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Autore: Eneri_Mess    05/07/2017    3 recensioni
Anche Keith sarebbe sparito volentieri. O quello, o avrebbe colpito Lance dritto in faccia, in risposta a un istinto di sopravvivenza che gli stava urlando mayday da mesi.
Nonostante avesse il desiderio di evaporare al riemergere di alcuni ricordi poco utili in quel preciso momento, diverse lampadine si accesero, una dopo l’altra, come fosse stato Natale, anche se più simile a un'epifania.
Il modo in cui Lance stava coccolando la maglietta di Shiro, il discorso a raffica su candele, oli, favori chiesti in giro, i progetti per quell’anno… tutto lo sproloquio riguardo all’avergli fregato la stanza e il compagno di stanza…
Anche l’ultima lampadina si accese.
« Ti piace Shiro »
[College!AU]
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kogane Keith, McClain Lance, Takashi Shirogane, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Please stay with me

 

Ad Aredhel,
volata dall’altra parte del mondo,
ma i fusi orari non ci fermano.

A Yuki Delleran,
perché è una fantastica compagna
di shipping e chiacchiere.

A SpigaRose,
che oggi ha spento le mie intenzioni
da piromane.

 

.Capitolo 1

 

Il sapore che aveva in bocca sembrava moquette ammuffita. Lance la sentiva così impastata che a malapena riuscì ad aprila. Un po’ come gli occhi, con le palpebre pesanti e incollate. Un raggio di sole filtrava dritto sul suo viso dalle tendine della finestra; si fece schermo con una mano mentre inquadrava il circondario.

Era in corridoio. Era seduto contro la porta della stanza che condivideva con Hunk e gli scoppiava la testa.

« Uuuhhg » si lamentò, cercando comodità nella cornice dell’uscio che gli aveva lasciato un segno rosso sulla pelle e i muscoli rattrappiti.

Da quant’era lì?

E perché era fuori dalla camera e non dentro?

Tentò di riordinare i pensieri, mentre provava ad alzarsi ma desistette subito; il suo stomaco eseguì una capriola con avvitamento che gli fece passare qualsiasi voglia di ingerire cibo da lì alle successive dieci ore.

Fare mente locale non fu semplice, ma dalla nebbiolina riemerse qualche immagine di una festa. Il party di “Bentornato al Campus” che la confraternita ΣΚΛ organizzava aperta a tutti, indistintamente. Lo sfacelo alcolico era la parola d’ordine, oltre all’obiettivo di conquistarsi qualcuno per la notte da cui riceve poi un trofeo.

Lance giudicò che dallo stato del suo tratto esofageo e dalla poltiglia che doveva essere il suo apparato digerente, doveva aver seguito le direttive alla lettera, almeno per il primo punto.

Ma la domanda persistente era… come diavolo era arrivato fino al dormitorio?

L’ultima volta Hunk era dovuto andare a recuperarlo la mattina dopo i bagordi. Lo aveva trovato spiaggiato su uno dei divanetti intorno alla piscina della ΣΚΛ, con una mascherina sugli occhi bordata di pizzo, addosso il reggiseno di qualcuna (trofeo rimasto appeso al soffitto della sua vecchia camera - doveva decidersi a recuperarlo) e un lenzuolo avvolto dai fianchi in giù, stretto oltre i piedi. Sull’addome qualcuno gli aveva scritto con i colori fosforescenti “don’t need pAnTZ bc i’m a meRMAID”. E a tutti gli effetti non aveva neanche le mutande. Lo spettacolo era stato prontamente immortalato per l’annuario.

In quel momento, i pantaloni li aveva ancora addosso, allacciati e con la cintura intoccata. Da lì alla conclusione deludente che non fosse successo niente fu elementare, sottolineata dalla mancanza evidente di biancheria-trofeo di cui vantarsi per iniziare l’anno nuovo.

Si tastò le tasche, muovendo piano la testa per controllare la situazione del collo intorpidito. Cellulare e chiavi del dormitorio erano andati. Sospirò. In giornata gli sarebbe toccato andare allo sportello Lost&Found, o da Pidge per farsi localizzare il telefono.

Fu nel guardarsi le mani vuote che si accorse di quello che c’era di fuori posto in lui. Si levò a sedere più dritto, mentre con le dita tirava il bordo della maglia che aveva addosso.

Era una maglia nera con una stampa a sfumature bianche. Un UFO rapiva una sventurata figura umana e una scritta a caratteri cubitali torreggiava sul disegno: “I BELIEVE”.

