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Autore: elerim    10/07/2017    4 recensioni
**Fanfiction partecipante al contest "Sfida l'Autrice" indetto dal gruppo su Facebook "Takahashi Fanfiction Italia"**
Era seduto da più di un'ora in un angolo oscuro nel bel mezzo dell'euforia generale di questo di festival di svitati, mentecatti e sociopatici in attesa che la più svalvolata di tutte le ventenni del creato si degnasse di venire a recuperarlo.
Sbuffò per la centocinquantesima volta e allo sbuffo fece seguire l'ennesima maledizione a sé stesso. Già, perché a ben vedere l'unico da biasimare era proprio lui. A chi avrebbe potuto raccontarla, che un ragazzone di ventitrè anni grande e grosso come lui, fosse stato trascinato a viva forza in questa situazione da un fuscello di ragazzina che pesava la metà di lui. Aveva acconsentito, c'era poco da dire.
Anzi, aveva capitolato.
**Cross over InuYashaxCavalieri dello Zodiaco**. Fuggite, sciocchi!
Genere: Demenziale, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Rating: Verde/Giallo
Genere: Comico, Romantico (altro a discrezione dell'autore)
Coppie: Scelte dall'autore
Tipo di storia: OS
Tipo di coppia: Het
Note: AU (giorni moderni)
Info: Non sono ammessi OOC
Trama: Il protagonista viene obbligato da un amico a partecipare a una fiera in cosplay, e lui non ne è felice. In contemporanea la protagonista gira per la fiera e incontra il suo grande amore! Il personaggio del suo manga/anime/telefilm.. preferito fatto dal protagonista (che però non sa nemmeno chi stia interpretando). A voi il resto.





Sputare via il veleno.

 

 

'Non ti lascerò solo neanche un minuto, te lo prometto!'

Si sarebbe fatto stampare queste frase su una maglietta e l'avrebbe indossata ogni volta che si fossero visti per un anno.

Era seduto da più di un'ora in un angolo oscuro nel bel mezzo dell'euforia generale di questo di festival di svitati, mentecatti e sociopatici in attesa che la più svalvolata di tutte le ventenni del creato si degnasse di venire a recuperarlo. La causa della gran parte delle sue seccature – contingenti ma non solo, la definizione a ben vedere era estendibile a tutti gli ultimi dieci anni – aveva naturalmente il telefono che suonava a vuoto e latitava da tutti i canali di comunicazione da più di 40 minuti, cosicché tutti i messaggi, imprecazioni e infine insulti che aveva riversato su Uazzapp, Smessanger e quant'altro risultavano tutt'ora non aperti.

Koga sbuffò per la centocinquantesima volta e allo sbuffo fece seguire l'ennesima maledizione a sé stesso. Già, perché a ben vedere l'unico da biasimare era proprio lui. A chi avrebbe potuto raccontarla, che un ragazzone di ventitrè anni grande e grosso come lui fosse stato trascinato a viva forza in questa situazione da un fuscello di ragazzina che pesava la metà di lui. Aveva acconsentito, c'era poco da dire.

Anzi, aveva capitolato, sotto la pressione della fervente preghiera nascosta in quegli occhi nocciola, ponendo la sola condizione che nessuno mai l'avrebbe dovuto sapere. Ufficialmente Kagome sarebbe andata a Lacca Comix con InuYasha, come aveva già sbandierato a mezzo social-world, e lui sarebbe andato a Milano a trovare un vecchio amico delle scuole superiori.

Per questo, PER QUESTO, porc'immondo, non poteva neanche telefonare o messaggiare con qualcuno per sfogarsi del comportamento di quella disgraziata! Non avrebbe rischiato di far saltare la sua copertura nemmeno per tutto l'oro del mondo: la sola idea di essere collegato a quell'esercito di pazzi lo faceva rabbrividire e il timore che, peggio del peggio, qualcuno potesse venire a sapere come era attualmente conciato, lo congelava come uno stoccafisso.

Lui aveva una reputazione, cazzo! Battè forte il piede a terra e il clangore di quell'ammasso di tolla che aveva addosso gli fece venir voglia di strapparsi tutto di dosso e saltarci sopra a piedi uniti. Solo l'orgoglio gli impedì la scenata da femmina isterica.

