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Autore: ReyHaruka    13/07/2017    4 recensioni
"La sua prima moto.
A chiudere gli occhi avrebbe facilmente potuto tornare con la mente al giorno che l'aveva trovata abbandonata nella discarica...
Alle ore perse a spingerla fino a casa...
A quelle spese per aggiustarla...
A quelle impiegate in lavoretti part-time, quando ancora non aveva nemmeno uno sponsor, per guadagnare quanto bastava per comprare i pezzi che le servivano...
A quelle passate con Michiru, a fantasticare di quali e quanti luoghi raggiungere una volta che sarebbe tornata a funzionare...
Ai viaggi e alle avventure che avrebbero vissuto insieme, ai ricordi e alle preziose memorie che avrebbero creato...
Haruka si prese qualche minuto prima di decidersi a muovere il primo passo verso la vecchia Suzuki.
Tutto là dentro sembrava fermo... immobile... immutato."
Fanfiction su Haruka e Michiru, in un'AU dove non sono guerriere sailor, ma semplici ragazze come tante.
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Agosto 1994”

 

«Non è giusto...»

A queste parole Michiru aprì gli occhi, destandosi dal suo momento meditativo.

«Sei tornata nel tuo mondo...»

Sopra di lei Haruka proseguì con la sua accusa, cercando di celarla o per lo meno di addolcirla, con un sorriso.

«... e io sono rimasta sola.»

Il silenzio nell'enorme piscina dove si trovavano era coperto dal costante rumore della pioggia battente che senza sosta veniva giù dalle primi luci dell'alba.

Una goccia si lasciò cadere da una ciocca della frangia della biondina che sovrastava il viso dell'altra in attesa di una risposta che le confermasse di essere riuscita a richiamarla a sé.

«Se rimani così, ti prenderai qualcosa...»

Michiru tentò di essere il più seria possibile, mantenendo un tono di rimprovero simile a quello di una madre, mentre si sollevava dalla sedia a sdraio sulla quale era adagiata.

«Come mai sei qui?»

Alla domanda della ragazza dai capelli acquamarina seguì il pronto gesto di raccogliere l'asciugamano che teneva lì a bordo piscina e il successivo passarlo all'altra in modo da permetterle di asciugarsi almeno un po'.

«Mah... non c'è una ragione in particolare...» Haruka accettò facendo spallucce l'offerta e ne approfittò per strofinarsi per lo più i capelli.

«Ero uscita per un giro in moto» la biondina si interruppe per ripulirsi anche il volto «ma con questo tempo...» le due fissarono in direzione delle enormi vetrate che permettevano loro di vedere la tempesta da cui erano schermate «così ho pensato di fare un salto».
Riprese a passarsi l'asciugamano sui capelli, questa volta cercando di scuotere con forza per terminare quanto prima, mentre l'altra ragazza continuava a fissare un punto indefinito all'esterno.

A richiamare la sua attenzione questa volta non furono però le parole di Haruka, bensì la carezza di quelle ciocche ancora umide, con le quali le sfiorò la spalla, preparandosi un comodo giaciglio dove riposare la fronte, seguita dall'abbraccio col quale la biondina le cinse i fianchi.

Tornata con l'attenzione nella stanza, Michiru inclinò indietro la nuca, fino ad appoggiarla su quell'incavo che il collo della sua amata le offriva.

«Cosa c'è che non va, Haruka?»

Questa volta il suo tono fu dolce e rassicurante, come a voler ricordare alla sua ragazza che qualunque cosa la tormentasse, lei avrebbe volentieri portato metà, se non tutto, di quel peso pur di aiutarla.

«Niente...»

L'affermazione della bionda parve più un borbottio, visto che pronunciò quella parola senza staccare le labbra dal collo che si era presa la libertà di baciare prima di rispondere.

«...mi mancavi.»

A queste parole Michiru non riuscì a trattenere un'espressione sorpresa.

Non era decisamente da Haruka confessare con tanta semplicità una cosa del genere...

Senza neanche darsi il tempo di accorgersene, arrossì al pensiero che dovevano essere passate poco meno di un paio d'ore dall'ultima volta che si erano viste...

Quella stessa mattina...

Al loro risveglio...

Rendersi conto che la signorina "tutta-d'un-pezzo Haruka Tenou" provasse una qualche forma di dipendenza dalla sua presenza era una sensazione più appagante degli applausi di una standing ovation al Vienna State Opera.

Il brusio della pioggia fece da sottofondo ad un secondo delicato bacio, questa volta posato poco più sotto al lobo della violinista.

Un sorriso si dischiuse sulle sue labbra.

«Bene dunque... visto che sei già bagnata» la mano sinistra di Michiru si sollevò fino a raggiungere la nuca dell'altra, portando le sue dita ad intrecciarsi con alcune ciocche, ma solo per i pochi istanti che le ci vollero prima di rigirarsi tra quelle braccia con le quali la bionda la stava ancora tenendo a sé.

Haruka non si mosse, e attese che l'altra terminasse la sua azione, cercandone lo sguardo.

Michiru si fece ancora più vicina, portando le loro labbra ad un soffio di distanza.

«perchè non ti unisci a me per una bella nuotata?» la ragazza sospese la frase per fare cenno all'altra in direzione della piscina «magari ti aiuta a rilassarti un po' e a sgomberare la mente...» gli occhi di Michiru erano fissi in quelli smeraldo e ricolmi di sincera premura tentavano di trasmettere all'altra il suo desiderio di ricordarle che non era sola.

Haruka in pronta risposta le sorrise dolcemente prima di chiudere i suoi.

«Passo...» le sue mani sciolsero l'abbraccio «...già il solo averti vista mi ha aiutato».

Michiru rimase a fissare l'altra che si allontanava a grandi falcate in direzione del trampolino.

Era sorpresa nel vedere un'Haruka tanto diretta e schietta riguardo l'effetto che oggi le faceva.

«Sicura che non vuoi?» Michiru sapeva già che non avrebbe cambiato idea, testarda com'era una volta che Haruka proferiva sentenza quella era irrevocabile... ma magari la buona stella che le stava regalando quella versione più aperta al mostrare un lato meno sicuro di sé, le avrebbe regalato anche un secondo miracolo.

«No... quello è il tuo mondo. Goditi la nuotata.»

Haruka aveva ormai raggiunto il trampolino sul quale si stava preparando a distendersi.

Giusto il tempo di togliersi il giubbotto di pelle rossa cremisi e di gettarlo con non troppa cura a bordo piscina, che il quasi silenzio fu interrotto dal tuffo praticamente perfetto col quale Michiru entrò in acqua, cominciando la sua sequenza di vasche da allenamento.

Haruka rimase ad osservare la figura, distorta dalle increspature, dell'altra che nuotava in apnea, ritrovandosi a pensare che la grazia che riusciva a emanare, anche durante uno sforzo fisico non indifferente come quello, era una delle qualità che più apprezzava di quella ragazza.

Era una delle prime cose che l'avevano colpita.

Ma la possibilità di vederla in acqua era, se possibile, uno spettacolo ancora più estasiante.

"Sembra una sirena..."

Questo pensiero accompagnò la ragazza nel suo distendersi sulla ruvida superficie del trampolino che più volte ormai aveva funto da 'materasso'.

«Una sirena nel suo mondo...»

Gli occhi di Haruka si chiusero.

Forse Michiru aveva ragione.

Aveva bisogno di rilassarsi un po', probabilmente era solo questo.

Negli ultimi giorni si era ritrovata a passare ogni minuto possibile fuori casa a cavallo della sua moto.

Tutto pur di non pensare.

Era strano, di solito le bastava lanciarsi in pista, e tutte le preoccupazioni sparivano, e una volta scesa, tutto si rivelava di nuovo semplice.

Tutto diveniva chiaro.

Ora invece era diverso.

Sentiva come se non dovesse fermarsi... come se nel preciso momento in cui avesse accettato di farlo, i problemi l'avrebbero raggiunta, e lei non avrebbe saputo come affrontarli.

"Continua a correre."

Era questa l'unica soluzione che aveva trovato, l'unica che aveva sempre seguito.

"Continua a correre."

Ora le cose però erano diverse.

Ora aveva Michiru.

Ora non era più sola.

Da quando quella ragazza era entrata a far parte della sua vita, tutto il suo mondo, poco alla volta, era cambiato.

Ancora faceva fatica a credere a come in due anni le cose fossero diventate così serie tra loro.

A pensarci bene, non avrebbe mai creduto di potersi innamorare così di qualcuno.

Anzi...

A dirla tutta, non avrebbe mai creduto di potersi innamorare.

Lo aveva sempre trovato insensato.

Amore... amare...

Per lei significavano semplicemente doversi impegnare a far attenzione a non ferire i sentimenti di qualcun altro... come se proteggere sé stessa non fosse già abbastanza come disturbo...

A stare da soli non si rischia di soffrire inutilmente.

Questo lo aveva assodato, vuoi con l'uscita di scena dalla sua vita del padre prima o la morte di sua madre pochi anni dopo.

Non che le dispiacessero le persone... oddio... non poteva neanche dire di apprezzare particolarmente la loro stessa esistenza...

Semplicemente non voleva averci a che fare più del dovuto.

Era solo uno spreco, uno spreco di tempo, uno spreco di forze.

Tanto prima o poi anche i momenti più belli passano e finiscono, quindi perchè impegnarsi tanto in qualcosa di così effimero?

Questo non lo capiva.

"Gli uomini nascono soli e muoiono soli".
Questa era la sua più radicata convinzione.

Eppure dal preciso momento in cui per la prima volta l'aveva vista... Haruka sapeva che con Michiru tutto sarebbe stato diverso...

Che si fosse trattato di un colpo di fulmine?

No.

Lei non credeva a stupidaggini del genere.

Quello che aveva sentito era qualcosa di decisamente più profondo.

Era reale, era un vero legame, di quelli che neanche il fato più avverso oserebbe mai spezzare.

Lei era quel legame che da tempo aveva cercato di non trovare.

Michiru era...

«Il mio mondo...»

La voce della ragazza dai capelli acquamarina suonò come un bisbiglio all'orecchio della biondina che, colta di sorpresa tra i suoi pensieri, si raddrizzò di scatto passando da sdraiata a seduta, e notando che l'altra era lì a fianco, mentre con piccoli movimenti concentrici delle mani si manteneva a galla.

«Michir- cosa-»

Haruka non capiva come quella ragazza avesse appena potuto leggerle la mente...

«Lo hai detto tu poco fa...» soddisfatta di aver colto alla sprovvista la biondina, Michiru indossò un sorriso di sufficienza «"Una sirena nel suo mondo..."» si sforzò di replicare la frase che poco prima Haruka aveva pronunciato, convinta che non sarebbe stata udita, imitando in modo un po' forzato il tono di voce decisamente più basso dell'altra.

«Il mio mondo... posso mostrartelo se vuoi.»

Michiru le sorrise dolcemente.

Haruka ci mise ancora un attimo a realizzare di cosa stesse parlando, ma visto che la sua brutta figura era durata già fin troppo, decise di stare al gioco.

«Ah sì? Vediamo allora...» Haruka condì la sfida con uno schiocco di lingua «...mostrami questo tuo mondo.»

Il sorriso di Michiru non accennò a sparire.

«Okay allora... a me lo sguardo...» le si avvicinò il più possibile, giungendo fino alla gamba lasciata a penzoloni con la quale Haruka si era data lo slancio per tirarsi su «... da adesso mi raccomando... voglio che tu mi guardi dritta negli occhi, senza distrarti neanche per un secondo.»

Haruka si stupì della serietà con la quale Michiru aveva preso la questione, e si sporse leggermente in sua direzione per farle capire che sarebbe stata al gioco.

«Va bene.»

La sua voce uscì più divertita di quanto entrambe si aspettassero.

«Mi raccomando... continua a guardare.»

Gli occhi color dell'oceano lasciavano trasparire una fermezza che di rado la ragazza mostrava.

Michiru non li chiuse neanche per un secondo, nemmeno quando cominciò ad immergersi lentamente sott'acqua, ritrovandosi secondo dopo secondo sempre più in profondità.

«Non ho intenzione di entrare in acqua Michiru...»

Haruka chiuse gli occhi facendo spallucce.

«Avessi voluto fare il bagno avrei accettato il tuo invito di prima...»

Appena li riaprì, lì dove doveva esserci l'altra, c'era solo l'immagine riflessa leggermente mossa della biondina, che colta alla sprovvista perse la sua compostezza.

«Michiru!...»

