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Autore: _Destinyan_    13/07/2017    0 recensioni
Inghilterra, 1945.
Antonio ha vissuto tutta la sua vita in un orfanotrofio, vorrebbe che la gioia trovata lì non finisse mai. Sarà però costretto a dover affrontare la realtà una volta capito che cosa significa crescere, conoscere il mondo... e affrontare qualsiasi tipo di viaggio pur di rivedere Lovino.
Genere: Angst, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Agosto, 1954

Dopo essersi alzato, Lovino corse a cambiarsi, mise una camicia celeste e dei pantaloni scuri. Andò in bagno e si guardò allo specchio per aggiustarsi i capelli. Aveva compiuto 14 anni, eppure non si vedeva molto cresciuto. Non gli era cresciuto nessun pelo, non come successe ad Antonio, e non era nemmeno cresciuto in altezza, come successe a Ludwig. L’unica cosa che trovò positiva fu che non gli comparve nemmeno uno di quegli orribili brufolini, come Gilbert.
Mentre si guardava allo specchio si domandò come fosse cambiato Feliciano invece, magari era diventato più alto di lui. Gli sarebbe piaciuto scoprirlo.
“Lovi!” La voce di Antonio lo fece distrarre.
“Ehy…” Lovino disse a voce bassa “Cosa c’è?”
Antonio era diventato molto più alto di lui e pensava che fosse il più bel ragazzo che avesse mai visto. La pelle olivastra risaltava particolarmente quando si vestiva con abiti chiari. Antonio gli sorrise mostrandogli tutti i denti.
“Scusa, dovrei prendere una cosa nel mobile.” Allungò il braccio “Scusami, vado via subito.” Lovino si ritrovò con il volto contro il petto di Antonio, arrossì e si allontano. L’altro prese quello che gli serviva e uscì dal bagno di corsa. Lovino rimase imbambolato per qualche secondo.
“È successo qualcosa?” Ludwig disse fermandosi davanti la porta. Lovino si spaventò e scosse velocemente la testa.
“COS-“ uscì dal bagno tutto rosso e agitato “Levati dai piedi, non ho nulla.”
Ludwig rimase sconvolto e disse solo “Va bene, ok.” e si allontanò giù per le scale.
Entrando di nuovo in camera Lovino guardò i bambini nuovi, erano circa 3 o 4, il più piccolo aveva compiuto da qualche mese cinque anni. Ormai lui e gli altri erano molto grandi. Antonio e Gilbert avevano ormai 17 anni, e Ludwig 15. La signorina Braginskaya li lasciava andare in paese alcune volte, oppure gli chiedeva delle commissioni.
In camera c’era anche Antonio “Oh, dovevo prendere questo!” e gli mostrò un prodotto per capelli.
“Usi quella roba?” Lovino disse guardando il barattolo.
“Certo, altrimenti non sarebbero così belli!” scherzò Antonio mentre si toccava i capelli ricci. Lovino sorrise “Sono belli comunque…” ammise.
Antonio arrossì “L-Lo pensi davvero?” e sorrise. Lovino realizzò cosa aveva appena detto e cercò di giustificarsi.
“N-no, ti prendevo in giro.” Mise in ordine goffamente il suo letto e corse fuori.
“Ehy, Lovi, accenderesti la radio appena scendi?”
Alzò le spalle in risposta. 

Insieme a Lovino scesero due delle bambine che corsero dalla signorina.
“Oh, ci servivano proprio due femminucce, finalmente!” disse lei ridendo. Poi guardò verso Lovino, lo trovò un pochino scosso “Tesoro, che succede?”
“Nulla, nulla, davvero.” Disse lui timidamente. Andò verso la radio e la accese.

“….Just any way you do
That's all right
That's all right
That's all right, little mama
Any way you do.”


Alla radio c’era quella canzone da poco uscita di un cantante americano che faceva davvero impazzire tutti, si chiamava Elvis Presley. Lovino alzò poco il volume e si sedette sulla poltrona impolverata lì accanto.
“Non riesco davvero a capire come faccia a piacervi quella roba!” La signorina disse esasperata. “Sarò io che sto invecchiando troppo.”
Antonio corse giù per le scale e iniziò a cantare insieme a Gilbert.

“Well, Mama she done told me
Papa done told me too
"Son, that gal you're foolin' with
She ain't no good for you"
But that's all right
That's all right
That's all right, little mama
Any way you do.”