Il suo naso colse di riflesso un odore inconfondibile. Un sentore spesso e corroborante che conosceva bene, che dalle narici gli attraversò il resto del corpo come una corrente calda.

Oh.

Quella era una delle magliette di Shiro.

Quello era l’odore di Shiro.

Addosso a lui. Lui nella sua maglietta.

« UOH! » strillò, spaventando qualcuno in fondo al corridoio e saltando in piedi e dimenticando per un attimo i sintomi post-sbornia. Un attimo perché quello successivo si premette un palmo sulla bocca per non rimettere Dio solo sapeva cosa. L’altra mano era aggrappata al lembo inferiore della t-shirt - t-shirt che gli stava immensa. Ma era di Shiro. Di Shiro.

Reclinando la testa indietro contro la porta chiusa e il cartello che aveva affisso il giorno prima (“Le ragazze entrano senza bussare”), Lance si sforzò di richiamare i pochi brandelli di ricordi che aveva alla ricerca di indizi su quello che poteva essere successo, gli angoli della bocca spinti oltre i margini di un sorriso che definire euforico era riduttivo.

Pensieroso, si torturò le labbra con le dita, con i neuroni che chiedevano a gran voce un’aspirina, ma dei pochi flash che gli passarono davanti intravide le pareti famigliari della confraternita, le luci colorate, il bancone degli alcolici, i bagliori della piscina… poi tornò l’odore di Shiro, di nuovo, e il rumore delle molle del suo letto, inconfondibile dopo un anno passato ad ascoltarlo. Lo sguardo di Lance si dilatò pian piano, mentre le dita rimasero sulla bocca, in stallo.

Rammentava di essere stato nella sua vecchia stanza. La stanza che per un anno aveva condiviso con Shiro e…

Oooh.

Si sprimacciò le labbra con i polpastrelli, perché… perché ricordò di aver baciato qualcuno.

Guardò di nuovo la maglia che indossava. Inspirò a pieni polmoni l’aria intorno a sé, risucchiando ogni scia di quel sentore intossicante che gli mandava il cervello in brodo.

La maglietta di Shiro più il suo odore più il ricordo di essere stato nella sua (ex loro) stanza.

Un gridolino poco virile e decisamente esaltato rimbombò per il corridoio, scatenando le imprecazioni dai vicini di stanza.

Erano solo le sette del mattino del primo giorno delle lezioni, dopo tutto. Un intero nuovo anno davanti.

Dalla premessa Lance già sapeva che sarebbe stato meraviglioso.

 

Hunk lo trovò raggomitolato per terra, con la maglietta arrotolata sulla testa, abbracciato a se stesso e intento a miagolare cose incomprensibili.



°°°



 Qui è la VLTRN Camp Radio! Siaaaaaamooooooo- tornati! Il vostro bellissimo e modesto Lancillotto vi è mancato, lo so che è così, non è vero? Sì? Risponderò alle mie fan tra un attimo, non strappatevi subito le magliette!

 

Il meme audio di un coro urlante di voci femminili interruppe la diretta, seguito dallo schiocco della lingua di Lance, che ammiccò attraverso il vetro della radio. Da fuori, sullo spiazzo antistante, le studentesse che passarono in quel momento rotearono gli occhi mentre un paio di matricole risero.

 

Le vacanze sono finite, le lezioni ricominciate… ma! Sono queste le cose a cui pensare? C’è da deprimersi perché la Willow domani ci presenterà il primo test “a sorpresa”? O perché non hanno ancora bandito i broccoli dalla mensa? Su, certo che no! La cosa più importante ora è ringraziare la ΣΚΛ per la festa di ieri! Ragazzi, come farei senza di voi e i vostri knock out? Verrei a baciarvi uno per uno! Ho qui con me il trofeo di quest’anno e sono un uomo tanto felice!

 

Lance non aveva smesso di sorridere e squittire da quella mattina. Non aveva smesso di indossare la maglietta di Shiro se non per il tempo di una doccia - contando i secondi in cui ne era rimasto separato. E non aveva smesso di riempire i buchi della sua memoria recente con (possibili, a sua detta) scenari in cui lui e il suo ex compagno di stanza erano coinvolti in attività molto ravvicinate e umide.

