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Autore: Evenstar75    08/07/2017    3 recensioni
Di recente, Demi Salvatore ha dovuto fare i conti con due verità sconvolgenti: non solo ha scoperto di essere la figlia segreta di Damon ed Elena ma, come se non bastasse, adesso sa anche di essere la ''Prescelta''.
Intenzionata a sfruttare i suoi poteri per dominare il mondo dei vivi e dei morti, una strega crudele di nome Sophie Deveraux le dà la caccia e vorrebbe costringere lei e Prince Mikaelson (il bellissimo ed inquietante figlio di Klaus) a spezzare la Maledizione della Clessidra.
Gli abitanti di Mystic Falls della vecchia e della nuova generazione, tuttavia, sembrano disposti a tutto pur di impedirglielo.
Accompagnata da Sheila Bennett e Mattie Lockwood, le eredi di Bonnie e di Caroline, ed innamorata di Nick Mikaelson, il figlio di Elijah che ha sacrificato se stesso per salvarla, Demi si ritroverà a combattere per difendere la propria vita e quella dei suoi cari, mettendo a repentaglio tutto quello in cui ha sempre creduto ed aprendo il suo cuore a moltissime nuove, oscure e stupefacenti esperienze.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Nuovo personaggio, Stefan Salvatore, Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena, Elena/Stefan
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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What is dead may never die
 
 
 
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Sheila: ‘’Il sangue di vampiro è noto per le sue eccezionali qualità rigenerative.’’
Will: Non c’è cura che possa impedire alla sua anima di sgretolarsi, niente a parte la spada di Luinil. Con il sangue di vampiro Nick sarebbe più in forze, ma… nulla di più.
*Damon dà il suo sangue a Nick*
 
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Alice a Damon: Qualsiasi creatura già magica, Licantropo, Strega o Vampiro che sia, una volta contaminata dal siero dell’Inferno, si trasforma in qualcosa di diverso da un’Ombra.
In un Demone.
Perciò assicurati che le future incubatrici di veleno demoniaco abbiano in circolo anche solo qualche goccia del nostro prezioso sangue, così potranno dire addio alla loro anima molto più velocemente.
E per sempre.
 
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*Nel Limbo*
Nick: Uccidete Sophie, e libererete sia Demi che Monique. Ma, mi raccomando, non fatelo prima di aver capito come invertire l’incantesimo che ha assegnato alla nipote i tormenti della zia. Mi hai capito? E’ fondamentale.
Mattie: Hey, aspetta un minuto, ma perché mi stai affidando questa missione? Non puoi rivelare tu stesso a Demi e a Prince ciò che dev’essere fatto?
 
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Prince: Lei è… Ruby, una mia vecchia… amica. E ti ha portato l’Elixir, una pozione rarissima, specialità dell’erede al trono del Quartiere Francese, che renderà inoffensivo il tuo Stigma per un po’. Abbiamo avuto una storia e ci siamo divertiti, parecchio, ma non le avevo promesso un anello al dito. Per molto tempo, l’ho ripagata dei suoi servigi, affidando al suo fidanzato Oliver la sovrintendenza del branco.
Jackson: Pessima mossa, oserei dire… quel tipo è un cavernicolo.
 
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Eve: C’è più di un motivo per cui la maggior parte dei Crescenti mi vorrebbe morta. A parte la diserzione, la maledizione con cui Sophie mi ha colpito, in qualche modo, si è riversata anche su di loro, ed è diventata il loro limite, la loro debolezza.
Mattie: E per fargli riacquistare i loro poteri lupeschi... tu dovresti tirare le cuoia?
Eve: Sì. E non gli basta che io muoia di morte naturale… per legittimare la successione, è necessario che uno di loro prenda definitivamente il posto del leader precedente. Dopo averlo ucciso.
 
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Jackson: Stai perdendo il tuo tempo, Oliver. Prince non ti consegnerà mai Eve!
Oliver: Neppure se lo rallenteremo così tanto da mettere in pericolo la vita del suo fratellino? Lo aspetteremo fuori dal palazzo di Marcel e lo costringeremo a guardare te ed Aiden morire, se non vorrà scendere a compromessi. Poi, se continuerà a opporre resistenza, lotteremo, fino a quando capirà di non avere più tempo a disposizione. A quel punto, cederà, confesserà... e, pur di raggiungere la Reggente delle streghe prima che sia troppo tardi, mi consegnerà il trono su un piatto d’argento!
 
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Prince a Demi: Come diavolo ti è saltato in testa di ficcare un’altra clausola nell’accordo con Katherine, eh? I drammi e la prigionia della piccola Cassie Claire non ci riguardavano!
Demi: Era una prigioniera. Katherine la stava sfruttando per il suo cognome e per le sue abilità magiche, costringendola a farle da serva, ricattando e terrorizzando i suoi cari. Possibile che la faccenda non ti tocchi da vicino? Ho dovuto tentare!
 
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*Agguato nella foresta*
*Demi viene colpita da Ruby con una freccia contentente l’Antidoto all’Elixir*
Oliver: Ora, cerca di attaccare qualcuno di noi, mostro, ed i tuoi amici saranno i prossimi traditori a morire per l’onore dei Labonair.
Prova a fermarci con la tua magia, e finirai col consumare a morte la Prescelta.
Prince: NO! Non vi dirò mai dove si trova Eve. Potete scordarvelo!
Oliver: Allora, credo proprio che ci sarà da divertirsi.
 
 
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… 1 mese dopo …
 
 
A fatica, Mattie si arrampicò su per la stessa collinetta verdeggiante cui era solita far visita ogni giorno ormai da un mese intero: mentre le sue scarpe a pois affondavano nell’erba ondeggiante e nel terriccio ancora friabile, sentì la carta trasparente con cui era foderato il suo mazzettino di fiori scricchiolarle appena tra le mani, ma non si diede per vinta e continuò imperterrita a camminare per riuscire a raggiungere il piccolo, silenzioso cumulo marrone che troneggiava proprio lassù, in cima.
Imboccando una scaletta rustica fatta di lisce pietre incastrate nell’argilla, con la faccia paffuta e illuminata dal sole pomeridiano che risplendeva, umida, tradendo i suoi sentimenti più profondi, la ragazza si asciugò le lacrime, strofinandoci sopra una manica della soffice giacca di panno verde.
Verde, proprio come il muschio che, di lì a poco, sarebbe germogliato sulla lapide perlacea che, oramai, le stava di fronte.
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- Che succede?!- aveva domandato d’un tratto la biondina a Nick, udendo dei bizzarri rumori riecheggiare in lontananza, come in un sogno.
Sbirciando all’orizzonte, la Lockwood aveva notato con fastidio che, nel limbo parallelo in cui il suo compare era intrappolato per via del veleno d’Ombra, non si riusciva mai a distinguere un accidente, come se ogni cosa, lì, fosse perennemente avvolta nel fumo e nella foschia, alla totale mercé di un meteo sempre incerto, a metà tra un temporale incapace di scoppiare e un sereno destinato a non sorgere.
- PERCHE’ SENTO PUZZA DI GUAI?-
Nick le aveva rivolto uno sguardo confuso, mentre quel chiasso, dapprima remoto, continuava ad avanzare e ad aumentare di volume, accompagnato da quelli che sembravano dei passi di marcia, uniti alle grida di una folla inferocita.
- Stanno arrivando.- aveva  sussurrato brevemente Monique, la voce intrisa di un’improvvisa urgenza. La giovane Deveraux era scattata in piedi, abbandonando il suo nascondiglio in mezzo alle rocce, mentre la veste candida le sventolava sulle ginocchia tremanti: – Nicklaus, la tua piccola amica deve andarsene da qui. Immediatamente. E’ troppo pericoloso.-
Mattie non si era mossa ma, mentre apriva la bocca per replicare con qualche frase ad effetto, tipo ‘’sarò anche piccola di statura, ma col cuor senza paura’’, vide che, aldilà degli strascichi nebbiosi tipici del limbo, erano pian piano apparsi dei volti arcigni, all’inizio emaciati e pallidi come teschi, poi sempre più reali e… umani.
 
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- Sono gli spiriti degli Antenati.- aveva annunciato Monique, chiarendo i dubbi che solcavano con evidenti rughe le fronti aggrottate di Mattie e di Nick, mentre questi ultimi notavano con stupore ed angoscia i bizzarri dettagli dell’abbigliamento di quegli spiriti, di certo appartenuti alle più disparate epoche del passato: alcune donne portavano delle ampie, vaporose gonne ottocentesche e dei guanti lunghi fino al gomito, mentre certi uomini portavano dei panciotti e dei cappelli a cilindro. Nonostante fossero dotati di un innegabile e misterioso fascino, non sembravano per niente degli esserini amichevoli: - Stanno venendo a prendermi, come ogni giorno, per infliggermi l’eterna punizione, quella destinata a Sophie! Mattie non può proprio restare… devi mandarla via subito, o c’è il rischio che la scambino per un’anima già dannata! Nick, non la lasceranno più tornare indietro se…-
Con la coda dell’occhio, Mattie si era accorta che gli spiriti ancestrali di quelle streghe muffite e fuori moda avevano le mani cariche di oggetti: corde robuste, legname bitorzoluto, fiaccole danzanti e forconi puntuti e minacciosi, inquietanti da morire.
Il cuore le martellava come quello di un topolino in trappola tra le grinfie di un predatore fin troppo abile, tanto che, se si fosse messa a squittire sommessamente le sue ultime preghiere, non se ne sarebbe stupita.
- Nana, fa’ come dice.- le aveva mormorato Nick, posandole una mano sulla spalla per far sì che si concentrasse esclusivamente su di lui. I suoi occhi neri e privi di sfumature erano lucidi come boccette d’inchiostro appena stappate. Tuttavia Matt, con un goffo saltello, era riuscita a dare un’occhiatina oltre la sua spalla e si era resa conto che lo sciame brulicante di spiriti aveva ormai raggiunto la povera Monique: una donna alta almeno il doppio di lei, scarna come uno scheletro e con i secchi capelli rossi legati da una bandana, aveva afferrato il polso destro della ragazza, torcendoglielo brutalmente per trascinarla al cospetto del corteo; a quel punto, gli altri presenti avevano preso a strepitarle contro insulti, a inveire e a puntare il dito nella sua direzione, con un odio straripante a farla da padrone.
- No, non guardare... va’ via.- le aveva ordinato Nick.
La Lockwood, però, nonostante l’orrore, era sembrata come ipnotizzata dalla scena.
A Monique erano state lanciate addosso, con un’inaudita violenza, delle cose schifose, forse uova o pomodori, come accadeva durante i linciaggi nel Medioevo, poi la giovane, col bel viso imbrattato di sporcizia e gli abiti sudici di vergogna, era stata trasportata verso una precisa zona del deserto, là dove si stagliava contro il firmamento un grosso palo di legno, attorno al quale alcuni fantasmi stavano ammassando degli enormi fasci di legna da ardere.
- Come? NO! Vogliono darle fuoco?- aveva strillato Mattie a pieni polmoni, mentre la strega dai meravigliosi riccioli scuri veniva inchiodata al palo da mani ruvide e spietate, nonostante tutte le sue resistenze, nonostante fosse la Deveraux sbagliata a dover subire quello scempio. – Credevo che bruciare all’Inferno fosse più che altro un modo di dire, non un qualcosa che accadeva sul serio e… oh, no… Balto, dobbiamo fare qualcosa… dobbiamo…!-
- Trova il modo di liberarla da questo calvario, prima di uccidere Sophie. Inverti ancora una volta i loro ruoli, e riporterai le cose al loro posto.- aveva soffiato Nick, teso, con la pelle ormai priva di qualsiasi colore, ricordandole la promessa che le aveva fatto pronunciare poco prima. Poi, come per farsi coraggio, lui aveva inspirato profondamente e l’aveva fissata con durezza, come se ogni tenerezza si fosse spenta nel suo sguardo indecifrabile: - Ed ora vattene, avanti, questo non è più posto per te.-
- Il mio posto è dove sei tu, razza di idiota.- aveva replicato Mattie, senza farsi ingannare. Se pensava davvero di rendere più semplice la loro separazione trattandola così, come se fosse fatto di ghiaccio, come se non fosse lui la persona di cui lei si fidava di più al mondo, beh, si sbagliava di grosso. – Hai il sangue di Damon nelle tue vene, ricordi? Ti ha dato la forza di portarmi fin qui, no? Allora sfruttalo di nuovo, fino all’ultimissima goccia: tieni duro ancora per un po’… e ritorna. Ti prego. Ritorna indietro con me.-
 
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La biondina fissò il grigio granito della pietra sepolcrale posta a pochi passi da sé, e lo vide sbiadire vertiginosamente davanti ai suoi occhi, come se, di colpo, il suo campo visivo fosse diventato lo stesso di quello del suo pesciolino rosso Platone, immerso in una boccia opaca, acquosa e ristretta.
Il profondo senso di fragilità che sentiva serpeggiarle nelle ossa si trasformò in un tonfo secco e brutale quando le sue giunture cedettero del tutto, poi la Lockwood si schiantò al suolo, cadendo definitivamente in ginocchio, prostrata.
Non riusciva a strapparsi dalla mente il modo in cui Nick, ad un certo punto, aveva scosso il capo, con una lentezza insopportabile e le iridi nere che assomigliavano a delle cavità sotterranee mai sfiorate dalla luce.
 
