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Autore: francoise14    14/07/2017    26 recensioni
13 luglio 1789. Una data tristemente nota a chiunque ami la struggente storia di Oscar e André. Ispirata in parte alla splendida Buio di Livia, autrice che vorrei tanto tornasse a scrivere su questi lidi (e involontariamente anche a un'altra fanfiction che per ovvi motivi ora non cito), questa storia partecipa al III Love Day indetto dalla pagina facebook "Lady Oscar Fanfiction and Love", tema "Che cosa sarebbe successo se André non fosse morto il 13 luglio".
Un what if malinconico e introspettivo, alla mia maniera (purtroppo non riesco a farne a meno!)
A chi vorrà, buona lettura.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Victor Clemente Girodelle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quello che resta

 
Era rosso il tramonto, in quella sera di luglio… rosso come il sangue che gli imbrattava ancora le mani. Quelle stesse mani che soltanto poche ore prima aveva intrecciato alle sue, scivolando nel suo ventre con un gemito roco.
André chiuse gli occhi, reclinando la testa all’indietro finché non avvertì la superficie scabra del muro…  e per un momento si estraniò dal silenzio irreale calato sulla città insieme alle prime ombre del crepuscolo. Non c’era più l’odore acre della polvere da sparo a pungergli le nari, né l’aria satura di morte, ma solo il profumo di una notte d’estate e lo sguardo azzurro di Oscar allacciato al suo. Distesa sull’erba umida senza l’uniforme indosso, gli era sembrata quasi una creatura ultraterrena: il lucore dorato dei capelli, la pelle diafana più chiara della luna…  ma di carne e sangue erano le labbra che impazienti avevano cercato le sue, calde le braccia che lo avevano cinto, pulsante il grembo che lo aveva accolto.
“André, quando sono con te sento di vivere… sento di vivere!”
Sento di vivere… bugiarda!
“Bugiarda…” ripeté a bassa voce, la bocca piegata in un sorriso amaro. “Bugiarda…” e una lacrima silenziosa gli solcò il viso.
È questo quello che resta, Oscar? L’illusione di una notte?
In un gesto di sconforto premette i pugni sulla fronte; tuttavia, il rumore di alcuni passi sul selciato interruppe subito dopo il flusso penoso dei suoi pensieri.
 “André, ma che diamine ci fai ancora qui?”
Il tono accusatorio di quelle parole lo sferzò come una frustata. André riaprì gli occhi, voltandosi d’istinto alla sua sinistra, verso il vicolo, dove si stagliava la figura di un uomo: una macchia scura e indefinita, di cui non riusciva neppure a distinguere i tratti del viso… ma in fondo non aveva bisogno della vista, per sapere a chi appartenesse quella voce di ghiaccio.
Victor Clement de Girodelle si avvicinò lentamente al sagrato della chiesa, le labbra tese in una smorfia; davanti ai gradini si fermò, puntando i suoi  freddi occhi grigi nello sguardo vacuo del soldato che gli sedeva dinanzi.
“Oscar si è svegliata. Chiede di te”.
 
