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Autore: Super Mimi_    14/07/2017    1 recensioni
Afferra le due buste della spesa tra le braccia, i prodotti acquistati che minacciano di cadere da un momento all'altro. Minacciano di cadere… chi aiuta le persone che 'minacciano di cadere'?
***
L'ennesimo punto di un'infinita lista di cose da fare. La prima: cercare Rufy, ma dove? Lui non esiste, non esiste, non esiste. Se lo ripete, lo mormora con voce incrinata. Lascia ricadere il polso lungo il fianco e si avvicina al lavabo. Perde. Il pavimento è sporco. Lei dovrebbe allontanare quei suoi pensieri da matta e concentrarsi su ciò che deve fare.
[RuNami][Nami centric!][4250 words][AU]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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I personaggi sono di Eiichiro Oda. La storia non è stata scritta a scopo di lucro.

Pensieri di una pazza


«Buona giornata!»
In risposta rivolge un mezzo sorriso mesto e cortese alla cassiera. Un mezzo sorriso. Una ciocca ramata spostata dietro l'orecchio. Afferra le due buste della spesa tra le braccia, i prodotti acquistati che minacciano di cadere da un momento all'altro. Minacciano di cadere… chi aiuta le persone che 'minacciano di cadere'? Attende che le porte scorrevoli si aprano davanti a lei, così, per magia, e si affretta ad uscire dal negozio ben illuminato. Lontano dalle luci al neon, dalla carne in scatola, dalle pizzette surgelate e dal sushi preconfezionato. Dalle bottiglie di cola e dallo zucchero filato.
Alza il viso verso il cielo grigio come cemento; le nuvole, gonfie e pesanti, iniziano ad addensarsi. Presto pioverà. Non c'entra nulla il colore dell'orizzonte, le nubi scure sulla sua testa o la stagione fredda e piovosa: lei lo sente. Semplicemente. Lo avverte nel venticello gentile che le accarezza il corpo, nell'umidità che le rende crespi i lunghi capelli arancioni, sulla pelle percorsa da sporadici brividi. Rimane immobile sul marciapiede, come in attesa che la sua previsione si riveli corretta. Così accade, perché, dopo pochi minuti, qualche goccia di pioggia inizia a picchiettare sull'asfalto della strada.

Plic. Plic. Plic.

Le labbra si stirano in una sottile linea che ha tutta la parvenza di un sorriso, mentre la pelle del viso e del collo si bea del gentile tocco della pioggia. Pioggia. Inspira a pieni polmoni l'inconfondibile odore della pioggia mista al cemento, un odore così distante da quello del legno bagnato.

Plic. Plic. Plic.

Ancora una volta ci ha visto giusto; non sa a cosa attribuire questa sua innata capacità di prevedere le condizioni climatiche. In realtà, non sa quasi nulla di sé, solo che si chiama Nami e che vive in uno squallido monolocale – una camera adibita a stanza e cucina con un bagno è definibile “casa”? – a Fukuoka, e questo basta. Basta a vivere tanto quanto respirare, non provare emozioni, allontanare le emozioni e continuare a svegliarsi la mattina. Chiude gli occhi, fa un respiro, forte e profondo, e li riapre. Buttare fuori aria e ricordi, anidride carbonica e urla spaventate, sofferenti, strazianti. Anche urla di gioia, di promesse lontane e mai mantenute. Così le hanno insegnato all'Istituto dove l'hanno ricoverata. Quella era diventata la sua casa, per lei la prima e così anche per i suoi dottori, perché nessuno si era fatto vivo, nessun famigliare né conoscente era venuto per riportarla a casa, alla sua vera vita. Una vita lontana dalle onde e dai grandi sorrisi, dai teschi dipinti con pennelli e risa, e da nemici da affrontare. Dai pirati e dai loro grandi sogni, grandi come il mare stesso.

Plicplic. Plic.

