★ Iniziativa: Questa storia
partecipa alla challenge “Notte di Tanabata” a cura di
Fanwriter.it!
★ Numero Parole: 2180.
★ Prompt:
1. A sta aspettando B all’ingresso del festival ma quest’ultim@ è in ritardo..
2. Bonus: bacio sul collo, caviglia slogata. (c’è anche farfalle
nello stomaco ma non era previsto!)
Note: Questa storia è ambientata fra quella sottile linea del
“Ci siamo dichiarati: e ora?” e si può considerare un “capitolo extra” di una
storia che sto scrivendo su Mousse e Shampoo [più precisamente, dopo la fine di
“Dice il
detto: attento a ciò che desideri, potrebbe avverarsi.” e si, in pratica è
dopo il finale, ma ehi non è che non si sappia chi shippo e come vada a finire,
semplicemente ho tralasciato di entrare nei dettagli della storia].
“It's just another night
And I'm staring at the moon
I saw a shooting star
And thought of you
I sang a lullaby
By
the waterside and knew
If you were here,
I'd sing to you
You're on
the other side”
All the stars -Ed Sheeran
Un manto di stelle visibili a occhio nudo costellavano il
cielo di Tokyo, un cielo perfetto. Lanterne erano appese ovunque, piccoli e
grandi gruppi di persone si cominciavano ad affollare verso l’entrata del
tempio di Nerima. E Mousse era lì, in piedi, alto e teso come un fuso, che
dall’agitazione non riusciva neanche ad appoggiarsi al cancello della palizzata
per stare più comodo ma scrutava gli astri in cerca di placare il suo animo
inquieto. Erano passate solo ventiquattro ore dal momento più bello della sua
vita, quello nel quale lui e la ragazza che amava da quando aveva memoria di sé
stesso si erano scambiati un bacio. E non un bacio qualunque. Preso da un
baldanzoso impeto aveva sfidato la morte per avvolgerla fra le sue braccia, come
se si fosse scordato di essere solo una pertica di diciassette anni timido e
mezzo ciecato. Arrossì di nuovo fino all’ultima punta dei lunghi capelli neri
prima di riguardare l’orologio. “Del resto, sono io che sono arrivato qui
un’ora prima…” sospirò mentre sistemava la fascia nera dello yukata che
indossava per la centotreesima volta. Come era successo tutto questo? Si
ritrovò a ripensare ancora a quel bacio lunghissimo, al volto di Shampoo che
arrossiva ma senza essere schifato, semmai malizioso, e alla richiesta che le
aveva fatto prima di andare a dormire ovviamente ognuno nella sua stanza.
“Verrai domani al Festival di Tanabata con me?” le aveva sussurrato con un
coraggio che ora non sentiva più, forse complice l’atmosfera notturna e il semi
buio che nascondeva il suo imbarazzo. Lei aveva annuito silenziosamente “Sarà
terribile come la mostra delle bambole?” aveva chiesto sottovoce schernendolo
un po’. Lui aveva sorriso di rimando, del resto era la natura di Shampoo
prenderlo in giro e a lui piaceva così, ma voleva prendersi a cazzotti per
quella stupida mostra che aveva pregiudicato ormai ogni sua mossa. Doveva far
capire a Shampoo che quello non era tutto ciò che sapeva fare e quella era la
sua ultima chance. Del resto aveva già superato la sua paura più grande: aveva
baciato Shampoo. Quella mattina stessa lo aveva rifatto. O meglio, lei lo aveva
ribaciato, quando si erano incontrati per le scale, quella mattina per scendere
al ristorante e prima di incontrare Obaba. Gli aveva preso delicatamente le lunghe
ciocche nere sul petto e si era spinta in punta di piedi per sfiorargli le
labbra. Quel “Buongiorno” sussurrato timidamente gli sembrava quasi innaturale,
ma non aveva avuto tempo per metabolizzare perché il locale andava aperto e di
corsa. Avevano lavorato sodo al ristorante pieno di turisti, e lui era stato
tutto il giorno in silenzio, in punta di piedi, quasi pauroso di infrangere con
i suoi passi il sogno che stava vivendo. Erano stati troppo impegnati con i
clienti per parlare ma lei gli aveva sorriso di sfuggita. Ben due volte. E lui
indossava gli occhiali, non se lo era sognato. A fine turno Shampoo gli si era
avvicinata con un imbarazzo atipico anche per lei. “Ma quindi…”
“Stasera, alle nove al tempio di Shinagawa. Ci sarai?”