***
 
Alle prime luci dell’alba di quel 13 luglio, il colonnello Girodelle si era alzato inquieto dopo una notte insonne. Il dispaccio del generale Bouillé recapitatogli la sera prima, infatti, prevedeva che lui e i suoi uomini rimanessero di stanza a Versailles, ma Victor sapeva bene che era a Parigi che si sarebbero decise le sorti della Francia, o meglio di quel suo piccolo mondo dorato e imperfetto, che nonostante tutto preferiva alla cieca furia dell’Ignoto. E a Parigi c’era Oscar.
Oscar… Non l’aveva più vista  dal giorno in cui, pur di non scontrarsi con lei, aveva disatteso l’ordine di sgomberare  l’Assemblea ricorrendo all’uso della armi; quella bravata gli era costata però ben tre settimane di consegna, oltre alla feroce ramanzina di Bouillé, e soltanto l’intercessione di Maria Antonietta presso il sovrano gli aveva evitato conseguenze peggiori, garantendogli peraltro la piena reintegrazione dei suoi gradi.
Proprio quel mattino avrebbe dovuto riprendere il suo incarico di colonnello… eppure, quando aveva visto la divisa posata sul letto, d’istinto aveva deciso: avrebbe disertato. Non per vigliaccheria, non per unirsi agli insorti, bensì per cercare lei… la donna che lo aveva rifiutato, ma che ancora amava. La donna che sentiva essere in pericolo.
Il suo attendente lo aveva supplicato di rinunciare, minacciando di avvisare quanto prima il Conte[1] suo padre, ma alla fine, di fronte all’intransigenza del giovane padrone si era rassegnato e gli aveva procurato gli abiti richiesti. Indumenti borghesi, di modesto panno nero… e aveva distolto lo sguardo mentre Victor recideva la fluente chioma castana all’altezza del mento.
“E’ una follia” aveva ripetuto “Consentitemi almeno di venire con voi”.
“No. Appunto perché è una follia, non voglio che tu corra rischi per me” aveva replicato Victor “Questi sono per te, Martin” aveva aggiunto quindi con un sorriso tirato, porgendogli un sacchetto di feltro “Porta via da qui tua moglie e il bambino: verranno tempi duri per l’aristocrazia… e per chi attraverso essa ha prosperato”
“Conte, no… non posso accettare!” si era schermito l’uomo, ma per tutta risposta Girodelle gli aveva preso una mano, costringendolo a prendere il piccolo involucro.
“Fallo per me”.
Martin lo aveva guardato con stupore, turbato forse più dall’insolita confidenza dei modi che da quelle parole accorate.
In effetti, sebbene per volontà paterna  fosse cresciuto lontano dagli agi del suo palazzo, fino a non molto tempo prima Victor de Girodelle aveva considerato solo con supponenza e distacco, uomini come Martin  o André Grandier. Servi che avevano ricevuto un’educazione di primo livello per essere all’altezza dei loro padroni, ma pur sempre servi:  uomini e donne appartenenti a un ceto inferiore perché quello era l’ordine  naturale delle cose, quello che gli avevano insegnato a rispettare sin da bambino. Eppure, da quando aveva visto Oscar aprire le braccia sotto la pioggia, disposta a immolarsi in nome di un ideale, le sue ferme convinzioni avevano cominciato a scricchiolare.

Il sole era alto nel cielo quando finalmente, in sella al suo baio, Victor aveva varcato i cancelli di Palazzo Girodelle. L'ultima immagine che avrebbe conservato della casa avita, sarebbe stata quella degli occhi lucidi di Martin, in piedi davanti alle scuderie, che  lo salutava raccomandandogli di fare attenzione, mentre lui, alzando le spalle lo rassicurava con un sorriso.
“Sono un soldato e come tale addestrato a fronteggiare qualsiasi situazione, non sarà certo una rivolta a spaventarmi “ gli aveva detto… ma si era sbagliato.
Nessun addestramento avrebbe mai potuto prepararlo a quello che avrebbe visto quel giorno.
Parigi era diventata l’Inferno.
Quaranta dei cinquanta ingressi alla città erano stati dati alle fiamme dal popolo in rivolta, il convento di Saint-Lazare saccheggiato. Nonostante ciò, dopo aver affidato il cavallo a una stazione di posta appena fuori le mura, Victor si era inoltrato per le strade in fermento, alla ricerca di Oscar. Soltanto al tramonto, però, avrebbe appreso con sgomento che i soldati della Guardia comandati da Oscar François, dopo aver affiancato gli insorti, si erano ritirati nella zona ovest della Cité braccati dagli uomini del Royal Allemand.
A quella notizia, si era precipitato verso Pont Neuf pregando Dio di arrivare in tempo… ma era stato allora che aveva udito gli spari, seguiti immediatamente dal grido di un uomo.
Era André.
André che chiamava Oscar.
 

***  
 
  André non lo aveva visto arrivare. Se ne stava con gli occhi sbarrati, lo stomaco stretto in una morsa feroce. Un solo pensiero, mentre il cuore batteva impazzito. Oscar giaceva esanime tra le sue braccia. Oscar aveva preso una pallottola in petto al posto suo.
“Fermo o giuro che sparo anche a voi!!”
L’intimidazione rabbiosa di Alain per un istante lo aveva riscosso, inducendolo ad alzare lo sguardo verso la strada.
“André! André, cosa è successo? Che cosa le hanno fatto, André? Che cosa le hanno fatto??!”
“Ma chi diamine siete? Andate via!” aveva esclamato Alain, puntando il fucile contro lo sconosciuto… ma subito dopo aveva avuto un sussulto. La mano di André si era aggrappata al suo braccio.
“Abbassa il fucile, Alain. Lo conosco”
 