Percorre i gradini della stazione velocemente, il treno pronto a partire tra meno di cinque minuti. Lo sa, è così da ogni mattina oramai. La confusione colorata, coinvolgente e trafelata della stazione e della ferrovia la sommerge come un mare in burrasca. Gente avvolta nei cappotti autunnali; lavoratori con la loro ventiquattrore scura che si affrettano per scendere dalle carrozze; coppie di ragazzi che si stringono sotto l'ombrello variopinto, diretti verso i rispettivi binari. Non si ferma ad osservare i loro sorrisi felici e spensierati. Li allontana come fa con i rumori e con i ricordi particolarmente rumoreggianti e vividi. Tutte fantasie, perché non esistono i tesori e nemmeno un Treno Marino, questo si ripete mentre prende posto sulla penultima carrozza. Sempre la stessa, così come sempre lo stesso sedile – il terzo vicino la porta, davanti al finestrino. Può vedere il cielo da lì, come piace a lei. Posa le due buste stracolme sul posto di fianco al suo. Un ragazzo e una ragazza davanti a lei stanno battibeccando. Lui ha un finto broncio e lei, dopo averlo sgridato per un motivo a Nami non chiaro, ridacchia. È tanto infantile lui; eppure, è una scena dolorosamente famigliare ai di lei occhi, e non può evitare di sussultare quando lui le indirizza un enorme sorriso, così aperto e genuino da far quasi male. Quell’atteggiamento puerile stona su di un ragazzo ormai quasi adulto. L’altra ragazza non fa una piega, si limita a spostare la sua attenzione su di lei, a sua volta. La rossa abbassa lo sguardo e lo porta al finestrino alle sue spalle. È coperto dalle gocce di pioggia, fresche e cristalline. Sono ipnotiche per lei e le sue iridi nocciola, ora acquose. Il cuore trema lievemente nella gabbia toracica, sbatacchia contro le costole, ma presto torna alla normalità.

Un respiro per metà incrinato. Posa la fronte contro il vetro freddo e il suo viso pare sbollirsi.

Rufy.

Chiude gli occhi... Un secondo respiro.

Rufy: un nome che le perfora le tempie fino a farle temere di rompere il cranio. Il primo nome che, una volta giunta all'Istituto, ha pronunciato. Prima del suo nome, prima di tutto. L'hanno trovata su una spiaggia sperduta nel sud del Giappone, semicosciente e con un braccio e due costole rotte, una incrinata, ferite sulle gambe e lividi su tutto il corpo, come se fosse reduce da una battaglia. È stata ritrovata ridotta ad uno straccio con un pezzetto di carta stretto tra l'indice ed il medio della destra e quel nome sulle labbra. Lì, all'Istituto, l'hanno curata sia fuori che dentro, perché i tesori dei corsari e i 'nuovi mondi' sono solo invenzioni dei libri di avventura. Non hanno senso quelle ombre che vede ai lati degli occhi e che si sforza di ricordare. Lei deve allontanarli, quei ricordi che sono frutto del suo subconscio.
Nella sua mente, però, tutto prende una piega diversa, acquista un senso, persino quel pezzetto di carta bruciacchiato e ingiallito. Se lo conserva lui tornerà, ne è sempre stata certa. Ma, come dicono i dottori, un passo alla volta e tutto ridiventerà normale. Un obiettivo dopo l'altro: via le spade insanguinate e i buchi neri che la fanno urlare e singhiozzare la notte, via quegli occhi grandi e grigi che la fissano, i denti aguzzi e il rimbombo del colpo di una pistola, e poi via anche i “frutti del diavolo” che non danno poteri sovrannaturali. Via quei ragazzi inventati e i loro sorrisi, i loro sogni, perché i pirati vivono solo tra le pagine ingiallite di un romanzo. Non c'è posto per loro nella realtà, nella vita vera, ma per lei sì. Se riesce a scordarseli, anche lei potrà vivere come una persona normale.

Cosa è, poi, la normalità? Un lavoro da mattina a sera e un letto comodo per la notte. Una famiglia e una casa da cui tornare e un marito da amare. No, questo sembra così lontano dalla sua odierna vita e forse lo è anche da quella precedente. Lei non è normale, altrimenti non si sentirebbe come una fastidiosa intrusa nella realtà. Lei è pazza forse. Tutto così avrebbe senso: è anormale, una matta e per ciò deve starsene con i matti e le loro fantasie, giusto? Giusto?