Mousse non le aveva dato il tempo di parlare, troppo intimorito che lei volesse
disdire l’appuntamento, ma la vide sorridere, l’ombra dell'iniziale imbarazzo
svanita. “Ecco, volevo giusto...accordarci.” Mousse era rimasto a guardarla
impietrito. Cosa erano? Fidanzati? O cos’altro? Obaba lo aveva
capito, di sicuro, e iniziava a temere che non fosse felice di sapere questa
svolta sentimentale della nipote. Frenò i pensieri e scosse la testa. Non
doveva farsi prendere dal panico, ma quella Shampoo così “gentile” lo spiazzava
del tutto. Era vero che ne avevano passate di ogni per arrivare a quel punto,
ma tutto era ancora totalmente incredibile per lui. “Ehi.. ci sei ancora?” lo
scappellotto di Shampoo lo riportò alla realtà. “Sì, sì, scusami.” le disse
mentre si sfregava la nuca. “Dicevo: mi metto lo yukata, tu ce l’hai?” Mousse
fece segno di diniego. “No. Ma provvederò.” era riuscito a ritrovare un
briciolo della sicurezza acquisita in quei mesi strani appena trascorsi.
“Voglio che stasera tutto sia perfetto. Tu dimmi solo che alle 21 sarai lì, e
al resto penserò io, ok? E no non sarà brutto come l’ultima volta.” aggiunse
sornione, ma in realtà si torceva le dita nella tunica mentre tirava fuori
quella spavalderia, che però gli valse un sorriso fiducioso di Shampoo che non
aveva mai visto. “Ok. Alle 21 lì”
Ed erano proprio le nove di sera quando Mousse finì di ripercorrere con la
mente quelle incredibili ventiquattro ore. Aveva le farfalle nello stomaco, non
era riuscito neanche a mangiare, niente, neanche un boccone, e non faceva altro
che ripetere a mente tutto ciò che aveva preparato. Si riguardò lo yukata
grigio con semplici righe nere e ringraziò ancora mille volte di aver stretto
amicizia con Akane in quell’ultimo periodo. Il suo aiuto nella scelta
era stato fondamentale per arginare il suo pessimo gusto. Ripercorse la sequela
di bancarelle che aveva già supervisionato. Avrebbe dato a Shampoo un’azalea,
il suo fiore preferito, e poi avrebbero percorso il viale, magari mano nella
mano, le avrebbe preso dei taiyaki da mangiare davanti ai fuochi
d’artificio e avrebbero provato a pescare pesciolini con i cerchietti di carta
prima di attaccare i tanzaku al bamboo. Non sarebbe
stato PER NIENTE come quell’orribile mostra. Si ricompose e
guardò l’orologio.
Le nove e un quarto. “Eh è tipico delle ragazze arrivare
tardi agli appuntamenti…no?” del resto lui non lo poteva sapere con sicurezza.
Le nove e diciannove, ventuno, ventiquattro, trenta.
Mousse cominciò a sentire la sicurezza svanire minuto dopo minuto. Strinse con
forza la manica dello yukata mentre cominciò a passeggiare sul posto. Passo
dopo passo cercava di calmarsi, ma non ce la faceva. “Non era vero niente. Ti
ha preso in giro. Ti ha baciato, sì, ma chissà cosa c’è dietro. Magari si è
resa conto che quello che prova era solo un effetto delle ultime incasinate
settimane. Calmati.” ma non riusciva proprio a ragionare più
lucidamente. Respirò a lungo, cercando di calmarsi, era davvero patetico.
