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Autore: melville    03/07/2017    1 recensioni
Affannate e scombussolate, con il fiato corto e l’incertezza di quel sentimento d’interesse tanto acceso e che nessuno avrebbe potuto prevedere, arriviamo presso la calca di persone.
La folla rumorosa è presente in gran numero davanti alla serranda aperta del garage, illuminato e completamente vuoto.
L’evidenza colpisce i miei occhi e la delusione mi fa stringere le labbra. Allora è vero, le voci erano vere. Se n’è andato.
[testo e contenuti sono stati sipirati dalla figura di V.Van Gogh]
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’uomo senza pelle

una storia ispirata dal pittore V. Van Gogh

 

Le voci per strada corrono veloci, in particolare quando si tratta di notizie importanti.

Questa mattina le voci e le parole corrono in fretta, superandosi e sovrastandosi con spintoni potenti. Alle prime luci incerte del sole nessuno le aveva prese in considerazione ma presto l’interesse è aumentato sempre più e l’intero quartiere ora è in strada, per vedere se è davvero la realtà quella riportata dai sussurri.

Persino mia madre scende in strada insieme a me, lei a cui le voci non interessano e alla quale la vita altrui interessa ancora meno. Lei che non si fida di nessuno.

I miei occhi viaggiano frenetici, avidi di cogliere altri particolari che possano confermare quali siano le verità.

Affannate e scombussolate, con il fiato corto e l’incertezza di quel sentimento d’interesse tanto acceso e che nessuno avrebbe potuto prevedere, arriviamo presso la calca di persone.

La folla rumorosa è presente in gran numero davanti alla serranda aperta del garage, illuminato e completamente vuoto.

L’evidenza colpisce i miei occhi e la delusione mi fa stringere le labbra. Allora è vero, le voci erano vere. Se n’è andato.

Sposto lo sguardo dal vuoto del garage e vago con gli occhi attenti, leggendo tutti i sentimenti di contrasto presenti sui volti dei miei vicini. Tristezza, incredulità, amarezza, vuoto, non c’è sollievo nei loro occhi. Malinconia.

Se n’è andato. E coloro che gli hanno fatto la guerra per anni adesso cercano disperatamente la sua figura negli angoli bui.

Se n’è andato.

Nessuno ha mai saputo, o si è mai interessato nello scoprire, quale fosse il suo vero nome. Da che ho ricordi era sempre e solo stato L’uomo senza pelle e semplicemente questo epiteto lo rendeva una figura sinistra agli occhi dei cittadini. Senza pelle. Uomo-senza-pelle. Mostro. Cosa volevano dire quelle parole inquietanti?

Il quartiere aveva paura di lui, allo stesso modo in cui gli ignoranti hanno paura delle cose che non conoscono, non che lui avesse mai fatto del male, o infastidito, o semplicemente interagito con qualcuno.

Persona schiva, in pochi, negli anni, erano riusciti a vederlo e quei pochi fortunati avevano potuto cogliere solo la sua ombra alla luce della luna. Eppure, nonostante egli vivesse come un eremita, tutti erano a conoscenza della sua esistenza nel garage: ogni mattina appeso alla serranda grigia e abbassata, a sostituire quello del giorno precedente, vi era un dipinto su tela, raffigurante l’immagine di un attimo trattenuto nel tempo, corrispondente a un particolare del quartiere. Una persona o più, una sedia, una via, un paesaggio, il cielo notturno. Spasmi di vita, di noi, della natura.

Ben presto, le persone avevano iniziato a ignorare la bellezza di quei dipinti, la bravura della mano che impugnava il pennello, e nei loro cuori era cominciato a crescere il disagio, l’angoscia, il terrore, nei riguardi di quegli occhi che loro non avevano mai visto ma dai quali si sentivano spiati.

Erano cominciate a girare voci veloci come quelle di questa mattina, al contrario però erano voci maligne e cattive. Impaurite. Un pazzo scappato dal manicomio, un assassino maniaco compulsivo, un diverso. Estraneo. Mostro. Perché non semplicemente un artista?