Si ricorda quando le infermiere le leggevano delle storie e lei si rilassava ad ascoltarle, alcune volte persino si assopiva. Le sue preferite erano quelle sui corsari. Si perdeva a immaginarsi immense distese d'acqua che solcava a bordo del suo imponente veliero e la sua temeraria ciurma… quanti tesori avrebbero trovato e quante avventure vissuto! C'era il capitano con il suo cappello di paglia e lei era la sua navigatrice. Poi, però, smisero di leggerle racconti sui filibustieri perché venne considerato controproducente dal dottore. Solo una volontaria dai bellissimi occhi celesti, nonostante tutto, aveva continuato a portarle letture sui pirati, e lei divorava quei romanzi, leggeva sempre almeno tre capitoli prima di addormentarsi e nel sonno quelle avventure divenivano più vivide, più vere. Ora ha smesso di leggere, e così di ricordare. Gli occhi di quella donna, però, li rimembra bene: erano di un turchese così vivido che quasi sembrava potessero esserci il cielo e la storia dell’intero mondo sepolti lì dentro.

Il treno si arresta alla sua fermata, un ultimo sguardo a quel ragazzo dal sorriso grande e giù, sotto la pioggia e nella periferia di Osaka. Si stringe nella sua felpa azzurra, un lieve brivido freddo le percorre la schiena. Non cerca un riparo dalla pioggia, perché a lei non fa paura qualche goccia d'acqua, anzi, lei ama osservarla e ascoltarla, sentirla sulla pelle e sui vestiti. Un bacio sotto la pioggia tra l'odore salmastro di salsedine e quello di legno, la sabbia tra le dita e i vestiti… Rufy.
Scuote il capo, cancella tutto. Persino quel nome, Rufy, di cui non ricorda nemmeno il volto. Perché quella mattina ogni ricordo pare acuirsi e mostrarsi più vivido contro le sue palpebre? Perché non riesce ad accontentarsi di quel braccialetto d'oro al suo polso che le ricorda una famiglia lontana – perché nessuna sorella è mai venuta a cercarla – e un tatuaggio blu dall'inconsueta forma e dal significato a lei sconosciuto? Un tatuaggio che nasconde una cicatrice sottile, lunga e seghettata, del tutto simile a quelle che le sfigurano gli avambracci, che ha imparato a percorrere prima con le dita piangendo, poi con il coltello gemendo. Dolore fuori che copre le urla di ogni fibra del suo corpo; sangue fuori e vuoto dentro. Vuoto. Le ha sempre fatto paura. Vuoto come un buco nero che risucchia ogni cosa nelle sue tenebre striscianti e le rigetta in un mondo diverso, cupo, triste. Un vuoto che l'ha fatta sua vittima ed al quale non può più sottrarsi: è tardi. Un vuoto che le ha strappato la sua vita, cancellando quante più memorie è riuscito ad inghiottire.
Sospira. L'edificio grigio che si staglia davanti a lei fino al cielo è il palazzo dove vive. Entra, percorre le tre rampe di scale, ignora l'anziana che abita sotto il suo monolocale e le sue lamentale per stare bagnando il pavimento, e arriva alla porta. Ancora i borbottii della vecchia. Cerca le chiavi nella borsetta, le inserisce nella toppa, tre giri e abbassa la maniglia. È così spoglio il suo appartamento, nessuna foto di amici e famigliari, nulla. Pareti bianche e un unico quadro: una mappa incorniciata. Non sa che isola sia, l'ha disegnata una notte durante la quale non riusciva a prender sonno e quelle righe continuavano a premerle contro le palpebre fastidiosamente. Per lei i giorni successivi  furono un po' come un caccia al tesoro, alla ricerca di uno straccio d'informazione. Nulla, solo quel disegno ed un “Raft” che le comprimeva le tempie. E così quella cartina è diventata il suo memento, la sua Isola del Tesoro.
Sospira. Accende il televisore e inizia a riporre nell'armadietto della cucina i suoi acquisti. Raft. Raft. Raft. Tamburella le dita sul bordo dell'acquaio. Perde.

Una goccia. Raft.

