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Autore: _armida    09/07/2017    0 recensioni
Dal capitolo XV:
“Si aspettano che io ti uccida?”, domandò lui con un filo di voce.
(...)
. “Mi… mi terrai la mano mentre… sì, insomma, dall’altra parte non sarò sola ma…”. Non riuscì ad andare avanti e si limitò a cercare aiuto nel viso che aveva di fronte.
“Lo farò per tutto il tempo che vorrai”, si affrettò a dire il Conte, mentre una lacrima sfuggita al suo controllo gli rigava una guancia.
Elettra la spazzò via con una carezza, tornando poi a sorridergli, seppur il suo tono di voce, quando parlò, fu estremamente serio. “Non per tutto il tempo che vorrò, solo il minimo indispensabile, poi correrai da Leonardo a salvargli la vita. Non voglio vedere nessuno di voi per i prossimi trenta o quarant'anni, almeno”, aggiunse in un tentativo di ironia. Si alzò sulle punte, per poter avere il suo viso all’altezza del proprio e lo baciò per l’ultima volta. “Addio, Girolamo”, disse ad un soffio dalle sue labbra.
Si guardarono negli occhi.
Una tacita domanda.
Un cenno di conferma.
Strinsero entrambi le mani intorno al pugnale e la lama si fece strada nella carne.
(seguito di "L'Altra Gemella)
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Elettra'
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Capitolo III: Amici 
 