“Accidentiiiii! Ecco dov'eriiiii!!” Ecco appunto. Un eccesso di 'i' in tonalità al limite dell'ultrasuono gli violò il timpano, mentre un ingombrante 'qualcuno' venne ad accomodarsi accanto a lui, sulla panchina in pietra che aveva eletto a suo – suo – rifugio.

Koga rivolse uno sguardo assassino verso la sagoma alla sua sinistra, ricevendone in cambio... nulla. Ma proprio nulla. Il viso di quella ragazza – gli acuti vocali iperbolici e quel che poteva intravedere del corpo nella penombra lo portarono a questa facile conclusione – era celato da un maschera inespressiva, che copriva perfino gli occhi.

“Ti avevo perso di vista” continuò lei, senza tener conto della sua espressione, ora più perplessa che infuriata.

“Probabile direi”, mantenne il tono di voce più inespressivo possibile per non accentuare il sarcasmo.

“Perché 'probabile'?” la voce, ora più contenuta, gli giunse distorta dalla presenza della maschera.

“Perché mi sono appositamente seduto in una posizione poco visibile e”, calcò le parole, “perché tu non puoi vedere.”

“Oh, su questo ti sbagli di grosso. Purtroppo non ho affinato a sufficienza il Sesto Senso per poter davvero muovermi senza vedere, quindi ho praticato due piccolissimi buchi nella maschera.” spiegò la ragazza con una serietà spaventosa.

“Interessante” rispose mostrando il suo miglior volto di pietra.

“Scusa se ti sono sembrata petulante” la sentì rispondere con tono più sommesso, reso quasi indistinguibile dalla presenza di quell'affare che aveva in faccia: “È che sono molto emozionata.”

Una strisciante sensazione di inquietudine cominciò a farsi strada in lui.

“Sai... è che... ” sospiro roco della ragazza – cosa gli ricordava? Qualcosa di decisamente stridente con la situazione - “Non sei mai stato così bello!”

Darth Vader! Ecco cos'era!
L'interferenza fra ciò che stava pensando e ciò che aveva udito non gli permise di produrre nulla di meglio di un belato sconnesso. “Eeeeeehhhhh??”

“Sì, ecco” continuò lei con un altro sospiro agghiacciante, “ce n'erano anche gli altri anni, ma ti giuro” e gli piantò in volto quegli occhi vuoti “che sei in assoluto il migliore, Pegasus!”

Koga balzò all'indietro e si alzò di scatto pronto alla fuga o ad inventarsi su due piedi un esorcismo. Per tutte le divinità, questa era matta da legare! Ma quella femmina si mosse velocissima parandoglisi davanti e lo sorprese appoggiandogli delicatamente una mano sul braccio, appena sotto la spalla.

A dire il vero ciò che lo sorprese maggiormente – e lo fulminò sul posto – fu la vista del corpo di lei, ora esposto alla luce artificiale di un'insegna al neon. Strettamente fasciato in un costume attillato e in un'armatura più leggera ma assai più conturbante della sua, mostrava un seno svettante racchiuso nell'armatura, fianchi generosi, vita sottile avvolta da una fascia bianca e un sedere che si intravedeva appena ma prometteva meraviglie, a giudicare dalla tonicità delle cosce e polpacci. E i capelli, rosso naturale e inanellati in ciocche ribelli, sfioravano le spalle nude di un incarnato chiaro.
Un corpo dalla muscolatura non eccessivi ma ben modellata, proprio come piaceva a lui. Un fisico da sportiva, tonico ed equilibrato.
Occheeei, diciamolo. Una gran figa.

“Scusami” stava dicendo intando lei, con voce accorata: “davvero, non volevo turbarti, so quanto questi argomenti ti imbarazzino.”

Peccato che fosse completamente matta. Oddio, non che certi requisiti d'intelletto siano strettamente necessari in talune posiz... ehm, situazioni.
Insomma, quel che vide, misto all'astinenza sessuale che si prolungava da ormai sei mesi, furono argomenti sufficienti a concedere alla sciroccata una seconda possibilità.

