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Autore: Ayr    07/07/2017    3 recensioni
"Ivory, a quanto pare sei riuscito a distinguerti per abilità, coraggio ed un pizzico di fortuna in mezzo a quella turba di guerrieri grandi il doppio di te, e sei anche riuscito a prevalere su di loro. Ciò significa che sei il migliore tra questi e che sei colui che è destinato a compiere la missione» il tono della sovrana si era fatto improvvisamente grave e serio, facendo preoccupare l'elfo, «Ciò che sto per chiederti è molto pericoloso e potrebbe anche essere considerato tradimento, se prima di questo non ne fosse già stato compiuto un altro: mia sorella, dopo l'ultima visita, mi ha sottratto una cosa a me molto cara, nella speranza che non mi accorgessi della sua assenza... Si tratta di uno specchio"
Quando Ivory sentì quelle parole uscire dalle labbra della Regina Rossa, pensò ad uno scherzo di cattivo gusto: come poteva uno specchio essere oggetto di una tale contesa?
Ma nulla è come sembra, e anche lo specchio non è una semplice superficie riflettente, bensì un oggetto pericoloso e affascinante, che ammalia e promette di realizzare i più profondi desideri di un uomo...a caro prezzo
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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XII

Ivory era intenzionato a scoprire come funzionasse lo specchio: sapeva che donava giovinezza e bellezza, ma temeva che la sottraesse ad altri. 
Da quando Brandbury era diventato intimo della regina sembrava essersi ammalato: era diventato pallido e spento, la sua abituale vitalità si era affievolita, e la scintilla che gli accendeva lo sguardo si era estinta. Era preoccupato per l'incolumità del fratello e voleva capire il cambiamento fosse collegato, in qualche modo, allo specchio. Quest'ultimo era un artefatto affascinante e pericoloso, come Brandbury gli aveva spiegato, e non stentava a credere che fosse coinvolto. 
Il fratello gli aveva confessato ogni cosa in gran segreto, con voce tremante e smorzata, rompendo la promessa fatta a Celeste di non farne parola con nessuno; ma l'urgenza e l'apprensione con cui gli aveva sussurrati quella scoperta, non erano dovute all'angoscia per il tradimento, bensì alle proprietà dello specchio stesso. Brandbury credeva che l'oggetto racchiudesse un'aura malvagia e velenifera, capace non solo di rendere chi vi si specchiava dipendente ma anche spingendolo ad azioni spietate per il suo possesso. Il ragazzo, però, non aveva saputo dire quale fosse il meccanismo che sottendeva tale potere.  
L'elfo attraversò i corridoi a passo sostenuto, alla ricerca della camera da letto della regina, dove sapeva essere custodito lo specchio; Brand gli aveva rivelato anche quel particolare, dimostrando come la sua strategia fosse stata meravigliosamente efficace.
Come il fratello, anche lui era diventata una presenza abituale e scontata: nessuno più lo fermava chiedendogli dove fosse diretto o impedendogli l’accesso a determinati locali del palazzo, e arrivò senza alcun ostacolo fino all’ala est, dove si trovava la stanza, sita in modo che la Regina potesse ricevere il tiepido bacio dei primi raggi del sole. Era una zona più spartana, dove le vetrate si limitavano a ricoprire una sola parete, mostrando squarci dell’Ansa dell’Amias e del villaggio di Bucaneve, che sorgeva nei suoi pressi; i soffitti erano stuccati e decorati con motivi floreali e il pavimento era di legno chiaro, così come le porte che si affacciavano sul corridoio. Quella parte non era fatta per sorprendere l’ospite e lasciarlo senza fiato ma era stata concepita come un luogo che donasse pace e serenità, senza alcuna pretesa di affascinarlo e suggestionarlo con arditi giochi di luce.
Un urlo disumano, risuonò improvvisamente per i corridoi silenziosi, non una guardia presidiava quell’ala del palazzo e Ivory fu l’unico ad udirlo. Il sangue gli ghiacciò nelle vene: aveva riconosciuto la voce di Brandbury.
