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Autore: Warlock_Vampire    08/07/2017    0 recensioni
"Io, che ho conosciuto molto presto cosa fossero dolore e odio e che solo dopo molto tempo ho compreso l'amore; io, che ho imparato ad uccidere prima ancora di saper vivere; io, che ho vissuto per secoli nella profonda convinzione che ognuno può ottenere ciò che vuole, sempre e comunque, sacrificando tutto, se necessario; dopo così tanto ho davvero bisogno di mettere nero su bianco i fatti."
In queste memorie Katherine Pierce si racconta, dalla sua fragile umanità alla trasformazione in Vampiro, ripercorrendo tutte le tappe più significative della sua lunga esistenza.
AVVERTENZA: La lettura di questa storia è un contributo, una spin off, di The last challenge (il nostro crossover). Pertanto, consigliamo la lettura di The last challenge, anche se non è essenziale.
Inoltre, essendo la "nostra" Katherine, le vicende in cui è coinvolta sono frutto dell'immaginazione degli autori e nulla hanno a che vedere con la Katherine di The Vampire Diaries, pur ricalcandone l'aspetto e il carattere.
Precisato questo, buona lettura!
Genere: Azione, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Elijah, Katherine Pierce, Klaus, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Versailles, 1683
 
1683. Oh, una data che rievoca in me momenti tranquilli e paesaggi mozzafiato nella Francia del Re Sole. Mi ero riunita a Rose e avevamo girato assieme per un po’, ma adesso sentivamo parlare di Versailles e di quale magnifica reggia Luigi XIV stesse facendo costruire sui resti del Pavillon de Chasse dei suoi avi. E io, che avevo conosciuto grazie a Nikolaj lusso e ricchezza, potevo perdermi l’occasione di vedere coi miei occhi quella che un giorno sarebbe diventata una delle regge più belle d’Europa? Certamente no.
Nell’eccitazione del momento, organizzai tutto sin nei minimi dettagli.
Rose era un po’ titubante, ma io ero convinta di voler andare proprio a Versailles. Per la verità non si trattava solo di un mero capriccio: discendenti della Congrega di Rose, ancora assetati della vendetta mai consumata contro la mia fedele compagna, ci avevano attaccate a Torino ed eravamo state costrette ad una brusca ritirata fino in Provenza, da dove organizzammo il viaggio per Versailles. Lì di certo saremmo state al riparo da qualsiasi minaccia di tipo soprannaturale e, sebbene la cosa potesse ritorcersi contro di noi, ero disposta a correre il rischio.
Ci stabilimmo perciò in una città poco lontano da Versailles, presso una vecchia Marchesa rimasta vedova da tempo. Era la donna perfetta: di classe, ricca, anziana e sola, ma soprattutto, era parente della regina di Francia.
Quando arrivammo in casa sua, soggiogammo tutto il personale di servizio e poi la povera vecchia, affinché ci considerassero sue nipoti. Poi scrissi di mio pugno una lettera, mi firmai a nome di Maria Teresa d’Aragona e la inviai alla Marchesa.
Sostanzialmente, avevo inviato alla vecchia un autoinvito a Versailles per lei, me e Rose.
E così, tempo di fare i bagagli, ed eravamo in carrozza dirette alla reggia del Re Sole.
La Marchesa aveva una carrozza tutta per sé, mentre io e Rose ne condividevamo un’altra. La cosa era perfetta perché io e Rose potevamo parlare liberamente senza preoccuparci dell’anziana nobildonna. Rose rimase piuttosto silenziosa per tutto il viaggio e scrutava il paesaggio francese fuori dal finestrino della vettura con un cipiglio preoccupato che non sapevo interpretare.
«Che hai?» le chiesi dopo un po’ che la studiavo.
«Niente» replicò, «mi chiedevo quanto resteremo qui».
«Non lo so. Un mese, un anno… che importa?».
«Non ti stanca, questo girovagare senza scopo?».
                     
«Ma noi abbiamo uno scopo, Rose!» ribattei, «divertirci, fare conoscenze, proteggerci a vicenda da quei parassiti della tua ex Congrega… se non fosse per te, giuro che avrei dato la caccia a tutti loro molto tempo fa e li avrei squartati uno a uno. Vedi com’è la vita, Rose! Loro vogliono uccidere te e tu li vuoi salvare da me. Curioso. Sono sempre i buoni a pagare le conseguenze».
«Tu non sei dei buoni?» mi domandò sorridendo tristemente.
«Oh, no» risposi, «i buoni muoiono. I cattivi, muoiono anche quelli prima o poi. Io sono una che si fa i fatti suoi. È questo il segreto dell’immortalità».
Rose non disse altro e così il viaggio proseguì in silenzio, fino a quando Versailles si stagliò all’orizzonte e la reggia era una costruzione candida che si ergeva tra la folta vegetazione e i campi coltivati tutt’intorno. Non era ancora completa, i giardini non erano quelli che sarebbero stati di lì a qualche decennio, eppure emanava già un misto di lusso, potenza e pace, che stregava.
Attraversammo il lungo viale fino ai cancelli d’entrata, li superammo e arrivammo fino alla reggia dopo un altro lungo viale che serpeggiava fino alla zona dove le vetture si fermavano per far scendere i passeggeri e stuoli di inservienti arrivavano come api operaie sui fiori appena sbocciati, occupandosi di bagagli e ospiti.
Il fatto che il nostro invito reale fosse un’invenzione non mi preoccupava affatto. Versailles pullulava di nobili parassiti della corona francese e ce n’erano così tanti, che dubitavo fortemente che qualcuno si sarebbe accorto della clamorosa aggiunta di tre posti a tavola.
«Sarà divertente» sentenziai rivolta a Rose.
 