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- Io… non posso farlo.- aveva mormorato il figlio di Elijah senza fiato, come per scusarsi e, soprattutto, per non farsi attendere invano mentre i minuti scorrevano sempre più inesorabili. -… Mattie, perdonami, ma io proprio non riesco… non riesco a seguirti…-
La nana, fulminandolo con un’occhiata spazientita, si era rimboccata le maniche con energia, come decisa ad acchiapparlo per un orecchio pur di trascinarlo via dalla sua stessa coscienza ammorbata ed intorpidita a causa del siero infernale; poi il suo sguardo aveva seguito quello improvvisamente allucinato di lui, fino a posarsi sulla propria spalla: con orrore crescente, entrambi i ragazzi si erano accorti che la mano con cui Nick le stava cingendo la clavicola si era irrigidita ed aveva assunto delle sfumature curiose, ricamate di vene nerastre e pulsanti.
Trasalendo, il ragazzo l’aveva lasciata cadere di scatto, mentre le guance rotonde della sua amica si chiazzavano di una rabbia violacea, dirompente:
- C-che diamine significa ‘’io non riesco a seguirti’’, eh?-
- Che ormai è troppo tardi.- la risposta era esplosa accanto a loro come una mina vagante ed inaspettata. La bocca sottile, ghignante e grinzosa da cui era venuta fuori apparteneva alla stessa donna magrissima e anziana che aveva crudelmente spinto l’anima di Monique verso il rogo che gli Antenati stavano ancora allestendo attorno a lei.
- Il tuo tempo è scaduto, Nicklaus Mikaelson II. Non c’è più alcuna possibilità, per te. D’ora in avanti, sarai vincolato in modo permanente a questo universo di tormento, e ci rimarrai. Sempre. E per sempre.-
A quel punto, la vecchiaccia aveva saldamente afferrato il giovane Mikaelson per un gomito, artigliandoglielo con le unghie appuntite e strappandogli un fievole gemito di dolore misto a sgomento. Con gran stupore della Lockwood, l’Antenata era riuscita a serrare le proprie dita attorno alla pelle di Nick, il che significava che lui, in qualche modo, era ancora solido… ma soltanto in un mondo popolato di spiriti.
In un universo che lo teneva, ormai, in trappola, e che non lo avrebbe più lasciato andare.
Mentre cominciava a capire la verità, Mattie si era sentita morire.
 
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- Non doveva finire così.- sbottò la biondina, in apparenza a nessuno in particolare, mentre il vento le asciugava il visino senza permesso ed induriva su di esso il solco salato lasciato dai suoi lacrimoni, rendendo ancora più rigido e difficile il suo sorriso già di per sé così amaro e disperato. – E tu lo sai... è assurdo… non ti ho nemmeno mai chiesto quali fossero i tuoi fiori preferiti. Così ho deciso di portartene un tipo diverso ogni giorno… prima o poi riuscirò a indovinare quelli giusti, no?- con una carezza impercettibile, ficcò il fascio di gigli rossi screziati di bianco che si era portata dietro nel vaso di rame che sporgeva dalla lapide, poi sospirò: - Dannazione, c’erano ancora così tante cose da dire…-
 
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- Non c’è nulla che tu possa dire per cambiare le cose.- aveva gracchiato la strega di nome Bastiana, fissando Nick con i suoi occhietti torbidi come acqua di palude, senza mollare la presa sul suo braccio, sul quale la ragnatela nerastra dell’Ombra non faceva che dilagare ed espandersi. - Il tuo tempo è scaduto.- quella sentenza gli era stata ripetuta all’infinito, senza pietà. - Non c’è più nessun corpo da cui tornare, perché esso appartiene totalmente a Sophie Deveraux. La tua anima, invece, è perduta… ed è nostra. Devi venire con me. Fallo ora, di tua volontà, o ti costringerò a seguirmi comunque, solo che, in quel caso, lei…- e aveva indicato Mattie con l’artiglio libero, compiaciuta. - ti sentirà urlare. La scelta è tua, e sarà anche l’ultima che ti verrà mai concessa.-
Nick aveva rivolto alla donna un’occhiata vacua e muta, tramortita.
La transizione si era conclusa, dunque.
E in un modo inaspettatamente veloce.
Era finita... finita per davvero, stavolta.
Davanti a quella consapevolezza lacerante, il ragazzo provò una sofferenza reale, vera come quella che aveva sentito quando i denti avvelenati di Adam Stone gli si erano conficcati nella carne, come quando lui possedeva ancora una fisicità e quella pallida simulazione spettrale, bloccata laggiù, non era ancora arrivata ad essere tutto ciò che restava di lui.
Senza rendersene conto, aveva pensato a Prince.
Alla conchiglia di madreperla che ciondolava al collo di quest’ultimo ormai da anni, immobile accanto alla ‘M’ di Monique, e alla mattina in cui lui si era accorto, incredulo, di quel dettaglio, mentre i due erano insieme nella cucina della Capanna e Nick preparava del caffè al principe, per aiutarlo a smaltire la sbronza del giorno prima e, soprattutto, per veder riapparire, dietro la maschera del mostro indifferente, qualche squarcio dello stesso fratello che gli era tanto mancato.
Ed aveva pensato anche a Demi, al modo adorabile in cui gli aveva stretto la mano durante il temporale, una volta, nel cortile della scuola, dopo che lui l’aveva difesa contro Rebekah e lei, a fine lezione, gli era corsa incontro per ringraziarlo, riparandosi, poi, sotto il suo ombrello e starnutendo, fragile ed intirizzita, come un uccellino caduto dal nido e alla ricerca del suo posto nel mondo.
Poi, i raccapriccianti pericoli che entrambi i Prescelti avevano deciso di correre per causa sua, senza esitare ma ormai invano, gli avevano aggredito il cervello e, di colpo, Nick si era sentito vuoto e smarrito come non mai.
Senza più forze o energie.
Senza vita, né speranza.
Colpevole ed atrocemente solo.
Quando tutto gli era sembrato perduto, uno sfavillio dorato aveva catturato la sua attenzione attraverso il velo di lacrime che gli stava oscurando la vista e lui si era riscosso, nonostante tutto:
- Mattie.- aveva sussurrato, con una dolcezza tanto inaspettata quanto straziante, sentendo che, come al solito, lei era l’unica che potesse dargli conforto nell’agonia. La biondina se ne stava davanti a lui e scuoteva il capo, senza sosta, d’istinto, quasi senza essere realmente padrona dei propri movimenti, col viso inondato dal pianto e senza la forza di proferire una sola parola. Da quando era stato morso, lui l’aveva sentita spesso tirare su col naso, con un buffo risucchio, simile a quello fatto da una cannuccia che tenta di aspirare il fondo di un bicchiere vuoto, ed aveva visto qualche lacrima solitaria scivolare via dal suo autocontrollo, ma non l’aveva mai vista davvero scoppiare a piangere.
Era sempre stato sicuro che lei non fosse capace di farlo, perché era nata semplicemente per portare la gioia e l’armonia in qualsiasi luogo… eppure Mattie stava singhiozzando, così forte che i singulti le squassavano il corpo minuto, impedendole di restare ferma sul posto senza tremare.
Con una mano, Nick le aveva sfiorato una guancia, scacciando via con il proprio tocco delicato quei torrenti argento trasparente, e le si era avvicinato, senza sapere bene cosa dire o quanto fosse il loro tempo rimasto a disposizione.
Aveva riflettuto sul fatto che non ce ne sarebbe mai stato a sufficienza per intavolare un vero discorso d’addio, perciò aveva semplicemente lasciato che le parole gli venissero fuori dal profondo, imperfette eppure preziose, come dei diamanti grezzi:
 
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- Vedere il tuo sorriso è stata la più grande fortuna che mi sia capitata da quando ho messo piede a Mystic Falls, nana, dico davvero.- le aveva mormorato, sentendo nuove gocce salate scivolargli tra le dita e riportargli alla mente le Cascate di Mystic Falls, le stesse che aveva sperato di poter scorgere ogni mattina al proprio risveglio, quando si era trasferito da villa Mikaelson alla Capanna. - Non ero me stesso, prima che tu mi trovassi, Mattie, non ero me stesso da così tanto tempo che avevo persino dimenticato chi fossi. Non valevo niente, e tu mi hai salvato. Mi hai protetto, mi hai insegnato ad essere coraggioso e ad avere fede. Senza di te, sarei stato sicuramente un miserabile, ma tu no… tu eri già stupenda, anche prima di incontrare me…- la Lockwood aveva strofinato il faccino fradicio contro il suo palmo, come se volesse fondersi con lui; si sarebbe accontentata persino di diventare una di quelle brutte linee d’inchiostro che gli deturpavano progressivamente la cute, pur di non doverlo lasciare. - … e sono certo che lo sarai anche dopo che io me ne sarò andato. Lo sarai, lo so... vedrai, sarai luminosa come il sole.- lui aveva socchiuso le palpebre e la figlia di Caroline non era riuscita a non considerarlo bellissimo, neppure quando le fitte ragnatele di pece gli avevano aggredito anche gli zigomi, sfigurandolo.
- Sei sempre stata il sole, per me, Matilde Lockwood.-
Mattie lo aveva fissato con quelle sue iridi oceanine enormi e grondanti, e la sua espressione era stata così genuina, tenera ed incredula da stirare le labbra carbonizzate di Nick in un lieve sorriso.
L’ultimo.
- C-come farò, Nick? Come faremo ad andare avanti? Senza di te?- aveva ansimato la bionda, con la voce impastata, sbriciolata. Il suo stordimento, la sua angoscia ed i pezzi del suo cuore in frantumi sembravano dei cocci di vetro appuntito sparsi qua e là nella sua trachea, pronti ad impedire al suo fiato di venir fuori senza spezzarsi, più e più volte, lungo la strada. - Cosa dirò a Demi? E a Prince, che cosa dirò a…?-
- Di’ loro che li amo.- aveva supplicato il figlio di Elijah. Poi, senza pensarci due volte, aveva aggiunto: - Così come amo anche te.-
Con l’indice e il pollice fermi sulla sua mascella rosea, Nick l’aveva avvicinata delicatamente a sé, sporgendo le labbra per posarle un definitivo segno di congedo sulla fronte, un saluto, prima di venire inghiottito dalle tenebre. Mattie aveva sentito l’anima accartocciarsi come un foglietto di carta in balia delle fiamme, poi, spinta da chissà cosa, aveva si era issata sulle punte dei piedi ed aveva alzato la testa quel poco che bastava per far sì che le loro bocche si sfiorassero.
In quel momento, la ragazza si era convinta di essere impazzita e, a giudicare dalla reazione che le labbra di Nick avevano avuto a contatto con le sue, rimanendo immobili, sorprese e ancora semi bloccate in una smorfia turbata, anche lui doveva averlo creduto. Nonostante ciò, però, nessuno dei due si era mosso e quell’attimo infinito aveva fatto assaggiare a Mattie il sapore del caramello e della cenere nascosto sulla bocca di Nick, il suo sbigottimento, quella sua incommensurabile fragilità, sempre ben nascosta dietro solide mura di distacco e buone maniere, e la tensione che era ancora restia a sciogliersi nelle sue membra corrotte dal siero.
Fin da bambina, guardando gli smielati film d’amore che piacevano a sua madre, aveva fantasticato su come sarebbe stato il suo primissimo bacio: si era spesso chiesta se sarebbe stato bello come naufragare, se il ragazzo sarebbe stato quello giusto, se l'avrebbe accolta tra le braccia come una benedizione e se qualcuno sarebbe mai riuscito a vederla davvero come una ragazza, e non solo come un simpatico compagno di giochi o come la buffa mascotte delle sue amiche…
Poi aveva baciato Nick.
Perché non le era ancora venuto in mente un altro modo per fargli comprendere quanto fosse importante per lei, perché aveva avuto l’impressione che, se non avesse osato farlo in quel frangente tanto estremo, non ci sarebbe riuscita mai più e lo avrebbe rimpianto per sempre, come quella volta in cui aveva dimenticato un pezzo della sua torta preferita nel forno e quella era diventata polvere prima che potesse darle un solo assaggio. Perché l’idea di non poter mai più sentire il suo profumo l’aveva straziata e voleva che lui lo sapesse, anche se non ricambiava i suoi sentimenti in quel senso, anche se non era suo, anche se era di Demi e lei era la scelta migliore, perché stava rischiando le penne per lui in quel preciso istante, mentre lei stava agendo senza pensare alle conseguenze.
In sedici anni di spensierate rinunce, la bionda non aveva mai preteso o reclamato nulla per soddisfare il proprio egoismo, eppure non era comunque riuscita a trattenersi dal baciarlo. E Nick, suo malgrado, si era accorto che era stato proprio il conflitto interiore di lei, ben visibile nei suoi fremiti incontrollati, a rendere quell’addio molto più tenero di quanto il suo cuore non fosse preparato a sopportare.
Così le aveva stretto le spalle con le mani, mentre il crepitio delle fiamme ammorbava l’aria e le grida di Monique si alzavano assieme al fumo acre del suo rogo, laceranti e crude, verso il cielo sempre più fuligginoso.
E Mattie non aveva mai saputo la verità: l’ultimo sprazzo dell’essenza più autentica di Nick, avrebbe voluto stringerla a sé o respingerla?
Tutto ciò che la bionda aveva potuto avvertire era stata la consistenza lieve delle dita del ragazzo svanirle di dosso come sabbia calda rapita dal vento di una tormenta, poi era stata catapultata di peso in un presente vuoto e privo di significato, nel quale lui non sarebbe mai, mai più stato in grado di raggiungerla.
 