Cantavano all’unisono con la radio, Gilbert stonava parecchio, però Lovino trovò carina la voce di Antonio.
“Davvero non riesco a capirvi.” La signorina aggiunse rassegnata.
“È tutta una questione di ritmo!” Disse Gilbert mentre rideva seguito dal suo amico. Si sedette sui braccioli della poltrona dove era seduto Lovino.
“E poi perché questi americani devono abbreviare così tanto le parole?” Chiese ancora la signorina. Antonio continuava a ridere, e Lovino continuava a guardarlo mentre lo faceva. Antonio abbassò lo sguardo e Lovino girò la faccia.
“Tutto bene? Sei strano oggi.” Antonio poggiò una mano sui capelli di Lovino e gli sorrise.
“E piantala!” Disse l’italiano allontanando la mano.
Era da un po’ di tempo che i due passavano interi secondi a fissarsi a vicenda, di solito Antonio dopo un pochino sorrideva e Lovino arrossiva. Odiava quella situazione.
“Ragazzi, per favore andate a fare qualche commissione?” la signorina comparì di nuovo dalla cucina e spense la radio. “Potete approfittare per spedire queste lettere a Feliciano.”
“Oh, già, Feliciano è l’unico che ancora ci scrive.” Disse Gilbert seccato “Non come quello che credevo fosse mio amico.”
“Gil, Francis è andato via da tanti anni ormai, eravate piccoli.” La signorina cercò di tranquillizzarlo. “Comunque se potete passare a prendere del latte, potete anche spedire queste lettere.”
“Uhm, signorina…” Lovino alzò la mano.
“Cosa c’è Lovi?”
“Io ne ho scritta solo una…” disse confuso. Di chi erano le altre? Lovino guardò gli altri e poi notò Ludwig un po’ imbarazzato “Che cazzo hai da scrivergli tu?”
Ludwig sobbalzò “Voglio solo… siamo amici.”
“Lovino!” La signorina lo richiamò  “Hanno tutti il diritto di scrivere a Feliciano. E… linguaggio.” Disse delusa. Poggiò le due lettere sul tavolo e poi si allontanò. Antonio poggiò la mano sulla spalla di Lovino.
“Vuoi accompagnarmi?”
Lovino roteò gli occhi e si alzò in piedi.
“Io starò qui a… aiutare la signorina con i bambini.” Gilbert si alzò e andò con Ludwig verso la cucina.
Antonio sorrise “Andiamo!” e uscirono dalla porta.

***

Faceva estremamente caldo. Antonio non riusciva più a camminare, il sudore continuava a colargli dalla fronte. Guardò verso Lovino, sembrava anche lui molto accaldato. Erano le dieci del mattino e più andavano avanti più il caldo aumentava. Antonio sapeva che nell’ultimo periodo le cose fra lui e Lovino erano strane. In realtà si sentiva diverso da quando aveva 13 anni, dopo che lui e Lovino si baciarono. Pensando a quello Antonio rise.
“Cosa?” Fece Lovino infastidito. L’altro intanto rideva sempre più forte, facendo arrabbiare l’italiano che lo ignorò.
“Pensavo ad un cosa.” Antonio disse mentre rideva “Ricordi quando ci siamo baciati? Che stupidi!”
Lovino arrossì di colpo “Oh santo cielo… P-perché me lo hai dovuto ricordare?”
“Non c’è nulla di male! Eravamo piccoli.” Antonio si calmò “Ti sei arrabbiato?”
“Non c’era bisogno di ricordarmi quella cosa.” Lovino si nascose una parte del volto “Dopo 4 anni come ti è tornato in mente?”
Antonio cercò di trovare una spiegazione, non voleva far arrabbiare Lovino “Era… una cosa divertente che abbiamo fatto quando eravamo più piccoli. Solo questo.”
“Tsk.” Fece l’altro scocciato. Cominciò a camminare più velocemente e Antonio rimase confuso da quello che era appena successo. Si scusò diverse volte fino a quando non fece innervosire Lovino (“Che cazzo, smettila!”)
Imbucarono la posta e poi andarono a comprare il latte, rimasero in giro in paese per un po’, poi corsero all’orfanotrofio. Lovino sembrava ancora arrabbiato, ma ormai Antonio ci aveva fatto l’abitudine a vederlo così.

