Iniziò
per Irma la terza settimana di lavoro ed era convinta che entro il venerdì
avrebbe terminato di censire tutti gli oggetti nel magazzino. Aveva trovato di
tutto da utensili da cucina in legno vecchi di qualche decennio a statuette di
molti secoli addietro, sfuggite miracolosamente al periodo portoghese; vasi
assai vari per epoca e qualità, vecchi giochi di società, tavole di legno
incise e tanto altro ancora. Si domandava se avrebbe trovato altre sorprese
quella settimana.
I
giorni continuarono a trascorre, molto simili tra di loro. La presenza del
nipote dei padroni del museo non aveva alterato le abitudini, era molto
cordiale e alla sera scambiava volentieri due chiacchiere con gli altri
giovani.
Il
mercoledì, mentre erano tutti riuniti a pranzo nella grande veranda della casa
del direttore, Ajaya domandò: “Avete voglia di fare qualcosa di diverso dal
solito, questo weekend?”
Tutti
quanti risposero positivamente, incuriositi da quella proposta.
“Oh,
potremmo organizzare una gita nella jungla, che ne pensate? Un’escursione nella
natura e ci sono anche alcune cose interessanti da un punto di vista storico.
Vi interessa? Vairochana vi accompagnerà.”
Il
direttore del museo annuì e aggiunse: “La jungla è un posto molto bello e rilassante,
io ci vado quando devo schiarirmi le idee o riposarmi. Ci sono molti posti
belli da vedere e anche un fiume in cui potete fare il bagno. Non dormiremo
all’aperto ma in un rifugio ben attrezzato, non vi preoccupate.”
“Sì,
è un’ottima idea; partecipo volentieri.” rispose Irma, sollevando lo sguardo
dal piatto di riso, condito con una strana salsa di curry ed ananas.
“Io
sono pronto a qualsiasi pericolo.” si aggregò Ramon.
Bhavani
non sembrava realmente contenta di andare in gita, ma accettò ugualmente.
Dhvana domandò se l’invito fosse valido anche per lui e, avutane la conferma,
dichiarò che non vedeva l’ora: gli piaceva fare escursioni nella jungla ed era
da qualche tempo che non aveva occasione di farne una.
L’idea
di distogliere per un paio di giorni la mente dal lavoro e dalle ricerche e
quindi starsene un poco nella natura, piaceva parecchio ad Irma e spesso il suo
pensiero correva a fantasticare circa come sarebbe stato il fine settimana. Era
cresciuta leggendo le avventure salgariane e quindi immaginava l’escursione
come un piccolo sguardo dal vivo sul mondo che l’aveva fatta sognare da
bambina.
Quel
pomeriggio era uscita dal magazzino una ventina di minuti prima del solito, gli
orari non erano fiscali e lei aveva appena finito di catalogare il contenuto di
una grossa cassa e non aveva voglia di aprirne un’altra e lasciare poi il
lavoro in sospeso fino al giorno dopo.
Richiusa
la porta del seminterrato, la ragazza fece il giro della casa per prendere la
stradina che portava agli alloggi dei dipendenti; quando fu nella piazzetta
antistante la villetta padronale, lanciò un’occhiata al secondo sentiero,
quello che portava all’area dove si stava iniziando a scavare per costruire una
nuova ala. Le venne voglia di andare a vedere come procedessero i lavori e
scoprire come fosse Dhvana all’opera.
Arrivò
sul posto e vide il vasto rettangolo di terra scura, circondato dall’erba verde
acceso, faceva impressione il contrasto. Vide quattro o cinque uomini, curvi
sulla terra che armeggiavano con strumenti che non riusciva ad identificare. Il
giovane stava dando delle direttive in lingua konkani e dunque l’italiana non
le capì; lo trovò che stava spostando la terra smossa.
“Che
cosa ci fai, qui?” domandò Dhvana, sorpreso, ma gentile.
“Volevo
vedere come procedevano le cose qui.”
Il
giovane scosse il capo e disse: “Male, purtroppo. Siamo molto lenti. Dobbiamo
ancora finire di drenare l’acqua in eccesso accumulata con le piogge dei giorni
scorsi. Inoltre, bisognerà stare attenti e setacciare bene la terra, perché
potrebbero esserci cose interessanti per lo zio. Guarda qui cos’è saltato fuori
oggi.”
Dhvana
si spostò sotto a una tettoia dove si trovavano un bagno, lavandini, un
tavolaccio e dove erano sistemati gli attrezzi durante la notte. Irma lo seguì
e trasalì nel vedere tre monete sul tavolo, in mezzo a bicchieri e fogli con
bozze di progetti. Erano ancora sporche, nonostante fosse stata rimossa la
maggior parte della terra, erano rovinate ma si poteva ancora capire che
fossero in oro. Ne prese in mano una per osservarla meglio e distinse
l’immagine battuta: un uomo alato con testa di uccello.
“Questo
è Garuda …!” sussurrò lei, sorpresa e eccitata per la scoperta.
“Brava,
esatto. Sai riconoscere anche le altre?” Dhvana la mise alla prova, sorridendo.