Si precipitò verso il luogo da cui era provenuta e non appena aprì la porta della stanza da letto della regina, rimase pietrificato dalla scena che gli si parò davanti: Brandbury era riverso sul letto, sotto di lui sbocciavano fiori cremisi che insanguinavano le lenzuola, gli occhi e la bocca erano spalancati in un muto grido di sorpresa. Sopra di lui, torreggiava la Regina Bianca, simile all’angelo della morte: la pelle era di un pallore cadaverico e i lunghi capelli rossi simili a fili di sangue strisciavano sull’abito crema, su cui fiorivano gocce amaranto; tra le mani stringeva un lungo spillone, di quelli che si usavano per fermare i cappelli.
La donna si voltò, aveva gli occhi rossi e gonfi e calde lacrime rigavano le guance, sciogliendo il trucco. Aveva un aspetto diverso, non solo per il fatto che fosse sfatto e distrutto, ma pareva più maturo, quasi che in una notte fossero trascorsi dieci anni: il suo viso aveva perso la freschezza e l’innocenza infantile, ed era diventato più simile a quello di una donna che aveva superato l’acerba indecisione delle forme della giovinezza.
«Non volevo» mormorò, guardando inorridita le proprie mani e lo spillone macchiato di sangue, con cui aveva squarciato la gola del ragazzo. 
«Non volevo» ripeté meccanicamente, con voce atona e flebile. Aveva cominciato a tremare vistosamente e lo spillone le cadde dalle dita frementi con un tintinnio cristallino, che risuonò lugubre nel silenzio tombale della stanza.
«Non volevo!» urlò infine, tremando convulsamente, «Ma ho dovuto! Ne avevo bisogno! Lo specchio, lo specchio ne aveva bisogno! E io avevo bisogno dello specchio!»
Ivory temette che avesse perso completamente la ragione e stesse vaneggiando. La vide incespicare verso la parete dove era appeso uno specchio quadrangolare dall’elaborata cornice dorata e la superficie leggermente ossidata; era un oggetto piuttosto squallido e banale, ma pareva avere una grande importanza per la donna.
Non appena vi si specchiò, il suo volto si spianò e ringiovanì: davanti allo sguardo stupefatto dell’altro, la pelle tornò liscia e perfetta, luminosa e serica, le rughe si distesero e le labbra riacquistarono la loro bellezza seducente. Il tempo pareva essersi cristallizzato su quel viso in un attimo di eterna giovinezza e sublime bellezza.
«Una vita in cambio di una vita» sussurrò lugubre con lo sguardo fisso alla superficie riflettente, «è il tributo di sangue che lo specchio richiede, e Biancospino è stato il pagamento.»
Ivory ebbe una fugace visione del riflesso della donna e ciò che vide lo lasciò senza parole: l’immagine che lo specchio restituiva era quella di un mostro in cui il tempo impietoso aveva scavato la pelle e la carne, mentre il vizio, il peccato e le azioni truculente e imperdonabili avevano corrotto e consunto il volto rendendolo irriconoscibile, e riducendolo ad un ammasso di carne putrida, purulenta, molle e crepata di rughe, pregna di sangue. Tutte le brutture dell’animo della Regina erano imprigionate in quel riflesso, e di lei si aveva solo l’ingannevole immagine dolce, gentile e innocente. Quella visione disgustosa continuava ad alternarsi in un macabro gioco di maschere e volti con il riflesso del volto perfetto della regina, lasciando l’elfo paralizzato dall’orrore e dalla meraviglia.