***

Settembre, 1954

Dopo cena i bambini andarono tutti in fretta al piano superiore. Antonio, Gilbert, Ludwig e Lovino rimasero con la signorina a sparecchiare. Ormai sentivano quel pensiero constante che gli ricordava che erano grandi e si sentivano distaccati dagli altri membri dell’orfanotrofio. Gilbert sembrava non vedesse l’ora di andare via con Ludwig, Lovino aspettava con ansia il momento in cui sarebbe dovuto andare via, mentre Antonio non lo sapeva ancora. Era maturato rispetto a prima, e questo lo notò anche la signorina, solo che ancora non era bravo con le decisioni importanti.
Quando salirono di sopra andarono nei loro letti, che ormai avevano cambiato disposizione. I letti di Gilbert e Antonio rimasero nella posizione di prima ( uno accanto a l’altro, sotto la finestra) mentre Ludwig e Lovino vennero spostati accanto a loro. Non andavano quasi mai a dormire presto come gli altri bambini, di solito rimanevano svegli a giocare a carte o a parlare (anche se non avevano molto da raccontarsi). Lovino e Ludwig furono i primi ad addormentarsi.
“Bhe, direi che ora dobbiamo dormire anche noi.” Antonio si mise sotto le coperte e augurò la buonanotte.
“Aspetta un attimo.” Gilbert lo pregò “Devo parlarti di una cosa.”
Antonio si preoccupò e annuì “Dimmi.”
“A Gennaio io compirò 18 anni.” Iniziò l’albino, ma Antonio roteò gli occhi e lo interruppe.
“Gilbert non mi piace parlare di questa cosa!” e incrociò le braccia.
“No, ascoltami.” Gilbert si arrabbiò “ È una cosa seria.” Antonio si arrese e ascoltò in silenzio. “Io pensavo di voler restare qui.”
Antonio alzò un sopracciglio “E come, scusa?”
“Resterò qui e aiuterò la signorina con l’orfanotrofio. Sarà il mio lavoro, per così dire, fino a quando Ludwig non sarà più grande.” Si girò a guardare il fratello.
“Puoi andare fin da subito via con lui.” Antonio alzò le spalle “Aspetti questo momento da una vita.”
“Voglio aspettare che anche lui compia 18 anni.” Gilbert spiegò “Ora ha solo 15 anni e no, non è abbastanza grande.” Antonio sapeva quanto il suo amico fosse protettivo nei confronti del fratello, quindi non fece ulteriori domande.
“E quindi… resterai qui altri 3 anni?” sorrise.
“Sì.” Rispose tranquillo “E poi partiremo per la Germania.” Continuò lui.
“Che cosa?!” Antonio alzò la voce senza rendersene conto.
“Sssh, abbassa la voce, cretino.” Rispose lui “Vogliamo cercare i parenti di mio padre. Qualcuno ci sarà…”
Antonio incurvò entrambe le sopracciglia e iniziò a preoccuparsi. Non gli piaceva molto come idea.
“E tu invece? Hai deciso?”
“Non posso restare qui, come fai tu?” Antonio chiese preoccupato “Lo sai che ancora non ci ho pensato.”
“Antonio.” Gilbert disse solo quello e lo guardò fisso negli occhi.
“Ok.” Antonio si fermò a pensare, il suo sguardo cadde sul viso di Lovino mentre dormiva. Sembrava stesse dormendo profondamente. Il suo viso liscio e gli occhi con le lunghe ciglia chiusi fecero incantare per qualche secondo Antonio. “Non lo trovi veramente bello?” disse convinto di averlo solo pensato.
“Cosa?” Gilbert guardò Antonio confuso il quale arrossì e si coprì la bocca ridendo.
“Non dovevo dirlo.”
Gilbert si voltò nella direzione in cui prima stava guardando il suo amico, e inarcò un sopracciglio. “Stavi parlando… di Lovino?” si voltò confuso. “Uhm, lo trovi, bello?” e sembrava imbarazzato.
“Lascia stare.” Antonio scosse la testa. “Ne riparleremo un’altra volta.” Si nascose sotto le coperte e restò lì. Sentì Gilbert sbuffare.

***

Dicembre, 1954

Lovino venne scaraventato nel fienile insieme a Feliciano, nascosti nella paglia.
“Non muovetevi.” Sussurrò la madre che corse fuori. Feliciano provò a piangere, ma Lovino lo fermò. Sentirono la porta spalancarsi e un uomo in divisa entrare. La paglia era in tutti i vestiti di Lovino e pizzicava. Aveva paura, non riusciva nemmeno più a vedere la mamma.


Sentirono una signora dire “Potete venire qui.” E corsero fuori in cerca dei genitori. Il primo che videro fu il padre che saltò giù da un albero, si aggiustò le bretelle e aiutò la moglie a scendere, intenta a non incastrare la gonna nei rami.
“Mamma, papà.” Urlarono i bambini che saltarono in braccio ai genitori.