Irma
prese le altre due e ragionò ad alta voce: “Questa scimmia in posizione
devozionale è sicuramente Hanuman. Qui, invece, due uomini armati di arco e una
donna … devono essere Rama, sua moglie Sita e il fratello Lakshmana …”
“Tre
su tre. Mio zio ha scelto una collaboratrice esperta, nonostante la tua origine
occidentale.”
“…
è incredibile! Non mi aspettavo certo di imbattermi nel rinvenimento di monete
antiche! Sono sicuramente precedenti al 1469, perché in quell’anno Goa passò
sotto il controllo del Sultano di Gulbarga e poi passò ai Portoghesi; monete
con immagini induiste devono essere necessariamente precedenti. Probabilmente
saranno dei Vijayanagara, le figure fanno riferimento alla loro propaganda
politica. Chissà se si riesce a leggere il nome.”
Irma
controllò il rovescio delle monete, cola di una curiosa frenesia. L’alfabeto
non era quello che meglio conosceva, bensì quello della lingua Kannada e già
ciò le confermò che aveva indovinato la dinastia che le aveva emesse. Dopo
averle esaminate attentamente, disse: “Il nome credo sia Harihara, ma non
dovrebbe essere il fondatore della stirpe, bensì il terzo imperatore poiché è a
lui che si attribuisce la conquista di Goa. Incredibile! Sarà un ritrovamento
casuale? Ricordo che quando andavo in giro con gli amici del gruppo
archeologico, in Italia, usando il metal detector … so che non si dovrebbe
fare, ma … va beh, non c’entra, comunque, ci capitava di trovare monete romane,
senza che fossero legate ad un sito. Sarà un caso averle trovate qui? Forse più
sotto c’è altro e bisognerebbe scavare con più attenzione, magari fare qualche
saggio col metodo stratigrafico e poi decidere come procedere … Cielo! Sto
parlando come se fossi la responsabile di questo posto, scusami … però,
accidenti, tre monete d’oro! Sono straordinarie. Bisognerebbe allertare la
sovrintendenza o qualsiasi organo governativo si occupi di queste cose da voi.
Lo farai? Ma le avete trovate assieme? Erano vicine oppure sparse? Forse
potrebbe esserci un tesoretto nascosto volutamente; insomma, tre monete d’oro
dello stesso periodo, trovate nel raggio di pochi metri, fan venire il sospetto
che non sia uno smarrimento casuale … Ehi, ma mi stai ascoltando?”
Irma
aveva parlato in preda all’entusiasmo, infilando una parola dietro l’altra con
grande velocità; solo ora si accorgeva di non avere forse la massima
attenzione, notando che Dhvana la stava osservando molto assorto, ma sembrando
assente.
Il
giovane si scosse e disse: “Sì, sì, ti sto ascoltando … Essendo noi un museo,
possiamo condurre ricerche o scavi senza chiedere autorizzazioni, infatti
adesso voglio mettere maggiore attenzione. Purtroppo non so come fossero
collocate: le ho trovate tra la terra spostata e infatti ora voglio controllare
se ce ne sono altre. Scusa se sono sembrato distratto, ma stavo guardando il
tuo braccialetto. È molto particolare.”
Irma
corrugò la fronte, perplessa: come si poteva pensare al suo bracciale, davanti
ad un ritrovamento del genere?
“Dove
lo hai preso? Qui in India?”
“È
un regalo di un amico, a dire il vero, comunque sì, lui è indiano.”
“Caspita,
è un regalo piuttosto di pregio, sei fortunata. Posso vederlo?”
La
ragazza esitò: non lo aveva mai tolto, da quando Iravan glielo aveva consegnato
e non era sicura di quel che sarebbe successo se lo avesse sfilato, per cui
rispose: “È complicato da sfilare, però puoi toccarlo, se vuoi.”
Dhvana
si avvicinò e posò due dita sulla testa del serpente d’oro, dopo un paio di
istanti le ritrasse, bruscamente e borbottò: “Bah, così non è che riesca a
vederlo meglio. Pazienza! Ti va di aiutarmi a setacciare la terra? Vorrei
controllarla tutta, prima di cena; se stanotte piovesse, sarebbe più
difficoltoso cercare domani nel fango.”
“Va
bene, volentieri.” accettò Irma, ben contenta di concedersi un momento di
archeologia.
I
due giovani frugarono e setacciarono la terra rimossa quel giorno e vi
trovarono altre tre monete sempre d’oro e del regno di Harihara II, una
rappresentava Krisna col flauto, un’altra Narashima (l’avatar di Visnu con la
testa da leone e il corpo umano) e l’ultima con un cinghiale che oltre ad
essere simbolo della dinastia era anche un’altra delle manifestazioni di Visnu.
Tornarono
agli alloggi che era già stata servita la cena da diverso tempo, per fortuna
Bhavani e Ramon si erano ricordati di tenere qualcosa da parte per loro.
Mangiarono, parlottando fittamente tra loro delle possibili spiegazioni a quei
ritrovamenti ed Irma si lanciava in fantasiose ipotesi e ricostruzioni.
