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Autore: Arya Tata Montrose    11/07/2017    3 recensioni
«Mi annoiavo, Bixlow parlava troppo e la Bunny Girl mi ha chiesto di portarti questi.» Sollevò la mano che reggeva il sacchetto coi vestiti della ragazza. Poi, con un altro ghigno ben più malizioso, anticipò quanto stava per chiedergli: «Lei sembrava avere piani per la serata.»
Levy, capita l’antifona, distolse in fretta lo sguardo, scatenando il riso di lui.
«Allora, tu come mai sei scappata così in fretta? Abbiamo a malapena fatto in tempo a mangiare un boccone e scrivere i tanzaku che sei sparita, Gamberetto.»
[...]
«Tu conosci la storia di Tanabata?»
[Questa storia partecipa alla challenge “Notte di Tanabata” a cura di Fanwriter.it!]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil Redfox, Levy McGarden
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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– Iniziativa: Questa storia partecipa alla challenge “Notte di Tanabata” a cura di Fanwriter.it! 
–  Numero Parole: 2.747 (secondo Contacaratteri.it)
– Prompt: Prompt 9 – Nella notte di Tanabata, A da lezioni di astronomia a B + Telescopio + Bacio Rubato


 
 
 
 
Vega e Altair
 



 
 
Si erano trovate molto presto, quel pomeriggio, lei e le altre, e avevano iniziato stese sul letto, in balia dell’afa cocente che aleggiava per l’intera città. Chi incollata al letto, chi stesa sul tappeto e chi addossata al muro, erano tutte riunite per aiutarsi a vicenda con lo yukata, i capelli ed il trucco in vista di Tanabata. Una rapida occhiata all’orologio ed Erza si alzò, incitando le altre a fare altrimenti per dare il via ai preparativi.
 
 
Le vie di Magnolia erano ancora illuminate dalla luce morente del sole, quando erano scese tutte insieme dalla collina che ospitava il dormitorio, le grandi lanterne non ancora accese e le bancarelle già brulicanti di attività. Avevano trovato i loro amici appostati in loro attesa davanti all’entrata del festival, sulla via principale, e si erano avviate assieme a loro nella festa. Poi il buio era calato su di loro ed era stato squarciato dalla soffusa, calda luce di migliaia di luci e lanterne.
Levy, alzando lo sguardo, faticava ad intravedere le stelle. Buttò un occhio poco più avanti, dove Natsu importunava Lucy cercando di attentare alla sua porzione di takoyaki ed Erza intimava a Gray di rimanere vestito. Levy intravide negli occhi dell’amica il non detto “per ora” che Juvia, appiccicata al braccio del ragazzo come un polpo, sembrava non aver inteso – che la cosa fosse voluta o meno, Levy lo ignorava.
Addentò il suo spiedino di calamaro, masticando lentamente e osservando la festa animarsi attorno a lei: erano venuti persino Minerva, Rogue, Sting e Yukino, sostenendo che il festival di Magnolia fosse mille volte migliore di quello della loro città. Chiacchieravano animatamente con Laxus e Mirajane, mentre Evergreen sedeva sulle spalle di Elfman in rilievo sulla folla. Gajeel discuteva con Bixlow e Levy colse una frase che non sapeva classificare se proposta o minaccia. «Vuoi farti un piercing sulla lingua?» stava ridendo Gajeel e la cosa strappò un sorriso anche a lei.
Cana li aveva scaricati bellamente pochi minuti prima, quando insieme a Gildarts era andata a bere. Sospettava che la comparsa di Bacchus di lì a qualche secondo non fosse del tutto un caso.
 
Per quanto la riguardava, Levy si era estraniata dalla conversazione già da un po’, concentrata sulla luce delle stelle offuscata da quella delle lanterne. Lei voleva vederle, voleva trovare Vega e Altair ed immaginare i due astri vivere il loro amore di una notte come gli dei che erano stati.
Levy richiamò piano l’attenzione di Lucy, un cenno rapido ed un sorriso, poi, in un battito d’ali, Levy sparì tra la folla.
 