Nel frattempo, a Firenze… 


Leonardo spalancò gli occhi di scatto, risvegliato dall’ennesimo incubo di cui era preda da diversi giorni ormai. Li richiuse di nuovo e prese un lungo respiro con l’idea di riuscire in quel modo a calmarsi, ma il tutto si rivelò un grave errore: non appena le palpebre si abbassarono rivide l’immagine che lo aveva ridestato: il corpo di Elettra disteso sul pavimento del Duomo, con il sangue che colava copioso da una ferita al ventre e gli occhi sbarrati. Due grandi cristalli di ghiaccio privi di vita che nel silenzio della morte lo incolpavano di quell’esistenza spezzata troppo presto.  
Riaprì gli occhi, osservando la flebile luce della candela disposta sul suo tavolo da lavoro languire; poco più in là, le ceneri nel camino acceso stavano rilasciando i loro ultimi bagliori rossastri. Si alzò a fatica dallo sgabello su cui era seduto, indolenzito per tutte le ore passate a dormire in quella scomoda posizione, e si diresse a mettere un legno sulle braci. Mentre le osservava, esse parvero riacquistare nuova vita, assumendo un colore tendente al bianco; alcuni istanti e quel candore si era tramutato in una tinta aranciata che lentamente aveva finito per avvolgere per intero il ceppo. Leonardo osservò le fiamme danzare nell’aria come tanti fantasmi che scomparivano e riapparivano senza alcuna apparente logica. Sospirò pesantemente e, nel tentativo di distrarsi dall’incubo che aveva fatto, si mise ad accendere altre candele con cui illuminare il proprio studio per poter continuare a lavorare alla commissione che gli era stata affidata. Per la prima volta, non desiderava altro che ultimarla quanto prima. Ci lavorava giorno e notte da giorni, ormai. Addormentarsi su quello scomodo sgabello era diventata una consuetudine.  
Si ricordava di aver distrattamente alzato la testa mentre gli ultimi raggi morenti del tramonto si spegnevano tingendo il cielo di tinte che spaziavano dal rosso acceso, al giallo e al rosa. Ora, guardandosi in giro, si rese conto che era ormai notte fonda.  
Osservò i fogli poggiati sul bancone, dove vi era rappresentato il progetto per la commissione: Gentile Becchi gli aveva affidato il compito di forgiare una scultura bronzea da collocare sulla tomba di famiglia. Leonardo si era gettato anima e corpo nel cercare di raffigurare Elettra nella sua vera essenza, in modo che chiunque posasse il suo sguardo sulla sua statua potesse capire di che pasta fosse fatta: sarebbe stata seduta su di un trono, con una lunga e sottile veste, proprio come quelle bianche di lino che era sovente indossare d’estate, quando ancora spensierati si rincorrevano per i prati fuori Firenze; sul suo capo ci sarebbe stata una corona di rose, il suo fiore preferito, e, poggiata sulle ginocchia, avrebbe avuto una lunga spada da combattimento.  
La bozza era pressoché pronta, eccezion fatta per il suo viso, per il suo sguardo: per quanto ci provasse, per quanto si impegnasse, ad esso mancava sempre qualcosa. Nessuno era mai riuscito a mettere su carta il suo sguardo, quel misto di ironia e sensualità grazie a cui, si mormorava per i vicoli, avrebbe preso un giorno il posto di Lucrezia Donati come la Bella di Firenze.  
Nessuno era mai riuscito a catturare quello sguardo. Ma nessuno era Leonardo Da Vinci. Per questo Gentile Becchi aveva affidato la commissione a lui. Leonardo esigeva da sé stesso solo la perfezione. Era il minimo che potesse fare per lei.  
Osservò lo schizzo a cui stava lavorando poco prima di addormentarsi: lo sguardo non andava bene. Quel ritratto non lo stava osservando allo stesso modo in cui lo avrebbe fatto lei se fosse stata lì in carne ed ossa. 
In un gesto di rabbia accartocciò il foglio, lanciandolo con un grido frustrato tra le fiamme.  