Stabilirono di riferire tutto quanto a Vairochana il giorno seguente a pranzo.
“Zio,
ci sono delle novità!” annunciò Dhvana, sorridente, mentre si metteva nel
piatto un pesce intero, impanato e fritto nella farina di mais.
“Di
che tipo?” domandò il direttore con aria piuttosto seria.
“Spostando
i primi strati di terra, abbiamo rinvenuto otto monete antiche.”
“Otto?!
Ne avete trovate altre due?” domandò Irma che non era stata aggiornata “Che
cosa vi è raffigurato? Sono sempre di Harihara II?”
“Sì,
più tardi te le mostro.” rispose lui, sbrigativo, per poi rivolgersi nuovamente
allo zio: “Pensavo di procedere con metodo stratigrafico. Rallenta i lavori,
certo, ma permette di esaminare meglio la situazione. Se scendendo ancora di
venti o trenta centimetri non troviamo nulla, allora queste monete saranno
state perse per caso, ma se dovesse esserci qualcosa di più importante, è bene
scoprirlo con i mezzi adeguati. Potremmo trovare resti importanti della
presenza Vijayanagara, oppure quel che resta di un tempio non completamente
distrutto dai portoghesi … qualsiasi cosa ci sia là sotto, porterà al museo
benefici maggiori della nuova ala. Concordi?”
“Abbiamo
trovato qualcosa di molto importante, stando ai tuoi discorsi.” replicò
Vairochana, che non sembrava contagiato dall’entusiasmo.
“Potremmo.
Bisogna appunto fare scavi più approfonditi, ma io sento che è il posto giusto.”
“D’accordo,
hai il mio benestare.” il direttore lo disse più per formalità che non come
vera autorizzazione, sapendo bene che il nipote avrebbe agito comunque di testa
propria.
“Scusi”
intervenne allora Irma “Avrei allora anch’io una richiesta da avanzare. Io
prevedo di concludere entro domani il lavoro in magazzino; dal momento che sono
qualificata come archeologa e ho già partecipato ad uno scavo in India, mi
sarebbe cosa gradita essere assegnata a questa indagine, se non è un problema.”
“Da
questo punto di vista hai sicuramente più competenze di mio nipote … d’altra
parte sarei di nuovo sotto organico …”
Vairochana
rimase in silenzio, meditante, mentre il suo sguardo vagava. Incrociò gli
splendidi occhi della moglie che schiuse le carnose labbra per dire: “Dhvana ha
ragione a dire che quel che sta emergendo ha sicuramente più importanza e
valore dell’attuale museo. È meglio impiegare le nostre risorse dove possono
portare maggiori risultati, pazienza se per qualche settimana saremo con un
aiuto in meno per altre cose.”
Il
direttore si convinse e sospirò; dopo aver confermato alla ragazza che avrebbe
potuto seguire gli scavi, cambiò repentinamente umore e si fece molto allegro
nel dire: “Allora, stasera iniziate a preparare gli zaini per l’escursione nella
jungla, perché sabato partiamo presto e quindi domani li dovrete avere già
pronti.”
Continuò
poi elencando le cose che era necessario o caldamente consigliato portare.
Più
tardi, sotto sera, Irma si recò nuovamente nella zona di scavo per essere aggiornata
su quanto emerso nelle ultime ore. Il numero delle monete era aumentato
nuovamente a undici e ognuna raffigurava una manifestazione differente del dio
Visnu: dormiente sul suo serpente, accompagnato dalla moglie Lakshmi,
tartaruga, pesce, il minuto Vamana.
“Non
trovi sia singolare e possa celare un qualche significato?” domandò Irma,
mentre mettevano le monete appena ritrovate nell’olio d’oliva per consentire
una migliore pulitura il giorno successivo.
Erano
nella sala comune a svolgere quell’operazione; le incrostazioni non erano
eccessive e dunque Irma aveva ritenuto non ci fosse bisogno di ricorrere
all’elettrolisi per ripulirle.
“Che
cos’è che trovi strano?”
“Sulle
monete ci sono solo riferimenti a Visnu, eppure tra i Vijayanagara erano
coniate con immagini di molte altre divinità, anzi era molto più diffuso Shiva,
dal momento che i regnanti erano shivaiti, quindi mi incuriosisce il fatto che
qui non compaia nemmeno una volta. Perché? La regione era visnuita e quindi
c’erano coni speciali per la diffusione qui? Oppure qui c’era un tempio o un
qualche luogo sacro legato a Visnu e queste monete erano lasciate come un
omaggio? Certo, undici monete sono poche, in realtà, per fare teorie, però mi
incuriosisco lo stesso.”
“Fai
bene.” replicò Dhvana “Formulare supposizioni e ipotesi è giusto, l’importante
è non affezionarsi ad una teoria. È bene formularne il più possibile e bisogna
essere disposti ad escluderle allorché emergano nuove prove che le confutino.”
Irma
fu positivamente sorpresa da quella giusta osservazione; sorrise. Dhvana
ricambiò e rimasero qualche istante a fissarsi negli occhi.
“Ciao,
siete già qui?”