 
“Perché ci nascondiamo?”
“Perché noi combattiamo per il bene dell’Italia.” Disse il padre a Lovino, mentre preparava qualcosa da mangiare, quel poco che avevano. “Per noi è la cosa giusta da fare, per loro quella sbagliata.”
“Smettila di parlarne sempre.” La mamma disse dall’altra parte mentre puliva “Oggi è domenica, possiamo passarla in pace, senza parlare di camice nere e Resistenza?”
“Certo, cara.” Lovino vide il padre avvicinarsi al viso della mamma e gli diede un bacio sulla guancia.

 
Lovino scrisse il sogno che aveva fatto quella notte nel taccuino che gli venne regalato a Natale e  collegò alcune cose con altre, non ne sapeva molto della guerra, quindi non riusciva ancora a capire che ruolo avessero i genitori. Ne avrebbe dovuto parlare anche con suo fratello, ma non sarebbe stato d’aiuto.
“Lovi, vieni di sotto, il pranzo è pronto.” Antonio lo chiamò e chiuse in fretta il taccuino.
“Sì, certo, arrivo.” Riuscì a guardare l’altro solo per pochi secondi. Era da tanto che non parlavano da soli e la situazione risultò imbarazzante. Lovino si affrettò ad alzarsi e fece per uscire dalla stanza, quando sentì una mano afferrare la sua. Quando si voltò scoprì che Antonio lo aveva fermato davanti la porta. “Devo farti una domanda.” Lovino guardò in basso verso la sua mano, arrossì e la ritirò.
“Che c’è?” chiese normalmente.
Tossì e si schiarì la gola “Ti sei mai, diciamo, innamorato?” si mise una mano sul collo e iniziò a giocare con i riccioli che si poggiavano su di esso.
Lovino lo guardò confuso “No, non credo.”  E scosse la testa. Antonio sembrò in difficoltà e annuì dicendo
“Capisco.” Incrociò le braccia e continuò “No, perché, mi sarebbe piaciuto parlarne con qualcuno che ne sapesse qualcosa, dato che credo di essermi preso una cotta.”
La faccia di Lovino era inorridita “Ma ci sono solo bambine piccole qui dentro!”
Antonio cominciò a gesticolare freneticamente “No, no, non è come pensi.” Fermò Lovino prima che potesse iniziare ad insultarlo “E no, non è nemmeno la signorina Bragiskaya.” E sorrise. Ogni volta che Antonio gli sorrideva Lovino si sentiva strano e agitato, sapeva che era una cosa stupida.
“Non la conosci, non è nell’orfanotrofio.”
“Ok, va bene, non mi interessa.” Cercò di nascondere la sua curiosità e lasciò che Antonio gli dicesse tutto da solo. Si sentì un pochino infastidito quando Antonio invece di continuare a parlare dell’argomento disse
“Ora andiamo di sotto.”
Lovino voleva capire chi era quella ragazza. Era più grande? Aveva la sua età? Era alta? Era bella? E si domandò per tutta la durata del pranzo quale fosse il tipo ideale di Antonio, rendendosi conto che si sentiva estremamente ridicolo.

***

Gennaio, 1955

“Antonio, ti prego, devi dirmi che hai preso una decisione.” Gilbert continuava a ripetere ad Antonio, in modo esasperante, quelle parole. Gracchiava nelle sue orecchie tutti i giorni e ad Antonio non faceva piacere. Era, da circa una settimana, passato il compleanno di Gilbert infatti lui non dormiva più accanto al suo amico. Il letto dell’albino venne spostato al piano inferiore, in quello che era il sottoscala, la signorina lo stava riordinando per renderlo più comodo per il ragazzo. Antonio avrebbe compiuto gli anni il mese successivo quindi doveva davvero iniziare a pensare a cosa avrebbe fatto. Guardò Gilbert negli occhi e disse “Non voglio andarmene da qui.”
Gli occhi rossi di Gilbert rimasero impassibili “E cosa vorresti fare allora?” poi gli afferrò una spalla e avvicinò l’amico a lui “Non hai nessuna scusa per restare.”
Antonio ci pensò un attimo, effettivamente c’era un motivo in particolare per cui lui voleva restare. Certo, Gilbert non voleva lasciarlo andare, ma si ricordò di quelle parole che 4 anni prima aveva detto a Lovino. “Io gli avevo promesso che sarei rimasto con lui.”
Inarcò il sopracciglio e sbatté le palpebre ripetutamente “Di chi stai parlando?”
“Lovino.” Spiegò lui “Non posso lasciare Lovino senza di me.”
“Sei impazzito?”  Gilbert non capiva “Antonio, non capisco che cosa stai dicendo. Perché dovresti restare qui con Lovino?”
Antonio sapeva che nessuna scusa sarebbe stata plausibile, l’unica cosa che avrebbe potuto dire era la verità. Sì, lui era innamorato di Lovino così tanto che sarebbe rimasto tutta la vita in quel vecchio orfanotrofio pur di restare accanto a lui. Non sapeva da quanto tempo, non sapeva per quale motivo, ma era successo all’improvviso. Antonio sapeva che non poteva dire una cosa del genere a qualcuno, non aveva mai visto due uomini insieme, ma la signorina Braginskaya non era molto d’accordo e nemmeno Gilbert.
“Gil, dammi del tempo per pensarci.”
“No, Antonio, non hai più tempo.” Rispose subito a tono “Se vuoi posso darti una mano.” Gli poggiò una mano sulla spalla “Potresti chiedere alla signorina di trovarti qualcosa qui in paese, così potresti venire a trovarci.”
Antonio non sapeva cosa dire quindi si limitò ad alzare le spalle. Gilbert rise “E magari dopo potresti venire in Germania con me e Ludwig!” esclamò felice.  Antonio rimase in silenzio a pensare, non gli piaceva molto come idea, ma cos’altro poteva fare?

