Kaiserreich
10
Alba
Bianca1
Tsaritsyn2,
Russia
17 Gennaio 1919
L’alba era uno spettacolo meraviglioso quella mattina:
era bianca come la neve che circondava l’area e che ricopriva col silenzio
glaciale dell’inverno ogni cosa, mettendo a risalto così i rumori occasionali
di qualche animaletto mattiniero che usciva dalla tana. Il silenzio, tuttavia,
era accompagnato dal suono melodioso di una balalaika, che con le sue corde
pizzicate riempiva le orecchie di Filip Armavirich. Il rappresentante del
popolo cosacco stava in piedi sulle rive fredde e nevose del Volga, osservando
in lontananza dal campo del generale Krasnov la città di Tsaritsyn. Per due
volte lui ed i suoi uomini avevano tentato di espugnare la fortezza bolscevica,
fallendo. I suoi cosacchi del Don erano dunque stati costretti ad accamparsi,
nell’attesa dei rinforzi dell’Armata Volontaria Caucasica, che era arrivata una
settimana prima. I soldati lealisti guidati dai generali Wrengel e Danikin
erano accampati presso quelli di Krasnov, ed attendevano con ansia l’attacco
per riconquistare la città. Filip diede le spalle alla città e si diresse verso
la tenda dei generali, accompagnato dalla musica della balalaika. Entrato
dentro vide i tre uomini in comando attorno ad un tavolo su cui vi era una
mappa di Tsaritsyn e dintorni. In quel momento Danikin stava spiegando la
situazione sul resto del fronte meridionale, e fece cenno a Filip di
avvicinarsi mentre continuava a parlare.
“Come accennavo precedentemente, Kornilov ed i suoi
hanno completato l’accerchiamento della città a nord, impedendo ai bolscevichi
di fuggire e bloccando i rinforzi che ormai saranno in marcia. Detto ciò,
possiamo iniziare a pianificare l’attacco vero e proprio, dato che il signor
Armavirich è qui. Ha qualche idea?”
Filip si portò la mano sinistra sul volto, per lisciare
pensoso i suoi neri baffi cosacchi, che tuttavia non toglievano la vitalità
giovanile della Nazione. Con i suoi occhi castani scambiò uno sguardo col
generale Krasnov. Gli occhi dell’uomo, color ghiaccio, brillavano alla fioca
luce della lampada al centro del tavolo, e lo osservarono attentamente. Alla
fine, iniziò a discorrere.
“La città è ben difesa da un consistente numero di
Guardie Rosse, ben armate e barricate tra le vie e gli edifici di Tsaritsyn.
Tuttavia non è del numero che dobbiamo preoccuparci, dato che grazie all’Armata
Caucasica li abbiamo soverchiati, ma del loro comandante: un georgiano, membro
del Politburo3 e candidato alla successione di Lenin dopo la sua
morte in Agosto4; il suo nome è Ioseb Jugashvili, ma i suoi uomini
lo chiamano Stalin.”
Danikin assunse un’espressione curiosa.
“L’uomo d’acciaio? C’è un motivo particolare?”
Krasnov rispose accendendo una pipa.
“Beh, sembra sia molto resistente nel fisico e molto
duro. È lui che mantiene insieme con disciplina quella banda di traditori.”
“Ad ogni modo,” ricominciò Filip “con o senza leader il
problema principale è come affrontare lo scontro. Né la nostra cavalleria né la
nostra fanteria è riuscita, infatti, a sfondare le linee difensive comuniste.
Manchiamo di forze di sfondamento.”
Wrangel fece un ghigno soddisfatto, e col suo volto
magro e caratterizzato da piccoli ed adunchi baffi osservò Filip.
“Non più, Signori, non più. Con noi abbiamo dei pezzi
d’artiglieria tedeschi! Ridurremo in polvere la resistenza di quei soldati!”
Krasnov osservò felice il generale, mentre Denikin
cerchiava i punti critici della città, punti da dover possibilmente bombardare.
“Dunque gli Ucraini portano anche cose utili di tanto
in tanto!” esclamò Krasnov.
“Non solo, abbiamo anche un’arma segreta da mostrarvi
qui fuori. Che dice, Anton, la mostriamo?”
Denikin sollevò il volto dalla mappa ed annuì.