“Mhm, scuse accettate” bofonchiò teatralmente. “Ma dimmi un po',” la guardò di nuovo in faccia e afferrò il polso della mano che ancora indugiava sul suo bicipite “Tu chi diamine sei?”

“Cosa?” lei ritrasse la mano, come scottata. “Ma... ma...” balbettò: “Ma come, Pegasus, non mi riconosci?”.

La sua faccia dovette esser più che esplicativa perché la ragazza riprese con voce affranta, al limite del singhiozzo. “Ma sono io, sono Castalia!” Koga affilò lo sguardo. Chi era? Cosa aveva detto? “Mi sono presa cura di te fin da quando eri piccolo, ti ho allevato e ti ho insegnato a combattere!”

“Ah. Oh. Beh. Grazie.” Koga sperò che il suo tono incerto le desse il tempo di ossigenare il cervello e arginasse la marea di minchiate che stavano uscendo scomposte da sotto la maschera. Le aveva chiesto 'chi sei', un po' come dire 'come ti chiami'. Un inizio di conversazione normale, fra persone normali.

“Prego. Dovere. Insomma...”
Koga decise per un improvviso cambio di rotta: “Va beh, è un piacere conoscerti, Castagna. Io sono Koga e non ho la più pallida idea di cosa tu stia dicendo.”

“CastaLia, non Castagna!” lo corresse lei, con tono petulante: “E in che senso non sai cosa sto dicendo?”

“In senso letterale. Non capisco cosa dici e, a dire il vero, mi sembri matta da legare. Più matta della media delle persone che ho visto qui e persino più matta di quella che mi ha coinvolto in questa pagliacciata dei cosplay.”

“Pagliacciata?”

“Pagliacciata, sì, proprio pagliacciata.” Koga scimmiottò il suo tono incredulo e non riuscì ad arginarsi nelle parole successive: “Ma dico, ma vi siete guardati, ti sei guardata? Quanti soldi e quanto tempo hai speso per renderti vagamente simile ad un personaggio secondario di un cartone animato? Qualcuno che non è mai esistito se non su un foglio? Posso capire la passione per un cantante, un attore, qualcuno di vivo che ha davvero fatto e detto qualcosa, qualcuno con una personalità che vorresti imitare! Ma un cartone animato è piatto, in tutto, non ha forma come non ha carattere! Cosa cazzo ci trovate di interessante da volergli addirittura assomigliare?”

Si fermò per riprendere fiato e si accorse che lei non aveva mosso un muscolo, sembrava essere inchiodata sul posto. Koga invece si sentì libero da un peso, ed anche un po' meschino. Tutta la frustrazione accumulata nelle ultime ore era traboccata e si era riversata addosso a quella sconosciuta. Era stato così facile, e comodo anche, coprire di fango una maschera, non vedere le sue espressioni facciali mentre le riversava addosso tutto il suo disprezzo.
Lui di solito non esternava con facilità i suoi sentimenti e le sue opinioni. Era un silenzioso, un solitario, preferiva di gran lunga l'azione ai discorsi. Ma questa volta il vaso era traboccato, e sentiva ancora i muscoli fremere per il liberatorio sfogo d'ira.

La ragazza improvvisamente si riscosse, rizzò la schiena e pose una mano su un fianco, con movimenti misurati e fluidi. Inquietanti. Poi parlò. Anzi, sibilò.

“Si può sapere che problemi hai?” Lui? Che problemi aveva lui? Le aveva appena illustrato quanto il mondo intero ritenesse ridicoli la sua più grande passione e il suo costumino succinto, e i problemi li aveva lui?

“Hai evidentemente dei grossi problemi, caro Pagasus. Vedi” cominciò ad illustrare con calma: “io detesto il calcio, lo trovo uno sport inutile e ritengo che tutti i tifosi perdano una marea di tempo e soldi per star dietro a un'idiozia simile. Tuttavia mi guardo bene dall'andare in curva con la sciarpa della squadra locale a gridare 'Siete ridicoli, un branco di idioti'! Sembrerei io per prima un'idiota... non trovi?”