Anche quello che non era successo ormai nella sua mente aveva già acquisito contorni molto più definiti e prossimi dei sogni a occhi aperti che si era fatto per tutta l’estate. In più, alle sue visioni, si era aggiunto il dettaglio di lui con indosso solo la maglietta di Shiro e-

Ridacchiando, dimentico del pudore e del calore delle guance - e di essere nel suo acquario personale, per via della parete di vetro della radio - selezionò una canzone dalla lista che aveva preparato e l’inizio di Call Me Maybe si sovrappose al sottofondo impostato che andò sfumando.

 

Avete fatto progetti durante la pausa estiva? Perché il vostro Lancillotto sa perfettamente cosa farà ogni giorno dei prossimi due semestri. Anche se un Mullet-Head ha provato a rovinarmi i piani, il destino è dalla mia parte!

Vi lascio alle labbra di Carly Rae “ehi, tesoro, chiamami” Jepsen. Che i vostri cellulari squillino presto! … e spero non sia vostra madre ━

 

… I trade my soul for a wish
Pennies and dimes for a kiss
I wasn't looking for this
But now you're in my way


Your stare was holding
Ripped jeans
Skin was showing
Hot night
Wind was blowing
Where you think you're going baby?


Hey I just met you
And this is crazy
But here's my number
So call me maybe
It's hard to look right at you baby
But here's my number
So call me maybe...

 

°°°




La sera di quel nuovo primo giorno all’Altea College era prossima quando il patatrac di questa storia ebbe inizio.

E, per educazione, il destino prima bussò.

 

Al secondo tentativo di Keith di sbattergli la porta in faccia, Lance infilò il piede in mezzo - e si fece male.

« AUCH! » ululò, sbattendo il palmo sull’uscio. « Che diavolo ti prende!? Fammi entrare! »

Ma Keith gli lanciò appena un’occhiata prima di riabbassare lo sguardo. Processò velocemente la situazione per ribattere, ma il nodo in gola non aiutò, insieme alla mancanza di sonno e all’infestazione di pensieri che lo aveva torturato tutto il giorno.

Non si aspettava una visita di Lance, non così presto. E poi sarebbe dovuto essere lui a cercarlo per primo. A doversi spiegare e tentare di sistemare la situazione.

A dirgli Lance, mi sono innamorato di te.   

L’ammissione fu abbastanza scioccante da farlo tornare coi piedi per terra. Realizzò di aver spostato il peso completamente sulla porta nel tentativo di chiuderla e - piede di Lance in mezzo o meno - non aiutò. Come la mano aggrappata alla maniglia per evitare che il tremore si diffondesse. Cosa stava facendo? Era miserabilmente in tilt.

« Dacci un taglio McClain, non è più la tua camera » si ritrovò a dire, con notevole sforzo nella voce per non ritrovarsi a ululare isterico. Continuò sulla stessa linea, come un funambolo concentrato per non cadere. « Non puoi fare avanti e indietro da qui come ti pare »

Lance riuscì a infilarsi per metà nella fessura della porta. Col suo fisico allampanato Keith lo credeva più fragile. Il ricordo che facesse nuoto rispose per quella sua disperata speranza di riuscire a spingerlo indietro. Ma in quel momento, così ranicchiato contro la porta come se stesse cercando di chiudere la bocca dell’inferno, Keith si sentì anche molto più basso dei due centimetri che li dividevano.

« Ladro di stanze » sibilò Lance soffocato. « Ladro di compagni di stanze » sottolineò, guardandolo torvo con l’unico occhio che spuntava dal battente.

« Hai cominciato tu l’anno scorso! » fu la risposta in tralice che Keith sputò fuori dai denti, insieme a un’occhiataccia attraverso i ciuffi di capelli e il cappuccio della felpa non particolarmente collaborativo, visto come gli stava scivolando sulla fronte.

« È stato il destino a mettermi in questa stanza! … oltre all’errore della segreteria. Quella è stata la mano del fato »

Keith doveva smettere di ascoltarlo. Di lasciarsi rimbambire dalle sue chiacchiere, facendosi trascinare nel dubbio di quello che stava blaterando e finendo col deconcentrarsi. Appena cercava di capire se fosse stupido o serio, la spuntava.

Lance scivolò dentro la stanza ed evitò il troncamento di due dita per un soffio. Essendo l’unica forza rimasta a spingere la porta, Keith la chiuse di botto dandoci quasi una testata. Il suo sguardo fulminò in un attimo il sorrisetto imperioso di Lance e il suo spolverarsi una spalla con teatralità.