 
 
Un alito di vento gli passò tra i capelli, come lo spostamento d’aria causato dal movimento di qualcuno. Gajeel si voltò per vedere chi fosse passato, ma dietro di sé vide solo capannelli di gente e coppiette che passeggiavano lentamente, troppo lontane per averlo appena superato. La sua attenzione passò tutta all’ambiente attorno a sé, le parole di Bixolow passarono in secondo piano. Qualcosa era cambiato, nel contorno, e non capiva cosa fosse. Gli occhi saettarono da una parte all’altra del suo campo visivo, individuando chiunque conoscesse. Solo, non trovava Levy.
Interruppe Bixlow, che stava ancora parlando delle nuove sculture che aveva realizzato per i suoi “piccolini”, e in due falcate raggiunse Lucy, torreggiandole dietro con l’aria scura. Con le braccia incrociate al petto, lo sguardo truce di natura e lo yukata color grafite pareva un samurai, gli mancava solo la spada – parole di Mira, non sue, ma doveva ammettere di trovarcisi bene, in quell’immagine.
Natsu, che stava parlando con lei, sollevò lo sguardo verso di lui per primo, il viso oscurato dalla sua ombra imponente. Lucy si girò verso di lui, alzando a sua volta lo sguardo per vederlo in faccia mentre parlava. Dai suoi occhi, doveva aver intuito quale fosse il motivo della sua interruzione, ma stette zitta ed attese che fosse lui a parlare, un mezzo sorriso ad incurvarle le labbra.
Dannata Bunny Girl, parla e basta.
Dato il suo silenzio, più rumoroso del chiacchiericcio di fondo, Gajeel si lasciò andare ad uno sbuffo. «Dov’è Levy?»
Il sorriso di Lucy si allargò, mentre l’espressione di Natsu si faceva più confusa. Che diavolo era la tensione che percepiva?
«Penso sia tornata a casa, voleva vedere le stelle. Ah, ecco, quando la vedi, dalle i suoi vestiti, li aveva lasciati a me ma, come vedi» e fece un cenno in direzione di Natsu «io 'sta sera sono occupata.»
Gajeel ghignò. «Come vuoi, Bunny Girl. Divertiti col Fiammifero.» Prese il sacchettino che la ragazza gli porgeva e tornò suoi propri passi, allontanandosi dalla confusione e dalle lanterne che splendevano abbastanza da oscurare le stelle che puntellavano il cielo nero. Quando passò accanto alla piccola foresta di bambù allestita accanto all’entrata, una folata di vento fece ondeggiare i piccoli tanzaku come fili di seta. Vi lanciò un’occhiata fugace, individuando quello di Levy e le parole che la sua grafia ordinata vi aveva impresso.
 
