parecchio per addormentarsi.
Una volta che i bambini sono finalmente tranquilli a riposare, scendo al piano inferiore e mi butto sul divano, massaggiandomi le tempie, come se per magia potessi far evaporare i brutti pensieri. Ma la realtà è che non riesco a smettere di pensare a tutto ciò che Shirley e Ben stanno vivendo; e nella mia mente rimbomba continuamente la domanda “E se capitasse a me?” e ogni volta devo fare ricorso a tutto il mio autocontrollo per non scoppiare a piangere, perché al solo pensiero che potrebbe succedere a me, mi sento di morire.
Non credo che Christian voglia denunciarla, ma nel caso volesse, devo impedirglielo assolutamente. Devo parlare con lui per sapere cosa pensi e cosa voglia fare. Io vorrei tanto aiutare Shirley, vorrei che suo figlio stesse bene, che tornasse a vivere e a giocare come tutti i bambini della sua età.
Per impedirmi di torturarmi ulteriormente, vado a prendere la mia ventiquattrore ed estraggo la bozza di contratto che ho fatto stampare per sottoporla ad un nuovo autore di cui vogliamo acquisire i diritti. Inizio a leggerlo accuratamente, e senza che me ne renda conto sprofondo nel sonno.

A risvegliarmi sono le voci acute dei miei bambini.
“Mammaaa, dormiii??” Phoebe mi scuote, tentando poi di invadere lo spazio del divano.
La trascino su di me e la riempio di baci, per poi alzarmi e guardare l’ora sul cellulare: le sei. Sgrano gli occhi, ma quanto ho dormito?? Mi sembrava di aver abbassato le palpebre due secondi…
“Mamma” il mio ometto richiama la mia attenzione “Possiamo giocare con la plastilina che ci ha regalato lo zio Thomas?”
Gli sorrido e gli arruffo i capelli. “Ma certo cucciolo. Ricordati sempre di mettere la tovaglietta sul tavolo però..”
Detto questo mi sposto in cucina, dove Gail sta estraendo pentole e piatti dalla lavastoviglie per riporli nei mobili.
“Ben svegliata!” esclama con un sorriso.
Mi siedo su uno degli sgabelli. “Mi sento intontita. Era un sacco di tempo che non dormivo tre ore di fila durante il pomeriggio..”
“E’ normale Ana. Sono giorni complicati, stai dormendo poco, sei stanca..”
Annuisco. Ha ragione, ma per me è comunque insolito, infatti mi sento un po’ fusa. E il fatto che Christian non sia ancora tornato non migliora il mio stato d’animo.
Dopo un po’ il mio stomaco comincia a brontolare, così mi alzo e vado a curiosare nel freezer, dove trovo una vaschetta di cioccolato alla stracciatella. Afferro un cucchiaino dal cassetto e non mi prendo neanche la briga di versare un po’ di gelato in una coppetta, lo magio direttamente da qui.
Quando Christian rientra, un quarto d’ora più tardi, io sono ancora con il cucchiaino immerso nella morbida crema bianca. Lo sento salutare i bambini, e poi mi raggiunge in cucina.
“Hey” mormoro, sorridendogli.
“Ciao piccola” dice venendomi incontro e baciandomi dolcemente sulle labbra. Poi lancia uno sguardo al mio bottino di caccia nel freezer “Attacco di fame improvviso??”
Annuisco, con il cucchiaino tra le labbra.
“Non era meglio magari un po’ di macedonia?”
Abbasso il cucchiaino e lo guardo scettica. “Se credi davvero che nel bel mezzo di un attacco di fame possa mangiare dell’insulsa frutta, allora mi sa che non mi conosci bene..”
Christian ridacchia, sedendosi sullo sgabello accanto a me. “Lo dicevo per te. Ultimamente sono frequenti questi spuntini qua e là.. qualche volta anche di notte..”
“Ho fame. Sarà il nervosismo..”
Christian annuisce e sospira, abbassando lo sguardo. Probabilmente stiamo pensando la stessa cosa: non possiamo più rimandare il nostro discorso.
“Amore.. credo che dovremmo parlare..” mormoro, posando una mano sulla sua.
“Sì, piccola, dobbiamo parlare” prende un lungo respiro, poi prosegue “Ci ho pensato a lungo. E ho preso una decisione..”
 

Angolo me.
Buonasera mie splendide lettrici.
Ecco finalmente il capitolo nel quale scopriamo TUTTA la verità e vengono al pettine tutti i nodi. Vi chiedo scusa per l’attesa, ma, come vi avevo già anticipato, tra tirocinio e studio per gli esami non ho avuto molto tempo per scrivere. In più, non vi nego che questo è stato uno dei capitoli più complessi da scrivere, perché è un capitolo chiave, nel quale si affrontano temi molto delicati, e anche se ho le scene ben delineate nella mia mente, non è semplice trasporle in nero su bianco, e soprattutto non è semplice rendere le emozioni e i pensieri dei protagonisti così come li immagino io. Spero di esserci riuscita e di avervi trasmesso quello che è lo stato d’animo dei nostri personaggi.
Dunque, in questo capitolo scopriamo quello che tutte noi speravamo da tempo: Ben non è figlio di Christian. Qualcuna di voi aveva azzardato l’ipotesi di una malattia riguardo a Shirley. Invece, il mostro del ventunesimo secolo ha colpito proprio il piccolo Ben, e sua madre ha architettato tutto con l’unico obiettivo di trovare i soldi per curarlo.
Ora, io non mi aspetto che voi necessariamente la giustifichiate, ma nella mia storia io espongo la mia idea secondo la quale una mamma per il proprio figlio è disposta a fare qualsiasi cosa. Adesso bisognerà vedere qual è la decisione maturata da Christian, e soprattutto: Ana sarà d’accordo con lui?
Nel prossimo capitolo scopriremo quale sarà l’esito della vicenda. Intanto aspetto le vostre opinioni dopo un capitolo fondamentale come questo; per me è fondamentale sapere il vostro punto di vista, e mi rende sempre molto felice il vostro affetto e la vostra presenza.
Nella scena del prelievo di Christian ho voluto inserire anche un po’ di me. Io studio infermieristica pediatrica, quindi ho a che fare con i bambini, ma i miei primi prelievi li ho fatti a persone adulte. E sinceramente non mi sarebbe dispiaciuto un paziente all’altezza di Christian Grey..
Non posso promettervi un aggiornamento in tempi molto brevi, perché nelle prossime due settimane ho due esami importanti, dopodiché la sessione sarà finita e avrò molto più tempo per scrivere.
Vi ringrazio moltissimo, come sempre, per l’affetto e la pazienza. Spero di non avervi deluse con questo capitolo, sia nel contenuto che nella forma.
Alla prossima. Un forte abbraccio.
Mery.
P.S. Chiedo scusa per eventuali errori, ma è molto tardi e non ho riletto il capitolo.




 
   
 
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