Lasciarono tutti la tenda e si diressero verso il Volga. Sulla riva del fiume
vi era una piccola stazione per i battelli, occupata adesso da un AT7-V tedesco
su cui era stata disegnata la bandiera della Repubblica Russa. Vicino al carro
armato c’era il suo equipaggio, occupato ad chiacchierare osservando l’alba
bianca di Tsaristyn. Sulla superficie del fiume, in parte ghiacciato, c’era
invece un battello armato di un piccolo pezzo d’artiglieria piuttosto datato ed
una mitragliatrice. Filip si avvicinò scettico al carro armato, e gli diede un
calcio facendo scivolare giù un po’ di neve che si era accumulata sul tetto.
“Questa scatola d’acciaio sarebbe la vostra arma
segreta? I miei cavalli sembrano molto più agili e maneggevoli, o sbaglio?”
Chiese il cosacco, scettico, a Wrangel. Quello rispose appoggiando la mano su
uno dei cannoni del carro.
“Non si sbaglia, Filip Armavirich. Tuttavia dimentica
le sue qualità: questa bestia è resistente ed ha una potenza di fuoco
invidiabile. Per di più, i bolscevichi non la conoscono e ciò garantirà un buon
effetto sorpresa e terrore nei loro ranghi. Si fidi, sul fronte Occidentale queste
macchine vengono usate da entrambi gli schieramenti da tre anni ormai.”
Filip osservò gli altri generali, che davano ragione a
Wrengel. Si voltò di nuovo verso il carro e mormorò:
“L’attacco inizierà a mezzogiorno. Se entro l’alba di
domani la città non sarà ancora caduta, utilizzeremo la macchina tedesca. E
sarà meglio che funzioni.”
Tsaristyn, Russia
18 Gennaio 1919
Ore 6:30
Filip osservò l’orologio che teneva nel taschino:
segnava le sei e mezza del mattino. Alto sul suo cavallo, osservò lo scenario
intorno a sé. Dietro di lui, altri battelli si arenavano sulla riva del Volga
su cui si affaccia la città, aprendo i portelli e vomitando fanti con i fucili
armati di baionetta pronti a lanciarsi all’attacco. Il cielo, nuvoloso e
grigio, iniziava ad illuminarsi con le prime luci dell’alba, che imbiancavano
le nuvole. Le colonne dei soldati marciavano portando con sé alcuni pezzi di
artiglieria leggera, mentre dall’isola davanti la città facevano fuoco le
artiglierie tedesche in mano ai Bianchi. La città tuttavia, nonostante sotto
un’incessante pioggia di proiettili, non era ancora caduta. Per questo Filip
era nervoso: non voleva utilizzare quell’arma, che tuttavia vide sbarcare da un
battello insieme a mezzi motorizzati. Digrignando i denti, fece un cenno con la
mano ai suoi cavalieri cosacchi, che lo seguirono al trotto verso i primi
edifici semidistrutti della città. I luoghi di sbarco erano stati presi, e la
periferia ovest catturata, e Filip aveva in mente di puntare dritto al cuore
della città, tagliando in due le forze sovietiche per poi allargare il
corridoio fino a mergerlo con il fronte. Tra i tuoni dei cannoni, lanciò la
carica. Decine di cavalieri caricarono lungo la strada butterata di crateri,
affiancata dalla fanteria che faceva fuoco coi fucili. Dai sacchi di sabbia e
dalle barricate fecero capolino i bolscevichi, che cominciarono a sparare con
mitragliatrici e lanciare granate contro la cavalleria di Filip. Il cosacco,
dal canto suo, aveva assunto in volto un’espressione compiaciuta e sadica, come
ogniqualvolta che combatteva. Estrasse la sciabola con la sua mano destra,
guantata d’acciaio, e tirò fuori dalla cintura che teneva la sua giacca di
pelliccia una pistola, con cui sparò contro un sovietico oltre la barricata.
Accanto a lui gli altri cavalieri galoppavano impavidi contro i nemici, non
curandosi dei proiettili: alcuni adoperavano fucili a canne mozze, con cui
scaricavano sui volti nemici i grossi proiettili; altri caricavano con la
lancia in resta entrando nei buchi delle difese nemiche creati dai colpi di
mortaio esplosi lì vicino, ed infilzando i soldati rossi come spiedini. Il
cavallo di Filip balzò oltre la barricata, scalciando all’indietro e colpendo
con gli zoccoli la schiena di un avversario, spezzandola, mentre il giovane in
sella a lui fendette con la sua lama il collo di un ufficiale. Intanto altri
cavalieri e fanti scavalcavano le barriere di sabbia dei sovietici, mentre
alcune macchine corrazzate travolgevano barricate schiacciando i difensori
sotto le loro ruote e facendo fuoco contro altri, che si erano appostati dietro
alcuni tavoli rovesciati di una taverna. Dopo un po’, la piccola piazzola su
cui erano state costruite le barricate era stata ripulita dalle truppe nemiche.