Una seconda. Raft.

Dovrebbe ripararlo, magari chiamare un idraulico. Conosceva un uomo in gamba, bravissimo a riparare qualsiasi oggetto. Non si ricorda bene di lui. Non si ricorda affatto di lui. Solo che è bravo a riparare gli oggetti. Forse anche lui è soltanto frutto della sua mente, così come quel pirata. Chissà se or...
«Ed ora passiamo alle previsioni del tempo!»
Basta quella voce allegra e quell'annuncio per distoglierla dai suoi sconclusionati pensieri. In fondo, le hanno detto che non sono importanti. Sono folli e patetici, come lei.
Si avvicina all'apparecchio elettronico e prende posto sulla poltrona consunta che vi sta di fronte, di fianco al suo letto sfatto. La stoffa verde scuro della poltroncina è rovinata, consumata, in uno o due punti addirittura rattoppata. Guardare le previsioni climatiche è divenuta una sua abitudine da quando si è trasferita qui.
Pioggia per l'intero giorno. Così quello a seguire. Storce il naso, una lieve smorfia sul viso. Sbagliato!, vorrebbe urlare, così aveva fatto all'inizio. Nessuno, però, aveva dato segno di starla a sentire perché: “quella è una televisione, non un telefono”, lo cantilena nella sua mente. Il piede picchietta il pavimento e lei si porta la destra alla bocca per mangiucchiarsi l'unghia del dito indice. La mancina stringe il telecomando. Presto avrebbe smesso di piovere ed entro sera le nuvole si sarebbero diradate per lasciar vedere il sole tramontare dietro agli edifici grigi. Domani ci sarebbe stato un bel sole, qualche nuvola, ma non la pioggia. Lo sentiva nel vento, lo aveva odorato: frutti esotici e sabbia.
Si alza di scatto, la tv lasciata accesa. Ora riesce a sentire anche i passi pesanti dell'anziana sotto di lei e la voce furiosa dell'uomo dell'appartamento sopra il suo. Urla contro la ragazza che, a sua volta, alza la voce rotta dai singhiozzi. Quando si deciderà a lasciarlo? Quasi ogni sera rincasa ubriaco e fatto. A volte la picchia e lei rimane inerme, ogni sera ad aspettarlo. Nami l'ha incrociata un paio di volte sulle scale. L'ha sempre salutata e così anche la ragazza mora, poi, però, l’altra abbassava lo sguardo, come chi sa di avere un problema e se ne vergogna. Come chi esce puntualmente sconfitto dal proprio problema. Nami sa bene cosa prova. Anche lei ha un problema, ma il suo si chiama 'pazzia' e non è poi così evidente, lo riesce a nascondere piuttosto bene.
Quelle come lei dovrebbero stare in un manicomio. Lo ha sentito dire dall'anziana che abita nell’appartamento sotto al suo alla proprietaria del complesso. Quest’ultima prima era una donna sulla quarantina, sempre disponibile, poi suo marito è morto e la donna gentile con lui. Ricorda ancora quando, due mesi prima, le ha bussato alla porta ogni giorno minacciando di cacciarla fuori, in mezzo alla strada, se non le portava il pagamento per l'affitto. Ora due vecchie scorbutiche e impiccione ce l'hanno a morte con lei, non più una sola.
Sospira e si passa una mano sul volto. Si toglie la felpa e l'abbandona sulla sua poltrona. Guarda i suoi avambracci, si morde un labbro e indirizza uno sguardo al lavandino che perde. È indecisa: forse dovrebbe davvero chiamare un idraulico, ma ora le sue cicatrici bruciano, prudono. Spiccano perlacee e lucide sulla pelle, e la chiamano. Sono così ammaglianti per lei, un canto di sirena, e la voglia è troppa. Segue il percorso di una con l'indice destro. L'unghia scheggiata e mordicchiata, una volta terminata l'operazione, preme maggiormente sul polso. Si morde con più forza il labbro inferiore. Rufy, dov'è lui? L'unghia preme e riesce ad affondare nella carne. Scuote la testa e fuori Rufy, perché lui non esiste. Il sangue sgorga, il taglio si fa più profondo e largo, e qualche goccia rossa cade sul pavimento impolverato. Dovrebbe pulirlo. Asserisce con il capo. L'ennesimo punto di un'infinita lista di cose da fare. La prima: cercare Rufy, ma dove? Lui non esiste, non esiste, non esiste. Se lo ripete, lo mormora con voce incrinata. Lascia ricadere il polso lungo il fianco e si avvicina al lavabo. Perde. Il pavimento è sporco. Lei dovrebbe allontanare quei suoi pensieri da matta e concentrarsi su ciò che deve fare. Un passo dopo l'altro. Prima svuota la mente, lì, all'Istituto, lo ha fatto, poi riacquista la sua vita. Una vita ricostruita e rattoppata come la sua poltrona, una vita senza un 'ieri' concreto e con un 'domani' ancora più incerto appuntato come un promemoria sulla lista delle cose da fare. Vivere.
