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Autore: Anchestral    11/07/2017    2 recensioni
Era una normale giornata di autunno a Tokyo. Yuki era seduto al suo solito posto vicino alla finestra nell’Anteiku. Per lui era molto rilassante inebriarsi del sapore amaro del caffè mentre osservava attento le strade. Portò alla bocca la tazzina bianca e bevve un altro sorso del liquido marrone mentre spostava la frangia castana da davanti ai suoi occhi riprendendo poi a guardare l’esterno. Di giorno era solo un calmo osservatore lasciando scorrere su di sé la sua vita. Spesso si chiedeva se avrebbe continuato così fino alla fine dei suoi giorni e subito arrivava sempre alla stessa risposta: sì.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopotutto il Sole scioglie la Neve

Era una normale giornata di autunno a Tokyo. Yuki era seduto al suo solito posto vicino alla finestra nell’Anteiku. Per lui era molto rilassante inebriarsi del sapore amaro del caffè mentre osservava attento le strade. Forse proprio per questo gli piaceva l’autunno: c’erano più particolari al quale far caso come le foglie colorate che volteggiavano prima di cadere finalmente a terra o ancora le goccioline di pioggia che ticchettavano sull’asfalto. Yuki portò alla bocca la tazzina bianca e bevve un altro sorso del liquido marrone mentre spostava la frangia castana da davanti ai suoi occhi riprendendo poi a guardare l’esterno. Di giorno era solo un calmo osservatore lasciando scorrere su di sé la sua vita. Spesso si chiedeva se avrebbe continuato così fino alla fine dei suoi giorni e subito arrivava sempre alla stessa risposta: sì.

Si appoggiò con un gomito sul tavolo quando i suoi soliti pensieri vennero interrotti da una voce conosciuta.

«Yuki-kun - era Irimi la cameriera dell’Anteiku – com’era il caffè?» gli chiese con dolcezza.

«Buono…» rispose con calma Yuki continuando a osservare il viavai delle persone. Anche quello faceva parte del suo carattere: l’essere freddo, distaccato.

«Mi fa piacere» gli sorrise di rimando Irimi che subito dopo si diresse a prendere le ordinazioni degli altri tavoli.

Tutti i frequentatori dell’Anteiku conoscevano di vista Yuki. Era tristemente noto come il cliente solitario dallo sguardo malinconico. Eppure Yuki era quasi contento di quella sua fama.

«Emh, mi scusi…»

La voce questa volta era sconosciuta a Yuki che lentamente si girò verso il suo proprietario.

«È occupato?» a parlare era una giovane ragazza dal completo bianco.

Yuki lanciò un rapido sguardo verso gli altri tavoli notando che erano tutti pieni quindi scosse la testa. La ragazza si sedette velocemente appoggiando qualcosa a terra.

«Piacere, io sono Haru» disse sorridendo amichevolmente la ragazza e gli porse la mano.

“Non potrebbe esserci nome più appropriato” pensò il ragazzo.

«Mi chiamo Yuki» le rispose senza cambiare espressione allungando poi anche lui la mano. Haru gliela strinse vigorosamente. Dopo poco però piombò il silenzio. 

Haru incrociò velocemente le braccia e gonfiò una guancia guardandolo severo. Agli occhi di Yuki quello risultava un comportamento abbastanza buffo, stava tentando di sembrare seccata o cosa?

«Non è di molte parole lei!»

«Già…»

«Posso darle del tu?»

«Come vuole.»

«Va bene. Allora, Yuki, cosa stai aspettando di preciso?»

Yuki la guardò confuso, fu spiazzato da quella domanda. Aspettare qualcosa?

«Come scusa?» chiese sorpreso Yuki senza però scomporsi più di tanto.

«Beh sì! Sei sempre seduto qui da solo con la tua tazza di caffè e...» gli rispose con una strana luce nei grandi occhi verdi.