In effetti il paragone non faceva una piega. Quello era uno dei motvi per cui Koga non partecipava alle discussioni: non sapeva controbattere, si sentiva sempre messo al muro ed era una cosa che detestava.

“Beh, ho detto solo quello che penso. Sarò ben libero di farlo, no?” Decisamente sciocca come difesa dialettica, ma non seppe fare di meglio.

“Certamente,” rispose la rossa inclinando il capo di lato con accondiscendenza: “il problema infatti non è la tua opinione, che peraltro è comune alla stragrande maggioranza della popolazione. Il problema è che tu sei qui e sei un cosplay, Pegasus. Anche molto ben fatto, peraltro.”

“Già” convenne lui: “questo è proprio il fottuto problema. Sono incastrato qui, vestito da cretino, a parlare con una matta della quale non conosco neanche il nome e che si ostina a chiamarmi con il nome di un tizio di carta.”

Lei sospirò profondamente.

“...E CHE RESPIRA COME DARTH VADER! E che diamine, smettila, mi fai impressione!!”

La ragazza scoppiò in una risata talmente genuina e abbondante che lui stesso ne fu contagiato e non riuscì a trattenere l'accenno di un sorriso.

“Sei forte” disse lei, con ancora la mano sull'addome: “sei davvero divertente!”

“Più divertente che idiota?”

“Questo devo ancora capirlo,” scherzò lei: “Senti, ti va se facciamo due passi fuori dal casino? Conosco una via che porta fuori dalle mura. Così, se vuoi, mi racconti perché sei qui...”

Il tono di lei era allegro e comprensivo e la proposta alle sue orecchie di maschio risuonava piuttosto simile a 'ti va se ci imboschiamo?'. E chi era lui per dire di no ad una pazza con un corpo stupendo?




La seguì in una serie di vicoli laterali, non mancando di chiedersi come mai lei li conoscesse e, quando il rumoreggiare della folla diede loro tregua, lei gli chiese a bruciapelo: “Allora? Come si chiama la tizia per la quale sei qui?”

“Cosa?!” esclamò, e la voce gli uscì talmente stridula che una smentita ormai non avrebbe avuto più alcun valore. “Come hai..?”

“Eddai, non sono mica stupida. Pazzie del genere si fanno solo per amore.”

“Io non sono innamorato.”

“Ma certo, certo. Fuori il nome, Peg.”

“Non chiamarmi Peg.”

“IL NOME!” la pazza gli puntò alla gola le unghie affilatissime.

“Kagome...” biascicò, intimorito.

“Aha. E lei, chi ha impersonato?”

“Ma che ne so. Una con un nome indiano, Raggio di Luce, Cuore di Luna, robe così.”

“Ah, Fiore di Luna! Ma non è nemmeno un Cavaliere!” disse la ragazza con un filo di sdegno: “Immagino l'abbia fatto perché è innamorata di Sirio”.

“Già” confermò lui con disprezzo: “Si è messa con il suo fidanzato perché aveva i capelli come quelli di questo Sirio.” Se il disprezzo con cui pronunciò quel nome avesse avuto un peso, la parola sarebbe precipitata dritta all'Inferno.

Lei si fermò e si voltò a guardarlo, se così si può dire. “Fammi capire,” iniziò con tono di rimprovero, “questa è innamorata persa di un cartone animato ed ha anche un fidanzato reale...” lui drizzò le spalle e strinse i pugni, perché aveva una certa idea di dove sarebbe andata a parare. Difatti: “...e tu che ruolo dovresti avere in questo triangolo già di per sè imbarazzante?”

“Io e Kagome siamo amici” ringhiò con il tono più spaventoso che riuscì ad emettere.

Lei riprese a camminare spedita dandogli le spalle e borbottò qualcosa che assomigliava pericolosamente a 'patetico'. La raggiunse con un balzo e l'afferrò per la spalla, voltandola bruscamente.