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 - Vi conoscevate da molto?- bisbigliò una voce maschile e cortese dietro la schiena della Lockwood, cogliendola di sorpresa. Voltandosi con uno scatto esagerato, mentre la brezza le solleticava le ciglia fradice, lei avvertì un tuffo al cuore, poi riuscì ad individuare il nuovo arrivato, che si stava facendo strada tra le aiuole ben potate del cimitero: si trattava di un ragazzo alto, con le spalle larghe, la chioma castano scuro un po’ più lunga della media e la barba che sembrava non essere stata rasata di recente. Tutti quei tratti gli conferivano un ché di affascinante e di selvaggio, ma i suoi occhi, anch’essi scurissimi e molto profondi, aggiungevano una certa sfumatura affabile ed innocua alla sua fisionomia. In particolare, quei dettagli rassicuranti risaltarono quando lo sconosciuto alzò entrambe le mani davanti a sé, come per schermirsi: - Scusami, non dovevo comparirti alle spalle in questo modo, senza preavviso… non volevo farti venire un colpo. E’ solo che… ecco, sono qui in visita… anch’io.-
Mattie inarcò un sopracciglio, notando che il tizio reggeva un mazzo di fiori confezionato in modo simile al suo, poi tornò a guardarlo dritto in faccia, scrutandolo attentamente: le somigliava davvero parecchio all’idea che, durante la lettura della saga di J.K. Rowling, si era fatta nell’immaginarsi Sirius Black da giovane, ed il fatto che quel personaggio fosse sempre stato tra i suoi favoriti, assieme a quelli di Ron Weasley e di Luna Lovegood, le fece provare un flebile ma inevitabile moto di simpatia nei suoi confronti:
- Garofani.- osservò, speranzosa, indicando i boccioli arancioni che il ragazzo aveva portato fin lassù per omaggiare la tomba di fronte a loro. – Accidenti, accidentaccio. Erano quelli i suoi preferiti, allora?-
Lui, spaesato da quella domanda, allargò le braccia d’istinto, poi assunse un’aria confusa, tanto rassegnata da apparire tenera:
 
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- Credo che qualsiasi fiore vada bene per onorare un Crescente defunto, l’importante è che non si tratti di luparia.- mormorò, col volto olivastro atteggiato in una smorfia ragionevole.
- Mi sembra giusto.- bofonchiò Mattie, con un tono basso e nasale che sembrava provenire da molto lontano. Con un’imprecazione non troppo soffocata, la biondina prese a rovistare con foga nelle tasche della propria giacca, poi passò a quelle dei pantaloni, senza riuscire a trovare neanche uno straccio di fazzoletto per soffiarsi il naso gocciolante; senza capire la gravità della situazione, ignorandola per concederle la sua privacy, lo sconosciuto si avvicinò per deporre i suoi bei garofani sul sepolcro di pietra, poi, accorgendosi finalmente che qualcosa non andava, si affrettò a tirar fuori dal giubbotto di jeans un quadrato di stoffa e glielo porse. La bionda lo afferrò di slancio e ci si tuffò dentro con tutta la faccia, poi il sollievo provato di fronte a quella gentilezza le strinse il petto in una morsa micidiale, un attimo prima di trasformarsi in un mesto singhiozzo: - Tu devi essere Jackson, vero?- mugugnò contro il fazzolettino, dondolandosi sul posto. – Il Lupo Mannaro a cui Demi ha chiesto di venire a Mystic Falls per non lasciare Prince completamente abbandonato a se stesso dopo che… beh, dopo che…-
- Sono io.- la bloccò Jackson, mortificato, inginocchiandosi là vicino per essere più o meno alla sua altezza, anche se, date le dimensioni assai ridotte di lei, forse avrebbe fatto meglio a mettersi direttamente lungo disteso sull’erba. - E tu devi essere Matilde, la ragazza che è rimasta con Nick…- la sua voce s’incrinò, come fosse sul punto di pronunciare qualcosa che d’inaccettabile: -… fin proprio alla fine.-
- Chiamami Mattie.- sussurrò la Lockwood, con l’ennesima pernacchia. - Mi dispiace tanto, non dovrei stare qui ad annaffiare il cimitero come se non ci fosse un domani, dopotutto anche tu hai perso qualcuno a cui tenevi ed io… cavolo, non sto facendo che deprimerti, quando poi è colpa mia se…-
- Va tutto bene.-  la interruppe Jackson, coi begli occhi scuri che si facevano di colpo più seri, quasi timorosi. - Ciò che è capitato andava ben oltre la tua capacità di controllo e, se le cose non fossero andate così, probabilmente adesso non sarei qui, vivo e vegeto, davanti a te.- sembrava sincero e lei inspirò profondamente, per provare a calmarsi, seppur con scarsissimi risultati. - E’ un po’ triste da ammettere ma, se non fosse stato per te, quella notte, Oliver e i suoi sovversivi avrebbero avuto la meglio. Sei stata tu a salvarci… Mattie.-
- Così mi hanno detto.- sospirò la Lockwood, guardandosi le mani con aria afflitta, come se quegli ammassi morbidi di carne, falangi e pelle rosa non le appartenessero per davvero. Jackson annuì per confermarglielo, mentre lei appallottolava il proprio fazzoletto come se sperasse di poter fare lo stesso anche con se stessa. - Miseriaccia, dev’essere stato terribile, per tutti voi, finire tra le grinfie di quel traditore assetato di potere e dei suoi scagnozzi, fino a ritrovarsi perfino con dei pugnali puntati alla gola…- rabbrividì. -… da quel che ne so, quel pulcioso di Osvald aveva trovato addirittura il modo di rendere inoffensivo Prince… insomma, vi teneva proprio in pugno.-
- Già.- confessò Jackson, abbozzando un sorriso davanti a quel nome errato; per qualche motivo, non ebbe il cuore di correggere quella ragazza minuscola che era un mix perfetto tra la fisicità di Alice nel Paese delle Meraviglie e la sbadataggine del suo Bianconiglio, così si limitò ad assentire: - Ormai Oliver si sentiva il vincitore indiscusso e direi che se la stava anche godendo abbastanza. Uno spettacolo spregevole a vedersi, davvero.-
 
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- BASTA!- aveva urlato Prince alla fine, sollevando una mano per impedire all’esecuzione di Jackson ed Aiden di consumarsi proprio sotto i suoi occhi.
Davanti a quella resa tanto agognata, che era risuonata come musica per le sue orecchie, il giovane Guillotin, con un ghigno soddisfatto ed un rapido cenno della testa, aveva ordinato ai suoi alleati di fermarsi.
Jack aveva sentito la pressione tagliente del coltellaccio allentarsi sul suo pomo d’Adamo già graffiato e sanguinante, appena un attimo prima che fosse troppo tardi, ed aveva ripreso a respirare, guardandosi faticosamente intorno, per capire: il primogenito di Hayley aveva la bocca digrignata in una smorfia terribile, tutta denti ed astio, mentre la povera Demi, trafitta dalla freccia come una cerva durante una battuta di caccia, era bianca come un lenzuolo a causa dell’impotenza e del sangue che continuava a gocciolarle, sempre più copioso, dalla ferita alla spalla.
- Credi davvero che funzionerà, il tuo ridicolo piano?- aveva ringhiato il principe, rivolgendosi direttamente al suo nerboruto rivale, con l’aria di chi avrebbe voluto sputargli addosso per il disprezzo. - Se anche ti dicessi dove si trova Eve, adesso, e tu corressi a sfidarla in duello, io ti stanerei. Staccherei la testa senza rimorsi a te e a chiunque fosse così pazzo da appoggiarti, non mi darei pace. Mi riprenderei il branco in un attimo, e di te non rimarrebbe che un patetico ricordo… tra le pagine di storia del Bayou, verresti citato come il lurido ratto finito in trappola proprio ad un passo dal pezzo di formaggio. E nulla di più.-
- La Legge dei Crescenti vuole che il nuovo capobranco sia protetto dall’eventuale vendetta dei famigliari di quello sconfitto, lo sapevi? Altrimenti sarebbe l’anarchia, la guerra civile! Tu non potresti farmi alcun male, dopo la mia vittoria legittima, né sfidarmi per un nuovo scontro. Ogni tua pretesa al trono, in quanto parente degli spodestati Labonair, verrebbe respinta dai Crescenti ed ostacolata persino dal tuo caro Marcel, che è il garante della pace in questa città. Dovresti far fuori tutti quelli che correrebbero a difendere i miei diritti, fino all’ultimo uomo.- gli aveva rammentato Oliver, gli occhi talmente eccitati che rischiavano di schizzargli via dalle orbite. – Nemmeno tu puoi ritenerti al di sopra di certe regole, Mikaelson, per quanto ti creda invincibile.-
- Questo è tutto da vedere.- lo aveva provocato Prince, tirando fuori uno sparuto eccesso di spavalderia, che però non era riuscito a risultare troppo convincente.
 
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- Oh, guardiamo in faccia la realtà, P. Tu non hai mai voluto il comando.- lo aveva apostrofato Rubyna, cogliendolo alla sprovvista e costringendolo a voltarsi verso di lei. I capelli fulvi le danzavano intorno come lingue di fuoco, sfiorandole appena la faretra ricolma che portava allacciata dietro la schiena. - Potresti avere New Orleans ai tuoi piedi, ma hai troppa paura dello spettro di Klaus per prenderti ciò che ti spetta! D’altronde è per questo che hai deciso di sfuggire alla vita di corte che ti era stata offerta dal Re, per questo che non hai mai voluto essere alla guida del branco, no? Una volta sconfitta Sophie, tu vuoi tornare a casa dal tuo fratellino, dimenticando il Potere e le possibilità che potrebbe offrirti, facendo perdere le tue tracce al resto del mondo per ricominciare a dipingere i tuoi quadri in santa pace. In fondo, ti sempre è importato solo e soltanto di questo.-
Di fronte a quelle parole colme di accusa, Demi si era sentita mancare ed era crollata a terra con un gemito appena percettibile, mentre il mondo cominciava a ruotarle davanti agli occhi, sempre più buio col passare dei secondi.
- Sei un indegno e un egoista, Mikaelson, proprio come tua madre ed Eve, disposte a lasciarci nel fango, pur di non assumersi le loro responsabilità di leader. C’è bisogno d’aria nuova. Io sono la rivoluzione!- aveva abbaiato Oliver, con il viso ormai deforme dal godimento. - Dimmi dove hai nascosto la Disertrice, e facciamola finita. Il tuo adorato fratello, in fondo, muore dalla voglia di essere salvato, e tu stai sprecando il suo tempo. Tic-tac. Tic…-
Jackson aveva serrato le palpebre, ormai consapevole della tragedia imminente, ed aveva sentito la speranza fluire via da lui come la linfa da un tronco d’albero preso a colpi d’accetta.
Poi, all’improvviso, contro ogni previsione… era accaduto.
Il giovane Kenner aveva sentito un acuto dolore trafiggergli le tempie, come un fulmine, poi la radura circondata da rovi in cui si trovavano si era riempita di urla straziate: le dita callose che lo avevano tenuto immobilizzato fino a quel momento si erano ritirate di scatto, mentre il suo carceriere precipitava bocconi sull’erba, imprecando rumorosamente ed ansimando:
- Che cosa sta succedendo? CHE DIAVOLO SUCCEDE?!-
Jackson aveva avvertito qualcosa di simile alla presa di una mano inclemente stritolargli il cervello, provocandogli delle fitte atroci alla testa, ma si era comunque imposto di riaprire gli occhi, nel tentativo disperato di comprendere cosa stesse accadendo nelle vicinanze: anche Aiden ed il suo rapitore avevano preso a strisciare per terra, esattamente come Ruby, che aveva perso la presa sul suo arco, ed Oliver, il quale gemeva in modo pietoso, come un vitello tra le grinfie di un macellaio.
Persino Prince era piegato su se stesso e si teneva convulsamente la pancia, come se fosse sul punto di vomitare.
- No...- aveva biascicato il biondo tra sé, dopo aver percepito una sorta di strappo dalle parti del cuore, come se un nodo che lo teneva intimamente legato a qualcosa d’importante si fosse appena sciolto di netto, rimbalzandogli dentro dolorosamente. -… no, non può essere… non può…-
Una sensazione mai provata prima, ma chiara e pungente tra le costole scricchiolanti, aveva suggerito a Jackson che, a provocare quella spropositata e simultanea reazione di sofferenza in tutti loro, poteva essere stato soltanto un evento drammatico collegato all’unica faccenda che accomunava ciascuno dei presenti, senza esclusione: l’appartenenza al clan della Luna Crescente.
Il proprietario del Croissant, che non aveva ancora mai attivato il gene recessivo del Lupo e che per questo, quasi miracolosamente, era riuscito a resistere meglio degli altri agli effetti di quella calamità mistica, ne aveva approfittato per gattonare fino al pugnale lucente che lo scagnozzo di Oliver aveva lasciato cadere, strofinandoci contro le corde che gli avviluppavano i polsi, fino a reciderle.
Una volta libero, ancora scioccato ma non più tanto imbelle, aveva fatto scattare il proprio sguardo nelle vicinanze di Demetra, con l’intenzione di precipitarsi a soccorrerla, ma aveva notato che, per fortuna, la Prescelta non era più così sola:
- Bevi questo, Demi, coraggio, basterà un sorso...- un vampiro dai capelli scuri e arruffati era già comparso accanto a lei tra i cespugli e le teneva la testa ciondolante mentre cercava di accostarle il proprio polso squarciato alla bocca. – Avanti, ti guarirà… Demi, Cassie mi ha mandato qui per aiutarti! Stava facendo i bagagli per lasciare il Palazzo, quando ha avuto una visione… mi ha avvertito subito, sono arrivato il prima possibile, ma hai perso troppo sangue… cerca almeno di bere, non potrò portarti via di qui se prima non… forza, Demi, devi bere!-
Jackson aveva visto le labbra della ragazza fremere appena, restie, quasi imbronciate, poi lei si era avvinghiata al braccio del suo soccorritore, troppo debole per non essere ubbidiente, ed aveva deglutito con foga.
Quando il vampiro, colmo di sollievo, si era girato, Jackson lo aveva finalmente riconosciuto: era Joshua Rosza.
Dopo aver incrociato lo sguardo carico di sottintesi di quest’ultimo, il giovane Kenner aveva annuito solennemente ed aveva fatto di nuovo dietrofront verso la foresta, per ricambiargli il favore: se Josh stava sfruttando le sue capacità per rimettere in sesto la Salvatore, all’altro sarebbe spettato tirare fuori dai guai Aiden, anche a costo della vita.
Per qualche motivo, era stata concessa ai sostenitori di Prince e dei Labonair una chance di ribaltare la situazione, riducendo quasi a zero i vantaggi dei congiurati, e lui non aveva mai, neppure per un istante, accarezzato l’idea di sprecarla senza lottare.
 