Neanche il tempo di preoccuparsi per lei, che la voce della ragazza dai capelli acquamarina rispose.

«Ora l'hai visto anche tu...»

Haruka si voltò di scatto per capire dove fosse la sua ragazza, intuendo che doveva trovarsi sotto l'asse stessa del trampolino.

«... sei tu il mio mondo.»

Il riflesso, era quello che voleva mostrarle...

Michiru aveva usato quella carta contando sul fatto di conoscere così bene l'altra da sapere che Haruka avrebbe interrotto il contatto visivo dandole l'occasione di giocarla..

Appena il tempo di sentire queste parole, accompagnate con quella nota di dolcezza con le quali erano state pronunciate, che Haruka si sentì tirare per la gamba, e senza il tempo di reagire si ritrovò anche lei in acqua.

«Michiru!»

Appena riemersa si mise a urlare scherzosamente fingendo il broncio, ma l'altra non le diede il tempo di riprendere fiato, lanciandosi al suo collo, avvolgendole la nuca con decisione e portando le loro labbra a serrarsi nel bacio intenso con il quale la trascinò in profondità, auto-eleggendosi l'unica fonte stessa di ossigeno della sua amata.

Per poco più di un minuto, le due ragazze si ritrovarono immerse in un mondo fluttuante dove, per interminabili secondi, la loro esistenza era l'unica cosa che realmente importava.

Nessuno scambio di sguardi, nessun movimento, nessun suono.

Tutti e cinque i sensi potevano rimanere sospesi in una dimensione in cui non serviva attingervi per vivere la pienezza di quegli attimi.

Non c'era bisogno di nient'altro.

Solo loro due, avvolte dall'abbraccio stesso dei loro corpi, immobili in quel bacio, mentre le leggi della fisica le riportavano lentamente a galla.

«Tu sei il mio mondo.»

Questa volta le parole di Michiru furono un sussurro, quasi non volesse sprecare fiato per esprimere quello che era sicura di poter esprimere mille volte più direttamente con un altro bacio.

Le loro iridi ancora incantate dal richiamo che le une avevano sulle altre.

«Ti amo Michiru.»

A sentire queste parole la ragazza dai capelli acquamarina si ritrovò a lasciare che ora fosse l'altra a riprendere il controllo dell'abbraccio col quale ancora si stringevano.

«Ti amo perchè solo con te, sento di potermi esprimere liberamente. Ti amo perchè non mi metti catene. Ti amo perchè non sei tu a trattenere me, ma sono io a voler restare.»

Gli occhi di Haruka non la lasciavano un secondo.

Le sue parole erano penetrate nel profondo del cuore passando direttamente per la sua anima, prima ancora che per la sua testa.

Se c'era una persona con la quale poteva permettersi di perdere la compostezza, quella era Haruka... e al diavolo tutto, ma in quel momento desiderava solo baciarla senza più esitazione, e così fece.

La dea bendata oggi era decisamente dalla sua parte...

 

* * *

 

Novembre 2002”

 

Il tintinnio col quale risuonò il cucchiaino contro il bordo della tazza di caffè, riportò Haruka al presente.

La biondina si portò le mani alla tempia come a volersi concentrare per mettere a tacere quel ricordo.

Il suo ritorno forzato a Tokyo si sarebbe rivelato più pesante del previsto.

«Per caso la meringata al limone non era di suo gusto signore?»

La brunetta che si era occupata di servirle la colazione ora la osservava a pochi passi da lei con in mano la caraffa di caffè che si era portata appresso pensando che il 'bel biondino' avrebbe gradito un bis offerto dalla casa...

Haruka si limitò a guardare il nome sulla traghetta della cameriera.

"Unazuki"

«Se non le piace posso sempre portargliene un'altra! Non si faccia scrupoli... Oggi il dolce della casa della nostra cuoca Makoto è la torta alle fragole...»

«No grazie.»

La freddezza nella voce di Haruka stonava totalmente con il finto sorriso di cortesia che accennò.

«Questa va benissimo»

Lo sguardo della bionda si addolcì appena quando si ritrovò a osservare la fettina di limone finemente tagliata e adagiata sopra il dolce.

«O-okay...»

La cameriera fece per andarsene.

«Ehm... scusi se le sembro inopportuna a insistere ma...» la ragazzina mise da parte le sue discutibili doti professionali e si sedette dall'altro lato del tavolino «...è sicuro che vada tutto bene?».

Lo sguardo della moretta era sinceramente in apprensione.

«...sa, di solito quando c'è qualcosa che mi turba trovo che riuscire a parlarne con qualcuno aiuti a-»

«Sei molto gentile» la voce di Haruka la interruppe come un taglio netto «Mi è semplicemente passato l'appetito.».

Detto ciò si alzò con fare deciso dal tavolo, e con altrettanta rapidità infilò la mano nella tasca dei jeans per estrarne la banconota da 10000¥ che lasciò sul tavolo «Arrivederci.».

La cameriera non ebbe neanche il tempo di salutare che la porta del locale si era già richiusa, con il suo consueto campanello, dietro il misterioso ragazzo biondo.

«U-chan! Ma ti sembra modo di fare?!»

Le grida arrivarono da dietro il bancone dove, la cuoca col viso ancora tutto ricoperto di farina, le stava facendo gesto di alzarsi e raggiungerla.

«Non era mia intenzione farlo scappare!» la cameriera raggiunse in fretta la collega «...è solo che sembrava non passarsela bene...».

«Ma hai almeno idea di con chi stavi parlando?!»

La cuoca con splendidi orecchini a forma di rosa ora si copriva il viso con le mani dall'imbarazzo.

«Nh? No, chi era? Un tuo amico per caso?»

«Davvero non sai chi è?!»

Makoto, incredula, non perse tempo e fulmineamente le passò il giornale.

«Ecco chi era! Leggi un po' qui!»

La cuoca diede un buffetto al quotidiano con fare da esperta di gossip.

«"Insegnante accusata di relazioni sessuali con studentesse... secondo le indagini l'insegnante avrebbe istigato relazioni saffic-"»

«NON QUELLO!!»

La cuoca strappò di mano la testata all'amica cercandole in scomposta rapidità l'articolo che voleva mostrarle fin dal principio.

«Questo! "Sfiorata la doppia tragedia nell'ultima tappa del WRC 2002, Haruka Tenou pilota di punta del team Subaru esce di strada a causa di un malfunzionamento della vettura... per fortuna non riporta gravi ripercussioni fisiche dall'incidente che si è rivelato avere esito ben diverso per il compagno di squadra Kameda..." Capito ora? E' un famoso pilota! Pare che a causa dell'incidente abbia dovuto ritirarsi dalle gare e abbia deciso di far ritorno in Giappone...»

La cuoca ripiegò il giornale su se stesso e lo ripose sul bancone mentre l'altra si voltò a guardare il tavolo che non aveva ancora sparecchiato dall'ordine del pilota.

«Ah... sarebbe stata un'ottima pubblicità se solo gli avessimo chiesto di fare una foto... o magari di firmarci un autografo...»

Makoto continuò il suo monologo nel viaggio verso la cucina.

Unazuki si avvicinò nuovamente al tavolo per sparecchiarlo, senza riuscire a scrollarsi di dosso la sensazione che qualcosa nello sguardo di quel ragazzo le era sembrato rivelarle che fosse alla ricerca di qualcosa... o qualcuno di molto importante...

Sistemò sul vassoio la colazione che non era stata consumata, fece per prendere i soldi, e in quel momento notò che assieme alla banconota era rimasto attaccato qualcos'altro.

La ragazza raccolse quella che capì essere ciò che rimaneva di una vecchia foto del pilota da adolescente assieme ad una splendida ragazza della stessa età, entrambi in divisa scolastica.

Sul retro segnato a penna:

"Estate 1994"

 

* * *

 

La serranda arrugginita del garage impiegò un paio di tentativi energici e qualche imprecazione a issarsi, e come se non bastasse sollevò con sé il risultato di 8 anni di polvere.

Haruka dovette portarsi la sciarpa a coprire le vie respiratorie per evitare di ritrovarsi intasata.

La luce naturale del primo pomeriggio ora illuminava buona parte dell'interno di quel cubicolo che per tanti anni era stato il suo rifugio dal mondo.

E proprio come aveva previsto, subito lì, alla sua sinistra, bianca e blu, c'era ancora parcheggiata la sua inconfondibile DR750.

La sua prima moto.

A chiudere gli occhi avrebbe facilmente potuto tornare con la mente al giorno che l'aveva trovata abbandonata nella discarica...

Alle ore perse a spingerla fino a casa...

A quelle spese per aggiustarla...

A quelle impiegate in lavoretti part-time, quando ancora non aveva nemmeno uno sponsor, per guadagnare quanto bastava per comprare i pezzi che le servivano...

A quelle passate con Michiru, a fantasticare di quali e quanti luoghi raggiungere una volta che sarebbe tornata a funzionare...

Ai viaggi e alle avventure che avrebbero vissuto insieme, ai ricordi e alle preziose memorie che avrebbero creato...

Haruka si prese qualche minuto prima di decidersi a muovere il primo passo verso la vecchia Suzuki.

Tutto là dentro sembrava fermo... immobile... immutato.

Come se il tempo avesse cessato di esistere almeno al suo interno.

Come se in fondo forse, non tutto fosse semplicemente destinato a sparire, forse certe cose erano fatte per resistere anche all'incessante scorrere di quelle frettolose lancette.

Tutto di quel posto sapeva di casa.

Dal frinire dei grilli nei prati dei campi circostanti all'aria satura di profumo delle assi di legno di cedro di cui era costruita quella catapecchia, o al divano-letto che era stato testimone e custode silenzioso di quell'amore che intimamente aveva condiviso con l'unica persona che avesse mai davvero amato.

Haruka mosse altri tre passi verso l'interno del garage, ritrovandosi di fronte al cavalletto da disegno che ancora sosteneva la splendida opera a cui Michiru aveva lavorato con dedizione mentre le teneva compagnia durante le riparazioni.

 

«Haruka...lo senti anche tu vero?»

«Cosa?»

Le due ragazze stavano lanciate una vicino all'altra, sdraiate sulla massa ormai informe che il futon mescolato alle varie trapunte era diventata...

«Come cosa?... Il vento. Percepisci anche tu i messaggi che ti porta il vento?»

Michiru la guardò con uno di quei sorrisi che era solita mostrare solo a lei.

«Messaggi? Ah, intendi che sta per piovere?...»

Haruka rivolse lo sguardo verso la serranda spalancata del garage, e a quelle nubi che sempre più frequentemente tuonavano.

«Non intendevo quello...»

Michiru si lasciò sfuggire un sospiro di rassegnazione.

«Non capisco, e allora cosa?»

La biondina tornò a guardare la sua ragazza sorridendo dispiaciuta per la sua rinomata praticamente inesistente perspicacia...

«Chiudi gli occhi e ascolta.»

Michiru si girò sul fianco e con le mani andò a coprire gli occhi dell'altra.

«Michiru cos-»

«Shhh... ascolta...»

Nonostante la titubanza iniziale Haruka si convinse a lasciarla fare.

Il silenzio calò nel piccolo rifugio, e non appena i suoi sensi si adattarono a questa nuova situazione cominciò a sentire sempre con più chiarezza il quasi impercettibile sibilo del vento che vibrando tra le assi e le travi produceva una sorta di fischio quasi armonioso.

Quella era la prima volta che si privava di un senso tanto amato da lei... anzi, era la prima volta che si fidava di qualcuno così ciecamente da lasciarsene privare, da lasciarsi andare, da accettare di lasciare che fosse qualcun altro a tenere le redini.

Tutto di quel momento assumeva un nuovo significato.

Il profumo di erba appena tagliata mescolato a quell'appetitoso odore dolciastro che la nuda pelle di Michiru emanava, e da cui ormai Haruka aveva contratto una sorta di dipendenza...

L'aria pungente di una giornata che stava per riversare un'abbondante pioggia, mescolata al tepore, vicino al suo orecchio, del respiro intermittente della ragazza dai capelli acquamarina...

Il sapore ancora fresco in bocca dell'anguria appena finita di mangiare, fusa al desiderio di impastarvici anche quello delle labbra di quella ragazza che più di ogni altra cosa al mondo desiderava...

Il suono delle pareti lignee che a ogni brezza si riassestavano in una sinfonia di scricchiolii mista a quella voce tanto soave che ora le stava dicendo:

«Ti amo»

Haruka al suono di quel sussurro afferrò le mani di Michiru per scostarle gentilmente dagli occhi e cercarne lo sguardo, trovandosi di fronte al viso paonazzo di quella ragazza che mai si scomponeva.