«Fui io a scoprire il segreto dello specchio» iniziò la donna, «e feci l’errore- il madornale errore- di rivelarlo a mia sorella. Glielo mostrai, perché mi credesse e non mi considerasse una pazza come credevano tutti: davanti ai suoi occhi ringiovanii di due anni, lasciandola senza parole e senza fiato. Avevo scoperto il segreto per l’eterna giovinezza e una bellezza imperitura! Da allora lo specchio divenne per lei un’ossessione: aveva paura del tempo, che corre senza chiedere, che passa e ti investe, lasciandoti a terra sanguinante, senza rimorsi né sensi di colpa, che va sempre avanti passa oltre e sparisce. Le faceva paura la vita, così irraggiungibile, piena, incontrollabile, e la morte che ne sarebbe seguita con il disfacimento della bellezza che avrebbe portato con sé. Guardava con orrore i giorni che trascorrevano inesorabili e che portavano via un frammento della sua avvenenza. A poco a poco si sarebbe ridotta ad un cumulo di rughe e pelle cadente e quella visione la terrorizzava» la donna riprese fiato, cercando di controllare il tremore delle mani e della voce, «Fu lei, però, a scoprire il tributo di sangue, e con esso il segreto per la vita eterna: lo specchio non si limita a concedere giovinezza e splendore, annullando il trascorrere dei giorni e degli anni, ma assorbe la linfa vitale di chi viene ucciso davanti a lui e la restituisce a chi vi si specchia. Fu così che iniziò la spirale di sangue che avvolse mia sorella: la sua prima vittima fu nostra madre, e da allora il terrore per la vecchiaia, e con essa della morte, la trascinò in un vortice di perdizione e omicidi. Lei, però, rimaneva sempre pura e bellissima, il suo riflesso a nascondere le sue malvagità.
Io fuggii, terrorizzata da quello che mi sorella era diventata, e mi ritirai in questi luoghi impervi e inospitali, ma candidi e intonsi. L’incubo della vecchiaia e della morte, però, raggiunse anche me, e con essa, la smania per lo specchio e il desiderio irrefrenabile di specchiarmi, anche solo per un momento, anche solo per riprendermi due anni di vita e rubarli al passato e alla morte. Periodicamente tornavo da mia sorella e ne approfittavo per usufruire del potere dello specchio. Con il passare del tempo, però, l’effetto iniziò a svanire più in fretta e le mie visite si fecero più frequenti e ravvicinate. Mia sorella cominciò a sospettare che non fossero dettate solo dall’affetto fraterno e dalla nostalgia, l’assillo l’aveva inasprita e inaridita, bruciandole ogni sentimento e rendendola fredda, spietata e crudele, ma nel contempo aveva acuito la sua attenzione, quasi fino alla paranoia; era gelosa del suo tesoro e l’ossessione per esso l’aveva quasi spinta sull’orlo della follia.» la regina sfiorò la cornice, e qualche lacrima di sangue rimase impigliata tra gli intricati arabeschi di bronzo dorato, «Le ho sottratto lo specchio, dicendo a me stessa che era per il suo bene, che l’avrei salvata…Ma la verità è che lo volevo tutto per me, soprattutto ora che il suo effetto ha iniziato a svanire rapidamente. Credevo che sarei stata capace di resistere al suo potere, che avrei potuto farne a meno. Avevo negli occhi ancora l’immagine agghiacciante di mia sorella. Ma il terrore della morte era più forte e ha preso il sopravvento, trascinandomi nel mio incubo peggiore»
Ivory era rimasto immobile, troppo sconvolto e incredulo anche solo per pensare: non poteva credere che Brand fosse morto, la sua mente si rifiutava di concepire un simile pensiero, e lo rigettava con disgusto e orrore; era troppo assurda e inaspettata, inconcepibile. Il suo sguardo non riusciva a staccarsi dagli occhi vitrei del ragazzo, puntati verso il soffitto a cassettoni. Le rivelazioni della donna gli sembravano folli, i vaneggiamenti di una mente malata e questo serviva a rendere l’assassinio di Brand più insopportabile. La regina seguì il suo sguardo e scivolò verso il ragazzo, prese ad accarezzarlo dolcemente, sfiorando le guance fredde e le labbra sottili, a cui tante volte aveva strappato un bacio.