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- Non sono stata io a salvarvi dai pasticci.- chiarì la bionda, con una voce bassa, rispettosa ed intenerita insieme. - Forse sì, ho contribuito a creare il diversivo giusto al momento giusto, dandovi la possibilità di liberarvi in tempo, ma non sono stata io a volere che ciò accadesse, non avevo la minima idea di quello che stavo facendo... è stato tutto merito di Eve. Non mio, di Eve.- ripeté, mentre il suo sguardo lucido si staccava lentamente da quello di Jackson per posarsi proprio di fronte a loro, sui contorni allungati delle lettere color ferro incise sulla lapide.
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Mattie, una volta riemersa dalle profondità turbinose del limbo, si era sentita così devastata, persa ed annichilita da non riuscire a realizzare fin da subito ciò che d’irreparabile si era verificato laggiù.
A ricordarglielo, sfortunatamente per lei, era stata la morsa indemoniata con cui le dita del guscio ormai vuoto di Nick Mikaelson le avevano stritolato il braccio, fin quasi a sbriciolarle le ossa del polso. Un grido di puro orrore le era rimasto impigliato in gola, mentre si accorgeva che non era stato solo un brutto incubo, quello che aveva appena vissuto nel mondo fantasma degli Antenati francesi: il figlio di Elijah si era sul serio trasformato
In un mostro.
Il suo aspetto, tuttavia, fin dal principio, non le aveva richiamato troppo da vicino quello di una comune Ombra; la Lockwood si era fatta descrivere per tempo quelle creature infernali, e non aveva rilevato altre somiglianze con queste ultime se non nel pallore cadaverico del giovane, nella sfumatura carbonizzata che tingeva la sua bocca e nell’espressione feroce che lo rendeva spaventosamente inquietante.
Le iridi di lui, però, non erano diventate del tremendo blu elettrico che si sarebbe aspettata: erano, piuttosto, totalmente scomparse, dopo essersi fuse con la sclera in una mandorla nera del tutto priva di movimento, di emozione o di vita. Le sue guance non erano soltanto tirate fino a far intravedere il teschio sottostante, ma erano anche ricoperte da righe scure simili a fenditure, a violente unghiate verticali, a cicatrici destinate a non svanire mai. E, come se non bastasse, anche tutto il resto del corpo del ragazzo, un tempo così attraente, era apparso guastato da quella stessa, tremenda rete di sfregi.
- Nick…- aveva sibilato la figlia del Sindaco, battendo involontariamente i denti. La creatura maligna che albergava nel suo migliore amico come un tumore le aveva rivolto un’occhiata torva ed insensibile, senza riconoscerla. -… oh, Nick, ti prego…-
Lui, completamente sordo alle sue suppliche, aveva caricato la mano libera, pronto a colpirla, per farle male, ma un gigantesco lampo grigio gli si era scagliato contro come un proiettile peloso, facendogli quasi perdere l’equilibrio nell’impatto: era Eve che, dopo essere sfrecciata in difesa di Matt, aveva azzannato il braccio del mostro con le proprie fauci, chiudendogliele ermeticamente attorno al gomito e costringendolo a mollare immediatamente la presa sulla piccola Lockwood.
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- Lei aveva capito prima di me che in quella cosa con le sembianze di Nick, in quel demonio orripilante… non c’era più nulla che potesse essere salvato.- mormorò Matt, stringendo le labbra per non sentirle tremare troppo. – Il suo volto… tutto era cambiato. I suoi lineamenti erano andati in mille pezzi, la sua bocca digrignata era come un taglio nella pietra… aveva i segni della morte dappertutto. Ed i suoi occhi…- al ricordo, la ragazza si sentì soffocare. -… lui non avrebbe mai tentato di ferirmi…- d’istinto, si sfiorò il punto in cui i lividi lasciati dalla presa brutale di Nick avevano avuto tutto il tempo di scomparire, al contrario delle ferite che quella tragedia le aveva inferto nel cuore. -… semplicemente, se n’era andato. E la Capanna, che, fino a quel momento, era stata per noi un rifugio sicuro... era diventata di colpo una trappola.-
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- Mattie, scappa!- Eve aveva lanciato uno stridente ululato nella sua testa, mentre lo spettro di Nick si divincolava convulsamente sul posto, per scrollarsela di dosso. La biondina aveva avvertito una scarica di atroce dolore provenire dai pensieri della povera Labonair, mentre quest’ultima veniva ustionata sulla lingua e sulle gengive dal sangue fuoriuscito dalla carne morsa e squarciata di lui, colandole in gola come acido. - Corri più in fretta che puoi! ORA! LE ARMI SONO IN SALOTTO, DEVI ANDARE…!-
Con il cervello inceppato dallo shock e malferma sulle gambe, la biondina si era precipitata fuori dalla stanza, inciampando in un tappeto persiano e aggrappandosi ad una cassapanca lì vicino per non finire faccia a terra; nel frattempo, l’eco della lotta in corso tra Nick ed Eve si era fatta sempre più bestiale ed agghiacciante, fino a quando un uggiolio simile al pianto di un neonato non aveva squarciato l’aria circostante, decretando la temporanea sconfitta della Lupa Mannara.
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- Lui mi ha inseguita in un battibaleno.- raccontò Mattie, metallica. Per qualche assurdo motivo, si era decisa a rivivere quegli istanti di autentica angoscia, forse perché si sentiva in dovere di togliere a Jackson ogni illusione a proposito del suo eroismo o della sua utilità in tutta quella brutta faccenda: - Neppure un vampiro avrebbe potuto spostarsi in un modo così veloce… era come se possedesse il potere di smaterializzarsi qua e là a suo piacimento. Mi ha afferrata per i capelli mentre stavo frugando tra l’equipaggiamento di Prince e mi ha scaraventata contro il muro. Dovevo essermi rotta qualcosa, perché non riuscivo proprio a rimettermi in piedi. Vedevo tutto al rallentatore, eppure non potevo far altro che rimanere immobile come uno stoccafisso ad aspettare, mentre quel maledetto veniva a staccarmi la testa dal collo.-
- Ma tu avevi preso un’arma stregata.- la anticipò Jack, senza fiato. Evidentemente aveva già sentito quella storia, come ogni altro Crescente degno di quel nome, ma il suo desiderio di assistere alla narrazione diretta di quegli eventi non si era mai placato sul serio, almeno non fino a quel preciso momento. – E così, quando quell’affare ti venne abbastanza vicino, lo infilzasti.-
- Solo per scoprire che fargli fare la fine di uno spiedino non era sufficiente a neutralizzarlo, perché quell’essere non era un’Ombra come le altre…- puntualizzò lei, sconfortata. -… era un Demone.-
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Con un ghigno sgradevole sul viso, il Demone-Nick aveva estratto la lama azzurra dal proprio petto come se, nel trafiggerlo da parte a parte, quest’ultima non gli avesse fatto alcun male, e l’aveva soppesata platealmente tra le dita.
La Lockwood l’aveva visto esibirsi di proposito in un’espressione incerta sul da farsi, facendo nascere dentro di lei una flebile speranza di salvezza; poi però, rapido come una saetta, lui le aveva ringhiato contro e le aveva ricambiato il favore, trapassandola con la spada celeste ed implacabile proprio all’altezza nel fianco. 
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- Ricordo un sacco di sangue. E la sensazione di torpore, quello sì… ma poco più.- sospirò Mattie, stringendosi nelle spalle, come se un vento improvvisamente gelido le avesse fatto accapponare la pelle. - L’urlo di Eve, ad esempio, fu a malapena un sussurro, così come il frastuono che provocò quando venne sbalzata proprio accanto a me, rovesciando il tavolino del tè ed il divano di Prince durante il volo. In un angolo della mia coscienza, la sentivo piangere per il figlio che aveva perso subito dopo averlo ritrovato e chiedere perdono alla sua Hayley, specie mentre crollava sul pavimento disseminato di cuscini sbrindellati, con le zampe piene di schegge ed incapaci di reggerla oltre.- senza neanche rendersene conto, la Lockwood aveva ricominciato a singhiozzare con forza. - Poi il Demone l’ha raggiunta e le ha conficcato la spada dritta nella schiena, affondandola fino all’elsa. Ancora. E ancora.- Jackson emise un sibilo, mentre quella ragazza gli sembrava più piccola e sperduta che mai, come un cucciolo abbagliato dai fari di un’auto prima di un incidente mortale. – Ho sentito una risata mentre lui se ne andava, ma non era quella di Nick… era quella di Sophie Deveraux. Poi ho perso i sensi... e non ho visto altro che il buio davanti a me.-
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- Mattie… svegliati… Mattie… Mattie…- per prima cosa, la biondina si era accorta della presenza di qualcosa di imponente e peloso accucciato accanto a lei. Ancora intontita dalle botte e dal dolore, per un attimo infinito aveva provato paura e smarrimento, poi aveva capito: Eve era lì, ansimante e calda come un cappotto di pelliccia, e la stava proteggendo dal gelo torbido del dissanguamento con la propria mole di Lupo, senza mai desistere dal tentativo di farla riavere. - Mattie… per favore… sii forte… non mollare proprio adesso…-
- Stai bene?- aveva tossito la bionda, infilandole una mano nel manto striato di nocciola nel tentativo di farle una carezza maldestra. Le aveva sfiorato per caso un ciuffo di peli e l’aveva trovato umido ed irto, tutto impiastricciato di un liquido caldo e viscoso. Nauseata, Mattie si era guardata le dita, cercando di tenere le palpebre schiuse nonostante la loro pesantezza, ed aveva scorto un’abbondante macchia rossa colare giù dal suo palmo. - Oh, mio dio, Eve… oddio, Eve… no, no…-
- Mattie.- l’aveva placata Eve senza esitazioni, respirando sempre più flebilmente, incapace di tenere il nobile capo sollevato a qualche centimetro da terra. - Non è per me che sono così preoccupata. Anche tu sei ferita.- la Lockwood, sconvolta dalle emozioni com’era, quasi si era dimenticata di essere messa, a sua volta, molto male: il lago scarlatto che imbeveva i guanciali lì vicino, in fondo, era stato alimentato anche dal suo stesso sangue, piovuto giù dallo squarcio crudele che il Demone le aveva aperto, poco prima, nei pressi dell’ombelico. - Ma per fortuna ti sei ripresa… non è ancora troppo tardi…-
- Dobbiamo chiedere aiuto…- con uno sforzo immane, la figlia di Care si era issata sui gomiti, ma le fitte lancinanti nella pancia l’avevano rimessa al tappeto. -… io devo… ah, Eve non preoccuparti, continua a tenere gli occhi aperti… tienili bene aperti, io devo chiedere aiuto… AIUTO…-
- No, Mattie… piccola, sta’ giù e ascoltami.- l’aveva supplicata Eve, uggiolando, con la coda che ondeggiava sempre più lentamente, ormai troppo faticosamente per produrre una vera scodinzolata. - Devi fidati di me.-
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- Mi disse che saremmo morte tutte e due prima dell’arrivo dei soccorsi.- bisbigliò Matilde, ormai udibile a malapena, addirittura nel silenzio assoluto di quel cimitero. - Era straziata dalla sofferenza e, per quanto mi sforzassi di negarlo, col passare dei minuti, lo ero sempre di più anch’io. Entrambe avevamo perso il nostro Nick ed eravamo in fin di vita, persino lei, che credevo potesse guarire più velocemente, non faceva che peggiorare. A quanto ho capito in seguito, ancora una volta, la limitazione dei suoi poteri rigeneranti era causata dall’Anatema di Sophie: Eve non era più un autentico Licantropo, era soltanto un grosso Lupo, ed i lupi, se feriti in modo mortale, non si riprendono. In quel posto sperduto, con i nostri amici così lontani ed ignari di quanto era appena accaduto, non c’era nessuno che potesse aiutarci. Era finita.- Jackson abbassò il capo, quasi con riverenza. - Così Eve mi comunicò che l’unica via d’uscita possibile, almeno per me, era quella di risvegliare il mio gene. La sua attivazione, non guastata da alcuna magia malefica, come invece lo era nel suo caso, mi avrebbe curata subito e mi avrebbe permesso di sopravvivere. Ovviamente le dissi che non se ne parlava neanche, perché Nick mi aveva spiegato per filo e per segno cos’era necessario per rendere possibile tutto ciò… ed io non volevo far del male a nessuno! Ma lei fu… irremovibile.-
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- Per tutta la vita, Mattie, ho cercato di proteggere le persone a cui tenevo, ed ho fallito. Sophie mi ha privata di ogni cosa…- aveva mugugnato Eve, con il cuore in frantumi e le iridi grigie colme della più grave disperazione: -… del mio corpo umano, del rispetto del mio branco, del futuro della casata Labonair… ha ammazzato Hayley, la mia adorata, la mia protetta, la Regina che ci era stata promessa… ha reso il mio caro Nick, l’erede al trono, l’ultimo ed il più prezioso Licantropo della nostra stirpe, nient’altro che un mostro… se io continuo a vivere, per amor mio, Prince sarà costretto ad inimicarsi quelli che, al contrario, potrebbero diventare dei fedeli alleati nel momento del bisogno, nella battaglia finale…- schiudendo le fauci, Eve aveva agganciato un cuscino e poi, con il naso, l’aveva spinto più vicino a Mattie. Lei era rimasta senza parole, senza voler credere alle proprie orecchie: - Se muoio adesso, invece, non sarà stato invano, perché, così facendo, potrò scegliere il mio successore... ed io voglio salvarti, Mattie, perché voglio che sia tu a prendere il mio posto. Sei così buona, così clemente e comprensiva verso il prossimo… eppure so che sotto quella buccia così soffice, si nasconde la stoffa di una vera leader. Tu meriti di vivere e comandare, molto più di me. Ti scongiuro. Permettimi di fare questo dono al branco, dopo tanti anni di mancanze… sarà questa la mia redenzione, il mio riscatto. Potrai non avere sangue Labonair nelle tue vene, ma Nick aveva fiducia in te, e ti riteneva parte della famiglia. Non sprecare questa opportunità...- dopo un mogio ululato, agonizzando debolmente, la povera, saggia ed adorabile Eve aveva serrato le palpebre, ad un passo dalla fine. -… vivi, Mattie. Ti prego. Fallo… e vivi. Anche per me.-
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- L’energia sprigionata dal sorgere di un nuovo capo vi ha colpiti tutti all’unisono, come un piccolo terremoto mistico interiore. KABOOM.- sospirò la Lockwood, accettando l’ennesimo fazzolettino e mugugnando un ringraziamento. Non era poi troppo difficile da immaginare quale effetto devastante potesse aver avuto un simile evento sui Crescenti, in particolare su Prince, che di certo aveva percepito dentro di sé tutta l’insopportabile consapevolezza della catastrofe, senza poter fare assolutamente nulla per evitarla: - Eve era convinta di aver fallito con la sua esistenza, perché non era riuscita a tenere al sicuro coloro che amava ed aveva deluso tutti i suoi simili, ma in realtà ha dato a me e ai sostenitori dei suoi adorati Labonair una seconda possibilità. Era fantastica, una perla rara. Ed io...-
- Hai fatto la scelta giusta.- le mormorò Jackson di slancio, facendo per posarle una piccola pacca sulla spalla. Era come se, oltre a lei, con quella verità, sperasse di convincere anche se stesso: - La più difficile, ma anche l’unica possibile. L’hai detto tu stessa: Eve sapeva di fare il nostro bene, affidandoci a te. Lei credeva in te.-
Per un secondo, Mattie avvertì il tocco incoraggiante del giovane Kenner come se provenisse da una mano meno grande e robusta rispetto a quella di lui, più delicata e chiara, la stessa che tante volte aveva visto appoggiarsi sullo sterzo di una Ferrari o arruffare una perfetta chioma castana per scaricare il nervosismo. L’unica persona che poteva indovinare davvero come si sentiva e che avrebbe saputo esattamente come tirarla su di morale e come rendere meno invivibile il suo senso di colpa, però... non era lì.
E non ci sarebbe stata mai più.
- So perché sei venuto qui, Jackson, e te ne sono grata.- sussurrò Mattie, allontanandosi e riprendendosi in braccio, con aria dignitosa, la borsa tempestata di ghirigori e paillettes gialle. - So che Demi è in pensiero e che, dato che l’ho evitata praticamente come una cena ipocalorica, ha affibbiato a qualcuno di cui si fida il compito di supervisionare le mie future metamorfosi, per evitare che mi vada ulteriormente in pappa il cervello. So anche che i Crescenti non stanno più nelle pulci, perché sarà la mia prima luna piena a ridare a tutti voi la possibilità di trasformarvi quando vi pare, ma vorrei che fosse ben chiara una cosa: prima che quel mio momentino peloso arrivi, non ne voglio sapere di prendere il comando, o di entrare a far parte del vostro club, non voglio neanche sentirne parlare, okay?! Sono-in-lutto.- mentre smontava tanto bruscamente le premure di quello sconosciuto, lei si sentì stranamente scortese e men che mai fedele ai suoi soliti modi allegri e gioviali; il pensiero che Nick avrebbe disapprovato quel suo comportamento le fece male al cuore, e Mattie si ritrovò a fare marcia indietro, abbastanza in fretta da sentirsi un’idiota: - Oh, capperi, ecco che ci risiamo. Scusami. Tu vuoi solo aiutarmi, invece io sono più nervosa di mia madre quando affonda nel fango coi tacchi a spillo... non badarci, è che ormai ogni fesseria mi manda in bestia… nell’ultimo periodo, la mia socievolezza ha raggiunto livelli talmente bassi da farmi venire le crisi d’identità: a quanto pare, ci sono ottime possibilità che io sia la sorella perduta di Brontolo dei Sette Nani, o roba del genere, insomma.-
Jackson la fissò interdetto, poi gettò indietro la testa bruna scoppiò in una risata roca che riecheggiò, liberatoria, tra i cipressi tutt’intorno. Mattie osservò i suoi denti bianchi e lucidi come stelle brillare e si sentì meglio.
Forse non l’aveva fatta troppo grossa:
- Tranquilla, gli sbalzi d’umore e gli scatti d’ira sono molto frequenti tra chi si è trasformato da poco.- le spiegò lui, con aria navigata, ritornando guardingo. - Ad ogni modo, hai ragione su tutto, tranne che su una cosa.-
- Concordo, neppure Brontolo poteva avere una sorella così antipatica.- bofonchiò Mattie, con le guance infiammate. - Non è vero?-
- Non ero venuto per tenerti d’occhio. Non proprio, almeno.- la corresse Jackson, posando un buffetto sulla tomba di Eve e lanciando un ultimo sguardo incuriosito alla figlia di Tyler, mentre questa lo scrutava interrogativa, costringendolo a scrollare piano le spalle: - Volevo soltanto conoscerti.-
 