«Ora l'hai sentito? Il messaggio che avevo affidato al vento?»

Michiru le chiese conferma sfoderando il più imbarazzato ed al contempo gioioso dei sorrisi, subito prima di sprofondare con la testa tra le braccia dell'altra, in cerca di un luogo dove nascondere la marea di emozioni che non riusciva a controllare.

«Sì»

Haruka la cinse nel più tenero degli abbracci, e con la più amorevole delle tonalità la rassicurò.

«L'ho sentito forte e chiaro».

Il tuo primo 'ti amo'.

 

Le dita della ragazza terminarono con lo sfiorare la tela che aveva davanti, quasi come a voler raggiungere quel passato tanto lontano, ma al contempo ancora così vivido e presente...

Haruka abbassò lo sguardo in direzione del letto-divano, quasi speranzosa di poterci scorgere lei...

«...»

Nella penombra del garage, i minuti si susseguirono interminabili, fin tanto che la ragazza decise di tornare a concentrarsi sul motivo per cui era andata lì, ossia vedere se la moto era ancora utilizzabile.

Da quando era tornata in Giappone, il suo manager le era stato col fiato sul collo... in seguito all'incidente di gara e alle scelte di vita poco sane che aveva adottato nell'ultimo periodo le era stata 'consigliata' una vacanza-riposo lontano da tutto, e non ancora convinti che questo sarebbe bastato a evitare il pericolo che lei commettesse altre imprudenze si erano assicurati di amministrare le sue finanze in modo da poter controllare più facilmente tutti i suoi movimenti...

Ma Haruka non ce la faceva davvero più.

Si rendeva perfettamente conto che la poca attenzione e rispetto nei confronti della sua stessa vita erano stati degli errori, e quindi non biasimava chi le correva dietro per lo sforzo compiuto...

Ma dopo mesi di fermo... sentiva il bisogno fisico di salire in sella e lasciare che ancora una volta, almeno lì, potesse smettere di pensare.

Girata la chiave di accensione ebbe la conferma che, come previsto, per prima cosa avrebbe dovuto sostituire la batteria, che prontamente si era procurata in anticipo.

Terminata la sostituzione si diresse verso gli scaffali in cerca delle taniche di benzina di riserva che aveva l'abitudine di lasciare come scorta, e il grasso per la catena che dopo anni di inattività e polvere andava sicuramente trattata.

Come ultimo dettaglio si assicurò che i pneumatici fossero ancora in condizioni decenti, per poi spingere con calma la DR all'esterno e farle assaporare nuovamente il tepore dei raggi del sole e il fragore dello sterrato a contatto con le gomme.

Richiuse con calma il garage, e una volta bloccato si ritrovò ad osservare i palmi delle sue mani sporchi del miscuglio di grasso e polvere con la quale non si era preoccupata di entrare in contatto.

 

«Come sarebbe a dire: "eh?"»

Michiru entrò nel rifugio chiudendo l'ombrello e riponendolo di fianco alla serranda.

«Significa che non ti interessa la cena che ti ho portato? Se non la vuoi la mangio io...»

La ragazza terminò la frase appoggiando con cura il bento sul tavolino.

«No, no... no! Non intendevo dire che non lo volevo...»

Haruka posò la ruota che aveva appena finito di sganciare dalla forcella.

«Ero semplicemente stupita... non pensavo che sapessi cucinare»

«Oh, grazie.»

Michiru la guardò scherzosamente di sottecchi.

«Semplicemente non ti facevo tipa da sporcarti le mani ai fornelli...»

Haruka fece per alzarsi quando si senti le braccia dell'altra avvolgerla da dietro, sentendo il calore del petto di Michiru divenire un tutt'uno con la sua schiena.

«Michiru- cosa? Così ti spor-»

Non le diede il tempo di finire la frase cingendola con maggiore determinazione, fino a prenderle delicatamente il lobo destro tra le labbra.

«Ormai dovresti saperlo che non sono una ragazza che si fa problemi a sporcarsi le mani per amore...»

Come se la malizia contenuta in quel sussurro non fosse abbastanza, Michiru si accertò di sottolinearne la convinzione tramite il morso col quale strinse la presa sull'orecchio dell'altra.

Haruka dovette trattenersi a fatica per non lasciarsi sfuggire un gemito di dolore per l'inaspettato gesto, e questo la convinse a non insistere oltre sull'argomento.

Michiru dischiuse le labbra rilasciando la sua preda, e spostando l'attenzione delle due alle mani della biondina, che aveva raggiunto percorrendole braccia con un movimento delicato e deciso, e che ora stava stringendo, intrecciandone tutte le dita con la fermezza di chi non le lascerà andare mai.

La candida pelle della ragazza dai capelli acquamarina insozzata dalla mistura di grasso e fango delle quali erano impregnate quelle dell'altra.

Lo sguardo di Haruka si fece cupo a questa visione, e solo dopo qualche secondo si decise a dar voce al suo pensiero.

«Ecco cosa accade a starmi così vicina... guarda le tue mani, le ho rovinate con le mie.»

Le dita di Michiru si liberarono della presa solo per spostare il contatto all'unione tra i loro polpastrelli.

«Haruka, non ti preoccupare.»

La sua voce era tornata ad essere un sussurro, come a voler sottolineare l'importanza di intimità che quel momento rappresentava per lei.

«Io amo le tue mani. E amo te.»

Michiru si strinse di nuovo nell'abbracciare la schiena dell'altra e lasciò sprofondare il viso tra i suoi capelli.

«Con te al mio fianco non c'è nulla che mi spaventi, arriverei ad affrontare l'inferno se questo significasse poter restare per sempre unite così.»

Il respiro di Michiru si infrangeva delicato come le onde dell'oceano sulla candida sabbia.

Haruka esitò un secondo prima di lasciarsi cadere all'indietro, lasciando che per quella volta, Michiru sopportasse il suo peso.

«Michiru... grazie per avere la forza di starmi sempre accanto»

La ragazza dai capelli acquamarina sorrise nonostante sapesse perfettamente che l'altra non fosse in grado di vederla.

«Io ci sarò sempre per te Haruka, non dubitarlo mai»

Ora tutte e due erano perfettamente consapevoli di star sorridendo, senza bisogno di guardarsi in viso.

«Che ne dici, ceniamo?»

Michiru lo propose senza neanche tentare di lasciare quell'abbraccio.

Haruka inclinò la testa in direzione della sua ragazza, in cerca del suo sguardo.

«Io passerei direttamente al dolce...»

La voce profonda e chiaramente spinta della biondina le fece spuntare un sorriso volpino.

«Ma come? Lo sai che non è educato mangiare senza prima lavarsi le mani...»

«Oh, non ti preoccupare...»

Gli occhi di Haruka si chiusero rilassati per un attimo prima di tornare a puntare quelli color dell'oceano dell'altra.

«Non avevo comunque nessuna intenzione di usare le mani per mangiare questo dolce.»

«Oh my~»

 

I suoi pugni si serrarono quanto la sua mandibola.

"Sei una stupida."

Haruka non poteva fare a meno di ripetersi questo pensiero come un mantra.

"Sei solo una stupida."

Lo sguardo che si corrucciava sempre di più.

"Sapevi fin dall'inizio l'inferno in cui l'avresti trascinata."

 

«Con te al mio fianco non c'è nulla che mi spaventi, arriverei ad affrontare l'inferno se questo significasse poter restare per sempre unite così.»

 

Il riverbero della voce di Michiru echeggiava ancora nella sua mente.

"Continua a correre..."

Haruka prese il casco e se l'infilò in un unico gesto deciso, sollevò precisa la gamba e non si diede neanche il tempo di sentire la reazione degli ammortizzatori, girò la chiave avviando quel motore che si concesse di dar voce al suo rombo dopo anni di dimenticato silenzio.

Giusto il tempo di due sgasate decise, che la frizione già veniva rilasciata assieme all'accelerazione che un motore 4 tempi da 52 cavalli poteva garantire al tutt'altro che gentile inserimento della prima.

La moto partì senza esitare, e in pochi secondi percorse tutto lo sterrato che si poteva ammirare dalla cima di quella collina dove ora era destinato a ripiombare nella solitudine dell'anonimato quel piccolo vecchio garage.

 

* * *

Gennaio 1994”

 

«Ah~»

La voce di Haruka suonò decisamente più femminile del consueto quando il contatto delle labbra ancora umide di birra di Michiru le sfiorarono il seno, percorrendolo minuziosamente di soavi baci, quasi fosse intenta a riprodurre un'opera di Seurat.

Ad ogni respiro, la biondina non poteva fare a meno di assaporare quel profumo dolciastro emanato da ogni cellula di quel corpo perfetto che la sua incantevole principessa sirena emanava e che tanto amava, e come ogni volta questo la mandava, se possibile, ancora più in estasi.

Dio quanto le era mancata.

Michiru evidentemente doveva aver portato a termine la sua opera visto che lentamente cominciò a scendere verso l'ombelico della sua amata, sempre assicurandosi di non trascurare alcun centimetro di quella ragazza che tanto bramava fare sua sotto ogni aspetto.

La luce dell'uggiosa mattina che le accoglieva in quella giornata d'autunno filtrava silenziosa attraverso le persiane solo parzialmente socchiuse.

Giunta all'ombelico, Michiru si sollevò dalla sua compagna e con un sorriso appena accennato si scostò i capelli di lato con una mano, mentre con l'altra tacitamente chiese ad Haruka di passarle il nastro posto sul comodino lì a fianco.

Appena Haruka lo afferrò, si rese conto dell'insolita consistenza di quello che, dopo una più accurata occhiata, si accorse non essere un normale nastro per capelli come si aspettava.

«Ma questo è...»

Terminò di passare l'oggetto mentre formulava la sua deduzione.

«...un nastro da end-line...?»

Haruka era decisamente sorpresa a vedere che Michiru usasse una cosa simile per annodarsi i capelli.

«Non sarebbe più comodo un nastrino di quelli che vanno tanto di moda tra le ragazze?»

Michiru terminò di legare il suo mare di ciocche e le sorrise.

«Questo ha un significato speciale.»

L'enigmaticità con la quale la ragazza dai capelli acquamarina era solita liquidare certe affermazioni della biondina suscitava in quest'ultima il desiderio di approfondire sino a soddisfare la sua rianimata curiosità.

«E quale sarebbe?»

«Questo è il nastro che hai tagliato il giorno che ci siamo conosciute»

Nella mente di Haruka riaffiorò il ricordo della gara contro Elza Grey, e il successivo incontro con Michiru.

«La gara di corsa campestre...»

La biondina si sollevò fino a risultare seduta a pochi centimetri dall'altra, e avvicinò al volto il nastro che ora tratteneva quella chioma color del mare.

«Come mai lo hai conservato?»

Il suo sguardo ora puntava in direzione del volto dell'altra in cerca della risposta.

Michiru le sorrise, prendendo un respiro profondo mentre ruotando di lato si lasciò sprofondare tra le braccia di Haruka, usando il suo morbido corpo nudo come schienale.

«Perché nel preciso momento in cui ti ho vista tagliare quel traguardo, ho capito che tutto quello che avevo sempre sognato era finalmente lì, davanti ai miei occhi.»

Arrossì visibilmente pur non scomponendosi più di tanto all'emozione di pronunciare ad alta voce quel segreto che fino ad allora aveva custodito come solo suo.

Haruka sorrise.

«Quindi hai sempre desiderato un nastro per capelli... buono a sapersi ora che si avvicina il Natale...»

Il sarcasmo nella sua battuta era ostentato quanto bastava a far capire a Michiru che quello era un tentativo di alleviare quell'imbarazzo che ai suoi occhi risultava così dolce...

«No, Haruka» non c'era tono di rimprovero «Eri tu».

Michiru sollevò lo sguardo incurvando indietro la testa in cerca di quello dell'altra, e questa volta continuò il suo discorso solo dopo essersi assicurata che si fosse instaurato il contatto visivo tra loro.

«In quel momento, ho capito che io volevo diventare quel traguardo. Volevo diventare quella meta che ti sprona a correre con tutte le tue forze. Quel punto fermo che il tuo cuore tanto anela di raggiungere.»

Michiru si strinse nelle spalle sorridendo e mostrando una fragilità che mai aveva lasciato trasparire prima.

«E così ho pensato che se avessi indossato questo nastro per il quale ti eri impegnata tanto... allora avresti fatto altrettanto per me.»