***

Antonio venne svegliato dalla luce proveniente dalla finestra, quando aprì gli occhi vide Gilbert davanti a lui che svegliava tutti i bambini. Erano un paio di giorni che non si parlavano e questo non era mai successo prima. Antonio avrebbe davvero voluto parlare seriamente a Gilbert, ma aveva troppa paura che si sarebbe spaventato. Non sapeva se avrebbe dovuto dirlo a Lovino, anche qui aveva paura dello stesso motivo. Ormai tra di loro era solo uno scambiarsi di sguardi e sorrisi che ad Antonio facevano solletico allo stomaco. in quel momento girò la testa e vide Lovino togliere la maglia del pigiama, si sentì il volto caldo e assunse un’ espressione stupida. L’altro se ne accorse subito e disse “Che hai da guardare?” nel frattempo mise la maglietta e iniziò a cambiarsi. Antonio si riprese e iniziò a vestirsi. Pensò a qualcosa di carino da dire a Lovino, ma ci ripensò. Quando finì di prepararsi andò in camera della signorina. Bussò la porta e sentì ella rispondere subito “Avanti.”
Antonio aprì la porta cercando di non farla scricchiolare troppo. La signorina era seduta sulla sua scrivania e stava scrivendo. I suoi capelli erano ancora biondo platino e aveva ancora l’abitudine di mettere quel cerchietto celeste, sembrava che quasi non fosse invecchiata.
“Signorina, posso parlarle?”
“Vieni Antonio.” Alzò lo sguardò dolce verso il ragazzo. Antonio si accomodò su una sedia e provò a parlare. “Gilbert mi a già detto tutto.” Rise.
Antonio ci rimase male “Oh, volevo parlarne io con lei…”
“Non ti preoccupare, cercherò un’occupazione per te qui in paese, anzi credo che manderò Gilbert in questi giorni. Puoi restare fino a quando non trovi un posto.” Sorrise.
“Mi permetterà davvero di farlo?” il suo voltò si illuminò “Signorina, lei è troppo gentile!”
Lei arrossì “Sarà che sono troppo affezionata a voi.”
Antonio si alzò e corse fuori “Grazie, di tutto!” urlò prima di uscire dalla stanza. La signorina rise ancora una volta.

***

Febbraio, 1955

Era il compleanno più triste della sua vita. Quando si svegliò il suo primo pensiero fu “Dovrò andare via presto.” Gilbert si era impegnato tantissimo per trovare qualcosa al suo amico, e sembrava gli avesse trovato posto da un barbiere, era questione di settimane. Antonio aveva già posato alcune cose nel suo baule, come vecchi vestiti oppure la sua macchinina rossa che gli regalarono quel natale di alcuni anni fa. Gli sembrava che tutto era passato troppo in fretta, non si sentiva pronto ad andare via, eppure stava succedendo. Trovò davvero ingiusto che non importava cosa lui volesse tutto andava avanti per conto suo, senza fermarsi mai. I bambini uscirono tutti dalla stanza per andare a fare colazione, nella stanza rimasero solo Antonio e Lovino.
“B-buon compleanno.” Disse lui. All’improvviso. Antonio rise e arrossì, ringraziò e mise in ordine il suo letto prima di andare di sotto.
“Lovi, tu sai che tra poco andrò via?”
“Sì…” Rispose mettendo le mani in tasca e imbarazzandosi.
“Ragazzi, scendete!” La signorina Braginskaya urlò a loro due dal piano di sotto. Antonio non sapeva se essere grato alla signorina per aver interrotto il loro silenzio imbarazzante o essere triste perché voleva poter passare quegli ultimi giorni con Lovino.
“Dovremmo tornare a parlare più spesso.” Disse uscendo dalla porta e attendendo l’altro tenendola aperta. “Mi manca parlarti come prima.” Continuò timidamente e sorridendo. Lovino nel frattempo aveva abbassato lo sguardo per l’imbarazzo e alzò le spalle.
“Che cazzo dici così all’improvvisò” sbottò poi andando di fretta verso le scale “Puoi parlarmi quando ti pare, tanto non ti ascolterei comunque.” Antonio sentendo queste parole rise di gusto.
Gli era decisamente mancato Lovino.