Era
entrata Bhavani che aveva appena finito di lavorare. Continuò chiedendo:
“Sapete cosa sia successo?”
“In
che senso? Dove?” domandò Irma.
“Non
so. Sono andata all’ufficio di Vairochana per consegnargli i documenti di oggi,
ma la porta era chiusa a chiave e ho sentito che stava discutendo piuttosto
animatamente con la moglie. Mi sembrava lui quello più contrariato, mentre lei
era fredda e decisa … o almeno questa è stata l’impressione che ho avuto io.
Parlavano in konkani, quindi io non l’ho capito. Voi sapete cosa sia successo?”
“No,
non ne abbiamo idea.” rispose Dhvana “Magari vado a controllare. Voi, comunque,
non preoccupatevi.”
Il
giovanotto uscì. Rientrò solo un’ora più tardi, quando la cena era già stata
portata. Agli sguardi interrogativi rispose dicendo che si era trattato di un
dissapore privato tra gli zii, per una questione di soldi, nulla che
riguardasse loro.
Il
giorno dopo, tuttavia, Vairochana fu meno loquace e anche il sabato, quando
partirono per la jungla, a Irma parve meno entusiasta di quello che si sarebbe
aspettata, considerando come lo aveva sentito parlare nei giorni precedenti.
Con
la macchina raggiunsero il confine con l’area protetta dove cresceva rigogliosa
la jungla, che ormai si presentava come una riserva naturale; era in una zona
di alture e con l’auto avevano percorso diversi tratti di strada in salita.
Lasciarono l’automobile in sosta in uno dei parcheggi dedicati proprio agli
escursionisti. Zaini in spalla si inoltrarono lungo un sentiero.
La
jungla era meno selvaggia di quanto Irma si aspettasse. La giovane era stupita
per l’altezza delle piante che davano l’impressione che quella foresta
esistesse da secoli o millenni, ma era anche molto tranquilla e silenziosa,
fatta eccezione per i cinguettii e dopo due ore di marcia non aveva visto
animali se non qualche scoiattolo e qualche farfalla che non risaltava per
grandezza o colore. Irma non percepiva una gran differenza tra il passeggiare
lì o tra i boschi dell’Appennino, tuttavia era ugualmente un’attività piacevole
e rilassante. La sua mente, però, non riusciva a rimanere vuota e silenziosa
per godersi il paesaggio, ma si riempiva di pensieri che si susseguivano come in
un flusso di coscienza, erano comunque pacifici e non la turbavano.
Era
passata da poco la metà della mattina, quando Vairochana li condusse in un
sentiero secondario che scendeva di alcune decine di metri. La vegetazione era
molto fitta e si poteva guardare solo a breve distanza, tuttavia si sentiva
distintamente lo scroscio di acqua corrente, era molto forte e impetuoso:
doveva trattarsi di un grande fiume.
Quando
arrivarono in fondo alla discesa, la vegetazione si interruppe d’improvviso e
loro poterono vedere che in realtà il rumore che li aveva accompagnati era
quello di una cascata altissima che precipitava in un piccolo laghetto e poi
defluiva placidamente in un fiumiciattolo. Rocce e sassi circondavano la pozza
e c’era anche una spianata di pietra liscia e piatta, forse levigata dalle onde
di un fiume più grande, molti millenni addietro.
Vairochana
li condusse proprio su quella parte e ordinò loro di togliersi le scarpe per
non rovinare nulla. Uno sguardo superficiale, infatti, non avrebbe notato nulla,
ma un’osservazione più approfondita e un occhio capace di mettere a fuoco le
cose facevano riconoscere delle antiche incisioni nella roccia. Erano
soprattutto animali: il bufalo, la mucca gobbuta, antilopi, un pavone e altri
volatili; l’unico disegno che aveva un soggetto differente era una sorta di
spirale che a Irma ricordò parecchio la forma di un labirinto ayurvedico che
aveva già visto in più occasioni passate, costruito ovviamente non per far
perdere le persone, ma per i benefici che ne avrebbero tratto camminando lungo
le linee fino al centro e poi a tornare indietro.
Vairochana
spiegò che quella era solo una parte delle 125 incisioni trovate lungo il corso
del fiume Kushavati, erano state datata tra i seimila e gli ottomila anni prima
ed erano attribuiti ad una praticamente sconosciuta tradizione sciamanica, di
cui erano l’unica testimonianza, al momento. Erano note anche col nome di
“rocce tagliate di Usgalimal”.
Irma
fu molto contenta di scoprire quel tassello di storia che non conosceva e restò
ad osservare a lungo ogni incisione, fotografandola per poter poi riguardarle
con calma ogni volta che lo desiderasse.
Si
domandò anche se quell’antica cultura fosse collegata alle visioni che aveva
avuto durante la meditazione, oppure alle leggende a cui aveva accennato
Iravan. Ci avrebbe pensato: quello non era il momento adatto per le congetture.