“Non...” cominciò, ma lei reagì attaccandolo, a parole e fisicamente. Partì una ginocchiata verso il suo inguine che Koga evitò con uno scarto laterale – e per fortuna, perché un incontro dei suoi gioielli con le ginocchiere metalliche di lei sarebbe stato devastante. La ragazza tentò allora di colpirlo sul fianco sinistro lasciato scoperto dall'armatura, lui evitò ancora e le afferrò il polso accompagnando il suo movimento. In questa maniera riuscì a sbilanciarla e si portò alle sue spalle, riuscì ad afferrarle anche l'altro polso e la costrinse contro il muro dell'abitazione che stavano costeggiando.

“Dov'è lei ora? Dov'è questa tua grande amica?” sibilò quella strega fulva cercando invano di liberare i polsi. Koga usò tutta la sua volontà per non permettere a quell'insinuazione di fare terra bruciata dei suoi neuroni – perché lo sapeva benissimo che Kagome ora si stava divertendo come una bambina chissà dove, che l'aveva lasciato da solo e lui non era riuscito a far altro che andare a nascondersi in un angolo buio. Cercò di concentrarsi su altro e non gli fu poi così difficile: il suo bacino premeva sul corpo sodo e teso della ragazza, e la parte di coscia nuda appena al di sotto delle natiche era intrappolata fra le sue gambe.

“Sai combattere” le bisbigliò fra i capelli – una foresta intricata e selvaggia quanto la proprietaria.

“Naturalmente” rispose lei con una voce roca che mise pericolosamente in allerta le sue parti basse. Koga fu in dubbio per un istante se continuare o meno quel piccolo gioco di seduzione quando un categorico “Scollati, Pegasus” risolse l'impasse. Si allontanò a malincuore e le liberò le mani.

“Giochi duro” gli disse massaggiandosi i polsi indolenziti. “Judo?”

“Aikido.” Lei emise un mormorio di approvazione. “Lo insegno”, aggiunse Koga con orgoglio.

“Accidenti! Io ho fatto karate fino a cinque anni fa, poi ho abbandonato le arti marziali.”

“E ora?” era ovvio che continuasse qualche disciplina sportiva, il suo corpo era troppo... era meglio che evitasse di pensare tutti i 'troppo' che era.

“Arrampicata e nuoto, ma non competitivi, solo perché mi piace.”

“È giusto.”

 

Avevano continuato a parlare di sport fino ad uscire dalle mura che circondavano la cittadina ed inoltrarsi nella campagna circostante. A Koga continuavano a balenare a tratti strane idee, tutte moderatamente sconce, ma lei sembrava lontana mille miglia da certi pensieri e continuava a chiacchierare amabilmente.

“Sai, è curioso che tu indossi questa armatura. È la più semplice, quella dell'inizio della serie. In genere chi veste Pegasus ama delle versioni più accessoriate. Chissà come mai lei ha scelto questa.” Perché ormai era ovvio che lui fosse stato un burattino in mano a Kagome e il fatto che lei lo desse semplicemente per scontato non era meno umiliante.

“L'ha ordinata all'ultimo e voleva spendere poco, non credo ci siano motivi più profondi. E tu? Come mai hai scelto proprio... come si chiama?”

“Castalia! Ma quando lo imparerai? Sei proprio un ingrato. Ti ho fatto praticamente da madre!” strillò lei teatralmente. Le piaceva proprio recitare questa parte da fuori di testa. O forse non stava recitando?

“Mi piace perché è un personaggio forte e coraggioso ma anche equilibrato. Non ha manie di grandezza e che sa da che parte stare.”

“Quella di Pegasus, naturalmente.”

“Naturalmente. Lui è l'eroe, tutto d'un pezzo, non ha mai ripensamenti ed ha una forza d'animo senza paragoni.”

“Insopportabile, insomma.”

“Ma che dici! Lui è un grande. È un amico leale ed io ho sempre ricoperto un posto particolare nel suo cuore, come lui nel mio.” Parlava con trasporto, come se ci credesse davvero. Koga per un momento ne rimase affascinato: aveva una forma di esaltazione diversa da quella di Kagome, meno infantile e per questo forse decisamente più preoccupante. “Poi scopriremo che siamo anche fratelli, ma non è vero, non sono io tua sorella, ma per un po' tu pensi che io lo sia.”