« Grazie dell’invito a entrare Emo Kitty! Pensavo di disturbare! »

Keith si scostò dall’uscio infilando le mani nel tascone della felpa con un brontolio intraducibile, ricordandosi quanto non fosse una buona idea guardarlo in faccio. O fissargli le spalle. La linea del torace e giù fino ai suoi maledetti fianchi capaci di riempire ogni spazio con innata nonchalance.

Grugnì ancora, andando nella sua metà di stanza - la ex metà di stanza di Lance - per fare qualcosa. Cosa, non lo sapeva. Forse un Che vuoi sarebbe dovuta essere la sua battuta, ma non si sentiva in grado di sostenere una conversazione. Non con Lance. Non in quel momento. Forse neanche di lì a un mese.

Al diavolo il pomeriggio passato a convincersi di dovergli parlare. E spiegare. Era folle. Tutto era follia.

« Dov’è Shiro? »

Le dita di Keith artigliarono la stoffa interna della felpa mentre voltava lentamente la testa da sopra la spalla.

« Non c’è »

« Questo lo vedo da me, capitan ovvio »

Il disappunto si palesò sul viso del cubano rimarcato dalle labbra sporgenti e la fronte corrugata. Kogane aveva sperato di vederlo andar via, ma con Lance la speranza prendeva due sonniferi di troppo e lo lasciava da solo alla sua mercé.

« E quando torn- »

« Non lo so » tagliò Keith, marciando di nuovo verso la porta. L’unica cosa che si sentiva in grado di fare era macinare chilometri nei metri quadrati della stanza. Che ci fosse Lance o meno. « Ha il cellulare spento, sarà in biblioteca o in laboratorio » quando ebbe la mano sulla maniglia gli venne il dubbio - un dubbio per cui a posteriori avrebbe picchiato la testa al muro pur di star zitto - e si azzardò a sbirciare l’espressione del compagno di college. « Perché cerchi Shiro? »

Fu come essere vittima di una serranda alzata all’improvviso, di mattina, senza alcun preavviso. Keith si rintanò nelle spalle davanti al sorriso di Lance, alle sue guance coloratesi di rosa, ai suoi denti così bianchi, scintillanti in contrasto con la pelle scura.

Questa volta fu Lance a distogliere lo sguardo per primo. Gli occhi gli caddero sul letto di Shiro, e così pure tutta la sua figura, un istante dopo, con un leggero pomf.

Lo stomaco di Keith fece un salto mortale all’indietro, atterrando male.

Non andava bene. Le cose gli stavano sfuggendo di mano. Di nuovo. Per la seconda volta in meno di ventiquattr’ore.

Si schiarì la voce con poco successo.

« McClain… - si odiò per i gesti con cui indicò l’uscio - te ne devi andare »

L’espressione dell’altro si fece perplessa, ma non colse il suggerimento.

« Perché ti ostini a chiamarmi McClain? »

Keith non capì lo scopo della domanda, non capì proprio la domanda perché stava fissando la mano di Lance accarezzare il copriletto di Shiro. Qualcosa nel suo cervello si mosse per lui.

« Lance? » provò, con un rospo incastrato in gola. « Te ne puoi andare, Lance? »

Un sopracciglio di Lance si curvò verso il basso, l’altro si arcuò verso l’alto. In due pennellate perfette. Come ci riusciva.

« Ti ho fatto qualcosa? O è una giornata no? Perché se fosse una giornata no - fece spallucce - sappi che il mondo va avanti lo stesso, Keithy. E perché stai con la felpa se fuori ci sono ancora trenta gradi? »

Keith ponderò sulla cosa giusta da fare in quel momento… tipo, massaggiarsi le tempie con espressione da martire? Afferrarlo e buttarlo fuori di peso prima che i nervi gli cedessero? Ignorarlo, infilarsi le cuffiette dell’MP3, ignorarlo, buttarsi a letto e poi ignorarlo ancora?

Nel dubbio, incrociò le braccia, moderò interiormente il tono per l’ennesima volta e cercò di prenderla dal verso giusto, con le buone. Più o meno.

« Non mi serve nessuna morale. Sono stanco - il che era vero - e devo ancora finire di sistemare la mia roba - cento punti per la sincerità - perciò… vorrei restare solo » sull’ultima affermazione una vocina nella sua testa ebbe da ridire, ma fu imbavagliata e buttata in un angolo.

Lo sguardo di Lance si spostò dal ragazzo alla zona della stanza che era stata sua. E che sembrava ancora sua.

