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Autore: loutommosofia    13/07/2017    0 recensioni
Andrea e Daniel sono due ragazzi adolescenti. Entrambi vengono da situazioni amorose molto difficili. Il primo, dichiaratamente gay, ha vissuto una relazione in cui il suo ragazzo lo maltrattava, il secondo sará il protagonista di una disgrazia che causerá in lui un blocco da un punto di vista sentimentale, come se la precedente relazione potesse influenzare la prossima arrivando a impedirla per parecchio tempo. Alla fine i due, conosciutisi per caso e diventati subito amici, saranno protagonisti di un'intensa storia d'amore, nonostante Andrea avesse mentito a Daniel sulla propria identitá. Alla fine, una volta scoperta la verità, sará l'attrazione e la stima che ciascuno di loro due proverá per l'altro a vincere sulle menzogne.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Daniel's pov "Vanesa, Vanesa senti! Senti che cosa trasmettono alla radio!" urlai saltando per tutta la casa dalla gioia non appena udii le prime note della canzone. "Vanesa! Dove sei?". Non mi rispondeva. Decisi di andare a vedere dove si trovasse. Saltai agilmente il divano, cadendo sulle punte dei piedi ad un'altezza di quasi un metro, spalancai la porta del soggiorno e mi diressi, saltellante, verso la camera da letto. "Vanesa? Sei qui?". Accarezzai lo stipite della porta della mia stanza con i polpastrelli della mano sinistra. Mi affacciai al suo interno per assicurarmi che lei non fosse lì. E fu come avevo previsto. "Ma dove si sarà cacciata?" pensai tra me e me. Erano ormai tre quarti d'ora che stavamo giocando a nascondino ed io ero ormai stufo. Mi sembrava di essere abbastanza cresciuto per quelle cose, ormai avevo compiuto quindici anni, ma lo facevo per lei, per mia sorella, che nonostante di anni ne avesse undici e mezzo, aveva ancora un'anima da bimba, tenera, spensierata e giocherellona. Era ciò, quello che però amavo di lei. La sua naturalezza e spontaneità. Tutte le altre sue coetanee erano diverse, a dieci anni già si truccavano, vestivano di nero come se si vergognassero di mostrare l'allegria che quell'età poteva donare loro e passavano tutto il loro tempo al telefono, con quelle stupidissime applicazioni, a mandarsi messaggini e foto. Probabilmente era una cosa normale. Ma io odiavo la normalità, la trovavo sempre così scontata, banale. Io cercavo la diversità, qualcosa che potesse emozionarmi, che mi sorprendesse quando meno me lo aspettavo. E Vanesa, mia sorella, era così. Ogni giorno passato con lei era un'avventura, qualcosa di inaspettato. Lei era una persona magnifica, con un milione di pregi, ma anche qualche difetto. Uno di questi , era quello di scomparire senza che nessuno se ne potesse accorgere. E ciò era parecchio snervante quando era necessaria la sua presenza. Mi toccava sempre girare per tutta la casa quando decidevamo di giocare a questo gioco perché lei, di saltare fuori, non aveva proprio la minima voglia. "Vanesa, sei in bagno?" chiesi, quasi ridendo. "Guarda che lì non entro a cercarti! ". Niente. Sbuffai. Non sapevo più dove cercarla. In camera dei miei non poteva entrare, la porta veniva sempre chiusa a chiave, negli ultimi giorni. I miei genitori la stavano rifacendo e per evitare che l'odore della vernice invadesse l'intera villa, la chiudevano, impedendone in qualsiasi modo l'ingresso. La cucina non aveva un granché di posti dove potersi nascondere, se non il forno o il frigo. Ma nessuno sano di mente avrebbe avuto l'idea di infilarcisi. C'era solo più una stanza dove poteva essersi cacciata: la soffitta. Soddisfatto di aver trovato la soluzione a quel quesito che ormai non mi dava pace da dieci minuti, mi diressi verso l'ingresso. La scala che permetteva il collegamento tra la stanza e il pavimento era stata sollevata. Lei si trovava lì, per forza. "Vanesa, è importante. Vieni qua". Urlai, sollevando la testa. "Vanesa, dai. Scendi, o almeno apri". "No!" sentii pronunciare da una vocina. Era la sua. "Perché no? "chiesi. "Hai perso, il tempo ormai è scaduto, hai perso!". "Ma questo che c'entra? Su, forza. Vado a chiamare papà, vedi come ti obbliga ad uscire. Lui odia quando monopolizzi la soffitta". Sentii sbuffare, poi un cigolio. Vidi la porta della soffitta aprirsi e una bambina alta poco più di un metro e quaranta spuntare, con le sue trecce castane scuto strette da due elastici consumati, uno rosso e uno bianco a stringere i suoi capelli divisi in due spesse ciocche. Abbassò la scala , per poi sedersi sul primo gradino di essa. Mi fissava, offesa. "Io non gioco più con te. Hai smesso di