Ogni mattina di questi anni sono passata davanti a quel garage per contemplare le sue opere, che riproducevano un così forte e intenso contatto con la realtà bruta e vera. Sembrava quasi come se ogni attimo della sua vita fosse speso costantemente nella produzione di dipinti, un lavoro febbrile che gli imponeva di continuare finché la stesura completa non era portata a termine, a suggerire la sua esigenza e necessità di esprimere al di fuori di sé le sensazione provate. L’uomo senza pelle era un uomo che non sapeva vivere in mezzo alle altre persone, i rapporti con gli altri comportavano per lui un eccesso di tensione. Era, comunque, compito delle sue immagini rappresentare la forza che egli traeva dal mondo: il suo coinvolgimento nei dipinti era tale che la passione che esse trasmettevano era quasi palpabile nell’aria.

Sentiva le emozioni, i suoni, le figure, in modo deforme. Accentuato. Anche solo la semplice raffigurazione di una sedia esprimeva emozioni, dopo essere stata tracciata dalla sua mano.

Era un regista, capace di riprodurre la realtà dal suo solo punto di vista, che a tutti gli altri faceva paura. Mostro.

Diverso. Attraverso lui ogni cosa aveva un significato e tutto trasmetteva emozioni.

Diverso.

Ora scomparso. Andato.

L’uomo senza pelle che tutto sentiva più forte, ci ha abbandonato senza preavviso. E il vuoto che ha lasciato, il garage ormai anonimo, non riporta la tranquillità negli animi delle persone, ma burrascosi pensieri. Colpa.

Addio.

Le ipotesi volano svelte nella mia mente, forse l’energia era diventata troppo forte e le scariche elettriche rischiavano di folgorarlo per sempre. Magari era pazzo davvero, folgorato da tempo dalla sua stessa mente, oppure ha avuto solo paura. Che dal suo punto di vista fossimo noi i diversi da cui fuggire? Nascondersi.

L’uomo senza pelle terrorizzato da coloro che la pelle l’avevano e non riuscivano a comprenderlo, noi ai quali gli impulsi che lui percepiva tanto intensamente, scivolavano addosso leggeri perché eravamo coperti. Al sicuro.

Da bambina credevo che fosse davvero senza pelle. Crescendo capii la metafora racchiusa in quel nome, e ne ebbi conferma la notte in cui lo vidi. Unica volta.

Lo vidi a pochi metri da me, illuminato dalla poca luce del lampione che ancora riusciva a raggiungerlo. Lo riconobbi perché già sapevo chi era. Mia madre anni prima mi aveva parlato di lui, dicendomi di evitarlo perché era pazzo.

Ancora non so se avesse ragione o torto, ma posso chiaramente ricordare che era la più bella cosa che io avessi mai visto.

I suoi lunghi capelli bruni erano liberi sulle spalle e invece di occhi comuni aveva due intense pietre di giada, così brillanti da illuminare la strada buia. Era alto e scarno, le spalle larghe erano deboli come se portasse sopra esse il peso del mondo. Quei bellissimi occhi parevano tristi ma ricordo di aver pensato a quanto dannatamente vivi fossero. Il volto era pieno di emozioni e ancora oggi non saprei dire con certezza quante esse fossero, ho perso il conto.

Era come se fosse in grado di sentire ogni cosa intorno a lui, bella o brutta.

Rimasi spiazzata quando ricambiò il mio sguardo per pochi secondi, inondandomi con tutte le sensazioni che vi passavano attraverso.

Camminò poi di nuovo nell’oscurità e come la sua figura era apparsa inaspettata nella mia visuale, così scomparve per sempre.

Non lo vidi più e non lo rivedrò mai più. Ma oh Dio, non dimenticherò mai quel veloce sguardo.

Se n’è andato.



 


Buona sera! 
Per chi è arrivato a questa nota, grazie infinite e spero immensamente che questo testo vi sia piaciuto.
Se avete voglia fatemi sapere cosa ne pensate, critiche positive e negative sono sempre ben accette!
Grazie mille,
M

  
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