“Ah. E poi...?”

“E poi cosa?”

“No, dico. E poi cosa succede? Fra noi, dico?” Koga tornò a tastare il terreno.

“Fra noi?” ripetè lei sbigottita: “Niente, non succede niente. Le solite cose insomma. Io ti difendo fin quasi a morire – come tutti gli altri, del resto – e tu salvi il mondo.”

“Ah.”

“Guarda, testone, che è Tisifone ad essere innamorata di te.” lo sorpese nuovamente la perspicacia di lei.

“Chi?!?”

“Tisifone. Un'altra Sacertodessa Guerriera. Anche lei un Cavaliere d'Argento.”

“Ed è fi...carina?” si corresse all'ultimo, ma lei non sembrò notare la caduta di stile.

“Sì, è bellissima. Fisico slanciato, unghie viola, capelli verdi...”

“Oddio, smettila! Una salamandra.”

Lei rise gettando la testa all'indiatro, di una risata che avrebbe potuto essere anche gradevole se la maschera non l'avesse soffocata. Ma la massa fluente di capelli rossi brillò intensa alla luce dei lampioni alle loro spalle e questo bastò a fargli trattenere il respiro. “Beh, infatti appartiene alla costellazione dell'Ofiuco, il Serpentario.”

“E allora?” rise lui senza capire il nesso.

“Salamandre, serpenti... sempre rettili sono.” fece lei con un gesto vago della mano.

“La salamandra è un anfibio.” Non era riuscito a trattenersi, era più forte di lui correggere gli errori più banali sulla fauna. Aveva trascorso l'infanzia nei boschi e aveva divorato innumerevoli libri sugli animali, come ogni bambino sano di mente.

“Ah. Davvero?”

“Davvero” confermò con un sorriso di commiserazione. Quanta ignoranza!

“E tu?”, provò a passare oltre: “A che costellazione appartieni?”

“Alla costellazione dell'Aquila.”

“Esiste una costellazione dell'Aquila?” chiese incredulo.

“Ma certo!” rispose lei sconvolta, come se fosse assurdo che lui non lo sapesse.

“Ehi, pozzo di scienza! Ti ricordo che pensavi che la salamandra fosse un rettile!”

“Cosa c'entra? L'Astronomia è un patrimonio culturale imprescindibile, tutti dovrebbero conoscere le costellazioni. Si studiano da centinaia, migliaia di anni.”

“Certo, invece la salamandra è stata creata giustappunto ieri sera. Una specie nuova di zecca...”

“Oh, ma come sei permaloso!” Lei gli diede una spallata possente e, come sempre, sviò il discorso: “Guarda, si vede ancora sull'orizzonte la stella più brillante della mia costellazione, là, sopra quel pino.” Koga seguì l'indicazione del suo dito.

“È un ippocas...”

“Si chiama Altair” lo interruppe lei senza vergogna, appoggiandogli lieve una mano sul braccio e premendo affinché si voltasse. “E guarda, proprio quassù dovremmo vedere la tua costellazione.”

“Mmh?”

“Pegasus, il cavallo alato.”

“Aaaahhhhh, ceeerto” lo dimenticava sempre, chissà perché, pensò con sarcasmo.

“Accidenti, è solo che con questa maschera non capisco...”

“Non vedi, non capisci, non ragioni... ti fa male questa maschera, sai?”

“Tu invece sei proprio stupido naturale” disse lei ridendo ed armeggiando dietro la nuca per levarsi finalmente quell'orrore dalla faccia. “I buchi sono troppo piccoli e non ho la visone laterale, non riesco a orientarmi nel cielo...” spiegò seria. Come se a lui potesse fregare qualcosa, elettrizzato com'era all'idea che presto l'avrebbe vista in volto.

“Non devi guardarmi, mi raccomando!” strillò invece lei.

Cosa?!?! Lo stupore gli si materializzò direttamente sulle labbra. “Cosa?!?! E perché?”

“Poi dovrei ucciderti. È la legge.”

“La legge di stoc..”

“Non essere volgare!”

“Non essere cretina! Certo che ti guarderò!”