Probabilmente nemmeno si accorse di quanto forte fosse stato quell’urlo, ma, a differenza sua, il resto della bottega l’udì. Erano passati appena una manciata di secondi quando Andrea entrò trafelato; il suo sguardo allarmato corse per tutto il laboratorio di Leonardo, fermandosi solo quando incrociò la figura del suo pupillo, immobile davanti al camino, di spalle. Sospirò, liberandosi almeno in parte dell’angoscia che gli attanagliava lo stomaco.  
Studiò Leonardo per alcuni istanti, prima di decidere a muovere alcuni passi nella sua direzione. Gli poggiò una mano sulla spalla, notando solo in quel momento l’impercettibile tremolio del suo corpo. Lo osservò con compassione.  
“È colpa mia, Andrea”, disse il geniale artista, con la voce ridotta ad un tremolante sussurro.    
“Leonardo, no, non darti colpe che non hai”, ribattè prontamente. Lui, Vanessa e tutto il resto della bottega gli ripetevano da giorni quelle stesse identiche parole, sperando di convincerlo una volta per tutte. Da un lato però lo capiva: la perdita di Elettra era stato un duro colpo per tutti. Ma per Leonardo, se ne rendeva conto, il colpo era stato ben peggiore: quei due avevano da sempre avuto un legame speciale, un legame che li rendeva più simile a due fratelli che a due amici. E perdere una sorella doveva essere straziante. Specialmente in quel modo: si era sacrificata davanti agli occhi di Leonardo, senza che lui potesse fare niente per evitarlo. Lo vedeva di giorno in giorno come il senso di colpa lo stesse divorando.  
Sospirò di nuovo, accarezzandogli la spalla. Non aveva mai visto il suo pupillo piangere ed era certo che quella non sarebbe stata quella la prima volta, nonostante in quei giorni lo avesse trovato spesso con gli occhi arrossati di pianto.  
“Non dovevo portarla con me, avrei dovuto lasciarla al molo insieme a Nico e Zo”, riprese a dire Leonardo.  
Il Verrocchio scosse la testa. “Appena capito cosa stava succedendo sarebbe comunque corsa in Duomo”. Sperò di aver chiuso lì la questione, ma non appena osservò Da Vinci tentare di aprire bocca per obbiettare, si convinse a proseguire. “Non eravate solo tu e lei là dentro, Leonardo. C’ero anche io, c’era tuo padre, suo zio e altre decine di persone che avrebbero potuto tentare di fermarla. Ma secondo te c’era qualche speranza di riuscire nell’impresa?” 
Leonardo scosse la testa.  
“Quella ragazza era dannatamente testarda, era più che risaputo”. 
Quel commento di Andrea riuscì a strappare finalmente un debole sorriso al geniale artista. “È vero”, disse, lasciandosi poi andare ad un lungo sospiro. “Anche se… la ricerca del Libro delle Lamine… se non l’avessi coinvolta forse sarebbe andata diversamente”. Scosse la testa, nuovamente sconsolato. “Lei voleva lasciare perdere fin dall’inizio. Avrei dovuto ascoltarla…” 
“Leonardo…”, lo interruppe il Verrocchio, seppur con scarsi risultati.  
“Devo lasciar perdere quella ricerca”. 
Così presi dalla discussione, nessuno dei due si accorse dell’apertura della porta d’entrata e del successivo arrivo nella stanza di una terza persona. 
“Non possiamo farlo”, disse il nuovo arrivato. 
Si voltarono entrambi in quella direzione, stupiti di trovare davanti a loro Zoroastro in carne ed ossa; non ricevevano sue notizie dal giorno della congiura.  
Ci furono diversi momenti di silenzio, nei quali il moro li osservò con il suo solito sorrisetto ironico. Pareva divertito nel vedere le loro espressioni perplesse. 
Fu Leonardo il primo a parlare. “E tu? Sei rimasto a Firenze?”, chiese. 
Zo indugiò per qualche istante sulla risposta. “Non proprio, ma sono riuscito a tornare”. 
Da Vinci non pareva completamente soddisfatto della sua risposta e fece qualche passo in direzione dell’uscita, guardandosi intorno come se si aspettasse di trovare altre persone sulla soglia. Il non trovare nessun altro lo indispettì non poco. “Dove è Nico?”. Nella sua voce si poteva notare una sottile vena di inquietudine.  
Ancora una volta il moro indugiò sulla risposta alla ricerca delle parole giuste da dire. “È... sul Basilisco... insieme a Riario”. Ci fu una pausa di qualche secondo, poi riprese a parlare. “Elettra è con loro”. 