Quando raggiunse la palazzina in cui viveva Levy non ebbe bisogno di suonarle il campanello. L’adocchiò armeggiare sul balconcino che si affacciava alla strada, illuminata dalla luce accesa dentro casa, delle aste di metallo e un lungo cilindro stretti tra le braccia, pronti ad essere trasportati ovunque ne avesse bisogno – probabilmente sul balcone dall’altro lato dell’edificio, quello che dava su un bellissimo cortile a pochi metri da un bosco, decisamente più spazioso. Gli bastò chiamarla dalla strada silenziosa e buia per richiamarne l’attenzione e Levy ci mise ben poco ad individuare la sua figura solitaria nel mezzo della via lastricata.
«Dammi un attimo» gli disse a tono abbastanza alto. C’era così tanto silenzio che non occorreva urlare perché la capisse da tre piani di distanza.
Poco dopo sentì scattare la serratura del portone e Levy fare capolino da dietro di esso. Indossava ancora lo yukata leggero, color indaco, con disegni geometrici che s’intricavano nelle pieghe dell’abito. Gli fece un leggero sorriso, che lui ricambiò con uno dei suoi ghigni e Levy si scostò per farlo entrare. Sulle scale, gli chiese per quale motivo avesse già lasciato la festa.
«Mi annoiavo, Bixlow parlava troppo e la Bunny Girl mi ha chiesto di portarti questi.» Sollevò la mano che reggeva il sacchetto coi vestiti della ragazza. Poi, con un altro ghigno ben più malizioso, anticipò quanto stava per chiedergli: «Lei sembrava avere piani per la serata.»
Levy, capita l’antifona, distolse in fretta lo sguardo, scatenando il riso di lui.
«Allora, tu come mai sei scappata così in fretta? Abbiamo a malapena fatto in tempo a mangiare un boccone e scrivere i tanzaku che sei sparita, Gamberetto.»
Levy gonfiò le guance, come suo solito, posando il sacchetto dei vestiti sul letto e prendendo nuovamente le aste di metallo, che si rivelarono essere il treppiede per il cilindro, ancora posato sul letto, che era il telescopio. Attorno stavano diverse lenti che Levy degnò di attenzione solo quando fu tornata una seconda volta dopo aver posizionato il telescopio sull’altro balcone.
Gajeel tirò fuori dalla tasca uno dei chiodi-spuntino che si portava sempre dietro e se lo infilò in bocca, sgranocchiandolo. «Che ci devi fare con tutta questa roba?» chiese, non accennando ad aiutarla. Più che altro, aveva paura di rovinare tutti quegli strumenti dall’aria altamente fragile e, soprattutto, costosa. Buttò lo sguardo sul pavimento e sui tavolini da caffè, come di consueto pieni di libri e vari cartigli. Di solito, però, ad un più attento esame, trattavano ognuno una materia diversa, dalla scienza alla linguistica, alla storia alle storie alle leggende. Quella sera, invece, le pagine di quei volumi e gli appunti scritti nella fitta calligrafia della ragazza erano pieni di puntini. Alcuni collegati tra loro, tutti corredati di nota specifica.
«Che curiosi?» disse Levy, notando che il ragazzo aveva allungato l’occhio su uno dei volumi. Lei, intanto, faceva spazio sul tavolino sul balcone e lo riempiva di cancelleria, carta, libri e lenti.
«Sto cercando di capire in che razza di follia ti sia buttata questa sera. O cosa tu abbia bevuto. Sul serio, Gamberetto, dovresti piantarla d seguire Cana e compagnia, non ti fa bene. Poi te ne esci con… che roba è questa? Che lingua è questa? Sicura di stare bene?»
Levy rise di cuore. «L’astronomia non è nulla di così strano, Gajeel. Dai, vieni, ti faccio vedere» lo invitò con lei sul balcone. Appoggiò un attimo l’occhio alla lente del telescopio, puntandolo nella giusta direzione, controllando sul libro accanto a lei. Lo fece avvicinare e si scostò, per fagli spazio.
«Metti un occhio qui e chiudi l’altro» gli disse e lui, scettico, eseguì.
«Vedi quei puntini luminosi? Sono le stelle…»
«Sì, fino a lì c’ero arrivato» ribatté Gajeel, leggermente annoiato. Che erano stelle lo sapeva, non capiva il punto della situazione.
Levy rise di nuovo. «Se mi facessi finire… Quelle tre stelle, le più luminose, se le unisci, formano un triangolo. Vedi?»
Gajeel borbottò un assenso, che portò Levy a continuare. «Quella più in alto è Vega. A sinistra c’è Deneb e a destra Altair. Le riconosci?»
«Sì, le vedo. E allora? Che c’è di così speciale?» Gajeel si alzò, sgranchendosi la schiena e puntando lo sguardo cremisi su di lei; le stelle e le luci della casa a rendere visibili i loro volti. Su quello di Levy era impresso un dolce sorriso e Gajeel per un attimo se ne stupì. Si era appena mostrato annoiato e disinteressato all’ennesima delle sue molteplici passioni, come poteva lei sorridere così calma, con quell’espressione che pareva miele? – come poteva lui anche solo sperare di piacerle? Scosse la testa, per scacciare il pensiero.
 