Oltre la libreria a mo’ di separé, sui muri, sulle mensole, un po’ ovunque in giro, c’erano rimaste tracce del suo primo anno. Non si era disturbato a togliere niente, convinto che ci sarebbe tornato. Quindi poster, fumetti, fotografie, le lucine a forma di lanterne colorate, qualcuno dei suoi trofei (tra cui il reggiseno che spenzolava dal soffitto) erano lì, in mezzo a scatole con scritto sopra “Keith - College”, libri di testo e indumenti il cui colore più vivace sembrava un rosso “chiazza di sangue”.

Anche Lance incrociò le braccia e per un momento sembrò combattuto sul cosa dire. Se riconoscere a voce alta di dover raccattare quello che aveva lasciato per fare spazio al nuovo inquilino, o prendersela ancora col suddetto inquilino abusivo. Non ebbe molti dubbi a scegliere la seconda opzione e rivolgere uno sguardo graffiante a Keith.

« Sei stato subdolo a scavalcarmi così »

Gli occhi di Keith sbatterono un paio di volte di moto non intenzionale.

« Cosa!? »

« Certo, ora dirai di nuovo Ho solo scritto di voler stare con Shiro perché siamo amici di infanzia, gne gne gne » scimmiottò Lance con vocina irritante e una mano chiusa a becco per fargli il verso, mentre a ogni onomatopea molesta Keith sentì un tic nervoso montargli dentro.

« Ho presentato la stessa domanda dell’anno scorso » replicò, sentendo finalmente una parvenza di durezza venargli il tono. « Ma perché ne stiamo ancora discutendo!? Qual è il problema!? » si trovò a gesticolare senza volerlo e si tolse il cappuccio dalla testa, sentendo il collo riscaldarsi.

« Il problema, Keithy, sta che ho dei piani ben precisi e tu hai tentato di mandarmeli all’aria! » Lance gli si piazzò davanti, il dito indice come proprio metaforico ambasciatore, facendo sentire l’altro irragionevolmente troppo basso. « Stammi a sentire: ho passato l’estate a pianificare il mio rientro al college. Per iniziare, avrei tolto di mezzo questa inutile libreria ruba-visione - e nel profondersi in un gesto ampio delle braccia verso la metà di stanza di Shiro a Keith fece venire in mente la scena del Re Leone “un giorno tutto questo sarà tuo” - Poi ho comprato delle costosissime candele profumate e un olio per cui ho speso i guadagni di tre settimane di lavoro al bar di mio zio, pagato in mance - non prese nemmeno fiato per continuare - Per avere il duplicato delle chiavi della piscina ho promesso all’inserviente di coprire il suo turno del Mercoledì così che possa andare alle lezioni di tango con la moglie! Ho dovuto sottoscrivere un abbonamento a Conigliette Hot a nome mio per quei pervertiti dell’orchestra studentesca per farmi registrare la colonna sonora perfetta » nell’elencare quella sequela delirante Lance si era fatto sempre più vicino a Keith, fino a invadere completamente il suo spazio vitale, il dito indice che sottolineava ogni passaggio battendo al centro del suo petto.

Ma Kogane aveva smesso di respirare da almeno un minuto, gli occhi spalancati fissi nella sfumatura blu di quelli di Lance. Aveva registrato parole sparse dell’intero discorso - candele, piscina, tango e hot - perché il resto stava evaporando insieme al suo istinto di autoconservazione. Non aveva forse passato la giornata a convincersi di dover svuotare il sacco con Lance? Una qualche parte del suo cervello interpretò quella vicinanza come il segnale giusto. Gli afferrò la mano, interrompendolo.

« Senti Mc… Lance… » il calore al collo ora si era espanso ovunque, soprattutto nella zona delle orecchie. Ringraziò di avere i capelli scarmigliati a coprirgliele. « Io… »

« Risparmiati le scuse Keithy! » lo frenò Lance, svincolandosi e facendosi indietro per tornare al centro della stanza, mani sui fianchi.

Non sembrava più infervorato, ma Keith stava già facendo i conti con l’imbarazzo, e il dispiacere, di essere stato piantato lì con le parole sulle labbra. Lance non se ne accorse e non colse l’espressione smarrita e tentennante. O meglio, la equivocò del tutto.

« Quel che è stato è stato, sono una persona dal cuore grande e perdonerò questa tua cattiveria di inizio semestre. E poi, qualsiasi fosse il tuo intento… -proseguì col sorriso di chi si sveglia pensando a quanto sia meravigliosa la vita - … la Dea Ochùn veglia su di me »

Keith sapeva che sostenere una conversazione sensata con Lance non era umanamente possibile. O lui non ne era capace, ma in un anno di conoscenza, per quanto discontinua, sembrava essere l’altro a non riuscire a mettere insieme delle parole di senso compiuto.