E’ strano come il Destino si diverta a rimescolare le carte, giocando con le vite altrui. In fondo, Victor de Girodelle si era dimostrato per André un rivale ben più temibile di Fersen: non aveva avuto bisogno di trine e merletti per vedere la donna dietro l’uniforme, né tantomeno ciò gli aveva impedito di innamorarsi di lei; ma soprattutto, il suo lignaggio gli aveva consentito di aspirare a ciò che, per nascita, ad André sarebbe stato sempre precluso: la mano di colei che amava.
Per questo André lo aveva odiato. Lo aveva odiato per aver tentato di portargli via Oscar, gettandolo nella disperazione;  lo aveva odiato per tutto ciò che egli  rappresentava. Eppure, in quel momento aveva sentito che per salvare Oscar, era anche a lui che si doveva affidare.
“Respira?” aveva domandato Victor dopo averli raggiunti, chinandosi su di lei.
“Sì… ma credo… credo che stia perdendo molto sangue” aveva risposto André con la voce spezzata dall’angoscia. “Dobbiamo trovare un medico, dannazione!”
“Basterebbe tornare indietro da Bernard, come avevamo pensato… ma c’è da attraversare mezza città e quei maledetti ci sbarrerebbero sicuramente la strada” aveva constatato lugubremente Alain. “L’unica soluzione è affrontarli a viso aperto cercando di proteggere il Comandante… e sperare di uscirne vivi”.
“In realtà ci sarebbe un’alternativa: è ugualmente rischiosa, ma avremmo qualche possibilità in più di riuscita… ” era intervenuto serio Victor.
Un lampo d’interesse aveva acceso lo sguardo di Alain.
“In che modo?”
“Cercando di trarli in inganno. Sarete voi a prendere il comando dei vostri compagni, mentre io e André vi seguiremo a debita distanza con il comandante Oscar. Quando avvisterete  Lambesc[2] e i suoi uomini… fingerete di lanciarvi all’assalto per passare, mentre noi ci nasconderemo” aveva spiegato Victor “A quel punto, nel momento in cui  Lambesc darà l’ordine di sparare, dovrete deviare, facendogli credere di battere la ritirata. Se abboccheranno, lasceranno la loro posizione liberando la strada principale... e noi riusciremo ad arrivare indenni  dai vostri amici”.
“E sia... Potrebbe funzionare ” aveva concordato Alain “André, prendi il cavallo del Comandante… e tu, François, aiutalo a issarla sulla sella” aveva quindi ordinato rapidamente, prendendo in mano la situazione” E voi… a proposito, come debbo chiamarvi?” aveva domandato con una punta d’ironia.
“Victor può bastare”
“Victor… il  colonnello Victor de Girodelle?” aveva collegato finalmente Alain, dissimulando un moto di stupore “Voi siete l’ufficiale che…”
“Rimandiamo i convenevoli a dopo, soldato. Abbiamo altre priorità, temo” lo aveva interrotto brusco Victor.
“Avete indubbiamente ragione” aveva sorriso Alain “Ebbene, Victor, a voi il cavallo del soldato Grandier. Ma fate attenzione” aveva aggiunto a bassa voce, mentre con lo sguardo sorvegliava, poco lontano, i movimenti di André e François intorno a César. “Ve li sto affidando entrambi. Niente scherzi o vi ammazzo con le mie mani”.
“Entrambi?” aveva ripetuto perplesso il conte.
Un’ombra di mestizia si era affacciata sul volto di Alain.
“Forse non ve ne siete accorto, colonnello, ma André è quasi cieco. Non lasciatelo mai indietro, cavalcate accanto a lui”.
“Cieco?! Voi me l’avete fatta affidare a un cieco senza dirmi niente?” aveva esclamato furente Victor, attirando l’attenzione dei soldati più vicini a loro.
“Abbassate la voce… vi potrebbe sentire“
“Me ne infischio se ci sente!” aveva sibilato Girodelle, abbassando tuttavia il tono “Voi siete un folle… Fatelo scendere da quel dannato cavallo e datemi qualcun altro! Lui non è in grado di…”
“Non lo farà” aveva ribattuto cupamente Alain “André non la lascerebbe mai, affidandola a un altro. E ne ha tutto il diritto”.
“E perché mai, di grazia? Da quando affetto e devozione giustificherebbero una simile idiozia?” era sbottato Victor.
“Perché è la sua donna. E né io né voi possiamo farci niente”
 