***
 
Stefan fece scivolare, in successione, tutti i bottoni della propria camicia nelle rispettive asole, poi afferrò la sua giacca scamosciata color caramello e la indossò, lisciandone con cura le pieghe. Mentre le sue dita si agganciavano saldamente attorno alla maniglia della piccola valigia rimasta appoggiata, fino a quel momento, sul bordo del letto matrimoniale dei Salvatore, in attesa, scoccò un’occhiata sfuggente allo specchio che troneggiava accanto al suo armadio semivuoto e si accorse che un guizzo di lunghi capelli castani era spuntato oltre la soglia della camera, proprio dietro di lui.
- Hai dimenticato il tuo diario.- mormorò Elena, avanzando di un passo incerto verso di lui e posando un libricino rivestito di cuoio sul comò alla sua destra. Stefan si voltò lentamente e, invece di ringraziare la moglie, si limitò ad osservarla: il delicato ovale del viso di lei era segnato dalla spossatezza ed incavato sulle guance, i contorni sempre setosi della sua chioma erano irti e spettinati e le sue palpebre erano gonfie a causa delle innumerevoli notti insonni trascorse sul divano. Sembrava molto più giovane e fragile, priva di punti di riferimento, come quando lui l’aveva conosciuta o come quando era appena diventata una vampira e i suoi nuovi, oscuri desideri la spaventavano, al punto da costringerla a negare la loro esistenza, persino a se stessa: - Non voglio che tu te ne vada.- annunciò Elena in un bisbiglio, seguendo le reazioni del marito col cuore che martellava dolorosamente. Il più giovane dei Salvatore sospirò, ma lei non desisté: - Ti prego, Stefan.- lo scongiurò, con voce spezzata. - La casa al Lago non ti darà le risposte che cerchi, finirà solo con l’allontanarci di più… Demi ha già perso il ragazzo che amava, non può perdere anche te. In un momento simile, ha bisogno della tua presenza. Io ho bisogno di te.-
- Io, invece, ti amo.- esalò Stefan, passandosi una mano sulla faccia, in un inedito gesto di stanchezza. - Non lo capisci? E’ proprio questo il problema, Elena. E’ sempre stato questo.-
- Anch’io ti amo.- protestò lei debolmente, mentre la verità immensamente complessa di quella dichiarazione le graffiava il petto e la gola in profondità, come un’orrenda creatura disposta a farsi strada ad unghiate, pur di riuscire ad evadere dal proprio nascondiglio. Il ricordo della primissima volta in cui gli aveva fatto quella confessione, per scongiurare il suo desiderio di lasciarla una volta per tutte in nome della sua sicurezza, le riverberò nello stomaco senza che potesse fare nulla per impedirlo: ‘’Se adesso te ne vai, Stefan, lo fai per te stesso, perché io so cosa voglio.’’ Quella sera, impressa a fuoco nella sua memoria, gli aveva urlato dietro quelle parole perché desiderava con tutta se stessa che lui si voltasse nuovamente e che le corresse incontro per soffocare in un bacio appassionato il disaccordo sorto tra loro, facendole sentire sulle labbra e sulla lingua tutto il suo amore, lo stesso a cui nessuno dei due avrebbe più potuto rinunciare.
Provava ancora quello stesso struggimento?
E se lui le avesse creduto, stavolta come allora, sarebbero di nuovo finiti a letto nello stesso modo di vent’anni prima, accarezzandosi con dolcezza ed adorazione, come se il loro pazzo amore fosse destinato a non morire mai? Come se nessun’ombra del passato o del futuro potesse mai essere in grado di scalfire le loro certezze?
 