Rimanemmo a Versailles per sei o sette mesi. Non fu bello come a Firenze, non c’era nessun Lorenzo de’ Medici del resto, ma fu un periodo che scorse tranquillo e soprattutto, di divertimento.
La reggia era costantemente in festa e giornalmente si tenevano ricevimenti e banchetti ed era tutto molto spassoso. Era una vita ovattata, lontana dalla dura realtà del popolo francese, dalle proteste e dai malcontenti. Era un piccolo mondo felice.
E in quel piccolo mondo, trovai una preziosa compagnia: il Re Sole.
Lo avevo visto molte volte, naturalmente, ma non avevo mai avuto l’occasione di parlarci. Avvenne un pomeriggio tiepido di marzo, due mesi dopo il mio arrivo a Versailles. Stavo passeggiando nei giardini e mi ero fermata a osservare le statue di una fontanella. Mi voltai al crepitio dei passi di molte persone sul ghiaino del viale alle mie spalle, e vidi il re attorniato da una folla silenziosa composta da consiglieri, damerini e forse persino dottori. Veniva verso di me e camminava tutto impettito con quelle sue ridicole scarpe col tacco che andavano di moda all’epoca.
Mi inchinai immediatamente e altrettanto fece lui, anche se non si piegò tanto quanto me.
«Vi vedo molto interessata alle mie fontane» osservò per attaccare discorso.
«Incantevoli, Maestà» replicai e chinai nuovamente il capo verso di lui.
«Non vi ho mai vista, Mademoiselle» disse, «siete a Versailles da molto?».
«Un paio di mesi, Eccellenza. Sono nipote della Marchesa De Valençon, parente di vostra moglie, Sua Maestà la regina» risposi.
«Ah! La Marchesa… una donna di gran classe» commentò, «e qual è il vostro nome?, se mi concedete l’ardire di chiedervelo».
«Katerina. Chiamatemi Katerina». Gli sorrisi. Qualcuno della folla che seguiva il re strabuzzò gli occhi alla mia risposta, ma non proferì parola per commentare lo scandalo della mia affermazione. Davvero azzardato, farsi chiamare per nome da un re. Certo, come no; che mare di stupidaggini.
Il re comunque sorrise, per nulla turbato dal mio azzardo. Sembrava più che altro divertito. Mi passò per la mente che volesse propormi di diventare la sua amante. Non sarebbe stato di certo un pensiero stupido, visto che ne aveva molte.
«Continuate a passeggiare con me, Katerina?» mi propose.
«Con immenso piacere».
E così continuammo a camminare fianco a fianco e ogni tanto Luigi indicava alberi o altre piante e me ne spiegava l’origine. Altre volte ancora parlava delle fontane, delle statue e dei giochi d’acqua e si lanciava nel racconto di miti antichi e quasi dimenticati.
Era stranamente piacevole passare il tempo con lui e ben presto dimenticai l’idea che mi avesse avvicinata al solo scopo di trasformarmi in una delle sue concubine. Gli uomini invisibili che lo seguivano ovunque ci venivano dietro, ascoltavano le nostre chiacchiere e ogni tanto avevano come dei singhiozzi, quando io mi lanciavo in provocazioni o battute pungenti, che in fondo sono sempre state la mia specialità.
«Mi sembrate una donna a cui piacciano i viaggi» esordì dopo un po’. Ci eravamo parecchio allontanati dalla reggia, tanto erano grandi i giardini di proprietà della corona, ma gli uomini invisibili continuavano a seguirci. Avevo imparato a non far caso a loro e col passare del tempo erano diventati poco più di ombre per me.
«E’ così in effetti» gli risposi.
«Non vorrei sembrare sgarbato, Mademoiselle, ma viaggiare sola mi pare alquanto sconveniente per una dama come voi. Siete peraltro molto giovane e bella, i viaggi solitari sono di certo poco raccomandabili».
«Chi vi dice, che io viaggi da sola?» ribattei con un mezzo sorriso.
«Era solo un’ipotesi».
Restammo in silenzio per un po’ di tempo, ma il re di Francia era un uomo a cui il silenzio non piaceva affatto. O forse non ne era abituato e lo doveva riempire a qualsiasi costo.
«C’è un uomo nella vostra vita?».
«Siete curioso, Maestà» osservai per prendere tempo e stuzzicarlo un po’.
Lui ridacchio.
«C’è» aggiunsi quando l’ilarità scemò.
«Siete sposata?» volle sapere allora.
«Vedova».
«Alla vostra giovane età? Che cosa orribile» esclamò Luigi.
Io non risposi, persa nei ricordi.
«Amavate molto vostro marito a giudicare dallo sguardo che avete ora» disse il re, desideroso di mantenere viva la conversazione.
«Nessuno sa cosa sia l’amore, Maestà».
«Come si chiamava?».
«Lorenzo» risposi, «si chiamava Lorenzo».
  
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