“Sei un fallito Mousse. Sei tornato alla tua vita, e questa
è. Sei solo uno sfigato, come ti è potuto venire in mente che veramente Shampoo
venisse con te stasera?” ripeté a sé stesso, sull’orlo delle lacrime, alle
dieci di sera.
I fuochi sarebbero stati fra mezz’ora, ma lui non ci sarebbe
stato.
Voleva solo prendere far esplodere qualcosa, qualcuno o sradicare un albero con
le sue catene. Probabilmente una bella scazzottata con Ranma gli
avrebbe fatto passare quel senso di atavico dolore, delusione e tristezza.
Stava per allontanarsi da quel dannato tempio, in procinto di
strapparsi quello scomodo yukata quando si sentì chiamare, in cinese.
“MU SIIII! ASPETTA!” si girò di scatto, e vide Shampoo
arrancare verso di lui. Mousse in un focalizzò la ragazza, benedetti lenti a contatto!, fulmineo si
avvicinò a Shampoo e la prese in braccio. “Per gli dei Shampoo, che è
successo?” continuò nella loro lingua natale. La ragazza si asciugò le
lacrime con il dorso della mano, ma poi si arrese e si lasciò andare a un pianto liberatorio fra le
braccia del ragazzo. “Sono una stupida..” continuava a
ripetere “Shhh va tutto bene.. sono
qui…” le disse mentre intanto la portava a sedersi su una panchina lì
poco distante. Controllò che non fosse ferita e notò che la caviglia destra era
gonfia. “Shampoo che è
successo?” chiese col cuore in gola mentre le tastava la gamba con
delicatezza. “È successo che sono un’idiota!” sbottò dopo un
piccolo sussulto di dolore. “Ero in ritardo, e un po’ volevo esserlo, ma
poco. E invece per farmi questi stupidi capelli e indossare questo stupido
yukata ero in ritardo. Ho iniziato a correre e a saltare per arrivare qui il
prima possibile ma sono scivolata con i geta.. come una deficiente! Ecco cosa è
successo. E ora guardami, sono un disastro.” Mousse era rimasto senza
parole per un attimo. Le accarezzò
il volto dolcemente, guardandola dal basso dove era accucciato, ringraziando gli dei di poterla vedere chiaramente sotto la luce delle stelle. Notò il trucco
colato, ma che denotava una certa cura nell’applicazione, l’intricato chignon
laterale ormai semi sciolto da cui scendevano fluenti i capelli di Shampoo, e
la delicata trama dello yukata, costellata da piccoli fiori di ciliegio rosa,
lilla e fuxia. La guardò in silenzio in adorazione per pochi, intensi secondi.
“Sei bellissima.” La vide arrossire. “E non dire mai più che tu sei un’idiota.
L’idiota sono io.” Si sedette vicino a lei rimanendole accanto ma senza
toccarla. “Non ho avuto fiducia in te, stasera. Ero convinto che mi stessi
dando buca, che io fossi un illuso e basta.” “Ed è per questo che sono
arrabbiata con me stessa! Non volevo rovinare tutto, mi dispiace.” Era
veramente dispiaciuta e le si aggrappò al braccio costringendolo a guardarla.
“Era il nostro primo appuntamento. Era la prova che davvero qualcosa è cambiato
fra di noi, la nostra prima occasione per parlare in pace senza la nonna o
altri intorno. Io volevo solo che fosse tutto…perfetto e invece sono stata
capace di slogarmi una caviglia.” Aggiunse quasi in un soffio. Mousse le prese
le mani, facendole rialzare lo sguardo. “Shampoo, tutto è già perfetto per me.