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Con un moto dilagante d’emozione, la Gilbert ripensò alla tenerezza con cui aveva sfiorato i lineamenti di Stefan quando questi ultimi erano stati resi quasi irriconoscibili dalla sete: non aveva avuto paura del predatore sanguinario celato sotto la superficie, anzi, lo aveva invitato a non nascondersi, a restarle vicino, perché ogni briciola dell’essenza di Stefan potesse appartenerle. Il coraggio della ragazzina che era stata a soli diciassette anni la fece vergognare di ciò che era diventata nel presente: col tempo, a tramutarsi in un mostro alla cieca ricerca d’approvazione, pieno fino a scoppiare di disprezzo e menzogne, era stata proprio lei.
- Ma ami anche Damon.- sentenziò suo marito, con una cupa rassegnazione che lasciava trasparire tutta la sua incontenibile amarezza.
Elena comprese che quella non era una domanda e si sentì invadere dalla tristezza, perché, nonostante i suoi sforzi, era tornata ancora una volta al punto di partenza: aveva finito per frantumare nuovamente, e in mille pezzi, il cuore della persona che teneva a lei, che c’era sempre stata, che innumerevoli volte l’aveva salvata da se stessa e dai suoi demoni, dando un senso alla sua vita e rendendola grata nei confronti del destino. Non poteva negargli la verità, non mentre, anche ad un mese di distanza dall’accaduto, il bacio incandescente e segreto di Damon le scottava ancora sulle labbra, eppure non riusciva a sopportare l’idea di averlo deluso fino a quel punto:
- Non l’ho più visto, da quella sera.- ansimò, sostenendo il suo sguardo attento nonostante fosse quasi impossibile riuscirci senza scoppiare in lacrime. La mancanza del vampiro dagli occhi di ghiaccio le pesava ancora dentro come un macigno, eppure lei era rimasta salda sulle proprie decisioni, anche quando la nostalgia le aveva fatto mancare l’aria nei polmoni: - L’ho evitato, gli ho chiesto di non rendere il tutto più difficile. Stefan, non avevo idea di cos’altro fare, ma sapevo che farti del male era l’ultima cosa che desideravo... non potevo farti questo, ancora, né mandare alla malora tutto ciò che di bello abbiamo costruito negli anni, i nostri progetti, i nostri ricordi…- Elena notò che nel secondo borsone del vampiro, quello con la cerniera ancora non del tutto chiusa, qualcosa risplendeva fiocamente: era il vetro di una cornice di legno marrone, nella quale era stata infilata la loro più vecchia foto, scattata ai tempi del liceo.
 
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- Non voglio perderti. Non posso.- ammise la Gilbert, come in preghiera, rincuorata da una flebile speranza. Dal giorno dell’incidente con i suoi genitori al Wickery Bridge, il debito affettivo che sentiva di avere nei confronti di Stefan non aveva mai smesso di crescere a dismisura, quasi fino a schiacciarla: nonostante i suoi sentimenti proibiti per Damon, non aveva mai imparato a sopravvivere sul serio senza Stefan accanto, e sentiva che non ci sarebbe mai riuscita fino in fondo. La semplice prospettiva le dava le vertigini. - Ho scelto te, Stefan, ho giurato di amarti e onorarti, ho condiviso ogni cosa con te… voglio proteggere ciò che abbiamo, la nostra famiglia…-
- Ma a quale prezzo?- domandò lui, interrompendola. Lei tacque di colpo, quasi trasalendo, non tanto a causa del tono brusco del vampiro, quanto, piuttosto, per la muta devastazione che questo trasudava. - Ti sei costretta a non parlare più con Damon, a non cercarlo per settimane, ma non hai trascorso una sola notte tra le mie braccia. Mi hai accudito quando mi sono risvegliato dalla morte ma, mentre lo facevi, non ho percepito il tuo calore… solo il dolore che ti è costato rinunciare a mio fratello. Non eri felice. Non credo di averti mai vista così infelice prima d’ora, Elena.-
- Siamo stati felici, però. Per sedici lunghi anni.- insisté lei, con le iridi lucenti e traboccanti come sorgenti di alta montagna. - Lo sai… lo sai che è così.- mentre lui cercava di evitare il suo sguardo, la vampira allungò le proprie dita frementi per sfiorargli il profilo duro della mascella, invitandolo a darle ascolto: - Possiamo esserlo ancora.-
Stefan si sentì trafiggere fin nelle profondità dell’anima da quell’offerta, così allettante da risultare quasi irresistibile, ma s’impose di non cedervi: avere fiducia in quello che di epico li legava, da sempre ed indissolubilmente, l’uno all’altra, era stato naturale come respirare per tutta la durata del loro matrimonio, ma non poteva salvarli dallo sfacelo, non più.
Non stavolta.
- Se lo vorrai, tornerò da te in un battito di ciglia.- la rassicurò Stefan, con un groppo in gola, toccando con il proprio palmo la mano tesa della moglie e premendosela appena sulla guancia. - Sei l’amore della mia vita, e lo sarai per sempre, ma non possiamo più andare avanti in questo modo. Non posso sopportare le tue incertezze, non dopo quel che c’è stato tra noi… non dopo il modo in cui sei stata mia. Se il fatto che Damon non fosse più nei paraggi non è riuscito a cancellarlo dal tuo cuore per tutti questi anni, dimmi, come speri che ciò possa avvenire, adesso, grazie al tuo semplice ignorarlo? Ti ho amata per entrambi, come lui stesso mi aveva chiesto, ma guardiamo in faccia la realtà: forse non è mai bastato. Per rispettare la sua volontà, ho serbato per me la verità sul soggiogamento di Rebekah e il tenertela nascosta mi faceva sentire meschino, ogni giorno, come se mi meritassi quel tuo amore a metà… come se fosse quello il prezzo da pagare per poterti stare accanto. Ma poi lui è tornato, e la sua sola presenza è bastata a farti rimettere in discussione ciò che volevi. O chi.- con un gesto grave che sembrò costargli una fatica inimmaginabile, allontanò da sé la carezza di Elena, e lei ebbe un flash istantaneo e straziante della loro prima, vera rottura, avvenuta sugli scalini del porticato dei Gilbert, molto tempo addietro. Quella volta, lei aveva raccolto tutte le proprie forze per imporsi di confessare ad alta voce di essere cambiata, a causa del vampirismo, fino ad acquisire un carattere assai più indomabile e oscuro del precedente, ma ora? Si sentiva soltanto orribile. E crudele. - Adesso hai tutte le carte in mano per fare la tua scelta. Nessun sirebond, nessun segreto. Concediti il tempo di capire ciò che provi. Non potrei mai fare niente di diverso dal lasciarti libera di decidere… ma non farmi restare qui a guardare. Ti prego.-
 
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- Stefan…-
Mentre un singhiozzo la strozzava, la Gilbert non si mosse e lo guardò imbracciare i bagagli rimasti, poi lui annuì tra sé e le voltò le spalle come un estraneo, dirigendosi verso l’uscio. I sensi acuiti della vampira percepirono i passi del minore dei Salvatore percorrere, lievi ma inesorabili, le scale ed il salotto, oltrepassando anche l’ingresso, fino a svanire nel cortile e a confondersi col rombo di una Porsche rossa appena messa in moto; poi Elena si sentì mancare e si accasciò sul materasso, prendendosi delle ciocche di capelli tra le mani, come se volesse strapparsele via, e si lasciò naufragare nel pianto. Le tornò in mente la sua prima notte di nozze, durante la quale Stefan l’aveva adagiata tra quelle lenzuola con indosso ancora l’abito bianco e col rigonfiamento del suo pancione che la rendeva goffa ed impacciata nei gesti. Si era disteso lentamente accanto a lei, sorridendole beato a causa dell’effetto inebriante che la musica, lo champagne e la suntuosa festa celebrata in loro onore gli avevano regalato, poi le aveva carezzato via di dosso le scarpe color crema, la stoffa vaporosa del vestito e le mollette dall’acconciatura elaborata, una per una, senza alcuna fretta. Alla fine, lei era rimasta con la sola sottoveste di seta a coprirle le rotondità e si era sentita in soggezione, almeno fin quando Stefan non aveva cominciato a baciarla: a quel punto, infatti, si era sentita invadere dalla dolcezza e dal piacere, e si era convinta di essere fortunata, perché lui l’aveva baciata con passione, fino allo sfinimento, in ogni angolo del corpo, venerandola come un dono insperato, ma non aveva osato spingersi oltre. La sua dolcissima, spontanea pazienza l’aveva salvata da ogni imbarazzo, e così avevano dormito, abbracciati, fino al mattino seguente, in pace, da quel giorno in avanti, per tutte le notti a seguire. Dopo aver baciato Damon, però, in un momento di inarrestabile follia e in quel modo così violento e sentito, come se non avesse bramato altro per tutto il tempo della loro separazione, la Gilbert non si era più sentita degna di quella serenità, ed aveva evitato di proposito il talamo, consumandosi tra i sensi di colpa in completa solitudine, di fronte al camino di pietra, con i sospiri di entrambi i fratelli che le affollavano il cervello ed il ricordo del loro sapore così diverso e, allo stesso tempo, tanto irrinunciabile a darle il capogiro. Anche mentre si disperava per quell’ultimo abbandono, i volti dei due Salvatore continuavano a sovrapporsi nei suoi pensieri, e i loro nomi erano come spine avvelenate conficcate nel suo petto, in viaggio per arrivare al suo cuore e porre fine alle sue sofferenze, una volta per tutte.
E forse la agognava davvero, una conclusione veloce e definitiva, ora che non ogni appiglio le era stato sottratto…
- Mamma?- Elena si raddrizzò con un sussulto improvviso e, sollevando il viso dal cuscino imbrattato di mascara, rivolse l’attenzione verso lo spiraglio di luce che la stava investendo e che rendeva leggermente sfocati i contorni di una sagoma sottile appena comparsa nella penombra.
- Demi…- tirò su col naso la vampira, passandosi il dorso della mano sulle guance zuppe e cercando frettolosamente di ridarsi un contegno. Non voleva che sua figlia la vedesse in quelle condizioni, né poteva permetterle di addossarsi un po’ della sua pena per provare a consolarla. Le sembrava di essersi comportata già abbastanza da egoista, ed il suo istinto materno prevalse, spingendola a minimizzare: -… tesoro, va tutto bene… ecco, devo solo… non preoccuparti…-
- Ho sentito tutto.- bisbigliò Demi, a malapena udibile, avvicinandosi al letto e sedendosi cautamente sul bordo. La Gilbert sentì il suo profumo di mirtilli solleticarle le narici e fissò la sua bambina mentre quest’ultima, accompagnata da uno sbuffo di coperte, affondava al suo fianco. Notò che non era nella sua solita tenuta casalinga, composta di jeans chiari e maglietta: portava la chioma raccolta in una treccia da cavallerizza così lunga da arrivarle a metà schiena, gli stivali neri soffici come piume, una felpa con la zip del medesimo colore, chiusa sul seno per nascondere un top più corto, ed un paio di pantaloni aderenti e allo stesso tempo assai comodi ed elastici. Prima di accostarsi a lei, Demetra aveva lasciato cadere sul tappeto uno zainetto ed il pesante contenuto di quest’ultimo aveva prodotto uno stridio metallico quasi disturbante. Allarmata da quei particolari, Elena cercò gli occhi blu della figlia, ma vi lesse dentro solo dolcezza, e persino un pizzico di timidezza. - Stavo per uscire quando… beh, ho sentito le vostre voci, e io… non ho potuto evitare di… mi dispiace così tanto.-
- Non è importante…- tossì Elena, scuotendo la testa ed allungandole una carezza tremula quanto rassicurante sull’attaccatura delicata della mascella, proprio vicino al suo orecchio. -… dico sul serio, devi stare alla larga dalle emozioni negative, Demi, vattene via, lo Stigma Diaboli potrebbe…-
- Il Marchio è inoffensivo, per il momento.- la interruppe la Salvatore, sventolandole sotto il naso il proprio polso, come per tranquillizzarla: attorno ad esso, brillante come una fioca lanterna, si attorcigliava, simile un piccolo serpente, un braccialetto color zaffiro, che Demi si era portata da New Orleans e che non aveva mai tolto dopo il suo ritorno dalla Louisiana. Elena l’aveva scrutata con esitazione, ma la ragazza aveva assunto un’espressione decisa e testarda, per spazzare via ogni dubbio sulla questione: - Sono al sicuro, mamma. E non me ne vado.-
Poi, senza aggiungere altro, Demi l’abbracciò.
La Gilbert sentì il calore dell’esile corpo della sua creatura contrastare il suo gelo interiore, proprio com’era accaduto quando Demi era venuta al mondo, un fagotto urlante di panni insanguinati che si divincolava senza sosta tra le sue braccia esauste e protettive. Quel giorno, Elena non avrebbe mai potuto immaginare quali pericoli avrebbero ostacolato la sua crescita e la sua spensieratezza, quali orrori e quali perdite quella piccola avrebbe dovuto patire, ma aveva saputo immediatamente che Demi sarebbe stata la sua salvezza, l’unica stella del firmamento in grado di sconfiggere le tenebre delle sue infinite tragedie. Adesso, era perfettamente consapevole che la frattura provocata tra loro da Rebekah era ben lungi dall’essere risanata, eppure le mancava il fiato dalla gioia e dalla sorpresa, grazie a quella stretta così inaspettata e ricolma di affetto:
- Ti voglio bene.- le sussurrò la Salvatore, flebile come un battito d’ali, con la faccia ancora premuta contro il suo petto. Attese in silenzio che i singulti della madre si placassero una volta per tutte, poi si allontanò lentamente da lei, sforzandosi di sorriderle: - Riposati un po’, poi fatti un bel bagno caldo. Quanto gongolerebbe Katherine se riuscisse ad assoldare un’altra strega per spiarci e ti vedesse in questo stato? Era convinta di essere lei la doppel più carina, ma tu non puoi dargliela vinta. Capito?-
Elena soffocò una risatina e Demi si sentì sollevata, lieta di aver messo da parte il proprio bruciante rancore per correre a darle un conforto. Da quando Nick era scomparso, il suo ultimo consiglio non aveva mai smesso di frullarle nella mente, dandole la forza di compiere azioni inimmaginabili prima di allora, soprattutto per una tipa caparbia ed orgogliosa come lei:
‘’La tua compassione è un dono, Demi, è ciò che ti rende così tenace, così diversa da chiunque altro sia coinvolto in questa brutta storia. Il tuo potere di perdonare, il coraggio di andare avanti… ti mostreranno la strada. E, una volta trovata, non dovrai fare altro che percorrerla, a testa alta… perché tu fai così.’’
- Aspettami per cena. Tornerò con qualcosa di buono dal Grill.- disse la giovane, chinando prontamente il capo per recuperare lo zainetto e, allo stesso tempo, anche per nascondere i propri occhi lucidi ad Elena. Prima che la donna potesse chiederle qualsiasi spiegazione o intavolare una qualunque protesta, la Salvatore si alzò e scomparve risolutamente oltre la porta.
 