***

Il dondolo nel giardino era diventato il posto preferito da Lovino, poteva stare da solo con i suoi pensieri, appuntare tutto sul suo taccuino, disegnare, oppure semplicemente dondolarsi in silenzio. Ultimamente era tornato tutto normale fra lui e Antonio, in un certo senso. Riusciva sempre a sentire una certa tensione e uno strano imbarazzo quando erano insieme. Proprio mentre lui stava schizzando un paesaggio sul suo taccuino sentì dei passi avvicinarsi ed era proprio Antonio.
“Ehy.” Mostrò un sorriso splendente tanto che i suoi occhi verdi sembrano brillare e si avvicinò saltellando. Quando si sedette il vecchio dondolo cominciò ad andare più veloce e gigolò fastidiosamente.
“Finirai con il romperlo!” nel frattempo Lovino aveva già nascosto il suo taccuino e cercava di fermare il dondolo.  Antonio rise come al solito. “Ma che diavolo hai da ridere sempre?” e dovette coprire la sua bocca per non far notare che stava sorridendo.
“Cosa disegnavi?” gli fece l’occhiolino e Lovino arrossì “Ti ho visto prima di venire qui.”
“Niente, solo un brutto paesaggio.” Brontolò in risposta. Antonio si arrese subito, non provò a chiedere altro riguardo al disegno. Lovino in realtà voleva parlare della cotta che Antonio disse di avere, gli sembrava così strano che ancora non si fosse fidanzato. Era troppo bello per non essere popolare, come era possibile che la ragazza che gli piaceva non lo corrispondeva?
Quando andavano in paese Lovino si accorgeva che, troppo spesso, le ragazze si metteva in disparte a farfugliare qualcosa mentre lo guardavano e ridevano prendendosi in giro. O si era innamorato di una ragazza già impegnato, oppure davvero non riusciva a spiegarselo. Voleva sapere tutte queste affermazioni, ma si vergognava troppo a parlarne.
“Senti, Lovi.” Sentì l’altro dire con voce calma “Devo dirti una cosa.” Antonio avvicinò il suo volto e parlò piano.
“Eh?” fu l’unica cosa che riuscì a dire mentre il suo volto si faceva sempre più caldo.
“Antonio! Antonio!” sentirono la voce di Gilbert gracchiare dalla strada.
“Gil?” disse il ragazzo spostando il volto da Lovino, il quale finalmente riuscì a respirare. Antonio guardò di nuovo l’altro e sembrò imbarazzato, si alzò e andò verso il cancelletto per aprire al suo amico. Lovino tirò un sospiro di sollievo.
Origliò il discorso dei due.
“Ti ho trovato un posto in cui puoi stare!” Gilbert urlò entusiasta “Il barbiere di cui ti parlavo, ha un appartamento sopra il suo negozio che è libero, puoi andare a starci tu.”
“Gil, come potrei comprarlo se non ho i soldi?”
“La signorina ti farebbe un prestito.”
“Oh, no, non posso prendere i suoi soldi.” Antonio si preoccupò “Vado a parlare subito con lei!” corse verso il portone dell’edificio. Gilbert era ancora al cancelletto a sorridere, guardò verso Lovino.
“Che succede?” sembrò preoccupato.
“No, nulla.” Si chiuse nelle spalle e ignorò Gilbert. Quasi si era dimenticato che Antonio sarebbe andato via presto, ma l’idea non gli piaceva affatto. Ad un tratto vide tutto sfocato e le lacrime gli rigarono il volto.
“Che stupido che sono.” Si ripeteva da solo. Continuava a piangere senza riuscire a fermarsi, eppure lo sapeva che prima o poi anche Antonio sarebbe andato via, ma non si aspettava facesse così male.