Corre in bagno, fa scorrere l'acqua e si rinfresca il volto. Alza lo sguardo sullo specchio che le restituisce il riflesso di una giovane dal volto smagrito e pallido, i capelli lunghi, mossi, di un arancione sbiadito, e gli occhi nocciola vacui, anch’essi sbiaditi. Non si piace, ma si ricorda quando era una bella ragazza che toglieva il fiato alla maggioranza degli uomini. Non si ricorda chiaramente. Non si ricorda nulla di ciò, ma sa che è così e non per presunzione. E si accontenta di quella convinzione per vedersi bella, per sapere di esserlo ancora, nonostante il suo aspetto trascurato, da pazza. Inspira e un tremito simile ad un singulto le scuote il petto. Ecco, arriva. Gli occhi pizzicano e si riempiono repentinamente di lacrime. Scivolano dalle ciglia e rotolano lungo le guance. Il loro tocco non è piacevole come quello della pioggia. Brucia e fa bruciare anche la sua pelle, la incendia. Un bruciore che si diffonde dal viso al collo e, infine, al petto. Lì fa più male perché non c'entrano più le lacrime, ma il cuore. Anch'esso brucia e preme più forte contro la gabbia toracica, come se volesse uscirne, ribellarsi alla fragilità di Nami. Fragile, non aveva mai amato essere chiamata così, prima e forse nemmeno ora; ma così l'hanno definita i dottori: fragile, debole, squilibrata. Come se fosse realmente una pazza, ma è questo che fa il dolore: porta lentamente alla follia, e lei di sofferenze ne ha provate parecchie. Lo sconforto e quel senso di vuoto che le divora ogni singolo lembo di pelle, ogni fibra dei muscoli, ogni millimetro di osso fanno male, quasi come la lama di un coltello che percorre l'avambraccio. La voglia di farlo è tanta, ora, e il dolore è come un flutto marino: s'infrange su di te con tutta la sua aggressività, minacciando di farti cadere, e poi si ritira lentamente e dolcemente, come un'amorevole carezza. Un rumore, però, la ferma. Si blocca, le mani strette ai bordi del lavandino e le braccia tese fin quasi allo spasmo. Un secondo rumore e delle urla, non ci vuole molto a capire che al piano di sopra è scoppiato nuovamente il putiferio. Urla arrabbiate e sconfortate. Vorrebbe raggiungere quel maledetto appartamento e zittirli, far cessare quegli inutili gridi che le feriscono i timpani. Cacciare lontano i rumori troppo forti, i rumori che fanno paura. Lo sa e se lo ripete, mentre dà le spalle allo specchio e si siede ai piedi del mobiletto. Rimane immobile, forse la burrasca si arresta. Qualche altra lacrima le percorre gli zigomi, e il naso continua a pizzicare e a gocciolare. Gli occhi nocciola sono spalancati sul tappetto color panna del bagno, vacui e persi in riflessioni troppo distanti e sfocate per poter essere raggruppate e per far prendere loro una piega razionale. I singhiozzi le scuotono sporadicamente il torace, spezzano qualche respiro e fanno tremare leggermente il labbro inferiore. Normale, per lei.
Plic. Il rubinetto della cucina perde. Vero, se lo ricorda ora. La sua mente si concentra sul rumore delle gocce che cadono nell'acquaio, quasi che quel suono reale e secco sia l'unica via d'uscita da quella malinconia. Come può continuare a vivere in quella realtà che non le appartiene e a cui non appartiene? Come? I pirati, loro dove possono trovarsi? Rufy. Perché non è ancora arrivato, dopo tre anni? Forse è lei che deve raggiungerlo.
Plic. Si passa il dorso di una mano sul volto e si assicura che il polso abbia smesso di sanguinare. Solo una ferita fresca e del sangue secco le sfigurano la pelle. Annuisce e si alza. La felpa. L'afferra, la indossa e si fionda fuori di casa. Non spegne la tv, non chiude la porta a chiave, non ripara il rubinetto. Quale rubinetto, poi? Ormai è un pensiero lontano, proprio come il pavimento da pulire, la spesa da finire di sistemare, il letto da rifare. È troppo impegnata la sua mente per badare a certe faccende da persone normali.