***
 
Alla fine, il piano di Victor aveva funzionato. Gli uomini sotto il comando di Lambesc erano caduti nel tranello, inseguendo Alain come auspicato e consentendo ad André e Victor di portare Oscar nelle retrovie, dove il resto dei soldati era giunto sano e salvo mezz’ora dopo.
Rosalie aveva quindi insistito per portare Oscar nel suo appartamento, poco distante dalle barricate. Diversi medici si erano affaccendati al capezzale della donna, nella modesta stanza da letto dei coniugi Chatelet, e André non aveva potuto fare altro che aspettare fuori dalla porta insieme ad Alain e al conte Girodelle. Ad un tratto, finalmente, uno dei dottori era uscito dalla camera affiancato da Rosalie.
 “Dottore, come sta?” si era affrettato a domandare con ansia Victor, alzandosi in piedi.
Il medico lo aveva squadrato incerto.
“Siete voi il marito?”
“No. Sono io” aveva pronunciato pallido André, facendosi avanti. “E’ fuori pericolo?”
“Ecco…” aveva mormorato esitante il dottore, guardando gli altri due uomini presenti, che sembravano pendere dalle sue labbra.
“Potete parlare liberamente, dottore” lo aveva invitato a proseguire André, intuendo i motivi della sua titubanza.
“Ma certo, scusate...” aveva ripreso l’uomo, schiarendosi la voce “Sì, vostra moglie è fuori pericolo per fortuna. Ha perso molto sangue ma siamo riusciti a estrarre il proiettile… soltanto per un soffio non ha colpito il polmone né vasi importanti. Tuttavia… a preoccuparmi non è l’entità della ferita, quanto… le condizioni di base”.
“Le condizioni di base?” aveva ripetuto frastornato André.
“Sì. La tisi è un male che non perdona, purtroppo”
André si era sorretto al tavolo per non cadere, mentre Alain soffocava a stento un’imprecazione.
“La tisi? Come la tisi?” aveva pronunciato a fatica.
“Non lo sapevate dunque? Eppure la malattia è in uno stato molto avanzato… “ si era meravigliato il dottore.
“Credo che… credo che mia moglie non abbia voluto farmi preoccupare” aveva pronunciato in un soffio André.
“Sicuramente è così. Dubito che non se ne fosse resa conto”.
“Possiamo vederla?” aveva domandato in quel momento Victor con voce incolore.
“Ora no, sta riposando. Può entrare solo il marito”.
“Sì… vorrei entrare… prima però… avrei bisogno di prendere aria”.
 