«N-niente… E comunque non credo di essere un oggetto di studio» balbettò e arrossì leggermente infastidito abbassando lo sguardo. Solo in quel momento notò sotto al tavolo una valigetta grigia. Il ragazzo sbiancò tornando velocemente a guardare Haru negli occhi. Sentì crescere nel suo petto emozioni contrastanti: paura, angoscia, eccitazione… Una sua parte avrebbe voluto mettersi al riparo e un’altra avrebbe voluto mettersi alla prova. Era come dominato da due personalità diverse. Nonostante fosse “Neve” in egli risiedevano ben poche caratteristiche dei fiocchi e di certo tra quelle non rientrava la purezza. Quando arrivava il momento di mangiare, la sua parte solitaria scompariva e emergeva l’altro lato di sé spietato e vendicativo. Inseguiva strenuamente le sue prede e le uccideva senza pietà mentre le osservava sprezzante con le iridi iniettate di sangue. Il giorno seguente alla sua caccia si sentiva sempre schifosamente in colpa ma non riusciva mai a fermarsi e reprimere quella ebbrezza che provava mentre uccideva. Il rimpianto contribuiva insieme a molte altre cose a farlo diventare lo Yuki che di giorno viveva senza vivere realmente. Era un circolo vizioso il suo.

«Ehi, qualcosa non va?» gli chiese Haru leggermente preoccupata.

«No, no, niente. Devo andare, ho delle faccende urgenti da sbrigare. Buonasera Haru» disse con calma mentendo e inventando una scusa per far terminare quella conversazione quindi si alzò e andò a pagare.

«Yuki, vai via muoviti» gli sussurrò Koma mentre dava il resto al ragazzo. Ok, era ovvio, stava dando decisamente nell’occhio.

Yuki salutò tutti i camerieri e uscì dal bar chiudendo dietro di sé il portone.

«Fa sempre così?» chiese innocentemente Haru ad Irimi appena il ragazzo se ne era andato. Lei era davvero interessata e incuriosita da Yuki.

«S-sì» rispose imbarazzata la barista cercando di non lasciarsi sfuggire nessuna parola di troppo.

«Ah…» sbuffò di rimando Haru incrociando le braccia e abbandonandosi sullo schienale della sedia. Avrebbe fatto di tutto pur di riuscire a conoscerlo meglio, per lei era un tipo molto interessante.

 

Il giorno seguente faceva abbastanza freddo. Mentre camminava Yuki si strinse nel suo parka marrone e si coprì naso e bocca con la sciarpa scura. Fece ancora qualche passo e arrivò al bar. Spinse il portone ma, appena entrato, venne bruscamente interrotto, mentre cercava di articolare qualche parola per salutare i proprietari, da una voce allegra.

«Signor Yuki, salve» disse ad alta voce Haru sventolando la mano e facendogli segno di sedersi con lei. Yuki rimase di stucco e con non poca stizza si avvicinò al tavolo, spostò la sedia con un piede e si sedette. Parlarono del più o del meno, o meglio, Haru faceva domande senza sosta e Yuki rispondeva cautamente a monosillabi accompagnando i suoi mugolii con piccoli cenni o scuotendo lentamente la testa.

«E così hai ventisei anni?» chiese Haru amichevolmente.

«Già» rispose vago.

«Ma pensa, io ne ho ventiquattro!» sorrise Haru.

Yuki non rispose nulla. Subito Haru si zittì imbarazzata abbassando velocemente lo sguardo. Quando lo rialzò prese a guardare gli occhi di Yuki come incantata. Il ragazzo notando quel comportamento spostò lo sguardo girando la testa e accennò un piccolo sorriso.

«Oh, scusami ma hai degli occhi davvero belli» disse Haru.

«Come?» rispose stupito Yuki ritornando a guardarla.

«I tuoi occhi sono bellissimi: color nocciola  con sfumature chiare, li adoro!»

«Grazie… -rispose arrossendo grattandosi nervosamente la guancia - Anche se sono totalmente anonimi, in tanti li hanno così…»

«Non è vero! I tuoi sono diversi, speciali, come se raccontassero una storia tutta loro!»

Tra i due, che erano entrambi arrossiti, piombò un silenzio imbarazzante. Dopo poco continuarono la loro conversazione e poi entrambi tornarono a casa.

La stessa cosa accade l’indomani, il giorno seguente e quello successivo ancora . Passarono così intere settimane e mesi. Oramai era diventata di routine quella chiacchierata pomeridiana e Yuki non la considerava più tanto fastidiosa, anzi era quasi contento. Stare con Haru, dal carattere così solare, lo aveva aiutato un bel po’ e forse si era affezionato a lei. Da un po’ si era accorto di provare più di una semplice simpatia o amicizia nei confronti della ragazza, insomma da quanto si era interessato ai riflessi biondissimi che la luce creava su dei capelli? Mai, ma ultimamente si compiaceva a osservare i giochi di luce che creava la chioma chiara di Haru. E soprattutto di quella valigetta non si era più vista nemmeno l’ombra, non poteva andare meglio.