Un paio di macchine corrazzate si incamminarono a massima velocità verso il
municipio, dove risiedeva il Soviet5 cittadino ed il quartier
generale di Stalin. Un proiettile di artiglieria esplose su un tetto di un
edificio, polverizzandolo e scatenando un tuono vigoroso, mentre Filip
osservava intorno a sé radunarsi cavalieri e fanti. Crebbe la sua adrenalina. Urlò
con tutto il fiato che aveva nei polmoni:
“За Родину! Для Республики! Следующий!6”
(Za Rodinu! Dliya Respubliki! Sleduiuscii!)
Portò il cavallo eretto sulle zampe posteriori e si
lanciò al galoppo, seguito dai soldati al grido di “Urrà!”. I cavalieri
passavano con la spada tutti i sovietici che incontravano, uccidendo e mutilando,
mentre i fanti rispondevano al fuoco nemico e caricavano con la baionetta.
Alcuni soldati bolscevichi, dopo aver rovesciato un carretto di alcuni civili
che scappavano verso il centro cittadino, fissarono una mitragliatrice e fecero
fuoco. Tra cavalli, soldati bianchi e rossi che cadevano a terra, Filip
cavalcava incurante, accompagnato dalle esplosioni dell’artiglieria che
provocavano piogge di detriti e travolse il carretto con i suoi difensori,
occupati a ricaricare la mitragliatrice, continuando imperterrito. Davanti a sé
riconobbe le sagome d’acciaio delle macchine: tuttavia erano in fiamme, fumanti
e irrimediabilmente danneggiate, con dietro alcuni soldati, o almeno chi non
era ferito, che facevano fuoco con tutto ciò che avevano. Il perché di ciò esplose
un colpo che arrivò dritto davanti a Filip, sbalzandolo dal cavallo, morto sul
colpo, e scaraventandolo oltre una di quelle macchine. Soccorso dai soldati, il
cosacco riprese la sciabola, caduta qualche metro più in là, e si mise in
ginocchio dietro la macchina. Si sporse un poco per vedere cosa avesse sparato
quel colpo, e vide un cannone anticarro dietro vari sacchi di sabbia, proprio
sull’entrata di una strada che si restringeva stretta tra gli edifici.
“Dobbiamo trovare un modo per abbattere quel cannone…”
Mormorò Filip. E gli venne in mente l’arma segreta di Wrangel. Ordinò ad uno
dei soldati vicino a lui di correre nelle retrovie e richiamare il carro
armato. Il soldato partì correndo il più velocemente possibile, mentre un altro
tentava di centrare con un proiettile del suo Mosin-Nagant7 la testa
degli artiglieri riparati dietro il cannone. All’improvviso, mentre ricaricava
il caricatore (il precedente si era vanamente consumato sui sacchi di sabbia o sulla
strada), si sentì uno sparo e il soldato cadde all’indietro con uno spruzzo di
sangue. Sulla fronte aveva un buco da cui usciva sangue, e sotto la testa si
formò una pozza rossa intrinseca di pezzi di cervello. Filip digrignò una
smorfia, e guardò verso le finestre dei palazzi, da cui sembrava fosse venuto
il proiettile. Tuttavia non sapeva da quale finestra provenisse. Si guardò
intorno e vide un cadavere sotto la macchina. Lo afferrò ed ordinò a i due
soldati rimanenti di sorreggerlo e portare la testa oltre la protezione del
mezzo, mentre lui prese il fucile del morto. I soldati eseguirono e il cranio
senza vita del cadavere fu trapassato, stavolta però Filip vide lo sparo ed
esplose anche lui un colpo verso la finestra dove stava appostato il cecchino,
che si accasciò morto con il busto penzolante oltre l’intelaiatura lignea e il
vetro scheggiato. Dopo aver vuotato il caricatore contro il cannone, mancando i
bersagli umani, Filip sentì il rumore di una finestra rotta, e sporgendosi vide
una granata volare giù verso di lui. Si alzò e si slanciò con forza e
prontezza, venendo investito dall’esplosione e sbalzato vari metri al centro
della strada. Filip tossì ripetutamente, impolverato e con le gambe doloranti.
Alzò lo sguardo e vide la bocca del cannone anticarro puntare verso di lui.