***
 
“Devi andare da lei, André”.
La voce di Girodelle lo riportò al presente. André chinò la fronte.
“Io… io non ce la faccio. Non adesso”.
“Ma come sarebbe a dire che non ce la fai? Oscar si è beccata una pallottola in pieno petto per proteggerti e tu non trovi il coraggio per entrare in quella stanza?!” proruppe Victor, perdendo le staffe.
“Voi… voi non capite!” protestò André “Io amo Oscar più di me stesso, e non riesco nemmeno a concepire una vita senza di lei! Ma lei.. lei sta morendo! E non me lo aveva detto, maledizione!”
“E tu forse le avevi detto di essere praticamente cieco?” lo freddò a bruciapelo l’uomo.
André lo guardò attonito.
“Ma come…?”
“Il tuo amico, quello col fazzoletto rosso. Ma non avrei tardato ad accorgermene, anche se riesci a mascherarlo bene”.
André si prese la testa fra le mani.
“Io… io volevo solo restarle accanto, per proteggerla… ma sapevo che non me lo avrebbe permesso se avesse saputo”.
“Anche lei in fondo ha voluto proteggerti” gli fece notare con tono aspro Victor.
“Lo so… in realtà io non sono arrabbiato con Oscar per avermelo nascosto… lo sono con me stesso. Se ora giace ferita in quel letto, è a causa mia… perché avrei dovuto sapere che in queste condizioni non sono in grado di proteggere nessuno!” gli confessò dolorosamente André “Ed è sempre colpa mia se non mi sono accorto prima della sua malattia… Alain sì invece, l’aveva notato, me lo aveva anche detto: la vedeva pallida, dimagrita… ma io non sono riuscito a vedere. Non ho voluto vedere”.
“Non è questo il  momento dei sensi di colpa, André. Adesso ti alzerai da questi scalini e andrai da lei”
“Voi credete che sia il senso di colpa a tenermi lontano da quella stanza?” André scosse la testa con un sorriso colmo di tristezza. “No, conte. In questo momento vorrei soltanto essere lì, tenerle la mano e vederla sorridere mentre le ricordo che soltanto poche ore fa parlava di matrimonio[3] Ma non  riesco a pensare di guardarla negli occhi e dirle che tutto andrà bene soltanto perché ora ci amiamo!” si sfogò  “Io… sto solo cercando di trovare la forza per accettare… che presto andrà via…  Solo così potrò rientrare da lei senza lasciar trapelare  la mia disperazione... e fingere che dopo questa giornata ci resti qualcosa… che non sia solo il dolore… e il rimpianto per la vita che avremmo potuto avere”.
“So che in questo momento le mie parole ti possono sembrare vane, ma non è ancora tutto perduto, André” obiettò Victor “Ho parlato con i dottori: con una dieta adeguata e un clima mite, forse c’è qualche speranza di…”
“Mia madre è morta di tisi quasi trent’anni fa, lo stesso Delfino non è riuscito a sopravvivere… non parlatemi di guarigione, conte Girodelle!” lo interruppe ruvidamente André.
“Non parlo di guarigione… ma di poter fermare la malattia” ribatté l’altro “Ascolta André… mio nonno materno era Corso e la mia famiglia ha ancora dei possedimenti sull’isola… niente di particolare, solo un palazzo disabitato che si affaccia sul mare e dei terreni di poco valore. Parigi è una polveriera e sta per esplodere: lì sareste al sicuro e Oscar forse… potrebbe migliorare”.
“Non lo so… non lo so” mormorò affranto André.
“Hai parlato di rimpianti, André… “ insisté Victor “ebbene, questa è l’occasione per rimediare, per avere quella vita che avevate sognato insieme” E che lei non ha voluto con me, pensò amareggiato, ma tenne per sé quell’ultima considerazione. “Quello che resta di questa giornata, André… è questo. Non il dolore, non il rimpianto… ma una possibilità… e la consapevolezza di dover vivere pienamente ogni singolo giorno che vi resta. Insieme
“Una possibilità…” ripeté pensoso André.
“Sì, una possibilità…  o se preferisci una speranza. Tu ora ti darai una pulita ed entrerai in quella stanza per dirle questo. Le parlerai di un palazzo affacciato sul mare più azzurro dei suoi occhi e di una piccola chiesa poco lontano dove coronare il vostro sogno… per essere felici”.
André per un istante tacque, poi tutto d’un tratto si alzò in piedi e a Victor non sfuggì il guizzo che aveva gli aveva improvvisamente animato lo sguardo.
“Grazie” mormorò con semplicità. “Per tutto”
“Non c’è bisogno di ringraziarmi. Lo faccio solo per lei”
“Lo so. Ma vi ringrazio lo stesso”