Lei gli diede le spalle e si sfilò la maschera, per poi dire con voce sommessa: “Ti prego, Koga. Non rendere tutto più difficile.”

Era un coglione. Definitivamente. Altro che disquisizioni sui vertebrati, lui era un dannato mollusco geneticamente privo di spina dorsale. Era dunque sufficiente che una bella ragazza pronunciasse il suo nome – il suo vero nome, per la prima volta – con un tono così delicato, per fargli perdere ogni determinazione?

Non le rispose per non retrocedere ulteriormente di posizione nell'albero della vita ed accettò di buon grado che lei gli si posizionasse di fianco e gli illustrasse tutte le imperdibili qualità della costellazione di Pegaso e di quelle limitrofe, con tanto di tentativo di fargli individuare la Galassia di Andromela, Andromaca, Andromeda... “la più vicina alla nostra, solo 2,3 milioni di anni luce!”.

Sembrava uno spot pubblicitario, manco la dovesse comprare quella cazzo di Galassia.

Erano vicini, vicinissimi. Spalla a spalla, anzi, coprispalla in latta a coprispalla in latta. Lei gli indicava il cielo con il dito e lui, come il famoso sciocco di Tiresia, guardava il dito, l'avambraccio, il braccio. E provava ad immaginarsi il viso che lei con ostinazione nascondeva, mantenedo la maschera da Sacerdotessa a barriera fra i loro due volti.

“Dunque Pegaso è qua e l'Aquila è laggiù.” disse infine lui, vago.

“Già.”

“Tra noi niente, dunque.”

“Appunto.”

Ci fu una di quelle pause che nei film preludono al momento clou.

“Beh, certo che un bacio da Pegasus sotto la costellazione di Pegasus sarebbe assai propiziatorio”, butto lì quel demonio dai capelli rossi con noncuranza.

“Senza dubbio” affermò lui con sicurezza, cercando di non far trasparire dalla voce il tifo da stadio che si sollevò nella sua scatola cranica.

“Però devi tenere gli occhi chiusi”, sussurrò lei.

“Certo.”

“Prometti.”

“Promesso.”

Koga serrò gli occhi e sentì il rumore della maschera che cadeva a terra, mentre capelli e fiato sconosciuti tanto quanto desiderati si avvicinarono al suo volto.

Il cielo e tutto quello che esso contiene gli caddero sulla testa, mentre labbra morbidissime e sensuali si posarono sulle sue con una timidezza che scomparve in un sospiro. Presto esse rivelarono la loro vera natura – bramosa, appassionata – e si schiusero avvolgendolo, inebriandolo. La lingua di Koga non ebbe incertezze e si insinuò in quel fondersi di liquidi e tessuti, per incontrare – e scontrarsi, battagliare, contendere il campo – a quella di lei, sfuggente e provocatrice.

I corpi si accesero in risonanza e le mani di entrambi cominciarono percorsi caotici sulla pelle dell'altro. E fu quando le mani di lei si arpionarono ai suoi fianchi che Koga spalancò gli occhi e se la godette tutta. Abbandonata, con grandi occhi chiusi e un nasino delizioso, tutto da mordere. La strinse forte e forse lei capì, con quel sesto senso che per gli uomini è così incomprensibile, perché spalancò gli occhi – di che colore sono? ebbe anche il tempo di chiedersi lui – e si immobilizzò.

Koga trattenne il fiato, rischiando di uccidersi perché in effetti era in apnea da un pezzo. Lei gli piazzò entrambe le mani sul petto e lo spinse via con forza.

“STUPIDO! AVEVI PROMESSO!”

“Ma figurati se mantengo una promessa così...” – stupida – “assurda!” sbottò lui. Ma possibile che per un puntiglio lei dovesse rovinare un momento perfetto. Le donne! Non le avrebbe mai capite e si sarebbe lasciato sempre fregare, accidenti, sempre!

Lei si era voltata coprendosi il viso con le mani e a Koga sembrò di distinguere un singhiozzo soffocato. Cazzo, ci voleva anche questa!