L’espressione di Leonardo mutò velocemente, passando da incollerito alla notizia riguardante Nico ad un misto di sollievo e incredulità a quelle ultime parole. “C-che cosa?”, balbettò.  
“Non arrabbiarti con me ora”, ribattè Zo, certo che, una volta passato quello stupore che considerava anomalo, l’artista se la sarebbe presa con lui. “Non ho esattamente potuto scegliere”. Avrebbe fatto decisamente a meno di salire sul Basilisco nel tentativo di tardarne la partenza se avesse saputo che Riario era a bordo, così come, potendo scegliere, avrebbe evitato di ‘abbandonare’ la nave legato mani e piedi con delle strette e pesanti catene a Lucrezia Donati… no, forse la parte che riguardava la vicinanza con Lucrezia Donati l’avrebbe tenuta, ma sarebbero stati in un luogo più confortevole, con decisamente meno acqua, catene e vestiti. 
“Elettra è viva”, disse Leonardo, più a se stesso che agli altri presenti. Guardò in faccia Zoroastro che, preso dai propri pensieri tutt’altro che innocenti, ci mise diversi secondi prima di confermare con un cenno della testa quelle parole, seppur perplesso. 
Osservò l’artista correre ad indossare la propria giacca e poi, sempre con la stessa fretta, dirigersi verso la porta. “Leonardo, devo dirti una cosa riguardo…”. Se Da Vinci si fosse fermato, la frase sarebbe con un ‘…riguardo ad Elettra’. Sbuffò, per poi girarsi in direzione del Verrocchio: anche lui aveva un’espressione che pareva di immenso sollievo. Corrugò la fronte, sempre più confuso. “Si può sapere che avete tutti oggi?”, domandò. 
Per tutta risposta Andrea gli tirò una vigorosa pacca sulla schiena. “Me lo sentivo che non poteva essere andata in quel modo”, disse con un sincero sorriso sulle labbra. 
Zo lo osservò sempre più perplesso. “Non sono a Firenze da giorni e, fatta eccezione per voi due, sempre che quello con Leonardo si possa chiamare dialogo, non ho parlato con nessuno quindi… cosa mi sono perso?”. Il suo sguardo corse al tavolo da lavoro e alle pareti circostanti, tappezzati da bozze, studi e ritratti per la figura di una giovane donna; era impossibile non riconoscere Elettra nella modella utilizzata. “Ancora?”, chiese sarcastico, prendendo uno di quei fogli in mano, riferendosi al fatto che capitava spesso che Leonardo si servisse di lei per qualche suo progetto.  
Andrea sospirò. “Era per la sua tomba, credevamo che Francesco Pazzi l’avesse uccisa” 
“Pazzi? Elettra saprebbe fargli il culo anche ad occhi chiusi”, ribattè il moro con ironia, scuotendo la testa: il Verrocchio aveva ormai una certa età, era ora che la smettesse con quel bicchierino di vino in più la sera; finché erano imbarazzanti storie su qualcuno dei suoi apprendisti era un conto, ma ipotizzare fatti del genere… Cercando di non dare troppo nell’occhio gli si avvicinò cercando di captare eventuali tracce di alcol, annusando l’aria allo stesso modo in cui avrebbe fatto un segugio. Seppur Andrea avesse un pessimo alito, pareva sobrio. O, almeno, non nelle condizioni di straparlare. Aggrottò la fronte sempre più perplesso. “Perché credevate che Pazzi l’avesse uccisa?” 
“Dopo la congiura in Duomo nessuno l’ha più vista e quando Pazzi è stato catturato ha confessato”, rispose Andrea. 
Zoroastro strabuzzò gli occhi. “Quale congiura?”. Non si poteva stare via qualche giorno da Firenze che accadeva il putiferio. 
“Il giorno di Pasqua. Lorenzo è stato solo ferito, mentre il povero Giuliano è spirato tra le braccia di Elettra. Non avendola vista tornare abbiamo pensato tutti al peggio…”. Il Verrocchio sospirò, ritenendo più saggio cambiare argomento. Accennò un sorriso. “Leonardo credo sia corso ad avvisare Gentile a Palazzo. Sono certo che gli gioverà molto sapere che Elettra sta bene” 
Il viso di Zo, solitamente allegro e spensierato, si rabbuiò improvvisamente: ciò che aveva visto, ora tutto aveva più senso. 
 