I piedi di Michiru si accavallarono l'uno sopra l'altro quasi nervosamente, al pensiero di quanto potesse suonare stupida o infantile questa rivelazione.

La ragazza chiuse gli occhi come se in questo modo l'imbarazzo potesse sparire assieme alle immagini che con quel gesto spegneva.

«Che cosa sciocca eh?-»

«Ti amo.»

Al suono di quelle parole Michiru spalancò gli occhi incredula.

Era da tanto che ormai lei e Haruka si conoscevano e frequentavano.

E lei stessa dal giorno che aveva avuto il coraggio di rivelarle i suoi sentimenti, aveva pronunciato quelle parole solo occasionalmente per paura di sprecarne il significato di cui le investiva.

Ma quella era in assoluto la prima volta che Haruka le pronunciava.

Una lacrima si permise di scendere silenziosa lungo la candida guancia di quella ragazza che in questo momento era sicura di essere la più felice nell'intera galassia.

Le braccia di Haruka l'avvolsero con un affetto più profondo e rilassato del solito.

«Ti ho raggiunta?»

La voce le uscì come poco più di un sussurro intriso di speranza e al contempo timore di aver corso troppo lentamente questa volta.

Col timore che una volta raggiunta quella meta non avrebbe più trovato la persona che ormai condivideva tutto di lei ad aspettarla.

Michiru si voltò verso Haruka quanto più veloce le era possibile, e le sollevò il volto sostenendolo con entrambe le mani, per assicurarsi che non potesse perdersi neanche una sillaba della sua risposta.

«Sì, Haruka. Mi hai raggiunta»

I suoi occhi si riempirono di lacrime di felicità con la stessa rapidità con la quale sul volto della biondina si stampò l'espressione più sollevata del mondo.

Mai prima d'ora si era concessa una simile debolezza.

«Sono proprio qui, davanti a te. E lo sarò per sempre.»

Le due ragazze non si erano mai sentite tanto nude, metaforicamente parlando, vista la situazione nella quale si trovavano, e il calore scaturito dal loro bacio bastò a cancellare ogni traccia di insicurezza, ogni dubbio e ogni timore.

Perché questo era tutto quello che realmente importava, solo questo.

La forza che scaturiva dalla loro unione, il connubio di due anime così affini ed al contempo complementari, la sinergia di due cuori puri.

Michiru non poteva credere che il tanto anelato traguardo finalmente era stato raggiunto, e il turbinio di emozioni che le si rimescolavano dentro aveva bisogno di trovare urgentemente una valvola di sfogo nella quale esprimere la gioia che la pervadeva.

Discostatasi lentamente dalle labbra della sua amata, la spinse con veemenza di nuovo sui cuscini del letto sul quale si trovavano.

Haruka rimase stupita dalla repentinità del gesto, al punto da aprir bocca per chiedere spiegazioni, ma senza poter mai pronunciare la sua perplessità, quando il dito dell'altra le si posò sulle labbra in segno di tacita richiesta di silenzio.

Obbedì.

Appurato di aver ottenuto il controllo degli eventi, Michiru riprese in mano la lattina di Asahi ormai vuota, ma ancora sufficientemente fredda da poter essere utilizzata nel raggiungimento del suo scopo.

La premette contro le sue labbra, lasciando che lo scambio mutuale delle due temperature avesse luogo, e una volta soddisfatta della temperatura raggiunta la lasciò cadere di lato, non curante delle poche gocce che potesse ancora contenere, troppo concentrata dal richiamo che il ventre dell'altra in questo momento esercitava su di lei.

Uno dopo l'altro posò i gelidi baci con i quali questa volta riuscì a strappare sempre più malcelati gemiti all'altra, man mano che scendendo si avvicinava sempre di più al suo vero obbiettivo.

La mente di Haruka si stava lasciando totalmente andare al desiderio di permettere a lei, e a lei soltanto, di avere quella libertà, di viverla come più desiderava, tanto che dovette mordersi la lingua quando la bocca dell'altra si posò sul suo interno coscia, per evitare che la lucidità prendesse il controllo della sua mente e le intimasse di fermare quel momento che in realtà desiderava con ogni fibra del suo corpo.

Ancora una sequenza di baci, uno più delicato dell'altro sino a ché le labbra di Michiru si andarono a posare, ormai ritornate al loro naturale calore, proprio dove entrambe avevano desiderato si posassero.

«Nh~»

La voce di Haruka seguì l'appena percettibile suono di quel bacio, accompagnata dal fremito con il quale il suo corpo stava cercando di contenere l'emozione.

«Michiru...»

La ragazza dai capelli acquamarina spinse le sue mani lungo il retro delle cosce dell'altra, sino a trovarsi negli incavi delle ginocchia, dove con gentile fermezza spinse quanto serviva per persuadere Haruka a dischiuderle senza più opporle resistenza.

Una volta ottenuta questa piccola vittoria personale, Michiru cercò lo sguardo dell'altra, senza però poterlo catturare, visto che il suo volto era ora ricoperto dal cuscino col quale tentava di soffocare la voce e l'imbarazzo.

A vedere la sua Haruka tanto teneramente vulnerabile, la ragazza si decise che quello era il momento perfetto per portare a termine le sue intenzioni e creare quel ricordo indelebile che voleva si rivelasse quel giorno.

La sua lingua si posò tiepida ed avvolgente, intenta ad assaporare quanto più poteva di quel momento, per poi lasciar spazio ad un altro più delicato bacio.

Quando al posto di un nuovo contatto con quelle labbra Haruka sentì l'altra alzarsi dal letto, si prese quasi un minuto per chiedersi mentalmente che intenzioni avesse Michiru... e solo dopo essersi resa conto che ci stava mettendo troppo a tornare, si decise a scostare il cuscino e sbirciare per darsi una risposta a quell'inaspettata svolta.

«Michiru?-»

Appena aprì gli occhi la vide lì in piedi, a poco meno di un metro dal letto, in una mano il pennello, nell'altra la tavolozza dei colori, si era messa a dipingere sull'enorme tela che aveva di fronte.

«Michiru ma cosa-»

Haruka si sollevò, totalmente allarmata da questa sorpresa.

«Non ti muovere.»

La voce di Michiru suonò perentoria.

Haruka rimase zittita qualche secondo, evidentemente frustrata dalla così repentina disillusione dell'aspettativa creata poc'anzi.

«Pensavo avresti...»

La voce della biondina uscì roca sull'ultima sillaba.

«Cosa?»

Quella di Michiru era senza ombra di dubbio divertita.

«Che avremmo... beh... stavi...»

Le parole uscivano a fatica mentre Haruka continuava a tentare di non dar troppo a vedere quanto in fondo ci tenesse.

«Oh, quello?»

Michiru era deliziata dal vedere la sua ragazza in difficoltà, ma sapeva di dover giocare bene le sue carte per evitare che quella testa calda mandasse tutta la partita a monte.

«Non ti preoccupare, ho tutta l'intenzione di concludere quanto iniziato.»

I loro occhi si incrociarono poco più di un secondo, quando Haruka interruppe il contatto scocciatamente in imbarazzo.

«Non ti lascerei mai così a metà»

Il volto della biondina si fece ancora più paonazzo, quando realizzò di essere caduta con tanto di pantofole nella tela che l'altra aveva pazientemente e sapientemente tessuto.

«Prima però voglio che tu mi lasci terminare questo dipinto»

La pittrice si prese una pausa che ricondusse la memoria dell'altra al giorno del loro primo incontro, e al realizzare di quale vendetta si trattasse.

«Perché a differenza di quanto affermi, io ti trovo un soggetto molto adatto!»

La risata che la ragazza tentò di coprire col pugnetto che si portò al volto fece sbollire Haruka.

Sapeva che prima o poi Michiru avrebbe avanzato le sue pretese riguardo quell'invito così apertamente snobbato... ma non si sarebbe mai aspettata che l'avrebbe usata come arma in una situazione simile.

Fosse stato un qualunque altro giorno probabilmente se la sarebbe presa, o comunque avrebbe tentato di esternare con maggior convinzione il suo disappunto...

Ma quel sorriso così sincero...

Quella luce così vivida ad ogni suo sguardo...

Quell'energia e allegria che si poteva percepire in ogni suo gesto...

Quella Michiru così, viva, così dannatamente contagiosa...

Non avrebbe permesso neanche a sé stessa di rovinarle quella felicità.

Forse, almeno per oggi, poteva smettere di voler fare le cose sempre a modo suo, e concedere all'altra di esprimersi per quello che lei veramente era, per quella che amava.

Notando l'assenza di battibecchi da parte dell'altra, Michiru intuì che questa volta aveva vinto su tutti i fronti.

«Allora, affare fatto?»

Haruka la guardò di sottecchi, ma senza fare troppe storie si lasciò cadere nuovamente indietro, con uno sbuffo soffocato.

«Affare fatto...»

 

* * *

Novembre 2002”

 

La luce che prepotentemente entrava dalla persiana, che evidentemente la sera prima era stata troppo ubriaca per chiudere, la destò dal suo sogno, ricordandole che molto probabilmente doveva essere già passata l'ora di pranzo... e anche da molto.

In controluce la polvere fluttuava scostante in un percorso del tutto imprecisato, e incurante del seguire una qualsivoglia logica.

Haruka mosse a fatica una mano in direzione della sua coscia rendendosi conto che, il suo accertarsi se la sera prima aveva avuto almeno la decenza di togliersi i vestiti con cui era stata fuori tutto il giorno, era stato uno sforzo non indifferente in quell'ennesimo dopo-sbornia.

Richiuse l'unico occhio che sbucava sufficientemente dalle lenzuola nel tentativo di far mente locale su quanto accaduto la sera prima, ma dal momento in cui era salita sulla moto e aveva cominciato a guidare a caso senza seguire direzione alcuna in poi, non aveva più ricordi.

Vuoto totale.

A giudicare dalla nausea e dalla poca lucidità era chiaro che doveva essersi fermata da qualche parte a bere, ma il 'dove' sarebbe rimasto per sempre un mistero che non si sarebbe presa ulteriore briga di svelare.

Riaperto l'occhio guardò di nuovo in direzione della finestra, e quasi sorrise al pensiero che la fortuna di abitare al cinquantesimo piano di un grattacielo era quantomeno cosa gradita in casi come questi, dove il trovarsi distanti da ogni possibile fonte di rumore aiutava a sentire meno il peso di quel lancinante mal di test-

DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN.

Ad infrangere quella sua brillante deduzione fu il citofono.

Strano...

Essendo domenica non poteva trattarsi di pubblicità.

E visite non ne attendeva.

Tanto più che in realtà, nonostante i giornali ne avessero dato la notizia, lei non aveva ancora comunicato a nessuno di essere tornata.

Il silenzio tornò a regnare nella camera, e Haruka decise di ignorare lo scocciatore di turno.

DRIIIIIIIIIIIN DRRIIIIIIIIIN DRIIIIIIIIIIIIIIIN.

Passato poco più di un minuto il campanello trillò nuovamente.

Questa volta con più insistenza.

«Che palle...»

La rabbia della biondina si manifestò nella più classica delle sue imprecazioni.

Il nervoso che le era salito alla testa, la spinse a tirarsi almeno su.

Le ci volle qualche secondo prima di fidarsi di mettere giù i piedi dal letto e procedere in direzione della cucina, dove si limitò ad aprire il rubinetto, lasciando che il getto scorresse a piena potenza.

Giusto il tempo di guardare sul pianale lì vicino se c'era un bicchiere a disposizione e si arrese all'istinto di fiondarsi a bere direttamente a fontana, interrompendo la vorace idratazione con il respiro a pieni polmoni che prese prima di ficcare l'intera testa sotto l'acqua scrosciante, nella speranza che quel flusso continuo portasse via con sé quel mal di testa, quei problemi, quel dolore, quel casino, tutto.

DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIN

Ancora quel stramaledetto campanello.

A sentire quell'ennesimo richiamo, Haruka chiuse di malavoglia il rubinetto, e rimase ricurva ad osservare il modo quasi ipnotico col quale l'acqua convogliava nello scarico del lavabo, e velocemente continuava la sua discesa nel suo interminabile viaggio.

DRIIIIIIII-

Questa volta ad interrompere quel suono fu la porta dell'appartamento che venne aperta con rabbia dall'inquilina che si era finalmente decisa ad affrontare l'assillante importunatore.

«Speravo di trovarti un po'... meglio.»

La voce della donna che stava ritraendo il dito dall'odiato pulsante arrivò ad infastidire ancora di più Haruka.

«Che cosa vuoi?»