«Tu conosci la storia di Tanabata?» gli chiese.
Gli occhi del ragazzo non ebbero un movimento. Solo il sopracciglio si sollevò. No che non la conosceva, nessuno gliel’aveva mai raccontata. Come avrebbero potuto dei genitori che avevano faticato a dargli un nome e un drago?
Gajeel non ebbe bisogno di parlare, seppe che Levy l’aveva compreso dai suoi occhi. Come potesse quella ragazza leggerlo meglio di chiunque altro, ancora non se lo spiegava. Forse era solo brava a leggere le persone, ma a Gajeel piaceva cullarsi nell’illusione che fosse semplicemente un’attenzione in più che riservava a lui solo. Sapeva bene quanto fosse una vana speranza, ma quando ci pensava la sua mente riportava a galla lo sguardo che lei aveva avuto la prima volta che l’aveva visto – caldo, aperto, amichevole – prima che lui dipingesse il suo volto di dolore e vergogna.
Levy si sedette a terra a gambe incrociate, sulle calde piastrelle del balcone, e lui fece lo stesso, portandosi accanto a lei in modo da vedere meglio la figura sulla pagina del volume che teneva in grembo. Levy prese un profondo respiro prima di iniziare a raccontare, la voce che sembrava la versione sonora del suo sorriso di miele, la cosa più dolce che il suo fino udito avesse ascoltato fino a quel momento.
«È la storia della principessa Orihime» iniziò ed il suo dito si spostò sulla pagina, fino ad indicare il punto segnato come Vega. Su quella pagina ce n’erano molte altre, di stelle e quella di Orohime era intrecciata con altre da una riga più sottile di quella che la collegava ad Altair e all’altra che gli aveva indicato. «Orihime era figlia di Tentei, Imperatore del Cielo, ed era conosciuta per le sue strabilianti doti di tessitrice. Giunta in età da marito, dopo anni passati in solitudine dedita solo al proprio lavoro, il padre la promise sposa a Hikoboshi, un giovane mandriano addetto al pascolo dei buoi sacri.»
Il dito di Levy si spostò lungo la riga più spessa, giungendo fino ad Altair. Gli occhi di Gajeel seguivano le sue dita sul disegno ed ogni volta queste si fermavano, il suo sguardo andava a puntarsi sul volto della ragazza. Lei aveva gli occhi socchiusi, puntati verso le pagine.
«I due giovani si innamorarono a prima vista e con tale trasporto da abbandonare i rispettivi compiti. Per questa grave mancanza subirono la punizione dell’Imperatore Tentei: i due furono separati ai due lati del Fiume Celeste, quella che noi chiamiamo “Via Lattea” e costretti a tornare ai propri doveri.
«La principessa era disperata, non poteva vivere senza il suo amato e continuava piangere ininterrottamente. Il padre, commosso dalle lacrime, acconsentì che i due si potessero incontrare, ma solamente una volta l’anno, il settimo giorno del settimo mese, attraverso un ponte fatto dalle ali di centinaia di rondini.»
Levy sollevò lo sguardo su di lui, che ancora la guardava. Attendeva da lui una qualsiasi risposta, un qualsiasi segnale che le suggerisse come muoversi, Gajeel lo sapeva. Funzionavano così, loro: uno sguardo bastava ad intendersi.
«È una bella storia. Un po’ sdolcinata.» Levy rise e Gajeel la imitò col suo ghigno. «Continuo a non capire perché ti piaccia tanto l’astronomia. O qualsiasi altra delle cose che capisco a malapena di cosa parlino.» aggiunse il ragazzo, con l’unico effetto di farla ridere ancora di più.
«Che diavolo ci trovi di così divertente?»
«Nulla. La tua faccia. Però è carino che ti interessi e che mi ascolti» spiegò Levy. «Però… Be’, vedi tutte le altre stelle intorno a Vega e Altair? Sono le stelle che formano le costellazioni dell’Aquila e della Lyra. Vega e Altair sono di due costellazioni diverse, di due mondi diversi… Ci vedo un po’ noi due» ammise a mezza voce, il tono che andava scalando man mano che terminava la frase, le guance rosse.