Anche quel pomeriggio di primavera i due si erano incontrati al bar occupando sempre lo stesso tavolo.

«Ahaha – rise di gusto Haru – davvero hai vinto una sfida impossibile a braccio di ferro?»

«Sì» rispose imbarazzato Yuki.

«Beh non me lo sarei mai aspettato da te Yukicchi, però devo dire che con quelle belle braccia non sarebbe del tutto impossibile» disse Haru mentre indicava le maniche della maglietta verde indossata dal ragazzo.

Yuki arrossì grattandosi la guancia. Apprezzava molto quei complimenti così spontanei.

«Come fai ad essere così in forma senza praticare nessuno sport? Sono così invidiosa. Io sono sempre in allenamento e guarda che pancia!» sbuffò ridendo Haru prendendo una patatina fritta dal piatto e portandosela alla bocca.

«Costituzione. E comunque… non ti serve la palestra, vai benissimo così» rispose Yuki accennando un piccolo sorriso sincero mentre si portava la tazzina bianca alla bocca.

«Davvero?» arrossì Haru colpita da quel piccolo complimento. Yuki non si ricordava spesso di farne.

«C-certo» balbettò il ragazzo spostando velocemente lo sguardo.

Haru fece una piccola risata e si mise a frugare nella borsa alla ricerca di un qualcosa. Poco dopo cacciò due foglietti e una penna. Ne prese uno e iniziò a scriverci dei numeri.

«Ecco -disse girando il foglietto e spingendolo nella direzione di Yuki- il mio numero. Sentiamoci ogni tanto»

«Sicuro» le rispose il ragazzo.

Yuki prese l’altro foglio e scrisse il suo, poi sollevò il pezzo di carta dal tavolo e lo pose davanti agli occhi di Haru. La ragazza glielo strappò di mano.

Yuki contento incrociò le braccia e alzò gli occhi fermandoli sul pendolo del locale. Erano le sette e mezza. Incredibile come il tempo era passato.

«Ah accidenti, si è fatto tardi» disse Yuki con una nota di dispiacere nella voce: aveva davvero apprezzato quel pomeriggio in compagnia di Haru. Poi si alzò dal tavolo, salutò tutti e uscì dal bar.

Mentre camminava sul marciapiede il cellulare prese a squillare. Lo prese e rispose.

«Yukicchi!»

Riconobbe subito la voce solare proveniente dall’altro lato. Sorrise contento sentendo all'altezza del cuore un leggero calore e istintivamente alzò lo sguardo alla finestra a cui si affacciava il loro tavolo. Haru lo salutava con la mano sorridente.

«Che ne pensi se ci incontriamo da qualche parte stasera?» chiese imbarazzata ma contenta.

«Mhh… Non male» rispose Yuki.

«Perfetto, allora ceniamo insieme? Alle otto al ristorante!»

« Haru, asp...»

«N-non preoccuparti di nulla! Più tardi ti mando l’l'indirizzo per messaggio. Puntuale, mi raccomando.»

«As…» stava tentando di rispondere ma subito sentì il tu tu del telefono. Rimase immobile come pietrificato ad osservare lo schermo del telefono.

“Un a-appuntamento?” pensò emozionato arrossendo leggermente.

 

La sera era arrivata e Yuki era già arrivato davanti al locale. L'idea di dover mangiare poco e dopo rimettere tutto non lo esaltava particolarmente ma nonostante ciò era abbastanza felice. Alzò la manica del suo fidato parka per guardare l'ora. Mentre leggeva “20:01” gli arrivarono due pacche amichevoli sulle spalle accompagnate dal più bel “Ehi Yukkichi” del repertorio della ragazza.

Yuki si girò e appena la vide fece un piccolo sorriso contento. Era felice di vederla bellissima in quel completo nero con una blusa bianca.

“Forse posso benissimo sopportare quel cibo nauseante” pensò Yuki contento.

 I due entrarono nel locale e si sedettero al tavolo prenotato. La cena procedette regolarmente con Haru che mangiava deliziata e Yuki che ordinava sempre porzioni più piccole.

«Non sei di buon appetito, non lo avrei mai detto!» commentò sconsolata Haru spostando una ciocca bionda dietro all'orecchio.

Yuki iniziò leggermente a sudare freddo. “E adesso? -pensava- cosa mi invento?”