***

“Sei arrivato, finalmente…”
André si avvicinò al letto con un sorriso. Oscar nel frattempo si era fatta aiutare da Rosalie per mettersi seduta e lo aspettava impaziente, i begli occhi lucidi di commozione. Se non fosse stato per il volto terreo e le bende che s’intravedevano dall’apertura della camicia, non si sarebbe detto che era stata gravemente ferita poche ore prima.
André si sedette e prendendo la piccola mano bianca tra le sue, la baciò con dolcezza sul palmo e le dita, senza parlare.
Con la mano libera, Oscar iniziò a carezzargli delicatamente il capo.
“Hai avuto paura?” disse in un soffio.
“Sì… paura di perderti. Ma ora non più” mormorò lui intrecciando con forza le dita alle sue.
“André, io… c’è una cosa che…”
“Lo so già… ed è per questo che non riuscivo a venire. Il dottore mi ha detto… della consunzione”
Un’espressione dolente si affacciò sul volto della donna
“Mi dispiace che tu debba averlo saputo così… Sei… sei arrabbiato con me?”
“Arrabbiato? Oh no, Oscar, come potrei?” negò lui con fervore, scuotendo il capo. “Io non potrei mai essere arrabbiato con te per avermi voluto proteggere... non dopo aver fatto altrettanto. Per un momento ho solo ceduto allo sconforto ma io… io ti amo e ti resterò accanto. Qualunque cosa succeda”
“Poche settimane fa, davanti a mio padre… hai detto che non riusciresti mai a sopportare di vedermi morire” gli rammentò tristemente lei.
“Ma tu non morirai, Oscar”.
“Non oggi, ma il mio destino è comunque segnato, André… dalla tisi non si guarisce”.
“Sì, lo so. Ma un amico poco fa mi ha ricordato che non dobbiamo vivere di rimpianti. Abbiamo ancora tempo… sta a noi decidere come impiegarlo. Se aspettare che tu muoia e io diventi completamente cieco o vivere e lottare, anche solo per avere semplicemente un giorno o una settimana in più… per amarci”.
“Credi che ne saremo capaci, André?” mormorò lei “Riuscirai a sopportare di vedermi spegnere a poco a poco come una candela?”
“Farò di tutto per evitare che succeda… e comunque sia ti resterò accanto. Io non ti lascio più Oscar… mai più” la rassicurò intenerito “E alla fine di tutto, mi resterà almeno il ricordo… dei giorni meravigliosi che ci restano. Sempre che la proposta di stamane sia ancora valida” puntualizzò con una battuta, sorridendo sornione.
Sorrise a sua volta, Oscar, annuendo in silenzio.
“Ma dove andremo?” domandò subito dopo.
“Ne parleremo tra qualche giorno con calma, ora devi riposare. Ad ogni modo… che ne dici della Corsica?”
“La Corsica? Ma che diamine c’entra la Corsica, André? Ha a che vedere con l’amico di cui parlavi prima?” fece lei, accigliandosi un poco “E chi sarebbe? Alain? Bernard?”
“Ogni cosa a suo tempo… “ la punzecchiò André, sapendo quanto la irritasse tutto quel mistero. Si rialzò un poco, ma non poté resistere alla tentazione di posare le labbra su quella bocca deliziosamente imbronciata “Ora dormi… io… resto qua”.
 
Victor chiuse piano la porta cercando di non far rumore, lanciando un’ultima occhiata verso il letto. Oscar era scivolata in un sonno tranquillo e André continuava a vegliarla, senza lasciarle la mano.
La casa era avvolta nel silenzio: Rosalie era andata a dormire da una vicina, Alain e Bernard stavano partecipando a una riunione. L’indomani sarebbe stato il 14 luglio. La Storia stava facendo il suo corso… ma lui si sarebbe chiamato fuori: c’era ben altro per cui valeva la pena lottare, a cui dedicare la propria esistenza.
Victor si affacciò alla finestra aperta e inspirò profondamente l’aria fresca della sera, mirando quel cielo di luglio ormai violaceo, in cui iniziavano a brillare le prime stelle.
Il suo volto si distese finalmente in un sorriso. Oscar non lo avrebbe mai ricambiato; eppure, dopo quella lunga giornata, al pari di André qualcosa gli restava in fondo: l’appagante sensazione di quiete nel saperla felice… anche tra le braccia di un uomo che non fosse lui. E per quella felicità si sarebbe battuto.
 
 
 
E termina così questa OS di poche pretese, nata di getto in tre giorni (spero di cuore che non si veda) e ispirata, oltre che da Buio (finalmente lo posso scrivere senza rovinare il finale a nessuno!) anche dalla struggente flashfic di Tixit “Dopo la fine”. In pratica, mentre scrivevo mi sono resa conto che la mia fantasia stava colmando i vuoti da lei lasciati volutamente all’immaginazione del lettore... ed è venuto fuori questo Girodelle votato al martirio, che spero non risulti OOC al pari di André (forse un po’ meno incrollabile del solito).
 In realtà, per la scelta finale presa dal nostro Victor ho preso spunto non tanto dall’anime, quanto dal manga, dove tutto sommato fa un figurone: consapevole dell’amore di Oscar per André, rinuncia a lei per la sua felicità (insomma, in questo modo rimedia  alla “genialata” del ménage a trois!!).
Un ringraziamento speciale, ovviamente, per tutti coloro che si sono soffermati a leggere e soprattutto a Cecile Balandier, che mi ha procurato questa bellissima copertina (e a cui ho fatto venire il magone quando ha capito dall’immagine quale episodio avessi preso in considerazione!).
Un saluto a tutti e… buon 14 luglio!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[1] Dato che nell’anime inizialmente è visconte, poi si passa a conte… ho scelto il secondo titolo!
[2] Charles Eugéne Lorraine, principe di Lambesc (1751-1825), all’epoca al comando del Royal Allemand
[3] Episodio del manga, in cui è lei a fare la proposta XD
   
 
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