Gajeel non credeva alle proprie orecchie. Davvero aveva detto quel che aveva detto o era lui ad aver sentito male? O forse si faceva troppe strane idee, visto che aver sentito male era un’ipotesi fuori discussione?
Sentì che anche le sue guance si coloravano di rosso.
Avanti, di' qualcosa. Non rendere il tutto ancora più strano.
«E poi c’è D-deneb, che si collega a Vega e Altair e forma il triangolo d’estate. Deneb appartiene ad un’altra costellazione ancora, quella del Cigno, e quello è come Lily e-»
Gajeel non si rese nemmeno conto di quello che aveva fatto, fino a che i suoi occhi socchiusi avevano incontrato quelli sgranati di Levy e aveva sentito repentino la pressione delle sue labbra spingere su quelle di lei. Rapido come s’era avvicinato, s’allontanò di scatto. Levy continuava a guardarlo, gli occhi ancora sorpresi, le dita che avevano abbandonato il libro ed erano corse a sfiorare le labbra socchiuse, a tastare i rimasugli di quel bacio rubato.
Gajeel, in una frazione di secondo, valutò l’ipotesi di alzarsi e scappare, fare finta che non fosse accaduto nulla. Valutò anche delle scuse; per quanto non fossero nelle sue corde, gli vennero naturali. Nella fretta, optò per una mescolanza delle due.
«Io… Io… mi dispiace, non so cosa mi sia pres–» tentò di scusarsi, quando ad essere interrotto fu lui. Dalle labbra di Levy che premevano sulle sue.
Per un attimo, il suo cervello sembrò smettere di funzionare. Bianco, vuoto. Poi, lentamente, sfumò nel nero del cielo e comparvero diversi colori – sensazioni: il sapore delle sue labbra, leggermente speziato dei takoyaki di prima, mischiato all’acre del calamaro grigliato; la loro consistenza, morbida e un po’ screpolata; le mani che piano si facevano strada tra i suoi capelli, quelle piccole di lei fare lo stesso nella sua indomabile zazzera corvina e il suo odore, oh, il suo odore. Gajeel vi coglieva note di inchiostro, polvere e carta vecchia, assieme a quello di ortica del suo shampoo e a quel miscuglio che l’aveva leggermente infastidito al festival.
Quello che non aveva valutato, nemmeno per un secondo, nemmeno come remota possibilità – se non nei suoi più fervidi sogni – che lei potesse accettare una cosa del genere, figurarsi ricambiarla. Un suo bacio ed i suoi sentimenti con esso. E sé stesso. Gajeel era cosciente di non essere il ragazzo ideale o anche solo normale. Sapeva di poter essere un peso non indifferente nella vita di chi lo amava – Metallikana, persino Juvia, quella che considerava la sua migliore amica. Non poteva credere che proprio lei tra tutti stesse scegliendo di sua spontanea volontà di portare tale peso, che sapesse cosa essere la sua ragazza comportasse.
Il sorriso che gli rivolse quando si staccarono, invece, gli disse tutto il contrario. Che ne era cosciente, che voleva davvero lui, il pacchetto completo. Nei suoi occhi si riflettevano le stelle che brillavano nel cielo, due più delle altre. Non ebbe bisogno di abbassare lo sguardo fino al libro che Levy teneva ancora in grembo per comprendere quali fossero. Vega e Altair. Una principessa e un mandriano. Una fata ed un drago.


 

Salve a tutti!

Eccomi qui con una nuova storia, scritta in quattro e quattr'otto per l'evento di Fanwriter! Ho subito trovato dei bellissimi prompt ad ispirarmi e ho già pronta un'altra shot (su BHNA, una Kacchako). Non ho molto da dire, solo che sono stata due sere con diverse immagini del "triangolo d'estate" a far quadrare le stelle con la storia. Mamma mia, che faticaccia! Per di più, non mi veniva il titolo (non mi vengono mai e li butto sempre a caso)

E nulla, come sempre ringrazio NanaLuna per avermi betato la storia in così poco tempo (santa donna) e per avermi consigliato come svolgere il finale (avevo due alternative e non sapevo decidermi, lol). Spero vi sia piaciuta!

Tata

   
 
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