Gli
altri, intanto, si erano messi in costume da bagno e si erano immersi nel
laghetto per una nuotata. Irma li raggiunse e si unì a loro. Non aveva mai
nuotato da nessuna parte in India ed erano passati molti anni anche dall’ultima
volta che si era bagnata in un fiume o in un lago anche in Italia. Lo trovò
estremamente piacevole: stare in acqua era ciò che la rilassava più di ogni
altra cosa e avrebbe potuto stare a mollo per ore e ore, ma furono richiamati a
riva per il pranzo.
Mangiarono
dei tramezzini che si erano portati dietro e nel frattempo si asciugarono al
Sole, dopo un breve riposo, ripresero il cammino.
Fu
faticoso risalire il ripido sentiero che li aveva portati alla cascata e,
arrivati in cima, si fermarono a bere e riprendere fiato.
Proseguirono
l’escursione e non incrociarono mai altre persone lungo il tragitto. Dopo oltre
due ore e mezza, il direttore di fermò e comunicò che stavano per addentrarsi
in un tratto dove non c’era il sentiero e quindi dovevano rimanere ben in fila
compatta, senza perdersi di vista. Si addentrarono nel fitto della jungla; le
piante rimanevano distanziate e quindi permettevano il passaggio, ma tra l’una
e l’altra crescevano arbusti e cespugli, l’erba era alta e adesso si sentivano
molti versi di animali, i loro movimenti che scuotevano le fronde. Il terreno
non era uniforme ma aveva qualche piccola altura sparsa qua e là, generalmente
non più alte di tre metri, ma molto lunghe.
Dopo
un bel po’ che si erano addentrati per quelle strade non battute, Vairochana
indicò un’altura dritta davanti a loro. Avvicinandosi, notarono che le piante
cresciute attorno avevano nascosto una lunga fenditura che l’attraversava
interamente. Di fatto si trattava di una caverna a livello del terreno e poco
profonda. Vi entrarono e accesero le torce per vederla meglio, infatti da fuori
non penetrava abbastanza luce per illuminarla.
Nelle
pareti erano state scavate alcune nicchie che ora non contenevano più nulla;
per terra si trovavano canalette artificiali che probabilmente erano servite
per far defluire liquidi fuori dalla grotta. Ciò che saltava maggiormente
all’occhio, però, era una sorta di grande seggio a più posti e un
parallelepipedo che presumibilmente aveva avuto la funzione di altare; entrambi
erano stati scolpiti nella roccia in situ e non portati da altrove, quindi
forse tutta l’intera grotta era stata costruita artificialmente. Il che non
stupì per nulla Irma, aveva ben presente la straordinaria abilità degli indiani
di lavorare la roccia e il suo pensiero corse immediatamente al Kailasa di
Ellora che si stentava a credere fosse stato scolpito e non edificato, eppure
era emerso dalla pietra; oppure pensò ai Pancha Ratha della sua amata Mamallapuram.
La grotta in cui si trovavano in quel momento era un lavoretto da dilettanti o
l’effetto di un progetto abbandonato sul nascere, se confrontato con i numerosi
altri esempi.
Erano
però molto carine tre statuette di leoni, abbastanza naturalistiche e non con
le corna, come quelle diffuse in Tamil.
Vairochana
spiegò che anche quel luogo aveva la stessa datazione delle incisioni e che
forse aveva avuto funzione funeraria, poiché vi erano state trovate molte ossa
umane, ma anche di animali, forse lasciati come offerte per le divinità o come
dotazione dei defunti. In realtà il tutto era stato rinvenuto durante il periodo
Portoghese e quindi non si aveva la certezza di cosa fosse stato trovato, in
quale modo e quale sorte avesse avuto successivamente. Le fonti parlavano anche
di una grotta di Hanuman, ma lui non era mai riuscito ad individuarla.
Irma
la ispezionò in ogni centimetro, alla ricerca di qualche dettaglio che potesse
essere interessante, ma sfuggire a un rapido sguardo; Ramon gridò alcune
parole, come se stesse testando l’eco; Dhvana non sembrava molto interessato e
si era appoggiato al seggio, canticchiando a bocca chiusa, aspettando che gli
altri fossero pronti; Vairochana, invece, era rimasto immobile accanto all’altare,
con lo sguardo perso; Bhavani esaminava soprattutto il sistema delle canalette.
Dopo
aver scattato altre foto, uscirono e tornarono indietro; le due ragazze
espressero la loro ammirazione a Vairochana per quanto fosse abile ad
orientarsi, loro non erano riuscite a trovare punti di riferimento per
riconoscere il percorso del ritorno.
Instradati
nuovamente nel sentiero principale, in meno di un’ora arrivarono in una radura
molto piccola, attraversata da un torrentello, l’unica altra cosa che c’era era
una capanna in legno e fango. Dei pali spessi erano stati posizionati ai
quattro angoli e a metà delle pareti, erano uniti da un muro fatto da canne
intrecciate poi ricoperte di terra; non c’era il pavimento e il soffitto
consisteva in due travi incrociate su cui potevano essere distese larghe foglie
di palma. Quello era il rifugio in cui avrebbero trascorso la notte.