La domanda venne posta quasi retoricamente vista l'evidente intenzione di sbatterle la porta in faccia per tornare a sprofondare su qualche superficie indefinita della sua casa.

«Aiutarti.»

Il tono serio col quale le rivelò le sue intenzioni fece scoppiare a ridere Haruka.

«Ma non mi dire... tu vorresti aiutarmi?»

La frecciatina non sortì alcun effetto.

«Almeno io sto affrontando il problema Haruka.»

Lo sguardo di disprezzo della biondina si spense tornando quello apatico di sempre.

«Oh beh, ricordati di chiamare per gli auguri di fine anno... grazie del tuo aiuto e arrivederci-»

Haruka fece per chiudere la porta, ma l'altra donna frappose il piede impedendole di portare a termine la sua conclusione.

«Togliti di mezzo Setsuna.»

La minaccia suonò chiara nonostante il tono pacato della biondina.

«No Haruka, sono tua amica e voglio aiutarti.»

«Amica? E da quando di grazia avrei degli amici? Io non ho più nessuno, e questo è quanto.»

Era evidente che Haruka non avrebbe mai accettato di parlare, non con lei quanto meno.

La donna sì lasciò sfuggire un sospiro di resa, prima di aprire la borsetta e frugare nel suo interno alla ricerca del biglietto che porse all'altra.

«Lei sarà lì sta sera, e sai perfettamente quanto ci tiene ad incontrarti e a poter parlare con te...»

Haruka si irrigidì e non mosse un muscolo in direzione dell'invito.

«...almeno questo glielo devi, non ti pare?»

L'ultima frase di Setsuna uscì secca.

«Vattene.»

Con un movimento fulmineo e deciso Haruka strappo di mano il biglietto e chiuse la porta dell'appartamento mettendo la 'parola' fine a quella discussione.

Una volta ruotata la chiave nella toppa della serratura, la biondina rimase immobile nella penombra del suo atrio.

Stretta in malo modo nella mano destra l'invito che aveva ricevuto.

La rabbia con cui aveva reagito al tentativo di intromissione di quella tardona le ribolliva ancora nel sangue.

Non la sopportava.

No.

Era un'altra la cosa che non sopportava, e dentro di sé sapeva benissimo cos'era...

“Almeno questo glielo devi, non ti pare?”

A ripetere queste ultime parole fu il suo stesso subconscio, nel tentativo di riportarla ad uno stato di lucidità ormai da troppo tempo dimenticato.

Doveva tornare coi piedi per terra.

Doveva decidersi a trovare il coraggio di spegnere quel motore, fermarsi, e lasciare che la realtà la raggiungesse portando con sé tutti i problemi che per anni aveva evitato di affrontare, e che sapeva non l'avrebbero mai smessa di tormentare.

Non dopo tutto quello che era successo.

Sono io a voler restare”

L'irruzione improvvisa di quel ricordo fece trasalire Haruka che, nel tentativo di zittire quella mente che stava lentamente tentando di riprendere il controllo, colpì con violenza il muro dietro di sé, con la stessa mano che ormai stritolava quella povera malconcia busta.

La frustrazione che di nuovo l'attanagliava andava in qualche modo tenuta sotto controllo, così si decise a muoversi e staccò il jack delle cuffie che aveva lasciato inserito nello stereo che accese, lasciando che le note delle Nocturnes di Chopin riempissero il silenzioso vuoto di quell'enorme appartamento, e mentre l'esecuzione dei brani irrompeva prepotente attraverso tutti i decibel di volume che l'amplificatore stava sostenendo, si lasciò cadere sul parquet, impiegando il bordo della libreria come schienale su cui sbattere ripetutamente la nuca al ritmo delle sue stesse parole.

«Stupida... stupida... stupida. Stupida! STUPIDA!»

Nonostante il piano fosse solito rilassarla, questa volta l'insieme di avvenimenti, e la sua incapacità di gestire il tutto, l'avevano portata a mostrare finalmente la sua rabbia, verso l'unica persona con la quale aveva il diritto di prendersela.

«Sono solo un'idiota...»

Questa frase accompagnò il gesto col quale lasciò cadere a terra la pallina nella quale aveva ormai ridotto quell'invito.

Una volta a terra, l'unica cosa facilmente riconoscibile tra tutte quelle pieghe era l'intestazione del mittente, dove con una scrittura artisticamente curata, non si poteva evitare di leggere:

“Dalla sig.na Kaiou”

 

* * *

Settembre 1994”

 

La luce che indicava che l'operazione si stava ancora svolgendo finalmente, dopo quasi tre interminabili ore, si spense.

Le ginocchia di Haruka auspicavano quanto prima l'apertura di quelle stramaledette porte, sapendo che solo allora le mani della ragazza avrebbero allentato l'attanagliante morsa con la quale le stava stritolando da quando le avevano intimato di sedersi ed attendere.

E finalmente il maniglione si abbassò, seguito dall'uscita del chirurgo incaricato dell'intervento.

La biondina balzò in piedi ancora prima di intravedere la figura dell'uomo e scattò nella sua direzione visibilmente turbata.

«Come sta?!»

L'uomo sussultò colto alla sprovvista dal volume di voce totalmente inappropriato in un ospedale.

«Sta bene vero? E' andato tutto bene? La posso vedere?»

Gli occhi di Haruka scrutavano pieni di panico il volto del dottor Tomoe in cerca del più piccolo indizio.

«Si calmi...»

Resosi conto dell'apprensione di Haruka, il medico cercò di farle capire che urlare non sarebbe servito a niente.

«Cosa- vuole decidersi a dirmi come sta la mia Michiru?!»

Gli sarebbe volentieri saltata al collo in quel momento. Possibile fosse tanto difficile risponderle?

«E' andato tutto bene sì.»

La voce dell'uomo uscì pacata e professionale, e a quelle parole anche quella testa calda della sua interlocutrice si placò.

«Posso vederla?»

La richiesta di Haruka uscì docile e sottomessa come fosse una supplica, e non più una sorta di pretesa.

«Certamente ma, non si risveglierà prima di qualche ora quindi le consiglierei-»

«Non importa»

Haruka lo interruppe.

«Non intendo lasciarla sola un attimo di più»

Gli occhi della ragazza esprimevano un misto di sollievo e di senso di colpa.

«Grazie mille per tutto il suo lavoro.»

Si inchinò in segno di rigoroso e sincero ringraziamento, prima di muovere un passo in direzione dell'infermiera alla quale avrebbe chiesto con più precisione la stanza che sarebbe stata assegnata alla sua ragazza.

«Ancora una cosa...»

La voce seria dell'uomo l'arrestò senza il minimo cenno di esitazione.

 

 

Quando riaprì i suoi occhi Michiru tentò di capire dove si trovava.

Vide le fasciature intorno al braccio destro, e la flebo inserita e assicurata con due piccole strisce di nastro adesivo in quello sinistro.

Le ci volle poco meno di un secondo per formulare un ipotesi, e ancora meno per notare la presenza di Haruka, accanto a lei, china sulla sedia con la fronte affondata nel materasso del letto di ospedale nel quale era ricoverata.

La sua figura, così chiaramente avvilita le fece capire che l'incidente che avevano avuto non sarebbe stata la peggiore delle notizie.

E nemmeno la più pesante delle conseguenze.

«Ha-»

Nel tentativo di pronunciare il nome della sua amata si rese conto che gli effetti dell'anestesia l'avevano debilitata più di quanto si aspettasse.

«E' tutta colpa mia.»

La voce dell'altra proruppe grave, seguita dal ticchettio appena percettibile dell'orologio appeso al muro.

A quelle parole la ragazza dai capelli acquamarina ritornò con la mente a quanto riusciva a ricordare di quel pomeriggio.

 

La moto era finita.

Haruka quella mattina era entrata entusiasta nel garage, con appresso due taniche di benzina.

«Come mai ne hai comprata così tanta?»

La sua ragazza le spiegò che una serviva per la prova che avrebbe fatto da sola per terminare con le eventuali messe appunto, e l'altra era riservata al loro primo giro, e voleva essere sicura di riuscire ad arrivare fino alla costa, per portarla a fare quel tanto sognato tratto sul lungo mare.

Finì il collaudo rapidamente, perché le previsioni avevano annunciato un rapido peggioramento delle condizioni meteorologiche nel pomeriggio, e non voleva ritrovarsi a sprecare quella loro tanto sognata prima volta.

Avevano percorso la strada come un fiume in piena, lasciando che finalmente diventassero un tutt'uno con il vento, fino a raggiungere lo splendido oceano che le attendeva.

Si erano fermate sulla spiaggia a passeggiare mano nella mano lungo il bagnasciuga, e prese dall'entusiasmo contagioso di quella giornata che stava regalando così tante emozioni ad entrambe si erano ritrovate a parlare dei loro sogni e di quel futuro che in quel preciso istante sembrava finalmente ad un solo passo di distanza.

«Pensavo avresti risposto che il tuo sogno era diventare una pittrice»

Haruka guardava verso il cielo mentre continuavano quel discorso.

«Non nego che mi piacerebbe poter continuare con entrambe le arti»

Michiru imitò il gesto della compagna.

«Ma se ti ritrovassi costretta a scegliere, preferiresti poterti concentrare sul violino?»

«Sì, fin da piccola il mio sogno era di diventare una violinista famosa e calcare i palchi dei più grandi teatri europei»

A questa confessione Michiru arrossì.

«Anche se riconosco che mi vedrei comunque felice anche immersa nella pittura»

«Sogni il successo dunque... ti facevo più virtuosa d'animo mia cara»

Haruka la guardò come a volersi assicurare che la provocazione lanciata fosse giunta a destinazione.

«Se devo sognare, vale la pena farlo in grande»

Michiru sembrava avere sempre la risposta pronta.

«Ti basti vedere di chi mi sono innamorata...»

Il sorriso volpino che le si formò sulle labbra fece arrossire l'altra.

«Tu piuttosto? Hai intenzione di accettare quella proposta per diventare pilota o preferiresti continuare con lo sport?»

Haruka assunse un'espressione pensosa.

«Beh, non ho molte frecce al mio arco... guidare è l'unica cosa che mi riesce propriamente 'bene'...»

Michiru scorse quella quasi impercettibile ombra di sfiducia con la quale l'altra aveva condito la sua affermazione.

«Oh stai tranquilla, se è per questo posso assicurarsi che ci son tantissime altre cose in cui riesci benissimo!»

La voce di Michiru uscì divertita.

«Tipo?»

Haruka le sorrise incredula, e di rimando l'altra sollevò le loro mani ancora intrecciate, indicandogliele.

«Le tue mani, il modo in cui le usi»

Haruka arrossì lievemente al pensiero delle loro dita così unite e a tutte le implicazioni che avevano avuto durante la loro relazione.

«Non penso che certe 'capacità' si possano rivelare poi tanto utili in altri contesti...»

La biondina sospese la risposta con un colpo di tosse forzato.

Michiru la guardò, scoppiando in una tenera risata nel vedere con quanta facilità oggi riusciva a scalfire la perenne maschera di intoccabilità dell'altra.

«Non mi riferivo a quello!»

Haruka la osservò confusa.

«Mi riferivo al modo in cui le usi per suonare il piano!»

La ragazza dai capelli acquamarina le lasciò andare la mano e con una giravolta le saltellò qualche passo avanti, sino a immergere le caviglie nelle calme acque di quello splendido mare.

«Pensaci! Io e te, a viaggiare per tutto il mondo, portando la magia delle grandi opere classiche in quel connubio acustico che solo il piano assieme al violino può regalare!»

La ragazza coreografò l'enfasi di quelle parole sollevando le braccia verso il cielo, per poi congiungerle in un applauso poco sopra la sua testa.

Haruka le sorrise.

«Lo sai vero che così facendo ti porterei via tutti i tuoi sogni di gloria?»

Michiru si girò di nuovo verso il mare, dandole le spalle.

«E perché mai?»

Haruka si strinse nelle spalle.

«E' semplice, perché con la mia bellezza carpirei tutte le tue ammiratrici, e i loro cuori sarebbero tutti solo per me»

L'altra le fece spallucce.

«Non mi importa, fin tanto che io sia l'unica ad avere il tuo.»

Haruka rimase zittita dalla semplicità con la quale la sua ragazza le aveva confessato un desiderio così profondo.

«Chi lo sa...»

Lo scherzo terminò lì, quando la giovane violinista rimase catturata ad osservare il cielo che sempre più velocemente ormai si stava chiudendo sopra le loro teste.