***
 
Superando le aiuole variopinte poste intorno ai vecchi alberi del Pensionato, Demi s’affrettò ad armeggiare con una manica della propria felpa e se la sistemò meglio sul polso, in modo che la stoffa riuscisse a frapporsi tra la sua pelle scoperta ed il calore sprigionato dal suo nuovo bracciale a forma di serpente. Assistere da vicino al tormentato sfogo di sua madre, infatti, non aveva alimentato lo Stigma, minando alla sua sanità mentale come di solito accadeva in passato, ma aveva stimolato le capacità protettive di quel gioiello mistico, fino a renderlo arroventato al tocco: tutta la negatività era rimasta intrappolata tra le sue spire blu cobalto, e lei non aveva subito alcun danno, proprio come le era stato promesso dalla persona che le aveva donato quell’amuleto, nel cuore del Quartiere Francese di New Orleans. La Salvatore, scossa da un brivido, respirò a pieni polmoni nell’aria piacevolmente fresca del giardino, cercando di contrastare con tutte le proprie forze il ricordo del lezzo di sangue e morte che le aveva ammorbato le narici poco prima di incontrare la suddetta benefattrice, mentre lei e Prince erano ancora bloccati nella foresta, assediati dai sovversivi di Oliver.
 
Quando aveva staccato le labbra dalla ferita aperta e grondante di Josh, il sapore viscido e ferroso della medicina vampiresca aveva continuato a gorgogliarle in gola, dandole la nausea e restituendo al suo mondo dei contorni sempre più nitidi. Quando anche il dolore alla spalla si era affievolito, svanendo in un’ultima scoccata pungente, Demetra si era tirata su a sedere, sconvolta, col mento striato di rosso e la voglia di farla pagare a chiunque avesse contribuito a quell’agguato che le intorpidiva il cervello.
Ma era stata trattenuta.
Non soltanto dalla mano perentoria del fidanzato di Aiden, ma anche (e soprattutto) dai suoni raccapriccianti ed animaleschi che erano esplosi tra i cespugli poco lontani, provenendo dalla stessa radura che aveva ospitato la rivolta contro i Labonair: portando via da lì Demi, infatti, alla velocità della luce, il giovane Rosza aveva dato a Prince la libertà di scatenare la propria ira senza doversi preoccupare dell’incolumità della controparte ed aveva, quindi, condannato il gruppo di Guillotin allo sfacelo… al massacro.
Tra le urla agghiaccianti, la Precelta aveva riconosciuto le voci di Oliver, di Rubyna, dei loro seguaci, e si era sentita accapponare la pelle dall’orrore, nonostante, fino ad un attimo prima, non avesse desiderato altro che gonfiarli di botte personalmente.
Ciò che stava accadendo a pochi metri dal rifugio in cui Josh l’aveva condotta, però, a causa dell’esplosione del mostruoso Potere di Prince, non era niente di cui si potesse umanamente gioire: il primo ribelle che il figlio di Klaus era riuscito ad afferrare, ovvero quello corpulento che aveva bloccato Jackson, era finito con il petto squarciato fino in profondità ed il proprio cuore dato in pasto; il secondo, aveva visto schizzare la propria testa via dal collo, e la stessa tremenda sorte era toccata anche al terzo e al quarto Licantropo che avevano provato ad avventarsi su di lui.
Prince aveva perso il controllo come non gli succedeva dai tempi degli allenamenti al Quartier Generale di Sophie, e le sue grida furibonde si erano unite a quelle laceranti delle sue vittime, mentre lui sembrava inebriato dal sangue e totalmente incapace di fermarsi.
Un quinto ragazzo-lupo, dall’aria terrorizzata, era riuscito fortuitamente a scansare in tempo il pugno d’acciaio di Prince e l’impatto con esso, invece di sfondargli lo sterno, lo aveva fatto ribaltare su stesso e andare pietosamente a sbattere con la schiena per terra. Il maggiore dei Mikaelson gli era piombato addosso e, dopo averlo afferrato una caviglia, lo aveva fatto roteare per aria, mandandolo poi a schiantarsi contro un albero, dove un ramo appuntito gli aveva trafitto le viscere fumanti, impalandolo.
- OLIVER GUILLOTIN!- il tono assassino del principe aveva riecheggiato tra i rantoli moribondi dei feriti ed i passi disperati dei disertori, mentre le iridi giallo dorato dell’Arma scattavano nelle vicinanze, simili a falene impazzite, cercando il loro più odiato avversario: - GUILLOTIN!-
 
Quando Prince era spuntato oltre le sterpaglie, parecchi minuti dopo, il silenzio circostante era diventato così tombale che si sarebbe potuto avvertire il frinire dei grilli dall’altra parte della foresta. Demi, paralizzata sul posto dalla paura, aveva stentato a riconoscerlo: c’erano polvere e foglie aggrovigliati nei suoi capelli biondi, incrostature rossastre di sangue attorno alla sua bocca, simili a colate di ruggine, un velo di sudore sulla sua fronte e spruzzi scarlatti sulle sue braccia, sui vestiti, ovunque. Non aveva osato guardarla, mentre invece lei non era stata in grado di staccargli gli occhi di dosso: la vista di lui in quelle condizioni la ripugnava, eppure, sotto la pallida luce della luna, qualcosa lo rendeva ipnotico come mai prima d’allora, quasi irreale. Sembrava Achille. Dorato, ammaccato dopo la battaglia, insudiciato di morte e di gloria, maledetto da un destino che lo aveva reso una macchina da guerra infallibile e spietata, senza redini, specie dopo aver subito perdite o tradimenti.
- Aiden!- Josh, che era rimasto accucciato accanto a lei, era scattato in piedi per riabbracciare il proprio fidanzato ed i due si erano scambiati numerosi sussurri carichi di apprensione, sollievo e spavento: - Per fortuna stai bene, temevo che… sì, è finita… oh, no, non sono ferito, sta’ tranquillo…-
 
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Alle spalle del principe era apparso anche Jackson, per fortuna vivo ed incolume ma, a sua volta, visibilmente provato, con la barba in disordine e le unghie scorticate:
- Sono tutti morti.- aveva annunciato, lanciando un’occhiata ansiosa al suo amico Mikaelson, il quale era pallido come la neve sotto la cortina di sangue che gli imbrattava la faccia. - Tutti quanti.-
- Anche Eve.- il suono asprigno della voce di Prince aveva colpito Demetra come un fulmine, mentre il simultaneo malessere che aveva scosso tutti i Crescenti poco prima, concedendo a Joshua il tempo di acchiapparla al volo per portarla al riparo, acquisiva improvvisamente un senso.
Nuovo.
Terrificante.
Eve… morta?
La Salvatore si era sentita invadere dallo shock, poi dal rifiuto, ed aveva cercato lo sguardo del fratellastro di Nick, sperando di scorgervi dentro delle risposte. Tuttavia, l’unica emozione visibile in quegli stagni smeraldini, resi putridi dalla sofferenza, era stata la freddezza:  
- In marcia.- aveva ordinato Prince al vento, voltando le spalle a tutti i presenti e mettendosi in cammino, da solo e malfermo sulle gambe, alla volta del Quartiere Francese.
- C-com’è potuto accadere?- aveva domandato a quel punto la Prescelta, senza demordere, rivolgendosi a Jackson e supplicandolo di renderla partecipe del sordo dolore che, era chiaro, stava annientando anche lui. - Come fate ad esserne certi?! Eve… no, no, lei era rimasta alla Capanna, era al sicuro… non capisco, cosa può essere successo di tanto grave per…? Non potrebbe semplicemente trattarsi di un errore… n-non potrebbe…?-
- Se n’è andata, Demi.- aveva confermato Aiden, allontanandosi appena dalla stretta di Josh, per arrestare il flusso sconnesso delle sue illusioni. - L’abbiamo avvertito tutti all’unisono: il nostro legame con il vecchio capobranco è stato infranto, scatenandoci dentro una reazione che soltanto la sua uccisione avrebbe potuto causare. Mi dispiace. Qualsiasi evento si sia concluso con la fine di Eve, è avvenuto a chilometri e chilometri da qui… perciò, l’unica cosa sensata da fare, al momento, è non perdersi d’animo e proseguire con la vostra missione… per quello che vale.-
 
Demi ricordava con chiarezza il senso di vuoto e di vertigine che aveva provato dalle parti dello stomaco mentre si rendeva conto dell’amara verità: se un Lupo Mannaro forte, feroce e grosso quasi quanto un orso era stata abbattuto laggiù, a Mystic Falls, che speranze di sopravvivenza c’erano ancora per il suo povero Nick, debole, schiavo delle allucinazioni e bloccato nello stesso letto in cui lei gli aveva giurato, con un bacio, che sarebbe tornata presto? O per Mattie e Sheila, che di sicuro, in caso di pericolo improvviso, non avrebbero rinunciato a proteggere il resto del gruppo senza tentare una resistenza contro il nemico?
Che ne era stato di tutti quanti loro?
 
‘’Fa’ che stiano bene…’’ mentre la spedizione avanzava rapida e taciturna nella vegetazione, alla Prescelta era sembrato di potersi trasformare, da un momento all’altro, in un mucchietto di polvere croccante, esattamente come accadeva ai rametti secchi che, passo dopo passo, continuavano a sbriciolarsi sotto i loro piedi. ‘’… ti prego, ti prego, fa’ che non sia troppo tardi per Nick, per favore, fa’ che non sia già tardi, che ci sia stato uno sbaglio, che ci sia ancora speranza…’’
Le era venuto da piangere ma, assurdamente, i suoi occhi si erano fatti via via più asciutti ed insensibili, fino a bruciarle nelle orbite, e la sua andatura era divenuta più affannata, sempre più simile ad una corsa.
L’unico ad andare più veloce di lei era stato Prince.
Mentre s’impegnava per stargli dietro, Demetra aveva sentito ribollirle dentro un sentimento incandescente, molto simile all’odio: perché la trattava di nuovo come un’estranea, dopo aver condiviso con lei i suoi ricordi più oscuri, la sua storia ed i suoi piani? Perché, dopo averla abbracciata con tanto impulso e sollievo al cospetto di Katherine, sembrava così scontento di averla intorno? A che razza di gioco stava giocando? Non capiva che era inutile provare a nascondere l’ansia e la tristezza che lo stavano divorando vivo, quando anche lei versava nelle stesse identiche condizioni?
Avrebbe voluto agguantarlo e dargli una brusca scrollata, mentre si rendeva conto che tutti gli imperdonabili difetti del principe le rendevano, se possibile, ancora più intollerabile l’idea che il più dolce dei Mikaelson, quello che si era conquistato tutto il suo amore e la sua stima, potesse essere già spacciato…
Ma poi, una volta giunto al confine più estremo della boscaglia, scorgendo le luci spettrali del Quartiere Francese, il figlio di Klaus si era fermato di colpo e si era aggrappato pesantemente al tronco di una quercia.
Sostenendosi ad esso per non crollare, Prince si era coperto gli occhi con una mano.
 