«Ahah stavo scherzando – disse Haru – Non fa niente se non mangi molto» continuò.

Yuki portò il bicchiere pieno d’acqua alla bocca.

«Insomma mica sei un ghoul?» scherzò Haru disegnando con la forchetta dei cerchi nell'aria mentre lo scrutava da capo a piedi con i suoi occhioni verdi.

Yuki si dovette trattenere dallo sputare il sorso appena bevuto e dopo averlo ingoiato a fatica strozzandosi quasi disse:

«N-no!?»

«Certo che no, me ne sarei accorta quasi subito, sono una esperta io» disse indicandosi fiera con il pollice e scoppiando poi a ridere.

Solo che il ragazzo non la prese per nulla sul ridere, anzi. A Yuki ritornò in mente il primo giorno che si erano incontrati e la valigetta grigia che aveva visto. Aveva più volte tentato di non pensarci autoconvincendosi che fosse una valigia normale usata per viaggiare. Possibile che quando qualcosa andava finalmente per il meglio dovesse poi all'improvviso ritorcersi contro di lui? Forse stava solo viaggiando con la fantasia facendosi trasportare dal pessimismo ma non voleva assolutamente ritornare ad essere solo. O meglio, lo era ancora ma non più tanto quanto prima. Ma soprattutto non voleva perdere Haru, la sua cara Haru. Negli occhi di Yuki comparve uno sguardo di paura e subito prese a guardare il pavimento.

Mentre era perso nei suoi pensieri sentì un tocco sulla sua mano, quella che aveva lasciato distesa sul tavolo. La piccola mano calda di Haru avvolse una parte di quella fredda di Yuki. La ragazza inziò ad accarezzare leggermente con il pollice la mano di Yuki. Egli alzò lo sguardo verso la ragazza che lo guardava sorridente mentre continuava a tenere dolcemente la presa sulla sua mano. Era preoccupata avendo visto Yuki abbassare lo sguardo e vestire la più macabra e triste faccia che avesse mai visto. Quel piccolo tocco caldo però infuse sicurezza nel ragazzo che le abbozzò un piccolo sorriso.

La cena continuò ancora per un po' e le mani dei due ragazzi non si staccarono mai. Quando anche l’ultimo piatto fu riportato nella cucina, i due si alzarono dal tavolo e uscirono dal ristorante.

«Ti va di fare una passeggiata?» chiese Haru imboccando subito la strada che portava al parco. Yuki la seguì camminando lentamente. Presto arrivarono alla loro meta. I due si erano fermati vicino ad un laghetto. Intorno a loro tutto era illuminato dalla pallida luce della luna che creava splendidi riflessi magici sulle calme acque del laghetto. Soffiava un lieve venticello e la serata era illuminata anche dalle piccole lucciole che volavano nel cielo.

«Certo che è proprio una bella serata» disse con calma Haru portando ancora una volta una chiocca dietro l'orecchio.

Yuki la guardò. Era davvero bella, non aveva fatto altro che osservarla per tutta la sera. Il cuore gli batteva forte e sentiva le farfalle nello stomaco. Per la prima volta stava provando dei sentimenti tanto profondi per qualcun altro. Il chiarore della luna faceva luccicare come oro i capelli chiari della ragazza e la tuta nera che indossava esaltava tutta la sua bellezza. Yuki istintivamente le si avvicinò guardandola profondamente con i suoi occhi ambrati. Imbarazzato le accarezzò una guancia e poi la strinse in un forte abbraccio affondando le mani nella chioma bionda.

«Haru, io…»

Per lui era molto difficile riuscire ad esprimere i suoi sentimenti. Per anni aveva continuato a tenere dentro per sé ogni emozione: odio, rabbia, sensi di colpa, inadeguatezza...

Haru sciolse leggermente l’abbraccio e alzandosi sulle punte si avvicinò al suo volto arrossato. Osservò profondamente gli occhi di Yuki arrossendo anche lei e lo baciò. Le piccole e soffici labbra di Haru si posarono su quelle fredde e leggermente screpolate di Yuki provocando nei due ragazzi un’esplosione di emozioni. Fu un piccolo ma dolce bacio che racchiudeva tutto l'amore provato da entrambi.

«Ci avrei scommesso tutto…» sospirò felice Haru appoggiando la testa sul petto del ragazzo mentre arricciava dolcemente le sue corte ciocche castano scuro.