«A volte...» la sua voce uscì rotta, suscitando così l'apprensione nell'altra «A volte mi chiedo se valga davvero la pena impegnarmi così tanto...».

Haruka rimase turbata dall'improvviso sconforto nel quale la stessa ragazza ,che prima stava gridando al mondo la sua felicità con ogni suo piccolo gesto, era appena sprofondata così inaspettatamente.

Si ritrovò a chiedersi se con quell'affermazione si stesse riferendo al suo sogno di diventare violinista, o alla loro relazione.

Haruka odiava non riuscire a penetrare tra i pensieri che occupavano la mente di Michiru, non sopportava di sentirsi tagliata fuori, ma d'altro canto, si sentiva decisamente ipocrita anche solo ad ipotizzare di avanzare una simile pretesa, visto quanto la teneva costantemente a distanza lei stessa.

«Non dovresti arrenderti.» la biondina le si avvicinò «Non è da te Michiru».

La sua voce era profonda e rassicurante.

«Io non sono te, Haruka» quella di Michiru invece si rivelò esitante ed insicura «Non sono una combattente come te, posso sembrare forte, posso sembrare sicura di me e con le idee chiare per il mio futuro ma... sono solo una semplice normale ragazza».

Haruka non poté vederlo dato che si trovava ancora ad un passo di distanza dalla schiena dell'altra... ma era sicura che in quel preciso istante, una lacrima stesse scendendo lungo il volto di quella ragazza che adesso sembrava incredibilmente più piccola del solito.

«Ti sbagli» la voce della biondina uscì concisa «Tu non sei affatto una semplice normale ragazza. Ed è vero, tu non sei me».

Le posò una mano sulla spalla.

«Perché fortunatamente, tu sei molto meglio.» quelle parole uscirono sincere «Tu hai la forza di impegnarti in ogni cosa che fai, ed hai la forza di metterti in gioco a discapito dei tuoi sentimenti. Tu sei destinata a vivere una vita piena di tutte le gioie che pazientemente raccoglierai, grazie alla tua incrollabile determinazione».

«Non sono poi così forte»

Haruka rimase in silenzio non aspettandosi un'altra risposta del genere.

«Aah Michiru...»

La ragazza riprese a parlare mentre con prontezza cinse l'altra con forza sollevandola da terra.

«Haruka ma cos-»

«Secondo me ti ci vuole solo una bella nuotata per rilassarti un po'!»

Michiru tentò di liberarsi quando l'altra cominciò a muovere i primi passi sempre più verso l'oceano nel quale tra qualche secondo l'avrebbe effettivamente lanciata.

«Lasciami andare!»

L'unica risposta dell'altra fu l'impiego di maggior forza nella stretta, che ora cominciava a farle male per davvero.

«Mi fai male-»

Contemporaneamente all'esprimere il suo disappunto, Michiru sollevò le gambe portandosele al petto quando l'altra aveva ormai raggiunto un punto nel quale le onde arrivavano alle sue ginocchia.

La ragazza dai capelli acquamarina, preoccupata dall'insolito comportamento di Haruka, e realmente infastidita dalla violenta stretta con la quale la stava trattenendo contro la sua volontà, tentò nuovamente di sfuggirle, cercando di liberarsi.

«Lasciami andare!»

«Ti arrendi?»

A quella domanda qualcosa dentro la testa di Michiru scattò.

«Mettimi giù! Sono seria Haruka!»

La biondina ormai era immersa fino al cavallo, ed entrambe sapevano che il prossimo passo sarebbe stato l'ultimo.

«Te lo chiederò ancora una volta... ti arrendi?»

Le braccia strette come tenaglie intorno al corpo decisamente più piccolo di Michiru, la stavano facendo sentire incredibilmente più debole.

Sempre più vulnerabile.

Quasi impotente, come era solita sentirsi la maggior parte delle volte che era in sua presenza.

Ma lei non voleva permettersi questa debolezza.

Non poteva concedere ad Haruka anche la vittoria di conoscere quanto effettivo potere aveva su di lei.

«No.»

A quella risposta la biondina sorrise trionfante.

«Come scusa? Non ho sentito bene...»

Michiru prese un respiro profondo.

«Io non mi arrendo! Non mi arrenderò mai»

Questa era la prima volta che, da quando si erano iniziate a frequentare, Michiru avesse tirato fuori tanta voce da permettersi di urlare così.

Haruka allentò la presa e con un colpo deciso lanciò in aria la sua ragazza, per riprenderla rigirata quanto bastava per tenerla in braccio e poterla finalmente di nuovo ammirare in volto e sorriderle.

«Non mi arrenderò mai...» Michiru sussurrò quelle parole stringendosi al collo dell'altra per catturarne il viso «... neanche con una stupida come te!».

Quella stupida che baciò con tutta l'anima, e fino a quasi perdere il respiro.

«Ti amo Haruka»

Contemporaneamente a quelle parole cominciarono a scendere dal cielo le gocce di quella tanto preannunciata pioggia.

Entrambe le ragazze guardarono verso l'alto, intuendo che la giornata sarebbe finita lì.

«Oh beh...»

La voce di Haruka uscì sollevata.

«Bagnata per bagnata...»

Neanche il tempo di sorridere divertita all'altra che già aveva lasciato andare la presa e l'aveva fatta cadere in acqua.

La biondina cercò di soffocare la risata per la smorfia corrucciata sul volto di Michiru.

«Haruka...»

Quel nome fu pronunciato come un sibilo tra i denti, mentre l'altra le porgeva la mano con la quale la aiutò a sollevarsi, subito poco prima che il solito sorriso per bene della ragazza spuntasse nuovamente sulle sue labbra.

Un brivido risalì fulmineo la sua schiena.

Sapeva.

Sapeva perfettamente che quel viso così forzatamente angelico, era lo stesso che Michiru vestiva ogni volta che si legava qualcosa che sicuramente le avrebbe fatto pagare con la stessa moneta.

Michiru non dimenticava.

Questo era certo.

La pioggia aveva cominciato a scendere più insistente, e le due presero a correre in direzione della moto per tornare a casa.

Appena il tempo di partire e il temporale aveva deciso di riversarsi in un vero e proprio acquazzone.

Dopo quasi un'ora di viaggio erano da poco giunte a Tokyo, e mentre imboccavano la strada per tornare all'appartamento di Michiru, una gatta nera saltò tutto d'un tratto dritta sulla traiettoria appena impostata da Haruka, che per evitare di investire l'animaletto, si ritrovò, dopo la prima violenta virata, a non riuscire a domare e riportare in equilibrio il motociclo, terminando la corsa in una rovinosa caduta sull'asfalto allagato.

 

Michiru spostò la mano sinistra sopra i soffici capelli della sua ragazza.

«Non è stata colpa tua, Haruka... quel gatto è apparso all'improvviso e non-»

«Non potrai più suonare il violino»

Quella rivelazione calò con lo stesso peso di una scure sul collo di un condannato.

«Per colpa mia... il tuo sogno...»

Haruka non riusciva a perdonarsi il non essere riuscita a evitare che a rimanere ferita fosse l'unica persona che amava.

Michiru rimase in silenzio, e osservò la mano bendata, ora cosciente del danno che realmente quella fascia celava.

La guardò per pochi secondi, per poi concentrarsi a cercare con l'altra le dita della sua ragazza.

Una volta che i suoi polpastrelli si ritrovarono a coprire il dorso del pugno stretto sulle lenzuola, Haruka sollevò il viso, in cerca degli occhi di Michiru.

«Haruka»

La voce della violinista uscì fievole, ma intrisa di convinzione.

«Non ti preoccupare, è vero, non potrò più portare avanti la carriera di musicista, e forse non sarò più in grado di suonare il violino per il resto della mia vita...»

A sentire queste parole, la biondina si fece cupa in viso, e oppressa dal peso del rimorso chiuse gli occhi nel tentativo di evitare che le lacrime uscissero.

«Ma non importa, perché ormai il mio sogno è un altro»

Haruka capì dal tono della voce che l'altra le stava sorridendo, ma non osò lo stesso sollevare lo sguardo e rischiare di dover affrontare una realtà nella quale Michiru le stava mentendo solo per farla sentire meglio, quindi scosse con decisione il capo nel tentativo di cancellare tutti quei pensieri che le urlavano in testa.

«Sei tu Haruka, tu sei il mio nuovo sogno»

Le parole della ragazza dai capelli acquamarina seguirono una stretta sicura sulla mano dell'altra.

«Questo, ho sempre desiderato solo questo, io e te.»

Michiru arrossì da sola sorridendo imbarazzata, per aver finalmente trovato il coraggio di dire ad alta voce quelle parole che per tanto tempo, troppo, aveva custodito solo nel suo cuore.

«Ero solo troppo spaventata per ammetterlo, ma ora voglio che tu lo sappia, perché sei tu a dare un senso alla mia esistenza, e a rendere il mondo un luogo nel quale valga la pena vivere, non mi serve altro, perché quando sono con te, quello è il mio tutto»

Michiru sollevò la mano fino a posarla sui biondi capelli dell'altra, che a quel contatto, crollò, dando sfogo a quelle lacrime che si stava ancora sforzando di trattenere, e che ora le rigavano copiose gli zigomi seguite a ruota dalla preghiera simile ad un mantra con la quale Haruka le accompagnò tra i singhiozzi.

«Perdonami... perdonami Michiru... perdonami...»

 

* * *

 

"Novembre 2002"

 

La lancetta sul tachimetro schizzò su, arrivando nella zona rossa subito sotto la tacchetta degli 8000 giri, e una dietro l'altra le marce salirono portando il motore a entrare in coppia, proprio mentre Haruka stava riportando la moto in traiettoria dopo la piega con la quale aveva affrontato la curva prima di uscire dalla galleria naturale che varcava quel tratto della scogliera.

Perdonami.

Sgasò nuovamente per far ruggire il motore nel tentativo di coprire quel pensiero che ormai non sapeva davvero più come zittire.

Percorse tutta la costa senza mai rallentare, sino a giungere alla villetta marittima dove si sarebbe svolto l'evento al quale era stata invitata.

Una volta appoggiato il piede a terra, la biondina rimase ferma seduta in sella, il casco ancora allacciato, e le mani nelle tasche del giubbotto di pelle scura ad osservare controluce l'edificio, al quale stavano già facendo ingresso numerosi ospiti, tutti visibilmente vestiti eleganti e a modo.

Sapeva che il suo abbigliamento informale non era la scelta più accurata per l'occasione, ma non aveva programmato di andarci, anzi, ancora si chiedeva cosa l'avesse infine portata lì... dopo tutta la fatica fatta per tenersene alla larga, e alla declinazione di tutti gli inviti e delle telefonate con cui l'avevano tentata di raggiungere nei giorni prima.

Il suo sguardo si rivolse al cielo, mentre si concedeva un respiro a pieni polmoni.

Se davvero avesse voluto evitare di andarci... avrebbe semplicemente dovuto non-anticipare il suo rientro in Giappone.

E nonostante ancora adesso non si sentisse pronta ad affrontare la situazione, sapeva che questa sarebbe stata davvero l'ultima possibilità.

Slacciò la chiusura del casco, lo sfilò e lo impilò sullo specchietto, scuotendo la testa nel tentativo di rendere presentabile la sua acconciatura dopo tutte quelle ore di costrizione.

Si passò entrambe le mani dalla fronte alla nuca, portandosi indietro i capelli, nel tentativo di scrollare la pesante sensazione che ancora aleggiava nella sua mente.

«Ci siamo»

Sollevò agilmente la gamba per scendere dalla DR, e si diresse a passi decisi verso l'entrata, dove due ragazze, poco più giovani di lei, accoglievano gli ultimi ospiti ritirando gli inviti e occupandosi di prendere in consegna i cappotti.

Quando arrivò al loro cospetto, le due ragazze rimasero a fissarla, visibilmente affascinate dal 'bel ragazzo' che evidentemente, vista la loro reazione, doveva essere l'unico ad essersi presentato non in compagnia.

La ragazza dai lunghi capelli corvini le si avvicinò con un sorriso abbozzato per l'imbarazzo, mentre le porgeva le mani per farsi consegnare la giacca, che Haruka si sfilò, rivelando così la semplice larga t-shirt nera che indossava e dando l'opportunità alle due ragazzine di scambiarsi un rapido sguardo, visibilmente sorprese dell'abbigliamento casual dell'invitato.

La biondina con la strana acconciatura, che per la forma ricordava dei dango, le rivolse la parola ostentando un sorriso pieno e caloroso.