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Tremava come una foglia.
Da tutta la vita, non aspettava altro che arrivare laggiù per recuperare la Piuma ed ottenere una chance di pareggiare i conti contro la sua nemesi.
Ma adesso… sembrava non importare più.
- Perché stiamo andando avanti?- aveva esalato il giovane, infatti, tra i denti, piegandosi su se stesso con uno scatto sofferto, come se qualcuno lo avesse frustato. Demi lo aveva fissato, inebetita, senza il coraggio di flettere un muscolo, poi le dita di lui si erano richiuse di botto ed il suo pugno era andato a schiantarsi rabbiosamente contro la corteccia dell’albero lì accanto, deformandola con uno schizzo vermiglio, mentre il principe ruggiva, febbricitante, in preda al delirio: - Che senso ha aver raggiunto questo posto, ormai? Chi vogliamo prendere in giro, eh? Sophie ha vinto! Ha già vinto! Se Eve non ce l’ha fatta, se lei è morta, vuol dire solo una cosa… che il tempo è scaduto, che la strega si è presa anche mio fratello, che in quella Capanna è tutto finito, finito…- dando voce ai peggiori timori della Salvatore, Prince aveva sferrato un ennesimo, brutale colpo alla quercia, scorticandosi le nocche ancora più gravemente, poi si era guardato le dita martoriate, lì dove il sangue fresco era corso ad unirsi con quello già secco degli ammutinati. A tradimento, gli era tornato in mente il modo patetico in cui Oliver, una volta stanato, aveva implorato la sua misericordia, e la perversa soddisfazione con cui lui, per tutta risposta, gli aveva affondato i canini nel collo, per brindare alla sua rovina. Il pensiero degli ultimi sussulti agonizzanti di Guillotin gli aveva dato il voltastomaco, ma a fargli perdere del tutto la ragione era stata l’atroce consapevolezza di quanto quella violenza inaudita fosse piaciuta all’Arma… al Distruttore che la Deveraux aveva sempre voluto che diventasse. Soltanto ora, una volta calmata la furia omicida, Prince riusciva a realizzarlo con chiarezza: era giunto al capolinea. -… è tutto finito, m-mio fratello…- aveva continuato a ripetere quelle parole disarticolate, senza riuscire a fermarsi, come uscito di senno. -… è tutto finito… ha vinto lei, è finita…-
Demi aveva deglutito di fronte a quella dilaniante prospettiva, poi, accecata dalle sue stesse lacrime, si era avvicinata di un passo a Prince.
Al posto della faccia straziata del maggiore dei due Mikaelson, i cui profili erano stati resi fluidi e tremolanti dal proprio pianto trattenuto, la ragazza aveva visto sfilare molti altri volti, in teoria a lei sconosciuti, in pratica molto familiari e delineati quasi alla perfezione dalla sua fantasia grazie agli innumerevoli racconti di cui erano stati protagonisti: aveva visto fluttuare il viso serio ed inflessibile di Elijah, con il suo bel mento elegante ed i suoi capelli impomatati; quello fiero di Hayley, con gli stessi occhi verdi del suo primogenito e la bellezza selvaggia di una vera regina della foresta; quello esotico di Monique, con le grandi iridi dorate in netto contrasto col nero assoluto dei suoi riccioli; quello porcellanato e superbo di Rebekah, con le labbra perennemente atteggiate in un sorriso canzonatore; ed infine quello docile, molle e materno di Eve, le cui trecce erano striate d’argento e caffè, così come lo era stato anche il suo pelo di Lupo…
Prince li aveva persi tutti quanti.
Uno dopo l’altro.
Senza nessuna pietà.
A causa delle trame dello stesso, spregevole demonio.
Sophie.
E mentre Demetra continuava a barcollare verso la sua controparte, anche i tratti cesellati di Nick, del suo primo ragazzo, della persona più altruista e nobile che avesse mai conosciuto, del suo rifugio felice, inesorabilmente, inevitabilmente, erano andati a sommarsi a quelli delle altre vittime innocenti della strega, lacerandole in due il petto.
E incendiandole lo Stigma Diaboli.
A quel punto, una risata carica di scherno e malefica goduria le aveva assordato le orecchie, serpeggiandole dentro come un gas letale, e Demi aveva capito che doveva essere vero.
Che, con le loro intuizioni, sia lei che l’erede di Klaus avevano fatto centro.
Ed avevano perso.
Tutto.
- La ridurremo in cenere, la sua schifosa vittoria.- aveva singhiozzato la Salvatore, furibonda, con la voce attutita contro la spalla di Prince. Non aveva capito come fosse arrivata tra le sue braccia, né chi dei due avesse cercato per primo conforto in quella stretta convulsa, ma non le interessava: Nick non avrebbe mai voluto che suo fratello si sentisse solo e abbandonato, senza più uno scopo o un motivo per andare avanti... aveva dedicato tutta la sua esistenza a proteggerlo dalle angherie di quella megera, cercando di restituirgli la serenità tipica di un ragazzino di diciassette anni, e Demi non avrebbe permesso ai suoi tentativi di andare in fumo solamente perché lui, ora, non c’era più.
Perché Nick...
Lui…
Non c’era più…
 
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- Mi hai sentito?- aveva ansimato la figlia di Damon con veemenza, sentendosi impazzire dal senso di perdita, e desiderando con ogni fibra del suo essere che a cingerla in quell’istante, mentre era all’apice della disperazione, fosse un altro Mikaelson, più fragile e magro, meno danneggiato, lo stesso che non era riuscito a dirle che l’amava prima che partisse, e che lei non avrebbe rivisto, accarezzato o baciato mai più. - La strega, Shane, i loro servi infernali… li ridurremo in cenere, tutti quanti, fino all’ultimo... io e te. Capito? Te lo prometto, Prince.- lo aveva sentito fremere forte contro il proprio corpo, saturo di rancore, traumi, Potere, sudore e sangue, ma non lo aveva lasciato andare, nonostante la sua vicinanza fosse come un rogo per il suo Marchio ed una tortura per la sua integrità mentale già assediata. - Non ci daremo pace. Ci vendicheremo. La distruggeremo. Te lo prometto.-
- Ci vorrà un po’ di aiuto per quello.- aveva detto una quieta voce femminile, inaspettatamente vicina a loro.
Demetra, sciogliendo lentamente l’abbraccio col ragazzo, aveva avvistato un bagliore azzurro aleggiare al limitare del bosco ed aveva udito dei piccoli passi impalpabili superare il cancello di ferro del cimitero al quale erano giunti dopo la loro traversata tra le erbacce: si trattava del Lafayette Cemetery, ossia del cuore delle Congreghe Francesi e della sede mistica della loro Reggente.    
- Benvenuta in questo luogo sacro, Prescelta di Luinil, amica delle streghe.- l’aveva salutata  la fanciulla appena arrivata, in tono formale da cerimonia.
Era una tipa davvero molto avvenente, con la pelle d’avorio levigato e le labbra carnose di un rosa acceso. Aveva delle fattezze regali, alti zigomi prominenti e naso dritto, lunghi capelli castani sciolti sulla schiena ed un abito svolazzante che le fasciava morbidamente il corpo minuto.
- A nome dei miei Antenati e di tutta la mia gente, ti ringrazio per aver restituito la libertà alla giovane Cassie Claire, sottraendola alla prigionia impostale dalla Regina di New Orleans in persona. Io sono Davina Claire.-
 
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- Davina…-
Dopo aver rivolto un cenno amichevole anche al principe, la Reggente si era posizionata di fronte a Demi e, con un breve inchino, aveva schiuso le proprie dita color latte al suo cospetto, rivelando la presenza, sui palmi delicati, di un braccialetto iridescente, blu come gli abissi e frastagliato come la superficie delle maree:
- Un dono ospitale per te, da parte mia…- le aveva spiegato solennemente la portavoce degli Antenati, porgendoglielo, mentre, dietro di lei, iniziava a spuntare una tornita folla di curiosi, giunti fin lì per assistere all’ingresso dei due Prescelti in quella terra magica, la quale, fin dai tempi più remoti, era sempre stata affascinata dalla loro leggenda. -… per aver salvato la mia sorellina.-
 
‘’Elixir solidificato con un incantesimo della Reggente in persona’’, ecco di cos’era fatto quel gioiello eccezionale.
L’unico antidoto al mondo in grado di ostacolare in modo efficace l’azione del Marchio del Diavolo era sempre stato una specialità esclusiva del leader delle streghe, ed adesso, grazie alla gratitudine di Davina, Demi ce l’aveva saldamente allacciato al polso nella sua forma più pura, potente e duratura. Certo, non era sufficiente per annullare in modo permanente il perfido influsso di Sophie nella sua testa, ma era pur sempre un aiuto non trascurabile, specialmente durante i suoi momenti più difficili. Senza di esso, per esempio, la Salvatore era convinta che non sarebbe mai riuscita a sopravvivere alla scomparsa di Nick. Anzi, forse, come pensava spesso, in realtà Demi era morta insieme a lui proprio quella notte e quella strana ragazzina vestita come una guerriera, che si aggirava ancora per le stanze del Pensionato, beveva il suo succo di pompelmo alle sette e mezza del mattino, andava a scuola e sedeva accanto a Sheila, sbirciando di tanto in tanto dalle parti del banco vuoto lasciato dal suo ragazzo, accanto alla finestra, non era più lei.
Non scriveva più nel suo diario.
Non le piaceva più lasciarsi i capelli sciolti sulle spalle, come quando il giovane Mikaelson era solito attorcigliarseli attorno alle dita.
Non riusciva a fare a meno di piangere a dirotto, fino a perdere il respiro, ogni sera, prima di mettersi a dormire, quando era ormai completamente sola e nessuno dei suoi cari poteva provare pietà per lei, dimenticandosi di quanto importante fosse continuare a lottare per rispedire Sophie Deveraux all’inferno da cui proveniva.
Ogni giorno, la nuova Demi, si recava alla Capanna per trovare Prince, ed ogni giorno, da un mese intero, veniva da lui respinta sdegnosamente. Ma non si arrendeva, perché Nick non l’avrebbe fatto, e lei aveva deciso che il modo migliore perché lui continuasse a vivere era di portare avanti i suoi ideali.
Perciò, anche quel giorno, dopo aver finalmente raggiunto il proprio motorino parcheggiato all’ombra del cortile, sollevò la sella con uno strattone e ne estrasse il casco esageratamente imponente che Stefan le aveva regalato molto tempo prima, per garantirle una guida il più possibile sicura.
Mentre sorrideva tra sé per l’ingenuità del vampiro ed armeggiava con le infinite cinghie di quell’aggeggio, qualcosa dondolò a mezz’aria nelle vicinanze, attirando il suo sguardo come una calamita:
- Ma che diavolo…?- la giovane si accorse che, ad ondeggiare pigramente nella brezza, era un piccolo oggetto rettangolare rivestito in velluto, simile a un astuccio per occhiali e legato con un filo invisibile al manubrio del suo scooter, assieme ad un foglietto arrotolato… un biglietto.
Col battito cardiaco che si ribellava impetuosamente al suo debole tentativo di mantenere la calma, Demi estrasse quel frammento di carta dal nodo e lo stirò, rimanendo a bocca aperta dallo sgomento:
 
Ti prego, Demi, aiutami.
So perfettamente che tu e Prince mi credete perduto,
ma io sono ancora qui, intrappolato in queste sembianze di Demone.
Ed ho bisogno del tuo aiuto.
Sophie vuole che le consegnate la Piuma Nera, poi mi lascerà libero.
So che faresti qualsiasi cosa per me.
Non puoi abbandonarmi.
Se lo vorrai, io tornerò da te.
Sempre.
 
Per Demetra, non era necessaria la firma del mittente per intuirne l’identità, così si affrettò a spalancare la liscia custodia allegata alla lettera, e si sentì sprofondare: adagiata su un letto di pregiata stoffa ed investita dalla tiepida luce pomeridiana, ad attenderla c’era una magnifica penna ad inchiostro blu, identica a quella che Nick le aveva prestato durante il loro primo giorno di scuola, dando inizio alla loro relazione.
 
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Demi la sfiorò delicatamente con le dita, mentre un moto di commozione rischiava di farle perdere i sensi con la propria intensità, poi fece scivolare quel regalo nello zaino e, con uno calcio ben assestato, liberò il motorino dal cavalletto, mettendolo in moto e svanendo, come un razzo, verso l’orizzonte insanguinato dal tramonto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTE DELL’AUTRICE:
Salve a tutti, miei adorati lettori! *corre a nascondersi dietro la Muraglia Cinese per sfuggire alle maledizioni*
Sono tornata /e anche con una certa rapidità, perciò inserire cortesemente ‘’APPLAUSI’’ qui, prego! #LOL/ con un nuovo capitolo, che spero vi sia piaciuto… al momento, immagino ciascuno di voi in piena crisi esistenziale… lo so che è un po’ crudele da dire, ma finalmente mi sento meno sola muahahah T.T Scrivere queste 25 facciate è stato molto difficile, ad un certo punto ero in una valle di lacrime, perché tutti quanti sapete benissimo quanto il mio amore nei confronti di Nick sia senza confini… ebbene sì, la sua anima è ormai persa per sempre. O forse no? E’ un trabocchetto, quello della lettera a Demi, oppure c’è davvero una speranza nascosta, per il nostro eroe? Come starà reagendo il povero Prince alla perdita di ogni singolo membro della sua famiglia e come avranno fatto, lui e Demi, ad impossessarsi della Piuma Nera? Quale ruolo avrà giocato Davina? E quali avventure aspettano dietro l’angolo la nostra Mattie Wolf-Wolf? <3
La mia ansia di recensioni e commenti a caldo è straripante, sappiatelo.
Un po’ come la mia curiosità di sapere cosa accadrà quando, finalmente, Elena smetterà di negare a se stessa la possibilità di rivedere Damon.
Grazie a tutti per il calore, le visualizzazioni e le dolcissime parole, siete il mio carburante migliore!
Un bacio e alla prossimaaaaaaaaaaaaaa <3
Evenstar75
 
  
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