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Autore: chaorie    08/07/2017    1 recensioni
Apollo prova un amore immenso per il principe spartano Giacinto. Ma la loro è una relazione fatta di assenze e non di presenze e Giacinto desidera essere ricordato per sempre dal dio che, ancor oggi, canta di lui.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Apollo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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To love and to destroy


 

Il sole illuminava il volto del giovane, disteso com’era su quel prato incolto, dormiente. Il petto gli si alzava lentamente al di sotto della stoffa bianca della sua tunica, sgualcita oramai in diversi punti. I sandali di cuoio erano stati lasciati vicino la corteccia dell’albero che gli fungeva da riparo dai raggi solari. La quiete che avvolgeva quel luogo era interrotta solo dal fruscio del vento. Zefiro, con la sua brezza leggera, gli accarezzava il viso ed i riccioli scuri, procurandogli una tranquillità non indifferente in in un’esistenza segnata dalla violenza.
La primavera era finalmente giunta a Sparta e Giacinto si crogiolava nel suo ozio, sfuggendo ai doveri reali. Se solo avesse potuto fuggire per sempre, rinunciare a tutto quello che aveva — che per lui era niente in ogni caso. Tutto gli provocava una fredda indifferenza che, infondo, gli pesava in cuor suo. Non riusciva ad interessarsi a niente. Era difficile vivere una vita senza stimoli.
Se ci pensava attentamente poteva associare quella parola a qualcosa, a qualcuno. A confronto, però, lui era miseramente effimero.
In lontananza incominciò a diffondersi il dolce riverbero di una lira. Si accentuava man mano e dei passi delicati stavano calpestando l’erba morbida.

 

Oh, mio amato

che dormi beato

con il mio canto

destarti

sei pregato

 

Quella voce era eterea e quelle parole intrise di magia.
Poteva, chi cantava, rinunciare alla magia delle parole? Giacinto sapeva che quell’essere sarebbe morto se gli fosse stato proibito di cantare.
Nonostante si fosse destato — come gli era stato pregato di fare — Giacinto non accennò ad aprire gli occhi. Il dio probabilmente se ne accorse. Aveva un sorriso divertito sul suo volto abbronzato.
Con sé portava un arco che poggiò delicatamente vicino ai sandali del giovane principe. La lira, invece, scomparve.


“Una vita così effimera trascorsa a dormire…” sospirò il dio, sedendosi di fianco a Giacinto che in quel momento fu preso da un forte desiderio di pizzicargli la pelle ma si limitò a commentare le parole pronunciate.

“Possa il divino Apollo perdonare la mia accidia”. Una tale sfacciataggine avrebbe provocato l’ira di qualsiasi divinità ma in Apollo, che conosceva bene il modo di porsi di Giacinto, solo una fragorosa risata. Si chiese perché fra tanti proprio un principe sfacciato.

Le sue dita lunghe si infilarono fra la chioma di Giacinto per giocare con i suoi ricci. Quanto tempo era trascorso dall’ultima volta che l’aveva fatto? Come se il giovane lo avesse letto nel pensiero gli mormorò, girandosi su un fianco e posando il capo sulle sue gambe, con voce triste.

“Due settimane. È il tempo che ho dovuto trascorrere senza vederti”.

Apollo si ritrovò gli occhi del principe puntati addosso. Quelle iridi gli trasmisero una tristezza inenarrabile. Lo investì come un macigno. E si chiese ancora come poteva un essere mortale provare così tanta tristezza? Apollo proprio non se lo sapeva spiegare.
Il suo amato non aveva torto. Era sparito senza avvertire. D’altra parte lui era un dio. C’erano delle responsabilità, delle incombenze da sbrigare a cui, a differenza sua, non poteva sottrarsi.

“Pensavo mi avessi dimenticato”.

Il dio, d’oggetti e persone, nel corso della sua lunga, lunghissima esistenza, ne aveva desiderato un numero immane ed essendo una divinità relativamente giovane e capricciosa — più di quanto gli ero concesso — otteneva ciò che desiderava senza il minimo sforzo. Ma Giacinto era un’eccezione. Lui si era fatto desiderare. Apollo aveva impiegato tutto sé stesso per ottenere quel cuore, che si rivolgeva a lui con mera sincerità, senza mai camuffare le sue vere intenzioni ed emozioni. Alla fine fu proprio il dio a cedere per quell’amore, a rimanerne troppo coinvolto.

“Io di te, mio Giacinto, non potrei mai dimenticarmi” sussurrò. “Dovrei allora dimenticarmi cosa sia l’amore”.

Fu allora che le labbra dei due amanti si ritrovarono in un bacio dopo giorni passati a desiderarsi.
Le posizioni si invertirono in fretta. Apollo si ritrovò sovrastato da Giacinto che gli sedeva a cavalcioni. I suoi occhi lo stavano scrutando nell’animo. E Apollo stesso non voleva guardarci dentro.

“A volte penso di volerti rovinare” esordì Giacinto, “di farti del male cosicché tu non possa mai dimenticarti di me così come non si dimentica il dolore causato dalla persona che più ami al mondo. Voglio che tu non ti dimentichi mai del principe mortale che non ti trattò mai come un dio ma alla pari di noi esseri umani”. E Apollo sapeva che le sue parole erano sincere così come lo sguardo che gli stava rivolgendo.

Ed Apollo, di lui, non si sarebbe mai dimenticato. Nemmeno quando Zefiro, crudele, glielo portò via per sempre. Apollo, però, riuscì a renderlo immortale grazie al suo canto di cui ancora oggi si rammentano le parole disperate dopo la morte del principe.

  
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