***

Marzo, 1955

Antonio prese il prestito che la signorina gli aveva dato qualche giorno prima e lo mise nella borsa. Prese il suo baule e iniziò a portarlo al piano inferiore. Il baule era vecchio e nelle parti metalliche arrugginito, pesava molto anche se non dentro non c’erano molte cose. Quando ebbe portato tutto di sotto capì che era il momento di salutare tutti. Saluta prima i bambini e le bambine nuove, poi salutò Ludwig  e Gilbert.
“Dai, non preoccuparti, verrò a trovarvi spesso.” Abbracciò Gilbert e si diedero una pacca sulla spalla.
Poi salì al piano di sopra per andare nella stanza della signorina.
La signorina Bragiskaya si stava asciugando le lacrime quando Antonio si avvicinò e lui rise, ma non per cattiveria. “Non c’è bisogno di piangere.” Disse in modo scherzoso.
La donna si alzò in piedi e poi disse “Ho una cosa importante da dirti.” Prese un biglietto dalla cassettiera accanto al suo letto. “Questo era accanto a te quando ti portarono qui. Il tuo nome completo è Antonio Fernández Carriedo.” Disse lei mettendo quel biglietto nella mano del ragazzo, e la chiuse.
“C-Carriedo è il mio cognome?” chiese lui spaventato. Non si aspettava che avrebbe mai scoperto tutto questo sul suo conto.
“Già…” si accomodò sulla sua poltrona e sorrise dolcemente.
“Quindi potrei cercare i miei genitori?” non aveva mai pensato a quest’ipotesi, conoscere i suoi genitori era forse un suo sogno, ma allo stesso tempo, una sua grande paura.
“No, Antonio, ho cercato per anni qualcosa che potrebbe rimandarmi alla tua famiglia e non riesco a trovare nulla.” Inarcò le sopracciglia “Mi dispiace, tesoro, ma ci tenevo almeno a farti sapere il tuo nome completo. A quanto pare tua madre teneva a farcelo sapere.”
“Oh…” sospirò lui. Sua madre la immaginava sempre con i capelli scuri, ma non riusciva ad immaginarsi un volto, mentre invece gli piaceva pensare di assomigliare a suo padre. Mise il bigliettino nella sua borsa e stette attendo a metterlo in una tasca sicura dove non poteva perderlo. “Signorina, grazie di tutto!”
Allungò la mano per stringere quella della donna la quale invece si alzò e lo strinse a lei con dolcezza “Ora puoi chiamarmi anche Katyusha.” Antonio sorrise e ricambiò l’abbraccio. Quando si staccarono lei chiese “Hai già salutato tutti?”
“No…” Antonio ammise “Manca solo Lovino.” riusciva a sentire la tristezza nelle sue parole.
“È chiuso nella stanza da questa mattina.” La signorina disse affranta “Deve starci davvero male… dopo che Feliciano è andato via, penso che tu sia l’unico con cui ha legato.” Si poggiò una mano al petto e con l’altra aprì la porta.
“Non vado via per sempre, verrò a trovarvi.” Disse Antonio alzando le spalle.
si diresse verso la camera dei bambini e apri il portone cautamente. Vide Lovino poggiato allo schienale del letto e le gambe distese, mentre giocava con una piccola pallina.
“Lovi.” Antonio lo chiamò e entrò nella stanza. Lovino alzò lo sguardo per poi tornare a guardare il nulla.
“Volevo salutarti, ora sto per andare.”
“Sì, lo so.” Disse freddo “Tanto tutti non fate che andarvene.” Borbottò a voce bassa e quelle parole fecero sussultare il cuore di Antonio.
“Mi dispiace lasciarti qui da solo, ma non ti preoccupare, verrò a trovarti tutti i giorni.”
Lovino lo guardò perplesso “Tsk, se ci tieni.” E alzò le spalle.
Poi Antonio gli poggiò una mano sulla guancia, Lovino spalancò gli occhi, e spinse la testa dell’italiano contro il suo petto. Stava cercando di non piangere, si stava sforzando. Lovino lo allontanò e imprecò contro qualcosa.
“Allora ciao.” Disse l’italiano, mentre continuava a spostare lo sguardo da Antonio.
“No, aspetta.” Rispose  “Io voglio restare con te, ancora per un po’.” ammise alla fine.
“Cosa?” Lovino divenne rosso.
Antonio gli prese la mano e lo guardò negli occhi. Non riusciva a credere a cosa stava per dire “Ti va di riprovarci?”