Sei qui con me e non mi serve nient’altro. Tu sei perfetta. Io sono un cretino invece,
e non posso perdonarmi perché se fossi venuto a cercarti magari non avresti
fatto quella strada zoppicando.” Azzardò a baciarle il dorso della mano per poi
riprendere. “Permettimi almeno di alleviare un po’ il dolore.” Le prese
delicatamente la caviglia e la adagiò sulle sue ginocchia piano, dando modo a
Shampoo di distendere le gambe su di sé, mentre lo guardava sorpresa. Le sfilò
l’elegante piccolo geta di lacca nero, con corda rossa e trafficando con le
maniche dello yukata trovò un barattolino che aprì e con diligenza, cominciò ad
applicarne il contenuto pastoso sulla distorsione. Il silenzio fra loro era
palpabile, e carico di emozioni non espresse. Shampoo era così combattuta. Non
riusciva ancora a realizzare del tutto che veramente si era innamorata di
Mousse, ma allo stesso tempo si la sua perenne parte razionale si rendeva conto
di guardarlo rapita mentre si prendeva cura della sua malandata caviglia, con
quel suo unguento tirato fuori da chissà dove. Era così bello con quello yukata
grigio, su cui spiccava la lunga coda nera, e mentre era così assorto, senza
occhiali, riusciva a sentire le farfalle nello stomaco e a malapena il dolore.
Lo trovava bello. Forte. Ed era reale. Aveva imparato solo in
quell’ultimo periodo ad apprezzarlo, ma ne era davvero convinta. Solo, le
faceva ancora strano pensare a lei e Mousse insieme. Eppure lo voleva così
tanto… avrebbe voluto passeggiare con lui, prenderlo in giro mentre sicuramente
non avrebbe acchiappato neanche un pesciolino o abbracciarlo durante i fuochi
d’artificio dopo aver appeso i loro desideri. E invece era lì, con lo yukata
sfatto e l’acconciatura ormai distrutta a farsi medicare la gamba. “Ho finito,
ecco.” Le disse sorridendo. “G-grazie…” “Dovrebbe alleviare il dolore ma domani
andiamo dal dottor Tofu, ok?” chiese guardandola negli occhi. Lei annuì. Si
odiava quando diventava muta, ma vedere Mousse così le causava ancora
scompensi. Non le mancavano troppo le continue dichiarazioni d’amore, ma quello
era molto di più. La sua preoccupazione era sentita, ma soprattutto era
gradita. Non aveva pensato per un attimo al dolore mentre arrancava verso il
tempio, ma solo al fatto che non voleva che Mousse potesse pensare che lo stesse prendendo in giro, anche se alla fine era
successo. Lei, la guerriera di Joketsukyō sconfitta
da una stupida storta? Giammai. Si era trascinata per quanto velocemente poteva
e quando nei pressi del tempio aveva visto che se ne stava andando si era
disperata. Ma ora era lì e Mousse era riuscito a renderla felice nonostante l’inizio
disastroso del loro appuntamento. Si asciugò le lacrime, risoluta, riuscì a
rimettersi seduta e senti la caviglia già meno gonfia. Stava per ringraziarlo
quando un boato la interruppe e una miriade di fuochi d’artificio solcarono il
cielo. Non erano proprio sotto ma erano chiari ed alti, bellissimi nella loro
maestosità. Si lasciarono sfuggire
entrambi un “Ohhhh” di meraviglia e si scambiarono
uno sguardo complice facendosi sfuggire una risatina. Certo, non era il loro
appuntamento perfetto. Sicuramente dovevano ancora capirsi, e realizzare che
qualcosa fra loro era realmente cambiato. E ok, non avevano visto la fiera, ma
erano lì sotto il cielo di Tanabata.
Vicini. Insieme
Shampoo decise di fare il primo passo e accucciarsi contro il
suo petto. Percepì il cuore a mille del ragazzo e il suo profumo, misto a
quello forte dell’arnica dell’unguento con cui l’aveva accudita. Sentì il suo
braccio avvolgerle le spalle. La ragazza si sentì ardita e desiderosa di
rendere quella notte speciale anche se non nel modo in cui aveva previsto.
D’istinto, baciò il collo del ragazzo che invitante le si era avvicinato e
sentì un sussulto, un gemito soffocato di Mousse che rimase improvvisamente
rigido, ma che dopo un attimo di smarrimento si girò verso di lei e con delicatezza
raggiunse le sue labbra già schiuse.
Si guardarono e si sorrisero, per poi abbandonarsi in un
bacio senza tempo, incorniciato da stelle e fuochi d’artificio.