Fuori
dalla capanna c’era una coppia di mezza età con abiti tradizionali: torso nudo
e dhoti per lui, sari per lei, i colori erano stinti e i bordi usurati. La
donna stava impastando una palla di farina e acqua, mentre l’uomo cercava di accendere
un fuoco sotto al fornello, che consisteva in un cubo aperto da un lato e vuoto
all’interno, era in terra che si era cotta naturalmente con il fuoco che veniva
acceso al suo interno.
Quando
videro il gruppo arrivare, i due signori non interruppero il loro lavoro, ma
quando furono a portata di voce li salutarono con grande cordialità.
L’uomo
aveva acceso il fuoco e si rivolse a loro in lingua konkani. Vairochana tradusse:
l’uomo si era detto veramente felice di avere ospiti; non capitava spesso che
la gente si fermasse lì, quindi era molto contento; la moglie si sarebbe
preoccupata di preparare la cena anche per loro.
Li
condusse a vedere l’interno della capanna che era molto largo e quasi
completamente spoglio, c’erano solo alcuni vasi, delle stuoie e delle stoffe
ammucchiate tra due angoli, poi uscirono perché c’era troppo caldo.
Volle
mostrare loro anche l’altare privato che si era costruito dal lato opposto
rispetto a quello in cui cucinavano e mangiavano. C’erano due cubi di terra, su
uno aveva modellato un lingam che emergeva dalla yoni, il ché lo indicava come
shivaita; la seconda scultura, piuttosto rudimentale, presentava un uomo con
serpenti al posto dei capelli, una collana di teschi, teneva nelle quattro mani
una coppa, un tridente, un arco e una freccia; stava cavalcando un toro dalle
alte corna che, in un primo momento, erano sembrate orecchie ad Irma e quindi
lo aveva scambiato per un asino. Capì, comunque, che si trattava di Rudra. Le
sembrò una scelta strana, però di ricordava che quello era una delle cinque divinità
principali di Goa; inoltre pensò che avesse una certa logica venerare il dio
della tempesta e delle malattie per chi viveva nella jungla, in balia degli
elementi e senza igiene e medici.
L’uomo
prese una campana posta tra i due cubi e la suonò, poi si stese a terra con il
viso rivolto al suolo, congiunse le mani sopra la propria testa e pronunciò una
preghiera sottovoce, difficile da capire.
Irma
domandò a Dhvana se lui l’avesse capita. Il giovane le spiegò che era uno dei
tanti inni pronunciati per placare la furia di Rudra, supplicandolo di essere
pago delle offerte e dei sacrifici e non imperversare su di loro.
Tornarono
sul davanti della casa e trovarono la proprietaria intenta a tagliare verdura e
frutta selvatica. Le offrirono aiuto, ma lei rifiutò categoricamente: nessun
ospite doveva lavorare, avrebbe fatto tutto da sola.
Gli
escursionisti allora si sedettero a riposare, bere e chiacchierare tranquillamente.
La
cena fu servita su foglie di palma, adagiate al suolo; non c’erano né piatti,
né posate, solo delle tazze per l’acqua. L’uomo pronunciò un’invocazione alle
divinità e gettò qualche pezzetto di cibo alle proprie spalle, come offerta agli
spiriti.
Mangiarono
tranquillamente, rimasero un poco svegli per digerire e guardarono le stelle in
un cielo che, per la prima volta, Irma notò fosse nero e non semplicemente blu
scuro come quello a cui era abituata in Italia.
Si
coricarono poco più tardi. Entrarono nella capanna, ognuno prese una stuoia, la
distese e vi si sdraiò sopra, mentre il proprietario toglieva le foglie dal
tetto per far entrare un poco d’aria fresca.
Si
addormentarono subito, stanchi dalla lunghissima escursione.
Irma
stava sognando di essere coi nipoti al parco e di star giocando con loro,
quando si avvicinarono alcune scimmie che li guardavano incuriosite, prima
interagivano con timidezza, poi iniziavano ad agitarsi e ad urlare. Strillavano
così forte che Irma si svegliò. Attorno a lei non c’era il silenzio, poiché l’aria
era colma del frinire di grilli e cicale e del gracidare delle rane, comunque
non c’erano scimmie in vista. Stava per rimettersi a dormire, quando si rese
conto che Bhavani magari. Probabilmente si era alzata per andare in bagno,
eppure Irma fu colta da una spiacevole sensazione, il presentimento di un
pericolo. Decise di rimanere sveglia fino a che l’amica non fosse ritornata. Dopo
diversi minuti, però, non era ancora rientrata. Si alzò in piedi e uscì per
controllare: magari Bhavani non riusciva a dormire, oppure cercava più fresco,
dunque l’avrebbe trovata appena fuori dalla porta.
Nessuno
all’esterno della capanna.
Irma
si preoccupò seriamente, ragionò circa se convenisse svegliare gli altri per
andare a cercarla, ma temette che qualcuno dei compagni potesse centrare con
quella sparizione. Un’idea assurda? Beh, da un punto di vista logico sì,
tuttavia dentro di sé sentiva di non potersi fidare e che avrebbe dovuto
affrontare quella situazione da sola.