 Alcuni giorni prima… 


Osservò attentamente il ponte della nave: i marinai avevano momentaneamente accantonato il proprio compito per non perdersi quell’inconsueto spettacolo. Sì, “spettacolo”, aveva pensato Zoroastro: uno spettacolo appositamente messo in piedi da quel bastardo di Riario.  
Ed eccolo lì, il coglione, fare la propria comparsa con il suo manipolo di guardie. Tra tutti quegli energumeni dagli abiti scuri, le chiome bionde di Nico ed Elettra non passavano inosservate; entrambi erano stati trascinati lì di peso.  
Osservò il giovane Machiavelli dibattersi nell’inutile tentativo di liberarsi non appena si accorse della situazione. Elettra, invece, aveva lo sguardo vuoto, fisso su di un punto indeterminato all’orizzonte, completamente immobile tra due corpulente guardie; i suoi unici movimenti consistevano nell’alzare ed abbassare le palpebre a ritmi regolari. Una vistosa macchia scarlatta faceva mostra di sé su quegli abiti chiaramente non suoi all’altezza dell’avanbraccio: doveva essersi ferita e qualcuno aveva in qualche modo cercato di medicarla. 
Zoroastro tentò inutilmente di resistere dal farsi trascinare insieme con Lucrezia Donati sull’asse di legno da cui poi sarebbero stati gettati in mare. Le pesanti catene che li legavano insieme tintinnavano ad ogni passo. 
Una volta il posizione sul limitare del bordo, si voltò di spalle per osservare Riario in cagnesco: quanto avrebbe voluto aprirgli la gola da parte a parte. Ma, prima di quello, pensò, gli avrebbe fatto ingoiare quegli odiosi occhialini da sole che in quel momento indossava.  
Lo osservò mentre farneticava. Sì, in quel momento più che mai avrebbe tanto desiderato togliergli quel ghigno di trionfo dalla faccia.  
Nico si agitò nuovamente, implorando Riario di concedere loro la grazia ma, nelle stesse parole del giovane, già si intuiva che quella era una battaglia persa in partenza. 
“Ho diritto alle ultime parole”, proruppe a sorpresa Zo. Osservò attentamente i suoi inseparabili compagni di avventure. “Nico, Elettra, appena questo serpente abbassa la guardia infilzatelo e squartatelo dalle palle al cervello” 
Si sarebbe aspettato una reazione da parte della bionda ma nulla, nemmeno un’alzata di testa per guardare nella sua direzione. 
Lo aveva udito parlare? Ne dubitava. 
Sapeva dove si trovava in quel momento? Zoroastro dubitava anche di questo. 
“Un sentimento toccante”, ribattè Riario con pungente sarcasmo, riferendosi alle ultime parole del moro e riportando la sua attenzione su sé stesso. “E sarei immensamente curioso di vederlo tentare”, aggiunse, voltandosi per osservare solamente Nico.  
Si fidava a tal punto di Elettra da credere che non avrebbe tentato di vendicarsi? Oppure la considerava innocua? Osservò nuovamente la ragazza, ancora immobile: poteva anche esserci sotto dell’altro... 
Riario aveva continuato a farneticare ancora un po’, ma non valeva la pena passare gli ultimi istanti della propria vita ad ascoltare quella voce così irritante, troppo simile al sibilo di un serpente. 
“Possa Dio avere pietà delle vostre anime dannate”, lo sentì dire alla fine. E capì che il proprio tempo era finito.  
Riario alzò la mano in quello che avrebbe dovuto essere un cenno a proseguire, ma essa si fermò a mezz’aria: Elettra aveva appena voltato il capo nella sua direzione e lo stava osservando. 
“Ti prego”, disse in un sussurro appena udibile.  
L’Elettra che Zoroastro conosceva non avrebbe mai supplicato: lei avrebbe agito. Ma mai supplicato. Guardò Riario tentennare per un istante e poi distogliere lo sguardo da quello della giovane. Diede il gesto convenuto alle guardie per proseguire con quello spettacolo.  
Un’istante prima che Zo sparisse oltre il parapetto della nave, lei si voltò verso di lui guardandolo dritto negli occhi. 