cercarmi.". Disse, guardandomi arrabbiata. Sperava sempre che io giocassi volentieri, ma purtroppo ciò non accadeva più da qualche anno. "Vanesa, scendi" le chiesi, dolcemente. Lei obbedì. Tirai su la scala. "Perché mi chiamavi? Ti sentivo sbraitare dal salotto. Cosa volevi da me?"mi domandò, con le braccia conserte. "C'era la tua canzone preferita, volevo che la ascoltassimo assieme". "Nooo" si lamentó lei. " E dove?". "Alla radio". Sorrisi. Lei si fece triste. "Non importa dai, la ascolteremo tra poco con il mio cellulare,se ti va " le proposi. Ci dirigemmo in soggiorno. Sentii il campanello suonare. "Scusa amore, vado un attimo a vedere di chi si tratta" pronunciai, accarezzandole una spalla. Mi diressi poi verso l'entrata di casa. Guardai allo spioncino. Era Sonia. Sonia era la mia fidanzata. Era una ragazza molto solare, gentile , serena e simpatica. Stavo con lei da ormai due anni, ci volevamo molto bene. Era più piccola di me di due anni e tre mesi, ma non mi interessava granché. La sua maturità la facevano sembrare più sveglia di molte ragazze della mia età. Aprii la porta. Mi abbracciò subito, salutandomi allegramente con uno splendido sorriso. Ricambiai. "Ciao, Dani" mi disse. "Ciao, So'. Come stai?". Le diedi un bacio. Si tolse borsetta e scarpe, poggiando la prima sul divano e le seconde sul tappetino. "Tutto sempre bene. E tu? Che bella musica c'è qui! È in corso una festa, per caso, e non sono stata invitata? ". Risi. "No, no. Io e mia sorella stavamo giocando e ho voluto mettere qualche canzone, per rendere l'atmosfera più rilassante ". "Perché, prima non lo era?". "No, era un inferno". Mi misi le mani sulle guance, imitando un fantasma come meglio potevo. Sonia rise. "Dai, non ci credo. Dove si tra ora lei?". "È in salotto. Sta cercando qualche canzone da ascoltare con il mio telefono". "Oh, vorrei salutarla". Sorrisi. Ci dirigemmo in sua direzione. Appena la vide ,le venne incontro, saltandole addosso. "Ciao, ciao!"  disse. "Hey, Vane!"Per lei, era come una sorella maggiore, anche se , in fondo, si passavano solo un anno, ma psicologicamente erano circa quattro. Forse perché mia sorella era un po' infantile, Sonia perché aveva imparato a crescere in fretta, a causa del fatto che i suoi genitori non la seguissero mai a dovere e non provvedessero mai al suo benessere nonostante avesse appena terminato di frequentare la seconda media.  "Hey, Vane, metti la terza canzone nella playlist numero sei" proposi. "For All...?" tentò di domandare lei. "Sssh!" la zittii. Non volevo che Sonia capisse. "Okay, fatto!". Vanesa mi guardò divertita. Incrociai le braccia, attendendo che la canzone cominciasse. "Sun comes up on this new morning Shifting shadows, a songbird sings And if these words couldn't keep you happy I'd do anything And if you feel alone, I'll be your shoulder With a tender touch, you know so well Somebody once said, it's the soul that matters Baby who can really tell, when two hearts belong so well?  And maybe the walls will tumble And the sun may refuse to shine But when I say, I love you Baby you gotta know That's for all time Baby you gotta know That's for all time" Sentii una mano appoggiarsi sulla mia spalla. Mi girai. Era Sonia. "Oh, Daniel". Arrossì. "Ti piace? "  le chiesi, retoricamente. "Certo, è la nostra canzone". Sorridemmo, guardandoci con complicità. For All Time, di Michael Jackson era la canzone con cui ci eravamo innamorati l'uno dell'altra. Eravamo al mare, in Spagna. E mentre passeggiavamo sul bagnasciuga, ed io cercavo le parole giuste per dirle ció che provavo per lei, partì quella canzone. Da quel momento assunse un valore importante , per noi due. Ogni volta, risentirla, ci faceva rivivere quel momento, quell'istante in cui su quella dolce melodia e su quelle belle parole ci fidanzammo, alla tenera età di dieci anni e mezzo suoi e tredici anni miei. "Mi concede questo ballo, signorina?" le posi la mia mano. Un sorriso comparì sulle sue labbra rosse come il sangue, piccole e morbide. " Certo". Ci stringemmo e fingemmo di ballare un lento. Nessuno dei due sapeva ballare, io perché avevo appena iniziato un corso di danza, lei perché non era per nulla portata in quell'attività. Nè tanto meno dove la precisione dei passi era fondamentale. Finimmo così per pestarci i piedi più volte e rischiare di inciampare. Ma fu ancora più divertente, perché iniziammo a ridere e fu davvero difficilissimo farci smettere. Ogni momento passato assieme era così. La nostra felicità stava nelle piccole cose, proprio come quella che stavamo vivendo in quell'istante.
   
 
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