Fuori dall'edificio, Nami prende una boccata d'aria. La pioggia si è fatta più fitta, ma poco importa: presto sarebbe tornato il sole. Senza troppi tentennamenti, inizia a correre lungo il marciapiede. Evita alcuni passanti, altri li travolge nel pieno della foga della corsa. Si porta una mano alla tasca destra dei jeans ed è lì. Lì che brucia, che si consuma, che la chiama.
Più volte le macchine frenano per non investirla, una c'è quasi riuscita. Irresponsabile, non si attraversa la strada quando il semaforo è ancora rosso. Che importa? Vorrebbe urlarlo. Urlare quella repentina ed energica gioia che le sconquassa il petto. La sente, vorrebbe uscire e la voglia di gridare al cielo è tantissima... potrebbe esploderle la cassa toracica se non lo fa. Ride. Questo può, può farlo senza apparire pazza più di quanto già non lo sia. Non vuole di certo venir rinchiusa in un manicomio proprio ora, ora che tutto è finito o presto finirà.
Infila la mano nella tasca ed estrae il foglietto un po' ingiallito e bruciacchiato su di un bordo. Sta bruciando anche ora. Si concentra sulla carta che si accartoccia, si ripiega su stessa e diventa cenere. Non sa nemmeno lei come faccia a bruciare da sola, ma non si è mai posta troppi interrogativi a riguardo. L'hanno trovata con quel pezzetto di foglio tra le mani e lei sa che, sempre grazie ad esso, può ritrovare Rufy. Ne è certa. Osserva attentamente lo spostamento lieve del foglietto verso il Sud: è quella la direzione da prendere, finalmente le sta indicando dove trovarlo, dopo tanto tempo. Chiude gli occhi e arresta di botto la sua corsa. La testa pulsa, le voci parlano. Cerca di cacciarle, come le hanno insegnato, ma non può. Sono troppo vivide per essere allontanate. Neppure vuole farlo, non vuole dimenticare i suoi unici ricordi. Nami ascolta, ricorda.

«Nami, posso prendere uno dei tuoi mandarini?»
Rufy?

«Nami-swan, sei così bella in costume~!♥»
«Il solito damerino cascamorto e pervertito, tsk.»
«Che hai detto, bastardo di un Marimo?!»
Amici? 

«Noi non siamo deboli, Nami... resisti!»
Deboli? Resisti? Resistere a cosa? Perché? Cosa sta dicendo quel ragazzo?

Si porta una mano alla fronte. La testa ora gira, le tempie pulsano dolorosamente e le orecchie paiono piene di troppi voci sconosciute. Sono i suoi amici? E Rufy, dov'è?

«Sei come il mare…»
«Uh, il mare?»
«Sì! Mi trovereste sempre ed io troverei voi.»

Ride Rufy e ride anche Nami. Il mare? Ovvio! Corre alla stazione treni: è lì che punta il foglietto. Senza troppe difficoltà prende il primo treno che porta nelle vicinanze di quella spiaggia, dove tutto è iniziato – o finito.