«Su cosa?» chiese Yuki dolcemente.

«Sai di caffè» rispose la ragazza rubandogli un altro piccolo bacio.

 

Erano passati diversi mesi da quella serata primaverile e oramai era ritornato l'autunno. La relazione tra Yuki e Haru procedeva bene e spesso i due si incontravano. La ragazza aveva rivelato al fidanzato del suo particolare lavoro. Dal canto suo Yuki disperato stava in tutti i modi cercando di diminuire le sue sedute di caccia arrivando a digiunare per interi mesi soprattutto per proteggere la sua relazione con Haru alla quale teneva più di ogni altra cosa. Ma non tutto andò come previsto dal ragazzo.

Haru quella sera stava inseguendo un ghoul di livello A. Non sapeva chi fosse ma lo conosceva molto bene. La sua maschera era presente in tutti i suoi incubi notturni in cui riviveva la tragica morte dei suoi genitori. Il salotto in disordine, le pozze di sangue, i corpi squartati, grondanti e gli occhi rossi selvaggi continuavano a tormentarla. Proprio per quello aveva scelto di diventare un agente del Ccg, per avere la sua vendetta. E finalmente era arrivato quel giorno. Stava rincorrendo, per la quinta volta in tre anni, il ghoul per il distretto 20 osservando i suoi movimenti. Eppure in quella figura che correva e saltava c'era qualcosa di fin troppo familiare, forse le spalle, le braccia, ma Haru non ci fece caso. Per diversi mesi quel ghoul non si era fatto vedere e finalmente la ragazza aveva una possibilità per porre fine ai suoi incubi e perciò non doveva assolutamente sprecarla. In compagnia del suo collega inseguì la preda per alcune miglia fino a giungere in un grigio vicolo cieco. Haru prese il suo quinque e iniziò a combattere contro il ghoul dalla maschera completamente nera. Stranamente il suo nemico non si stava opponendo e continuando a schivare i colpi cercava una via di fuga. Dopo averla trovata saltò verso l’alto ma fu colto di sorpresa dal collega di Haru. Il lungo quinque lo aveva trafitto all'altezza dello stomaco da dove usciva molto sangue. Il ragazzo ritirò il quinque e il ghoul cadde per terra tenendosi lo stomaco con le mani. Haru era soddisfatta, finalmente aveva avuto la sua vendetta. Si portò le mani alla bocca e iniziò a singhiozzare scoppiando in un pianto liberatorio.

«Mi…dispiace» disse il ghoul con un filo di voce sofferente.

Haru esterrefatta si girò. Non poteva essere.

«Ha…ru, mi dispiace» disse il ghoul con un ultimo sospiro di voce.

La ragazza lasciò cadere a terra la sua valigetta e corse verso il corpo moribondo di quello che poco prima era il suo nemico. Si abbassò e con la mano tremante spostò la maschera dal volto: era Yuki. La osservava con le sue iridi rosso sangue piangendo. Egli allungò una mano sporca di sangue per poter accarezzare il volto della ragazza. Haru che lo stringeva a sè piangendo e gridando disperatamente prese la mano del ragazzo e la avvicinò alla sua guancia.

«Ti amo» sussurrò flebilmente per l'ultima sorridendo leggermente.

Infondo Yuki lo aveva sempre saputo: il sole scioglie sempre la neve.

Angolo dell'autrice:
Ciao! Sì, proprio tu che stai leggendo queste note, ciao! Prima di tutto ti ringrazio infinitamente per essere giunto qui giù fino alle note dell'autrice. Questa è la mia prima One shot e soprattutto la prima fanfiction che scrivo nel fandom di Tokyo Ghoul. Ma credo che tutte queste piccole precisazioni non ti possono interessare di meno. Ok, allora passiamo alla parte pratica e a qualche piccola spiegazione. Se mastichi un pochino di giapponese avrai ben capito che i nomi Yuki e Haru si possono tradurre rispettivamente come Neve e Sole. Proprio un destino triste il loro. Comunque se ti è piaciuta la storia ti invito a farmelo sapere con una piccola recensione e se non ti è piaciuta ti invito lo stesso a scrivermi un commentino per farmi sapere il perchè. Bene credo di aver finito il mio discorso. Ti ringrazio ancora per aver letto tutto ciò!
Ps: la storia è stata pubblicata anche sul mio profilo wattpad Anchestral. -Ale_chan

 

 

   
 
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