Koga strinse i pugni, si allontanò e si strappò di dosso quella stupida lamiera. Casco, spalline, pettorali, cintura, gambali, tutto finì lanciato chissà dove nei prati circostanti. Terminata quella rabbiosa spoliazione Koga si sentì molto meglio. Era lui, solo lui, solo quello che – con fatica – voleva essere.

Tornò indietro e pestò qualcosa di metallico. Ancora? Si chinò e nella penombra riconobbe la maschera della ragazza.

“Chissà perché fai così, poi” disse alle sue spalle ricurve: “Sei bellissima.”

Dirigendosi di nuovo verso la città la superò e, senza voltarsi, estese il braccio all'indietro e le porse la maschera.

Lei la prese senza toccarlo e si avviarono in silenzio verso le luci.

 

Quando giunsero a pochi passi dalla svolta che li avrebbe rigettati nel delirio della fiera, Koga si sentì prendere per un braccio e si voltò.

Quella matta era lì, a testa bassa, con la maschera in mano.

“Ayame” disse.

“Mmh?”

“Mi chiamo Ayame. Abito in un paese vicino a Milano e faccio la commessa in un ipermercato.”

Koga la guardò e stettero a lungo immobili, aspettando forse che la realtà – semplice, banale, quotidiana – sedimentasse.

“Mi dai il tuo cellulare, Ayame?”

Lei lo sfilò da una piccola tasca sul fianco e glielo porse. Koga vi scrisse il proprio numero di telefono e lo salvò sotto il nome “Koga-Peg”.

“Ufficialmente ci siamo conosciuti a Milano, ok?” le disse, restituendole il telefono.

Lei alzò la testa, stupita, e Koga si ritrovò inchiodato alla terra – qui ed ora – da due dannati occhi verdi.

Ma cosa le era saltato in mente di coprire quelle meraviglie con una stramaledettissima maschera?

Le fu addosso con un balzo e più che un bacio le rifilò un morso. Le sue labbra lo inseguirono mentre scappava e quando, ormai nascosto dalla folla, si voltò indietro a guardarla, la scoprì ad accarezzarsi la bocca con un dito.

 

 

Un'ora e mezza dopo Koga sfrecciava in autostrada.

Kagome dormiva alla sua destra con il sedile reclinato. Quando aveva guardato il proprio cellulare dopo aver lasciato Ayame, aveva trovato nove chiamate dell'amica e una decina di messaggi di scuse, sempre più accorate. E quando finalmente si erano ritrovati, Kagome non terminava più di scusarsi e spiegarsi, ma Koga francamente non avrebbe saputo ripetere una sola parola delle dodicimila che lei aveva pronunciato.

Nel brusio ovattato dell'abitacolo il cellulare vibrò e Koga si sentì rinascere. Forse era venuto il momento, anche per lui, di buttarsi il passato alle spalle.

Sbloccò lo schermo, messaggio da un numero sconosciuto. Sorrise.

“Hello Peg...”

 

 

Il patto è stringerci di più
prima di perderci.
Forse ci sentono lassù.
è un pò come sputare via il veleno.

 

Ligabue – Urlando contro il cielo





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Che faticaccia! E che divertimento!!
Ringrazio innanzitutto tantissimo Celty23 per la traccia, che mi ha permesso di fondere insieme diverse esperienze del passato e del presente. Questo prompt pirandelliano di personaggi che interpretano personaggi ha veramente dell'assurdo e il collegamento Inuyasha-Cavalieri dello Zodiaco è talmente azzardato che mi sono permessa di sostituire il "Comico" della traccia iniziale con un "Demenziale"!.
Se i riferimenti ai Cavalieri dello Zodiaco vi sono ostici...tanto meglio, vi sarete immedesimati maggiormente nei panni di Koga! Se invece vi duole essere considerati ignoranti su una tale perla della produzione nipponica, quale appunto i CdZ, state certi che mamma Wikipedia e papà Google vi forniranno tutte le informazioni che desiderate a riguardo.
Ultima cosa, le opinioni espresse in questo testo sono di Koga - che non esiste - pertanto non ritenetevi offesi. Oppure sì, ma prendetevela con lui.
Grazie infinte per l'eroica attenzione, see you soon (I promise) ;*

   
 
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