«Scusi signore, il suo invito...»

Haruka la guardò leggermente sorpresa, come se si fosse appena resa conto della logicità che sarebbe stata richiesta la presenza dell'invito formale per partecipare...

E che quell'invito ora giaceva malconcio e appallottolato sul parquet del suo appartamento...

Schioccò la lingua al pensiero, e scosse il capo in senso di sconfitta.

Ecco, ora il suo subconscio si era preso la briga di garantirle una scusa valida per non partecipare, ma stranamente, al contrario di quanto si aspettava, questo non la rendeva sollevata.

Le due ragazzine rimasero in attesa della risposta del biondino, lasciando calare un silenzio di circostanza.

«Scusate, devo averlo lasciato in auto. Vado e torno»

Haruka riprese con una mossa decisa la giacca, e si voltò nella direzione dalla quale era venuta, consapevole che non sarebbe tornata.

"Volevo diventare io quel traguardo..."

A quel ricordo si arrestò come fosse improvvisamente diventata di pietra.

"Almeno questo glielo devi"

Perché tutte queste parole non facevano altro che rimbalzarle in testa?

Cosa avrebbe dovuto fare per liberarsene una volta per tutte?

Strinse i pugni fino a sentire le sue unghie cominciare a penetrare la pelle dei suoi palmi.

No.

Questa volta non sarebbe scappata.

Era giunto il momento di fermarsi, di smetterla di correre, di voltarsi e affrontare tutti quei problemi che si erano accumulati, ma che non sarebbero mai spariti, aspettando per sempre il momento in cui non avrebbe più avuto modo di evitarli.

Il suo sguardo si fece tagliente e deciso, e si voltò nuovamente in direzione delle due receptionists.

«Haruka Tenou»

Le due si spaventarono stringendosi nelle spalle, colte alla sprovvista mentre bisbigliavano tra di loro riguardo lo strano comportamento del bel ragazzo.

La mora si schiarì la voce e portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio per poter sentire meglio.

«Il mio nome è Haruka Tenou, a pensarci bene l'invito potrei averlo lasciato a casa...»

Mosse i due passi che la separava dalle altre due.

«Potreste gentilmente controllare direttamente sulla lista degli invitati?»

Le due ragazze si guardarono, chiedendosi se andava contro le regole, ma desiderose di mettersi in mostra aiutando l'aitante giovanotto, cominciarono a scrutare minuziosamente la lista di nomi tra i fogli sul loro bancone, fino a trovare quello che cercavano.

«Oh sì! Ecco qui, il suo nome è segnato nell-»

La testolina buffa si interruppe notando che quello che teneva in mano era il foglio dei personaggi di spicco e con riservazione speciale.

«Prego signor Tenou, si accomodi nel salone delle cerimonie! Ci scusiamo sinceramente per averla fatta attendere con questo inconveniente...»

Haruka sorrise appena alla dimostrazione di scuse della biondina e della sua amica, e decise di entrare in fretta prima che la convinzione che l'aveva colta poco prima decidesse di vacillare nuovamente.

Appena oltrepassò la porta d'ingresso, si ritrovò in un'enorme sala illuminata dalla luce naturale che penetrava dalle spaziose finestre che decoravano a intervalli regolari le mura.

Sopra la sua testa un lussuosissimo lampadario, tempestato di diamanti rifletteva ancora di più la luce in ogni dove.

Gli invitati erano presi nelle loro conversazioni, divisi tra il buffet e le chiacchiere di sfuggita tra una canzone e l'altra della giovane idol dai capelli biondi e l'enorme fiocco rosso che si stava esibendo sul palcoscenico.

Appesi in giro, i quadri dell'asta di beneficenza che si sarebbe tenuta alla fine.

Tutti portavano l'inconfondibile firma dell'accurato tratto di Michiru, e Haruka si soffermò ad ammirare uno dei meno recenti, di cui lei era stata diretta testimone quando ancora stava solamente prendendo forma, perdendosi per qualche secondo nell'armonia dei colori che avvolgeva la figura di una balena bianca a opera compiuta.

Si ritrovò a concludere i suoi pensieri notando che tutto era stato organizzato con estrema eleganza, senza eccessi, ma con l'attenzione ai dettagli per rendere il tutto memorabile e armonico, come piaceva a Michiru.

Le ultime parole della canzone si spensero tra gli applausi del pubblico, che accompagnarono anche la salita sul palco del ragazzo che si rivelò essere il presentatore della serata.

«Ancora un grazie sentito alla nostra Minako per la splendida performance!»

La sua voce si perse tra i nuovi applausi che accoglievano l'arrivo dei protagonisti della prossima esibizione.

«Ed eccoci al momento più atteso della scaletta, signori e signore, è con grande onore che vi presento, e lascio la scena, all'orchestra sinfonica e alla famosa violinista, nonché organizzatrice di quest'evento, la signorina Kaioh!»

Il forte batter di mani venne appena percepito da Haruka, che al suono di quel nome, ebbe un sussulto, come se il suo cuore avesse deciso che non fosse più suo dovere battere, come se voltarsi nella direzione dalla quale le prime note della Toccata e fuga in Re minore di Bach si sollevarono nel ritrovato silenzio della sala, avrebbe significato rendere tutto reale.

 

"Marzo 1994"

 

«Oh, carino da parte tua...»

Michiru ancora distesa sul divano non esitò a cogliere l'occasione di punzecchiare l'altra che stava sparecchiando il tavolino della zona giorno dove, fino a qualche minuto prima, avevano consumato per celebrare il 16° compleanno della ragazza.

«E' il minimo che possa fare...»
Haruka cominciò ad insaponare e strofinare le vettovaglie da ripulire.

«... specie visto il disastro che si è rivelata questa sorpresa»

Anche se in questo momento la sua ragazza le stava dando le spalle, Michiru sapeva che sul suo volto doveva essere dipinta una smorfia alquanto seccata.
Haruka era una tipa che raramente mostrava segni di affetto o si impegnava per qualcuno che non fosse lei, ma quando lo faceva si impegnava perché fosse qualcosa di 'grande' o comunque memorabile, e il non essere riuscita nell'impresa questa volta non le andava giù.

Il suo piano per festeggiare l'evento era andato in fumo.

 

Si era finta malata tutta la settimana, e con questa scusa aveva convinto Michiru a lasciarla dormire da lei e, non potendo quindi accompagnarla a scuola con la moto, si era fatta un'idea chiara delle tempistiche di rientro della sua ragazza, in modo da essere certa di avere il tempo necessario per i preparativi il giorno in questione.

Quella stessa mattina, appena Michiru era uscita, Haruka non aveva perso tempo ed era corsa a fare la spesa, guidando più veloce che poteva sino al mercato di Yokohama, decisa a cimentarsi nell'impresa di preparare un raffinato pranzo a base di vellutata di Halibut e contorno di spiedini di gamberoni rossi ed erba cipollina.

Sicura che anche un bambino avrebbe saputo seguire le istruzioni di una ricetta, una volta rientrata all'appartamento ci si mise d'impegno, fintanto che una dopo l'altra le sue pietanze assunsero sempre meno l'aspetto delle immagini illustrative del libro che stava seguendo.

Così, dopo aver creato uno strato simile al mantello magmatico rappreso sulla vellutata, e aver perforato senza pietà i gamberoni, nel tentativo di fargli ottenere la forma desiderata, fino a renderli una poltiglia decisamente non appetitosa, si rese conto dell'ora che si era fatta.

Tra meno di quaranta minuti, puntuale com'era, Michiru sarebbe rientrata.

Senza esitazione aprì il portafoglio per controllare a quanto ammontavano ancora le sue finanze... ma dopo la spesa per quegli ingredienti raffinati, le erano rimasti solo i soldi per i fiori che ancora non era riuscita ad andare a comprare.

Decisa più che mai a non accettare la sconfitta, prese il telefono e contattò il ristorante cinese più vicino, e ordinò tutto quello che si poteva ancora permettere con il poco denaro rimastole.

Due porzioni di spaghetti di soia con verdure e in omaggio due biscotti della fortuna.

Una volta esauriti anche i fondi per le rose che ormai non si poteva più permettere, decise che poteva comunque tentare di raccogliere qualche fiore nelle vicinanze, così corse al giardino del condominio per racimolare quanti più petali possibili coi quali tappezzare il pavimento.

Raggiunto un numero soddisfacente fece per rientrare, rendendosi conto di aver dimenticato le chiavi proprio una volta davanti alla porta dell'appartamento, mentre poteva sentire indistintamente il suono del citofono, dove il ragazzo delle consegne attendeva risposta.
Ma nemmeno questo l'aveva fermata.
Aveva ancora qualche minuto prima del ritorno di Michiru, e non avrebbe lasciato niente di intentato.
Depositò il mucchietto di fiori e petali sullo zerbino, per liberarsi da ogni ingombro e si diresse alla finestra del pianerottolo, per aprirla e usarla per raggiungere il cornicione, tramite il quale con non poca fatica giunse al balcone dove sapeva di aver lasciato la vetrata aperta per eliminare l'odore di bruciato e i fumi creatisi durante il suo esperimento ai fornelli.

Una volta di nuovo all'interno lanciò un occhiata fulminea all'orologio, per poi correre ad aprire la porta e recuperare il cibo e i fiori giusto in tempo.

Ma abbassata la maniglia si ritrovò di fronte proprio Michiru che, con la testa leggermente inclinata, fissava il mucchietto di petali senza capire cosa dovessero rappresentare e tra le mani teneva la consegna del ristorante cinese che aveva intercettato mentre rincasava, e si era presa la briga di pagare risparmiando al ragazzetto un po' di strada.

Haruka sgranò gli occhi, e nonostante si sentisse di aver miseramente fallito su tutti i fronti, trovò le forze per tentare di portare comunque l'impresa a termine.

Con una mano arraffò il sacchetto di cibarie, e con l'altra trascinò lo zerbino in casa, chiudendo fuori una Michiru ancora totalmente confusa, in attesa di poter entrare.

Pochi secondi soltanto e la porta si riaprì quel tanto che bastava per intravedere il viso di Haruka.

«Puoi... far finta di non aver visto niente?» Michiru non si mosse di un millimetro, ne cambiò espressione «... per favore?».

Questa volta la ragazza dai capelli acquamarina mosse almeno il capo in cenno di assenso.

«Perfetto!»
All'esclamazione dell'altra seguì un'altra volta la chiusura della porta.

Questa volta passarono un paio di minuti, e quando la porta finalmente si riaprì, davanti a Michiru ora si presentava una biondina vestita di tutto punto, come fosse un cameriere della Meurice di Parigi.

«Ben tornata principessa.»

Michiru assistette a quell'inchino ancora confusa, ma decise di stare al gioco della sua ragazza.

Haruka le sorrise aiutandola a togliersi il cappotto e la cartella, dandole modo di accomodarsi.

La violinista percorse a piccoli lenti passi il corridoio cosparso di quei petali di cui non doveva ricordarsi, e che le indicavano la via da seguire, accompagnandola nell'area giorno, dove le note della Suite n°1 di Bach e un tavolino imbandito con quelli che erano evidentemente semplici spaghetti di soia con verdure l'attendevano.

Dietro di lei Haruka l'aveva raggiunta, e ora la cingeva attorno alle spalle.

«Mi dispiace, se non sono brava con le sorprese...»

La sua voce fece voltare leggermente il viso di Michiru che non smetteva di sorriderle.

«Buon compleanno Michiru»

«Il migliore di tutti, Haruka»

 

La biondina era passata al risciacquo dei piatti, e lo scroscio del rubinetto le impedì di sentir arrivare l'altra che silenziosamente le era giunta alle spalle, e ora le cingeva a sua volta delicatamente i fianchi, sprofondando il viso nell'incavo tra le sue scapole.

«Questo... è davvero il migliore tra tutti i miei compleanni!»

La sua voce gongolava di felicità per tutti gli sforzi compiuti dall'altra.

«Ma se ho rovinato tutto...»

Haruka ripose il piatto che stava asciugando.

«Tu non puoi rovinare niente, perché mi hai dato l'unico regalo che volevo!»

Haruka prese l'asciugamani e cominciò a passarselo tra le dita.

«E quale sarebbe?»

La smorfia di delusione per aver rovinato tutto era sparita di fronte al viso illuminato dell'altra, e ora lasciava spazio ad un sorriso divertito.

Michiru le sorrise ancora di più di rimando e le si avvicinò al viso, cingendole le guance con le dita.