Prese
lo zaino e se lo mise in spalla e tirò fuori la torcia per partire alla ricerca
dell’amica, per fortuna la Luna era quasi piena e rischiarava la terra,
nonostante l’oscurità del cielo. Raggiunse il sentiero e lo percorse a ritroso.
Bhavani era realmente andata in quella direzione? Impossibile a dirsi, ma Irma
si fidava del proprio istinto.
Fino
a qualche anno prima, non si sarebbe mai avventurata in un bosco da sola nel
cuore della notte, nonostante fosse su un sentiero. Nemmeno in quel momento i
sentiva a proprio agio e, infatti, il cuore le batteva piuttosto rapidamente e
doveva impegnarsi a respingere la paura, ogni volta che sentiva un rumore. Aveva
però imparato che le situazioni vanno affrontate, non si può rimanere fermi,
bisogna reagire a dispetto di insicurezze e timori. Se la sua amica era davvero
in pericolo, chi l’avrebbe salvata, se lei non fosse stata coraggiosa?
Procedeva
alternando la corsetta alla marcia rapida, per poter recuperare terreno, senza
affaticarsi e spezzare il fiato. Di Bhavani, però, non c’erano traccia. Solo dopo
una mezzora, Irma vide una figura umana, più avanti di lei di una trentina di
metri, abbandonare il sentiero e scivolare tra gli alberi. La giovane ricordò
quanto intricato fosse il percorso nella jungla e allora urlò il nome dell’amica,
sperando di fermarla e farla tornare indietro. Inutile.
Irma
entrò nel fitto della foresta, correndo, cercando di raggiungere l’altra
ragazza, ma la perse di vista. Si ritrovò a vagare nelle tenebre, con la torcia
che illuminava a malapena un paio di metri attorno a lei. Vedeva radici e
cespugli tra cui si muovevano animali discreti che sfuggivano alla sua vista.
Dove
andare? Non lo sapeva, non era nemmeno certa che voltandosi sarebbe riuscita a
tornare al sentiero. Voleva comunque continuare la ricerca, poco le interessava
se si stava smarrendo. Pensò alle conseguenze della sua ostinazione, ma decretò
che l’aiutare Bhavani era più importante e si augurò che Visnu la proteggesse. In
fondo era anche colpa o merito di quel dio, se aveva il presentimento di un
pericolo e voleva sventarlo.
Si
guardò attorno, cercando un’ispirazione per decidere dove dirigersi. Notò delle
luci che volavano tra le piante, anche attorno alle chiome più alte. Sembravano
lucciole, ma il loro bagliore era molto più grande. Erano cinque e si
avvicinarono tra loro per poi volteggiare fino a un paio di metri davanti ad
Irma.
Erano
insetti normali? Forse in India le lucciole erano di dimensioni maggiori.
La
ragazza mosse qualche passo nella loro direzione e loro rimasero sospese dove
erano. Lei le raggiunse e, prima di riuscire a metterle a fuoco, esse
ripartirono, spostandosi lentamente come se volessero essere seguite.
Ecco,
a quel punto Irma poteva essere certa che non si trattava di normali insetti. Si
augurò che fossero lì per aiutarla e le seguì.
Avanzò
tra gli alberi stando attenta a non inciampare; le lucciole l’attendevano, se
si attardava e poi ripartivano sempre in tempo per non farsi raggiungere.
Irma
non aveva idea di da quanto stesse camminando, la preoccupazione, l’oscurità e
il non conoscere il posto le rendevano distorta la percezione del tempo.
Si
domandò chissà perché in Italia la sua vita fosse tranquilla e normale e,
invece, in India si ritrovasse coinvolta in eventi sovrannaturali. Tra l’altro,
quella notte, non c’erano neppure i suoi amici ad aiutarla. Forse avrebbe
dovuto chiamare Iravan. Come funzionava il bracciale? Come poteva servire per
comunicare con lui? E poi quanto tempo avrebbe impiegato ad arrivare? Se fosse
giunto quando ormai la faccenda era risolta? Oppure se lo avesse scomodato
inutilmente? Preferì proseguire da sola e avere maggiori informazioni, prima di
chiedere aiuto al naga.
Le
lucciole iniziarono ad illuminare un’altura. Irma la riconobbe immediatamente:
era la grotta dove erano stati quel pomeriggio. Le luci si precipitarono all’apertura
e mostrarono una figura umana che stava entrando.
Era
Bhavani?
Le
lucciole si mossero nuovamente a gran velocità, tornando verso la ragazza e
sollecitandola ad andare avanti.
Irma
non perse ulteriormente tempo e andò nella grotta.
Era
leggermente diversa da come era apparsa nel pomeriggio: c’erano candele e
incensi che bruciavano.
Non
ebbe il tempo di domandarsi chi potesse aver portato lì quelle cose, poiché
immediatamente si accorse che Bhavani si stava stendendo sopra l’altare.
“Oh, doppia porzione! Ma che bella sorpresa …”
Una
profonda e cupa voce echeggiò nella caverna.
Irma
si guardò attorno alla ricerca di chi avesse parlato, ma non vi era nessun
altro.