Il disorientamento fu probabilmente la causa per cui Keith registrò un dettaglio grande quanto una torre.

Se credeva che la sua testa fosse in grado di elaborare pensieri ragionevoli, nonostante il subbuglio interiore, l’idea avvampò come metà del suo cervello. Al contrario, se fino a quel momento aveva sentito una specie di calore molestarlo durante la conversazione, un brivido molto simile a un cubetto di ghiaccio gli attraversò la schiena.

« Quella… - esalò, non certo di come si facesse a parlare - quella maglietta… »  

Le guance di Lance si imporporarono come quelle di una fanciulla al ballo delle debuttanti.

« Oh, l’hai notata? Mi sta un po’ grandina, ma considerando di chi è… » e nel dirlo, Lance si abbracciò. Le mani si strinsero intorno alle proprie spalle, l’espressione beata, e la scritta I BELIEVE sparì nelle pieghe della stoffa.

Anche Keith sarebbe sparito volentieri. O quello, o avrebbe colpito Lance dritto in faccia, in risposta a un istinto di sopravvivenza che gli stava urlando mayday da mesi.

Nonostante avesse il desiderio di evaporare al riemergere di alcuni ricordi poco utili in quel preciso momento, diverse lampadine si accesero, una dopo l’altra, come fosse stato Natale, anche se più simile a un'epifania.

Il modo in cui Lance stava coccolando la maglietta di Shiro, il discorso a raffica su candele, oli, favori chiesti in giro, i progetti per quell’anno… tutto lo sproloquio riguardo all’avergli fregato la stanza e il compagno di stanza…

Anche l’ultima lampadina si accese.

« Ti piace Shiro »

Lo pensò a voce molto alta. Così alta che sentì il proprio tono rimbombargli nelle orecchie prima di estinguersi miseramente nella distanza che lo separava da Lance.

Il rossore di quest’ultimo si diffuse un po’ ovunque, ma, cocciuto, mantenne la stessa espressione sfacciata.

« Dlin-dlon Keithy, hai vinto una bambolina » motteggiò, cercando di riacquistare un po’ di nonchalance. « Forse ora ti renderai conto del mio dram- »

« Ti piace Shiro » ripeté Keith, parlandogli sopra, il tono riecheggiante tra le pareti della stanza in un’enfasi troppo calzata.

La fronte di Lance si corrugò e le braccia incrociate ebbero un guizzo.

« Sì, mi piace Shiro - il suo sguardo si assottigliò riflettendo il formarsi di un nuovo pensiero - Ti crea qualche problema? »

Se Keith non fosse stato preda di un blackout interiore e di una bocca così asciutta da rendergli impossibile replicare, la risposta sarebbe stata . Quello era un problema. Un fottuto problema. Soprattutto quando al riavvio delle facoltà intellettive la cascata di pensieri riuscì solo a irrigidirlo con fantasie davvero poco utili di Lance e Shiro, di candele e oli, di piscine e tango…

« Ti piace Shiro…! »

In realtà, dentro di sé suonò più come non può piacerti Shiro. Anche seguito da una buona dose di argomentazioni (molto valide per lui) che cominciavano da “Shiro è come un fratello per me” a “Tu sei quello a cui io-”.

Le dita di Keith si irrigidirono lungo i fianchi e si chiusero a pugno. Dalla prospettiva di Lance fu una mossa mal interpretata, ma Keith stava cercando di scendere a patti con le proprie sensazioni ronzanti per registrare quello che aveva intorno. Per immaginare cosa stesse per succedere. Cosa avesse innescato.  

Lance era sempre più sulla difensiva, la schiena dritta e la punta del naso alta, arricciata, alla ricerca di puzza di bruciato.

« Ti si è impallato il disco? Vedi di essere chiaro, qual è il… tuo… - la sua espressione cedette a ogni sillaba, gli occhi si fecero tondi come palline da tennis. Sobbalzò - AH! »  

Keith trasalì di rimando, sbattendo contro la porta alle sue spalle. Il dito indice di Lance era un fucile puntato, la sua faccia una maschera di melodrammatica consapevolezza.

« ANCHE A TE PIACE SHIRO! »

« COSA!? »

Cadde un silenzio breve, premessa al disastro.  