«Non toccarlo!» sibilò l’elfo, minaccioso, la mano che scattò automaticamente verso l’elsa di una spada inesistente. Dovendosi fingere un cantore aveva lasciato le sue armi nel baule della sua stanza, sotto chiave.
La regina lo ignorò, «Non mi crederesti se ti dicessi che lo amavo» le sue dita iniziarono a giocare con i capelli biondi dell’altro, sporchi di sangue, «Eppure è così: era l’unico che riuscisse ad andare oltre il mio bel viso e a vedere che cosa fossi veramente.»
«Una strega psicopatica e omicida?» sputò con vemenza Ivory, fremente di rabbia. L’immobilità data dalla sorpresa e dal dolore si era trasformata in una furia cieca che ribolliva e schiumava come la cascata dell’Amias: avrebbe ucciso quella bestia disumana e vendicato la morte dell’amato fratello.
La regina non parve averlo udito, o lo ignorò deliberatamente, e con una delicatezza e una dolcezza sorprendenti abbassò le palpebre del ragazzo.
«Non volevo ucciderlo, ma l’ho sorpreso mentre cercava di distruggere lo specchio. L’ho fermato in tempo, prima che la mia fonte di vita eterna venisse frantumata» la lama sottile e affilata di uno stiletto spuntò tra le dita ingioiellate della donna, «Conosceva troppe cose, ho fatto l’errore di rivelargli troppi segreti. Non ho pensato che questo potesse rivoltarsi contro di me» la donna si rigirava l’arma tra le dita. Ivory stava cercando febbrilmente qualcosa per contrastarla, ma lo spillone era rotolato troppo lontano da lui e non aveva con sé nemmeno una lama.
«Purtroppo lo stesso vale per te: mi spiace doverti uccidere, ma sei a conoscenza di troppe informazioni e non posso permettermi che vengano diffuse. Spero tu possa capir e e perdonarmi.»
La regina si slanciò verso Ivory, ma l’elfo aveva anni di addestramento e campi di battaglia alle spalle, e schivò con facilità il fendente della donna, le afferrò il polso e volando alle sue spalle le torse il braccio, costringendola a mollare la presa. Qualsiasi tentativo di gridare e chiamare aiuto venne prontamente soffocato dalla mano dell’altro premuta contro la sua bocca.
La regina cercò di divincolarsi, ma la presa del guerriero era ferrea e stretta, come una morsa. Celeste, allora, fece scattare la testa all’indietro e colpì il volto dell’altro con tutta la forza che aveva. Ivory fu costretto a liberarla, stordito dal colpo. Sangue dorato, caldo e vischioso gocciolava dal setto rotto.
«Sei un mostro!» sibilò.
«I miei crimini sono uguali ai tuoi: quante persone innocenti hai ucciso, quando volte hai peccato di lussuria, di invidia o di ingordigia? Non sei esente da desideri di denaro e di potere più di quanto lo sia io, e la brama ti ha portato a uccidere, rubare o ingannare. Non sei migliore di me!»
La regina scattò verso il pugnale caduto a terra e lo lanciò verso l’elfo, che lo schivò con agilità. La lama andò a conficcarsi nella parete, lacerando la carta da parati; la donna si gettò su Ivory con le ultime armi che le rimanevano a disposizione: le unghie e le mani.
Caddero entrambi a terra e Celeste avvolse le lunghe dita curate sulla gola dell’altro, togliendogli il fiato: Ivory boccheggiò in cerca d’aria e cercò di allontanare la donna, seduta a cavalcioni sul suo petto. Afferrò i polsi della donna, cercando di allentare la presa, i suoi polmoni iniziarono a bruciare per la mancanza d’aria.
Con uno sforzo sovraumano, riuscì a strappare quegli artigli lontano dal suo collo e a scaraventare la donna lontano da lui, contro il tavolo da toeletta. Lo specchio che lo sovrastava andò in frantumi.

   
 
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