“Tu sei molto sostanziosa … tu potresti
bastare per ristorarmi completamente … eppure non ti hanno scelta … sei venuta
qui cosciente, non ti hanno mandata … perché? Perché avendo te, mi hanno
servito un’altra? Poco male, visto che sei qui …”
“Chi
sei?!” urlò Irma, con grande forza “Chi sono quelli che hanno fatto venire
Bhavani qui e come?”
Non
ci fu risposta.
Gli
occhi nelle tre statue dei leoni brillarono, crebbero di misura, un ruggito le
scosse dando loro vita. I tre felini di pietra balzarono verso Irma e la
circondarono.
La
donna ebbe paura: doveva agire, non aveva modo di prendere tempo.
Erano
due anni che non ricorreva ai propri poteri, non ne aveva più fatto uso, dopo
la sconfitta di Hiranyakshva. Si concentrò profondamente, sperò di ritrovare
rapidamente le memorie di Dusshala, in fondo ogni tanto, in sogno, ancora
vedeva frammenti della sua vita precedente, quindi forse non sarebbe stato
difficile ritrovare il contatto con essa.
Le
labbra di Irma si schiusero e lasciarono uscire un mantra per il dio Vayu. Un
piccolo vortice d’aria la circondò, poi il vento soffiò violentemente,
sbalzando indietro di alcuni metri i leoni.
Irma
ne approfittò per raggiungere l’altare, dove Bhavani era sdraiata con gli occhi
spalancati, come fosse in trance. Provò a svegliarla e la scosse, ma nulla
servì. Intanto i leoni stavano già tornando all’attacco.
Questa
volta la giovane pronunciò un mantra di Indra e così tre fulmini colpirono in
pieno i leoni.
“Oh, sì … tu mi ridarai il mio vigore … non
puoi nulla contro di me: la pietra resiste a tutto. Lascia che io mi nutra, in
un certo senso non morirai del tutto …”
Irma
non sapeva cosa fare: se nemmeno i fulmini erano riusciti a mandare in frantumi
quelle bestie, che cosa poteva fermarle?
Doveva
cercare di trattenerle il più a lungo possibile e contattare Iravan, lui
sarebbe venuto armato.
Usò
un mantra di Bhumi e la roccia sotto le zampe si trasformò in molle fango che
le risucchiò prima di solidificarsi e tornare pietra. Ecco, quello avrebbe
dovuto trattenerli per un poco.
La
donna sollevò Bhavani e se la caricò in spalla e raggiunse l’uscita.
“Non andrai lontano!”
I
leoni spezzarono la roccia che li tratteneva e si slanciarono all’inseguimento.
Irma si era allontanata solo di pochi metri, poiché era faticoso trasportare
una persona a peso morto, in più stava cercando di capire come il bracciale
potesse fungere da comunicatore.
Udì
i ruggiti vicini.
Un
grande tonfo che fece tremare la terra.
Irma
si voltò e vide un’enorme scimmia, alta tre metri che brandiva una mazza e si
apprestava ad abbatterla in testa ai leoni.
“Hanuman
…?” farfugliò la donna, confusa.
La
scimmia si voltò un istante a guardarla per farle capire che doveva andare.
Irma
si sentì sicura, tornò a camminare, sperando di non perdersi. In suo aiuto
ritornarono le lucciole giganti che la guidarono fino a ritrovare il sentiero.
Bhavani
era uscita dallo stato di trance, ma non si era svegliata; ora aveva gli occhi
chiusi e dormiva profondamente.
Non
fu facile per Irma trasportarla fino al rifugio, ma vi riuscì. La risistemò
sulla stuoia, poi si sdraiò anche lei. Si ripromise di non dormire, per
continuare a vegliare, ma alla fine la stanchezza ebbe la meglio e si
addormentò. Scivolò nel sonno domandandosi chi potesse essere l’entità che
abitava nella caverna e con chi fosse in combutta. Chi poteva essere incorporeo
o invisibile e avere bisogno di nutrirsi di carne umana? Chi poteva essere
disposto a procurargliela?
Un
motivo per cui voleva rimanere sveglia era anche il poter osservare le reazioni
di tutti gli altri allorché si fossero accorti che non mancava nessuno all’appello
e così forse capire chi potesse essere coinvolto. Purtroppo si addormentò e
quando si destò il mattino era già inoltrato e i suoi compagni avevano già
finito la colazione.
Più
tardi si rimisero in cammino per ritornare all’automobile e rientrare in museo;
non fermandosi a visitare altri posti, il percorso fu più breve.
Irma
era molto delusa; aveva le idee sempre più confuse e non poteva parlarne con
nessuno. Le preoccupazioni di Iravan, forse non troppo infondate, le strane
visioni che aveva avuto durante la meditazione e ora l’aver sfiorato un
sacrificio umano … e aver perfino visto Hanuman! (era certa fosse lui) … tutto
ciò era in un qualche modo collegato, ne era sicura, ma in che modo era ancora
difficile da capire. Non era certa di volere ulteriori dettagli per fare
chiarezza.
Si
consolò, pensando che dal giorno dopo si sarebbe dedicata ad uno scavo
archeologico.