« Lo sapevo! Non potevo fidarmi di te! » la sua voce era scioccata. Lance era scioccato.

Keith, al contrario, lo stava fissando come un alieno, mentre i collegamenti tra le sue sinapsi erano di nuovo interrotti. Aprì bocca, ma l’altro gli parlò sopra.

« Tutte quelle storie sul considerarlo un fratello! Il tuo migliore amico! E Shiro non sa nulla! »

« Cos- Non hai capito niente! »

Parole sbagliate. Sbagliatissime.

Lance gli fu addosso gesticolando con invadenza, gli occhi così contratti che il suo blu brillava.

« Oh, non me la fai! Ho capito benissimo! L’hai voluto tutto per te quest’anno, solo voi due, nella stessa stanza! Vuoi dirgli che non lo vedi più come un fratello? Che l’amicizia non ti basta più!? »

Keith, con le spalle all’angolo, stava cercando di trovare uno spiraglio nello sproloquio per intervenire, per zittirlo e magari ridare ossigeno ai muscoli tesi come pezzi di legno.

Aveva Lance addosso, ma non nel modo in cui avrebbe voluto.

« … se credi che mi tirerò indietro perché ho meno chance di te ti sbagli! »

« Vuoi stare zitto un secondo!? » sbottò Keith.

« No! Non ho passato tutta l’estate a progettare il momento perfetto per dire a Shiro quello che provo! Non ti lascerò soffiarmelo da sotto il naso! »

Il cuore di Keith perse un singolo quanto necessario battito nel realizzare quanto non detto ci fosse in quelle affermazioni. L’irritazione di volerlo far tacere sparì, soppiantata da qualcosa di freddo e familiare che gli irrigidì la mascella. Eccola, la sensazione di essere un’ombra di sfondo agli occhi di chi si vorrebbe ci notasse.

« Provi qualcosa per lui… dall’anno scorso? »

Lance lo studiò, ma era troppo furente per carpire qualcosa.

« Già »

Il pensiero di Lance e Shiro insieme ebbe un sapore molto amaro nell’immaginario di Keith. Per quanto più volte si fosse sentito recriminare per la propria mancanza di fantasia, riuscì a figurarseli insieme molto nitidamente, sorridenti l’uno per l’altro, senza niente e nessuno a distrarli.

Ma prima che la ragione avesse il tempo di elaborare, l’impulsività si mise in mezzo per tagliare di netto quella visione che non doveva realizzarsi.

« Non puoi avere Shiro » disse in quello che parve un mezzo ringhio così vibrante che l’altro ragazzo si tirò indietro. « Non ti lascerò Shiro » precisò.

La mascella di Lance si serrò per effetto della minaccia. Ma dargliela vinta non era un’opzione.

« Sei serio? È una sfida? »

« A chi lo conquista per primo »

 

°°°



Qui è Lancillotto per la buonanotte da VLTRN Camp Radio. Prima di mandarvi a sognare la vostra crush vi ricordo che l’anno è appena iniziato. Sarà lungo. Feroce. Sanguinario.

Vedrà un unico vincitore alla fine.

Perché questa è guerra.

 

… Hey, hey
You, you
I don't like your girlfriend
No way, no way
I think you need a new one
Hey, hey
You, you
I could be your girlfriend...


 

Mi hai sentito? Parlo con te, Mullet-head!

QUESTA

È

GUER-

 

… Hey, hey
You, you
I know that you like me
No way, no way
No, it's not a secret
Hey, hey
You, you
I want to be your girlfriend...

 

°°°

 

Erano quasi le dieci quando la porta della camera si aprì di nuovo.

Shiro se la chiuse alle spalle con un lungo sospiro estatico. Sorrideva a niente in particolare, come se avesse scoperto un nuovo sentimento, tra il toccare il cielo con un dito e-

Gasp. Trasalì contro l’uscio quando inquadrò Keith, immobile a fissarlo ad appena tre passi di distanza.

« K-Keith, amico, che cos’è quella faccia? »

Il ragazzo aveva lo sguardo spalancato, spiritato, sopra le occhiaie profonde e sotto i ciuffi della frangia. A tratti gli occhi si contraevano, riflettendo una sorta di lotta interiore. Il cappuccio della felpa era di nuovo sulla sua testa, conferendogli un’aria inquietante molto vicina a quella di un killer seriale. Il filo rosso di una cuffietta correva lungo il suo torace, sparendo nel tascone; contro la stoffa si intravedeva la sagoma del suo cellulare.