*

La spiaggia, come previsto, è deserta. Sarà che l'ha raggiunta di sera o per le onde alte e perennemente mosse che non permettono di fare il bagno. Questa notte no, sono calme anche loro, come se la stessero aspettando.
Toglie le scarpe e immerge i piedi nella sabbia tiepida. Una sensazione piacevole, non c'è che dire. Inizia a camminare lungo la riva, le onde che le lambiscono le caviglie. Osserva la luna e il suo riflesso sul mare. La sua attenzione, però, viene attirata da un altro spettacolo, il più bello che abbia mai visto: un vascello si staglia all'orizzonte, sotto la luce lunare. Aguzza lo sguardo e si erge sulle punte. Eccola!, una nave pirata. Sorride, dopo tanto un sorriso vero e felice, non come quello tirato per la cassiera del supermercato o imbarazzato per la ragazza del piano di sopra.
Alza le mani al cielo e le agita. Salta sul posto e si sbraccia. Cerca di farsi notare. Sono venuti a riprenderla. Il cuore martella contro le costole e nei timpani per la gioia. Urla. Nami urla e ride. Sa che a breve sarà a casa. La sua vera casa. Ride. Ride e piange. La memoria di un dolore ora sbiadito, consumato, sfumato. Non fanno più male nemmeno le sue cicatrici. Fa qualche passo in avanti, si addentra nell'acqua più alta. I pirati non esistono qui.

«Ce ne hai messo di tempo!»

Una voce allegra e squillante alle sue spalle. Quella voce. La rossa si volta incredula. Un sorriso enorme e genuino, due occhi scuri e felici, e un consunto cappello di paglia: Rufy.
Nami sente le guance umide, da quando sta piangendo? Quelle stesse lacrime, che fino a quella mattina bruciavano, ora hanno smesso di scottare. Sono felici, incredule, innamorate. Gli getta le braccia al collo e viene a sua volta stretta dalle sue braccia forti. Posa il volto sul suo petto e il capo nell'incavo della sua spalla, trovando in pochi istanti il suo posto nel mondo. Lui la stringe maggiormente e le accarezza la chioma ramata e ribelle per calmare i singulti che scuotono il corpo minuto tra le sue braccia.
Tira con le dita i ciuffi scuri del pirata, il cappello perso nella foga dell'abbraccio e il suo pezzetto di carta ridotto in cenere e trasportato dal vento. Che importa, ora che lei è lì? Lontano il pavimento da pulire, il lavandino che perde, il sangue che le sporca gli avambracci pallidi. Ride lui e ride lei.
Rufy.

*

«Cronaca. Il corpo di una ragazza scomparsa da due settimane è stato trovato su una spiaggia nel sud, portato dall'alta marea. È morta annegata, molto probabilmente a causa delle forti onde...»
La tv è ancora accesa, dimenticata. Il pavimento è ancora più sporco di polvere e di sangue ormai secco e rappreso. Il lavandino perde, nessun idraulico è venuto mai a ripararlo. La casa rimane immobile, come in attesa.
La porta si apre, senza bisogno di utilizzare la chiave. Sbuffa la signora, nonché proprietaria del monolocale. Dietro di lei c’è la vecchia dell'appartamento al piano di sotto, che sapeva già da tempo che non avrebbe avuto vita lunga quella pazza.
«Povera ragazza» sospira la quarantenne, un briciolo dell'antica sensibilità ripreso.
Qualche passo nell'ambiente che sa di chiuso ed esce. La porta si richiude, questa volta a chiave. Lo venderà, ma non ora. Ritorna al piano inferiore, l'anziana continua a borbottare e a lamentarsi alle sue spalle.
La casa resta in attesa, avvolta in un silenzio innaturale, nemmeno la coppia del piano di sopra urla così forte.
In fondo, tutti potevano sapere che fine avrebbe fatto, tutti tranne lei, Nami, la matta che ha cercato la felicità, una felicità fatta apposta per lei, fino alla fine. Le cicatrici e le lacrime ora non bruciano più.
Rufy… Sono solo i pensieri di una pazza.





 



 

Angst's corner
Nuova OS RuNami, stavolta AU e dalle note abbastanza malinconiche.
Spero vi sia piaciuta. Un abbarccio,


Mimi
 

  
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