«Sai perfettamente qual'è l'unica cosa di cui avrò sempre bisogno...» si interruppe per regalarle un rapido e delicato bacio «... anche se una torta non avrebbe guastato...».

La violinista concluse approfittando dell'occasione per vendicarsi della volta che l'altra aveva ammesso di non immaginarla capace di cucinare.

«E chi ti dice che non ho preparato anche il dolce?»

Haruka sollevò le labbra con fare di sfida, e Michiru la osservò colta alla sprovvista.

«Mi hai preparato una torta?»

La sua domanda fece cambiare espressione alla sua ragazza, che ora sembrava cercare la più vicina uscita di emergenza.

«Ehm... non proprio... in realtà... forse facevo meglio a non parlartene...»

Michiru la osservò ansiosa di scoprire di cosa stesse parlando.

«Stavo pensando di farti una torta alla meringata ma... tra una cosa e l'altra mi sono resa conto di non avere il tuo tocco artistico e...»

Haruka terminò la confessione guardando in direzione del frigo.

E destando ancora di più la curiosità dell'altra, la convinse ad andare a vedere il risultato di persona.

Una volta aperto lo sportello del refrigeratore, la ragazza si dovette trattenere dal ridere di fronte a quella che, più che una torta, avrebbe descritto come un tentativo mal riuscito di riprodurre una qualche idea in chiave di arte moderna.

«Non fare quella faccia... potrà non avere un bell'aspetto ma, ti assicuro che se l'assaggi è squisita.»

Haruka incrociò le braccia cercando di dare maggior tono alla sua affermazione, mentre l'altra, ancora divertita, si stava occupando di tirarla fuori e prendere il coltello con il quale tagliarla e servirla in due piattini più piccoli.

Una volta adagiate le fette, riaprì il frigo in cerca di quello che si rivelò essere un limone.

Lo tagliò con cura e ne ricavò delle simpatiche fettine a forma di coniglietti, coi quali guarnì entrambe le porzioni.

«Cosa ne pensi?»

«Che è così che normalmente si usano i limoni?»

La ragazza le porse le due fette di dolce, ignorando totalmente la battuta dell'altra, in soddisfatta attesa di un apprezzamento sull'artisticità sfoderata.

Haruka le sorrise raggiungendola e afferrandole delicatamente le mani, anziché i piattini stessi.

«Penso che senza di te nulla sarebbe così bello.»

Michiru arrossì leggermente e chiuse gli occhi nel tentativo di celare l'emozione che quelle parole le avevano suscitato.

Non si era ancora abituata a sentire l'altra regalarle certe dichiarazioni, e molto probabilmente non si sarebbe mai abituata a come quella ragazza le facesse battere il cuore.

«Ora... sono proprio curiosa di assodare se le tue doti culinarie sono davvero degne di nota, o se le affermazioni di prima erano solo frutto della tua solita spavalderia»

Haruka incurvò nuovamente le labbra nella sua nota posa da sfida.

«Oh, credimi, non ti deluderà.»

"Novembre 2002"

 

«-ruka?» a richiamare l'attenzione al presente fu la voce della violinista che, durante l'esibizione, aveva trovato pace solo quando era riuscita a scorgere la sua figura tra i molteplici presenti «sono davvero lieta di vedere che hai accettato il mio invito»

Il cuore di Haruka le si incastrò in gola, quasi a volerle impedire di pronunciare qualsiasi parola.
Chiuse gli occhi ancora per un secondo, per assicurarsi di aver spento quel motore, ed essere pronta a fermare quella folle corsa, e affrontare una volta per tutte la realtà.
Un ultimo respiro sommesso, e finalmente si voltò in direzione della sua ospite, incrociandone lo sguardo.
«Un'esibizione davvero impeccabile» il complimento era sincero «sentirti dal vivo è davvero un'emozione unica»

Lo sguardo della violinista passò da trepidante e celatamente teso, ad un'espressione più addolcita.
Haruka la fissò di rimando.
Più i loro sguardi rimanevano intrecciati, e più il suo cuore pareva fermarsi.

Le due ragazze rimasero in silenzio per interminabili secondi, le mani della violinista si stringevano conserte in attesa di sbloccare quella tensione.

E così fu.

Haruka spezzò il loro contatto visivo, volgendo la sua attenzione al quadro che ritraeva la sua figura avvolta nel vento.

«Sono tutti in vendita dunque?»

La violinista sussultò al rinnovato suono della voce dell'altra, e come ridestatasi dalla miriade di suoi pensieri, si rese conto di quale fosse il nuovo soggetto della conversazione.

Haruka infilò le mani in tasca dei jeans «sarei molto interessata a questo, quanto cost-»

La sua domanda si interruppe nell'esatto momento nel quale, dagli occhi della giovane violinista cominciarono a scendere le prime tra le tante lacrime che di lì a poco avrebbero rigato il suo volto.
«...»

Haruka si rese conto che la sua solita mancanza di tatto questa volta era decisamente da evitare.

«...Scusa, non intendevo farti piangere... Hotaru»

Le lacrime che sgorgavano dagli occhi purpurei della ragazza, si fecero largo senza più freni a sentire il suo nome.

La ragazzina era visibilmente sul punto di parlare, ma qualcosa nelle emozioni che le stavano vorticando come una tempesta nello stomaco le impediva di comporre sillabe di senso compiuto, soffocando ogni tentativo tra i singhiozzi che probabilmente anche gli altri ospiti presto avrebbero notato.

Haruka reagì d'istinto, e con un passo deciso cancellò la distanza che le separava e la strinse tra le braccia, nel tentativo di nascondere il suo dolore dalla indesiderata vista di occhi indiscreti.

Il suo corpicino tremante, i suoi singhiozzi scoordinati, il suo pianto inconsolabile...

In quel momento Haruka si rese conto, che tutto... tutto questo era stramaledettamente reale.

«Mi dispiace... io, davvero mi dispiac-»

La stretta dell'abbraccio di Haruka si fece più salda che mai.
Era dal giorno del funerale che non si erano più viste ne sentite.
Era da quel stramaledetto giorno, che Haruka aveva cercato di chiudere definitivamente ogni ponte con quel passato che non riusciva ad accettare non sarebbe mai più sfociato in un futuro.
Dopo il giorno dell'incidente, se solo lei avesse saputo affrontare il suo senso di colpa differentemente, non avrebbe accettato un contratto da pilota che l'avrebbe vista impegnata più all'estero che nella vita della persona che amava.
Se solo non avesse continuato a correre veloce come il vento, forse ora quella ragazzina che ora stringeva tra le braccia non avrebbe dovuto perdere così le due persone che più amava, a così poca distanza.
Se solo avesse avuto il coraggio di accettare l'amore incondizionato che la legava a Michiru, e alla figlia del chirurgo che tanto aveva tentato di fare per tentare di salvare la mano della violinista, che in seguito alla morte del padre era stata adottata da quella che più che un'insegnante, era diventata la figura materna che Hotaru aveva tanto desiderato.
Se solo non avesse avuto paura di rovinare sempre tutto quello che le sue mani erano capaci di sfiorare.

Il suo volto sprofondò sulla spalla di quella che un tempo era stata una ragazzina sorridente e piena di felicità.

Perché non si era decisa prima?
Perché per quanto lo desiderasse, non poteva tornare indietro e cambiare le cose?
Perché non era stata in grado, quel giorno sulla spiaggia, invece di farle promettere di non arrendersi, di prometterle che anche se Michiru avesse vacillato, lei sarebbe rimasta al suo fianco, e l'avrebbe sorretta, con la stessa forza con la quale l'amava?
Per tutti questi anni, si era sempre convinta di star correndo a tutto spiano, più veloce di tutti e di tutto...

Quando invece... aveva corso davvero troppo lentamente...

Quella ragazza, che sempre la stava aspettando al traguardo...

Quella ragazza che era diventata il suo unico traguardo...

Ora, non l'avrebbe più potuta aspettare...

Se solo avesse corso più in fretta...

No, se solo avesse accettato di aver finalmente trovato qualcuno che sapeva correre al suo fianco, sognare al suo fianco, combattere al suo fianco, crescere al suo fianco...

 

Se solo avesse preteso da se stessa la stessa forza che aveva sempre preteso da Michiru.

 

Le mani di Hotaru strinsero con forza la t-shirt sulle spalle di Haruka.

«Perché...? Ruka...»

La sua voce rotta.

Il suo corpo non smetteva di tremare.

«Perché...»

Questa volta fu Haruka a parlare.

La sua voce uscì fievole.

Le sue lacrime seguirono altrettanto silenziose.

Perché... questa volta, Michiru si trovava davvero in un mondo, nel quale lei l'aveva lasciata sola.

 

 

 

Fine.

 

 

NB: Questa fanfiction su Haruka e Michiru è frutto di un sogno molto toccante che avevo fatto durante un pomeriggio di qualche estate fa, ed essendo nato come tale, potrebbe non rendere ugualmente per iscritto e di questo mi scuso.
Non sapendo bene se tentare o meno di trascriverlo e provare a convertire immagini in parole, e parole in emozioni, ho lasciato questa storia in un cassetto per un bel po' di tempo, sino a quando oggi ho deciso di riprenderla in mano e di darle un senso compiuto.

Per molto tempo ero in dubbio se inserire o meno la morte di Michiru come parte fondamentale della trama, o se invece concentrarmi sull'eterna pazienza di quest'ultima nell'aspettare che Haruka fosse pronta a lasciarsi tutto alle spalle, ma alla fine ha prevalso l'idea con la quale questa storia era cominciata.
Volevo approfittare di queste righe per spiegare alcuni punti che non sapevo come sviluppare in maniera esaustiva nel racconto:
-Michiru in seguito all'incidente, rinuncia alla carriera di violinista, diventando l'insegnante di Hotaru.
-Hotaru rimane orfana del padre in seguito ad una tremenda esplosione avvenuta nell'ospedale dove quest'ultimo lavorava, e così si ritrova a vivere con le due ragazze e ad affezionarsi come una vera famiglia.
Sceglie di adottare il cognome di Michiru come nome d'arte per omaggiare la ragazza ringraziandola di tutto quello aveva fatto per lei.
-Haruka accetta la carriera di pilota pochi mesi dopo il giorno dell'intervento, nel tentativo di mettere a tacere i sensi di colpa per l'incidente con la moto, vivendo così sempre più tempo all'estero anziché con la sua amata ed Hotaru. Ma più tempo passa lontana, e più si rende conto di quanto non sia questo che le farà fare pace col passato. Purtroppo realizzerà troppo tardi che ciò che stava realmente cercando era la famiglia che già aveva, ed in seguito all'improvvisa morte di Michiru, Haruka cerca di tagliare ogni ponte con il passato e le persone che ne avevano fatto parte, buttandosi a capofitto nelle gare, fino a terminare la carriera nell'incidente dovuto al guasto dell'auto con cui gareggiava.

Sconfitta su tutti i fronti, Haruka decide di smettere con la sua insensata fuga, e di affrontare una volta per tutte la realtà dei fatti, ammettendo così i suoi errori, e facendosene carico, come avrebbe dovuto fare dal principio.
 

Lo so che questa storia non è esattamente il genere di storia che persino io vorrei leggere su questi due personaggi e anzi, probabilmente rischiano di risultare OC... ma sentivo il bisogno di crearla e lasciarla così com'era nata, nella speranza che possa piacere anche a chi la leggerà.
Una cosa che per me personalmente è molto importante, oltre ad Haruka e Michiru, che sono state le figure che sempre mi hanno accompagnato durante tutta la mia infanzia, e nei momenti più bui in cui non sapevo a chi altro guardare in cerca di un po' di speranza, in questa storia, indirettamente sto includendo anche altre due persone estremamente importanti, una la mia ragazza che davvero tanto ha sempre sopportato durante la mia crescita personale, e che non ringrazierò mai abbastanza per la pazienza dimostrata nei miei confronti, e fonte di ispirazione per molte delle riflessioni presenti nella storia, e l'altra figura inscindibile della mia infanzia, ossia mia nonna, la quale si prese cura di me come fosse mia madre, e che morì nel novembre del 2002, e verso la quale per moltissimi anni ho continuato a sentirmi in colpa, per la mia incapacità nell'affrontare i rimpianti e trovare la forza di lasciarla andare.
Quindi questo racconto, da un certo punto di vista, è una forma di “addio” e di “grazie” verso le due persone che con la loro pazienza, hanno reso la mia infanzia e la mia vita sino a qui qualcosa di più di un bel ricordo.
Grazie di tutto, e grazie di far parte di me per sempre.
E grazie a voi per aver letto questa storia.

   
 
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