Quello sguardo, quegli occhi… Zoroastro non riusciva a toglierseli dalla mente: erano sempre lì, davanti a lui. Erano spenti, vuoti, come se la scintilla che li rendeva vivi si fosse improvvisamente spenta. 
“No, Andrea, quello non poteva essere lo sguardo di qualcuno ancora in vita”. Anche in quel momento, anche mentre raccontava ciò che era successo, quelle immagini non lo avevano abbandonato. Aveva quasi pensato più a quello che al bacio attraverso cui Lucrezia gli aveva passato un fermaglio per forzare il lucchetto delle pesanti catene che li legavano. 
Il Verrocchio lo osservò con uno sguardo tornato nuovamente ricolmo di preoccupazione. 


 *** 
 

 

Nel frattempo…  


Leonardo corse a perdifiato fino a Palazzo della Signoria, attraversò il pesante portale ligneo senza fare caso alle Guardie della Notte che lo intimavano a rallentare il passo e percorse i gradini dello scenografico scalone d’ingresso tre alla volta. Non si sarebbe fermato fino a quando non avesse raggiunto la propria meta.  
Era quasi arrivato allo studio di Gentile Becchi, mancava ancora una svolta, quando incrociò sul proprio cammino Clarice Orsini. Ci mancò davvero poco che travolgesse la Signora di Firenze.  
Per non cadere a terra, lei dovette aggrapparsi a lui. 
“Da Vinci”, disse a metà tra lo stupito e il perplesso. 
Leonardo parve non averla udita dal momento che fece per riprendere la propria corsa. Clarice lo trattenne per la manica della giacca. “Da Vinci, che vi prende?”, chiese nuovamente. 
L’artista la guardò con un’espressione stralunata. “È viva”, rispose semplicemente, sperando che ciò bastasse per essere lasciato libero. 
La donna invece si fece ancora più perplessa e, per sicurezza, rafforzò la presa sul suo braccio. “Chi è viva?” 
“Elettra”, rispose, con lo sguardo rivolto però alla porta chiusa dello studio di Becchi. “Vostra Grazia”, aggiunse in un barlume di etichetta, voltandosi verso di lei. 
Clarice diminuì la presa sul suo braccio, osservando Leonardo con gli occhi ricolmi di sorpresa. Fu un istante, poi tornò ad assumere un’aria più controllata, seppur un grande sorriso di sincera felicità fosse rimasto impresso sulle sue labbra. Fece per aprire bocca, ma fu anticipata dall’artista. “Devo dare la notizia a Becchi”, disse, correndo via prima che lei lo bloccasse nuovamente. 
“Non lo troverete nel suo studio, Da Vinci”, gli urlò. 
Leonardo si fermò in mezzo al corridoio, tornando a voltarsi verso di lei. 
“È nella Cappella a pregare per i suoi ragazzi, come fa da diversi giorni ormai”, disse Clarice, con rammarico. “Sono certa che la notizia non potrà fare altro che giovargli. Vi accompagno, Da Vinci” 