“A fare cosa?” L’italiano lo guardò per qualche secondo, poi arrossì “Oh mio Dio.” Si poggiò le mani sul volto e Antonio si sentì terribilmente in imbarazzo. “No, non voglio baciarti un’altra volta. Piantala con quella storia!” si infuriò lui. Antonio rimase in silenzio e cercò di ridere. Voleva davvero dirlo a Lovino, ma come poteva farlo. Si alzò in piedi e si mise in ordine il pantalone e la maglietta, Lovino lo seguì.
Antonio sorrise e allargò le braccia, Lovino provò a scappargli, ma si avvicinò e lo stinse in un abbraccio.
“Ci vediamo, Lovi.”
Quello non rispose, ma si strinse ancora di più tra le braccia del ragazzo. Rimasero così per diversi secondi e Antonio sentì che quello era il momento.
“Ti amo.”
Silenzio. Lovino finalmente parlò “Come?”
Antonio arrossì “Sono innamorato di te. Non so da quanto, non so perché, ma credimi. Ti amo, da diverso tempo ormai.”
Spinse via Antonio e si allontanò. Si guardarono.
“Oh, no.” Gli occhi di Lovino divennero lucidi, Antonio non riusciva a sopportare quella faccia. Si avvicinò di fretta e lo baciò. Lovino non reagì anzi sembrò apprezzare il braccio e spostò le mani sul collo di Antonio, quando di colpo lo allontanò e girò la faccia. Antonio cercò di avvicinarsi di nuovo, ma questa volta Lovino lo spinse via.
“Scusami.” Antonio si affrettò a dire.
“Cazzo, vattene.” Lovino rispose di fretta e le lacrime iniziarono a scendere. Antonio sentì il suo cuore spezzarsi e barcollando andò verso la porta senza distogliere lo sguardo da Lovino, il quale era arrossito e continuava ad asciugarsi le lacrime. Antonio pensò per un momento a tutto quello che era successo in quegli ultimi anni, i sorrisi, i silenzi e le chiacchierate, tutte le volte in cui Lovino arrossiva e agiva timidamente, in cui si infuriava solo per qualche parola di troppo. Pensò ai giorni, i mesi, gli anni e il tempo passati insieme.
“Lovi…” Antonio finalmente riuscì a capire e sorrise “Io piaccio anche a te?”
Il ragazzo allargò gli occhi umidi e lacrimanti e guardò finalmente Antonio. Ancora rosso in viso. Sì, Antonio aveva capito bene, ma Lovino non lo avrebbe mai ammesso.
 “Non voglio vederti mai più.” Disse alla fine a denti stretti. “Non mettere mai più piede qui, non ti voglio vedere. Sparisci!” urlò.
Antonio smise di respirare per qualche secondo, aprì la porta e lasciò Lovino solo nella stanza. Aveva combinato un disastro. Corse di sotto, e urlò un’ultima volta “Ciao a tutti!” poi cominciò a piangere.
Avrebbe voluto dare una vero addio a tutti quanti, ma non poteva certo dirgli cosa stava per fare. Se Lovino non voleva vederlo mai più, allora doveva andarsene via, non lo avrebbe sopportato.
Quando uscì e si trovò in cortile, iniziò a piovere, prima piano, poi quando andò fuori al cancelletto la pioggia iniziò ad aumentare. Antonio non sapeva cosa stava provando, tra la rabbia, la tristezza e la frustrazione. Vide Lovino alla finestra, ora aveva smesso di piangere. Anche lui lo guardò e sembrò affranto.

Antonio sarebbe dovuto andare in direzione del paese, invece andò dalla parte opposta. Sotto la pioggia, con i soldi in borsa, i suoi pochi averi nel baule, il biglietto che Katyusha gli aveva dato. Avrebbe mandato sicuramente delle lettere in futuro, a Gilbert, alla signorina per scusarsi di tutto quello che aveva fatto.
Quel povero barbiere lo avrebbe aspettato tutto il giorno invano.





---Angolo dell'autrice----

Ci ho messo tantissimo per scrivere questo capitolo, e bhe, è venuto più lungo del solito. Avevo detto che da questo capitolo in poi ci sarebbero state delle svolte...
Comunque vi informo che ho iniziato anche a scrivere "Like a flower" che è una fanfictio che si collega a questa, è la stessa storia però dal punto di vista Ludwig e Feliciano. Se volete chiarimenti oppure approfondimenti per quanto riguarda alcune cose vi invito a seguirla. 
Detto questo, ci vediamo al prossimo capitolo!
   
 
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