« Dove sei stato? »

Il tono rifletteva l’insieme della sua figura, a metà tra il cavernoso e una punta, minima, di isterismo. Come una ciliegina su una torta di glassa nera; una torta che a breve sarebbe esplosa.

Shiro si irrigidì alla domanda davvero troppo inquisitoria, soprattutto sapendo che avrebbe dovuto mentire.

« Mi sono attardato in laboratorio » replicò calmo e asciutto. Coordinò il tutto con una piccola smorfia stanca, ma non lasciò andare la presa sui libri. Anzi, la raddoppiò per la tensione.

Keith assottigliò lo sguardo, ma non sembrava stesse fissando lui davvero. O meglio, fissava il suo intero, lo metteva a fuoco un attimo ma poi dava l’impressione di distrarsi, in realtà concentrato su altro. Replicò dopo una lunga pausa.

« Sei rosso. In faccia »

Sangue freddo Shiro, sangue freddo, si ripeté il più grande. Farsi sgamare ad appena un giorno dall’inizio delle lezioni dal proprio migliore amico non era nei suoi progetti. Non dopo tutta la fatica degli ultimi mesi. Anche se mentirgli era l’ultima cosa che avrebbe mai voluto fare, per quanto non fosse questione di vita di morte, ma solo di tempo. Si sarebbe fatto perdonare. E sapeva che Keith avrebbe capito le sue ragioni, più in là.

« Ho visto l’ora e ho fatto una corsa » spiegò mettendo su la sua migliore espressione di scuse. Si mosse a sistemare borsa e libri sulla scrivania e cambiò discorso. « Non sono ancora andato a mangiare, tu hai fame? Facciamo una volata in mensa a vedere cos’è rimasto? »

Keith aprì la bocca.

La richiuse, pigiandosi l’auricolare meglio nell’orecchio.

La aprì di nuovo e a fatica sembrò comporre una frase.

« Non ho… non ho fame » e suonò quasi come una domanda, facendo alzare un sopracciglio interrogativo all’amico. La sua espressione smarrita altrove persisteva e Shiro lo osservò smanettare col cellulare nella tasca della felpa.

« Ti senti bene? » chiese, dimentico dei propri segreti. « Sei palli- »

« Sto bene! È colpa di quell’idiota! » sbottò Keith all’improvviso. Si tolse la cuffietta che aveva nell’orecchio e da cui provenne un sottofondo chiassoso pop-punk che attirò un secondo sguardo perplesso da Shiro.

« È Avril Lavigne? »

Ma Keith, con un gemito frustrato riassuntivo di quella giornata disastrosa, arrotolò le cuffie intorno al cellulare e buttò il tutto sul proprio letto sfatto. « Io- » sbuffò, o ringhiò, il confine fu minimo. « Andiamo a mangiare » e fu feroce nel dirlo.

Shiro sbatté le palpebre e annuì, ma non si azzardò a ribattere. Aprì la porta della stanza e lo fece passare per primo.

 

 

To be continued?

 

Se siete arrivati fino a qui, GRAZIE, grazie mille di aver letto.

Se volete tirarmi qualcosa, per favore oggetti utili.

Ad ogni modo, questa impresa. Questa college!AU che non è per niente il mio genere, ma è avviata e be’, l’intento di continuare a scriverla c’è. Mi ero fatta un elenco mentale di cosa volessi dire a riguardo, ma non mi ricordo più. Solo, ecco, non vi aspettate chissà cosa. Intanto ho un problema assurdo a far parlare i personaggi, soprattutto Lance (non lo so scrivere ç_ç), secondo il fluff non è che sia il mio pane quotidiano. Lo adoro, è dolcissimo (!), ma non lo so gestire. Però questa storia sarà parecchio hurt/comfort, perché Keith e Lance sono due cretini patentati.

Ah ecco. Questa storia sarà piena di canzoni e gente che canta (improvvisa?) cover. Passatemele, ci sarà un po’ di tutto, ma io ho dei gusti (?) musicali discutibili. Radio “VLTRN” è impronunciabile, ma graficamente non è male. Tanto lo scioglilingua lo lasciamo a Lance.

Ah. Forse una cosa importante c’è: se avete avuto la sensazione che mancasse qualcosa, tutto regolare.

Che altro aggiungere? Sì ecco, se scrivevo una ShKLance mi risparmiavo un sacco di problemi tbh.

 

Alla prossima!

Nefelibata ~

   
 
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