Come detto da madonna Orsini, Gentile Becchi si trovava nella cappella della famiglia Medici, chinato su di un inginocchiatoio ed intento a pregare per le anime dei suoi ragazzi.  
Clarice si fermò sulla soglia, facendo cenno a Da Vinci di entrare senza di lei. 
Probabilmente Becchi doveva aver udito i passi dell’artista rimbombare sul ricco pavimento in pietra dal momento che si voltò nella sua direzione.  
“Da Vinci”, disse, stupito di trovarselo davanti proprio in quel luogo. “Avete ultimato i bozzetti preparatori?”. 
A Leonardo l’anziano consigliere della repubblica pareva invecchiato tutto in un colpo mentre, lentamente e a fatica, si rimetteva in piedi; gli porse in braccio per agevolarlo in quei movimenti. Osservò i suoi occhi, dello stesso colore di quelli di Elettra, non potendo fare a meno di notare quanto fossero gonfi ed arrossati. Anche due profonde occhiaie violacee e il viso decisamente più scavato non passavano inosservati.  
Sperò che la notizia che aveva da riferirgli potesse in parte alleviare tutto quel dolore. 
“Non ce ne sarà bisogno, consigliere”, rispose con un sorriso e, a vedere la faccia perplessa del suo interlocutore, aggiunse: “Ho delle splendide notizie da riferirvi, ma prima preferirei che vi sedeste”. 
Lo accompagnò a braccetto fino alla panca più vicina. 
“Vorrei che invece di perdervi nei vostri vagheggiamenti da artista, come vostra abitudine, portiate a termine la commissione il prima possibile”, disse Becchi, mentre lentamente si sedeva. “Per Elettra è il minimo che possiamo fare. Lei teneva così tanto a voi”. Quelle ultime parole furono dette in un sussurro tremolante. 
“Invero, vorrei proprio parlarvi di lei”. Sorride nuovamente in modo rassicurante. 
“Stava diventando una donna fantastica, Da Vinci. Non avrebbe dovuto andarsene così presto. Lascarmi qui, solo”.  
I suoi occhi così tristi, la sua voce sofferente… Leonardo, se prima credeva di arrivare alla verità un po' alla volta, ora si era convinto di dirgli tutto immediatamente. “Lei non vi ha lasciato, consigliere”, disse in tono molto serio. “Persone fidate l’hanno vista. Elettra è viva”. 
Becchi scosse la testa. “Avete idea di quante persone mi abbiano già detto questo? La vedono per le strade affollate del mercato, oppure di notte imboccare qualche vicolo e, quando si avvicinano abbastanza, si rendono conto che era null’altro che un’illusione, un crudele scherzo della mente. È normale dopo una tragedia del genere vedere l’ombra dei propri cari che si è perso nei luoghi che ce li ricordano. Quando scomparvero Lucrezia ed Anna vedevo le loro ombre ovunque per Firenze. Ora evito di uscire per evitare che accada anche con lei”. 
“Vi posso assicurare che era lei in carne ed ossa”, ripetè nuovamente Leonardo. “È su di una nave diretta ad occidente con Nico, il mio assistente, e il Conte Riario” 
L’anziano consigliere sospirò. “Da Vinci…”, mormorò in tono di supplica. Forse credeva che quelle erano solo farneticazioni. 
“Posso assicurarvi che è la verità. Riario era in Duomo quel giorno e deve… deve averla portata in salvo prima che Pazzi…”. Si interruppe, trovando più saggio non proseguire la frase. “Deve essere andata senz’altro così”, concluse semplicemente, euforico. 
Becchi lo guardò negli occhi con apprensione: a giudicare dall’espressione angosciata del suo volto, quelle parole invece di rassicurarlo avevano avuto l’effetto opposto. “Ammesso che sia la verità…”, disse con un filo di voce. “Che cosa vorrebbe Riario dalla mia bambina?”. Aveva appena terminato la frase quando spalancò di scatto gli occhi. “Oddio”, mormorò appena mentre il suo volto perdeva lentamente colore. Dovette chiudere gli occhi ed aggrapparsi alla panca mentre il mondo cominciava a girare intorno a lui. 
“Becchi, Elettra è al sicuro”, proferì Clarice, entrando a passo sostenuto nella Cappella. Si sedette di fianco al consigliere, perdendo le sue mani tra le proprie. “Posso assicurarvi che vostra nipote non ha alcun motivo per temerlo. Quell’uomo sarà anche un viscido verme, ma non oserebbe mai alzare un dito su di lei” 
“Non sono un ingenuo, Vostra Grazia, so cosa le farà” 
Clarice gli sorrise dolcemente. “Riario le è molto affezionato, non le farà del male”, ripetè. 
Leonardo li osservò con un’espressione perplessa, chiedendosi come facesse la Signora di Firenze a sapere di loro due; giunse alla conclusione che probabilmente doveva averli visti assieme. Pensò che fosse il caso di dire quel poco che sapeva sulla coppia di amanti. “Riario ed Elettra hanno una relazione da diversi mesi ormai”, disse. Ma, a vedere la faccia sconvolta di Becchi, si pentì immediatamente delle proprie parole. 
“Nessuno dei due si sarebbe compromesso fino a quel punto se non fosse stato qualcosa di serio”, si affrettò ad aggiungere Clarice. 
Lo osservarono annuire impercettibilmente, seppur il colore della sua pelle non accennava minimante a tornare normale. “Perché…”, provò a dire, ma la sua voce apparve troppo flebile. Si fermò e prese un respiro. “Perché portarla su una nave quando la Rocca di Forlì è inespugnabile?”, domandò con un tono più alto. 
Madonna Orsini questo non lo sapeva e si voltò verso il geniale artista, sperando che lui ne sapesse di più. 
Leonardo indugiò per diversi secondi prima di sospirare, indeciso se dire la verità o meno. Decise che sarebbe stato meglio puntare sulla sincerità. “Riario cerca un antico testo, il Libro delle Lamine”. 
Vide Becchi strabuzzare nuovamente gli occhi. “Quel tomo maledetto…”, mormorò. 
“Anche io ed Elettra lo stavamo cercando per conto…” 
“I Figli di Mitra…”, lo interruppe nuovamente il consigliere. “Anche lei…”, aggiunse scuotendo la testa sconsolato. 
L’artista l’osservò con non poco stupore. “Li conoscete?”, chiese. 
L’anziano sospirò. “Cosimo de Medici me ne parlò molti anni fa, voleva che anche io entrassi in quella setta. Non accettai. Anche mia cognata ne faceva parte”. Chiuse per un istante gli occhi e si massaggiò le tempie. “Non avrei mai pensato che avrebbero coinvolto anche lei in tutto quello” 
Leonardo avrebbe voluto domandargli di più, chiedergli che cosa la figura misteriosa del Mago gli avesse rivelato. Ma capì anche che per Becchi la priorità era tutt’altra. “Io ed Elettra abbiamo localizzato il luogo dove il libro è custodito, Riario si sta dirigendo là”, si limitò a dire. 
“Là dove, Da Vinci?”, domandò Clarice. 
“È una terra inesplorata ad occidente. Intendo raggiungerla al più presto”  
 

*** 
 

 

Nel frattempo, per mare… 


Girolamo Riario uscì dalla propria cabina con lo sguardo torvo, affranto. Davanti a lui, Zita, la sua serva abissina lo osservò con apprensione. “Come sta?”, si azzardò a chiedere, con timore, ben consapevole che una schiava non avrebbe mai dovuto porgere domande al proprio signore. 
Il Conte non alzò gli occhi dalla pavimentazione di legno grezzo e si limitò a scuotere la testa. Emise un lungo sospiro.  
“Si sta lasciando morire”, concluse Zita, per entrambi.


Nda
Ehilà! Rieccomi qui ovviamente in ritardo come mio solito. Mi spiace pubblicare in ritardo, ma la sessione estiva di esami non mi ha lasciato nemmeno un attimo di tempo libero. 
Come sempre buona lettura!
Avviso: il prossimo mese non pubblicherò nessun aggiornamento di questa storia, ma metterò una piccola aggiunta, chiamiamola "integrazione" del prossimo capitolo, sulla raccolta "Se potessi raccontare tutto, farei stupire il mondo". Quindi ci vediamo lì ahahah
 

   
 
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