Rimase immobile, impietrito, ad osservare i bolscevichi caricare l’arma con un
proiettili, scosso dal dolore fisico e dalla paura. Sebbene infatti una Nazione
non possa morire che per mano di un’altra Nazione (o sé stessa in caso di
suicidio), o per la morte di tutti i suoi abitanti o l’estinzione della sua
cultura, le ferite rimanevano tali: ed un colpo d’artiglieria preso in pieno
significava la morte de facto. Le palpebre, spalancate sui suoi occhi castani,
si chiusero al suono di un esplosione, e si riaprirono appena il cosacco notò
di essere ancora senziente: la postazione del cannone era stata distrutta, e al
suo posto c’era un cratere insanguinato. All’immediata percezione del rumore
meccanico che sentì dietro di sé, Filip si voltò notando la figura dell’AT7-V.
Un portello si spalancò, ed un soldato prese di forza il giovane portandolo
all’interno del carro, che proseguì, scortato dai fanti di rinforzo, la lenta
marcia.
Tsaritsyn, Russia
18 Gennaio 1918
Ore 16:54
Nel Municipio di Tsaritsyn, danneggiato dai
combattimenti e dai colpi di artiglieria, i generali erano seduti intorno ad un
tavolo nell’ufficio del sindaco. Sui tetti degli edifici più importanti della
città ormai sventolava la bandiera della Repubblica Russa, e per questo
Wrangel, Denikin, Krasnov e Filip stavano facendo un brindisi con la vodka
trovata nell’ufficio. Il cosacco si era ripreso velocemente dalle violente
scosse subite agli arti, data la sua robustezza, e si stava difendendo dalle
continue frecciatine di Wrangel.
“Allora, mio caro Armavirich, ti sei ricreduto sulla
scatola d’acciaio?”
“Tks, è lenta da far schifo! Fosse arrivata prima non
avrei rischiato la vita in quel modo!”
Mentre i due continuavano a discutere sull’efficacia
dell’AT7-V, Denikin e Krasnov facevano il punto sulla situazione.
“Sembra che tra i vari fuggiti all’ultimo secondo ci
sia anche colui che chiamano Stalin, anche se è lui quello che ci ha tenuti
impegnati qui così a lungo.” Cominciò il generale dei cosacchi.
“Poco importa, Krasnov: ciò che conta è la presa della
città. Il contrattacco sovietico sta venendo bloccato da Kornilov, e Kharkov è
già stata riconquistata.”
“Siamo riusciti ad entrare in contatto con Kolchak?”
“Sì, si è congratulato della vittoria ed ha ordinato un
rafforzamento delle linee di rifornimento da Kazan a Tsaritsyn.”
Kolchak, comandate delle armate bianche siberiane e
nominato comandante in capo delle forze Repubblicane, stava nel frattempo ad
Omsk, impegnato nel gestire i movimenti imprevedibili della Legione
Cecoslovacca, prima schieratasi con i bolscevichi ed in seguito passata alle
forze lealiste. Denikin prese una mappa, e cominciò a tracciare alcune linee.
Wrangel e Filip si avvicinarono, avendo finito il duello verbale.
“La strada verso Mosca è aperta! Dovremmo
immediatamente approfittarne.” Disse Denikin, mentre segnava le divisioni
disponibili sulla mappa.
“Se conquistiamo Mosca, la guerra sarà vinta!” Esclamò
entusiasta. Tuttavia gli altri erano perplessi, e fu Wrangel ad esporre le sue
posizioni nettamente contrarie.
“То, что происходит в вашей голове, Деникина?8 (To, chto proiskhodit
v vashey golove, Denikina?) Un’avanzata adesso ci sarebbe fatale: le nostre
truppe sono stanche, il fronte si allungherebbe troppo e poi dimentichi Makhno
e la sua Armata Nera in Ucraina, che potrebbe facilmente tagliarci fuori! No, è
una mossa stupida adesso. Abbia pazienza, Denikin, e vedrà sorgere su Mosca
un’alba bianca molto presto.”
Denikin, sebbene scettico, si lasciò convincere. Ma per
vedere l’alba bianca di Mosca, avrebbe dovuto aspettare ancora a lungo.
Note:
1 Il titolo “Alba Bianca”, oltre al fatto che nel capitolo
si faccia riferimento molto spesso alle candide aurore, è anche una parodia del
film “Alba Rossa”, in cui l’Unione Sovietica, in piena Guerra Fredda, era
riuscita a conquistare la costa Occidentale del Nord America.
2 Tsaristyn, ad oggi Volgograd, è la più importante città
del bacino del Volga, e capitale dell’Oblast’ omonimo. Ai più è conosciuta come
Stalingrado, dato che, come abbiamo visto nel capitolo, fu difesa da Stalin
stesso. Nella nostra linea temporale, vincendo.
3 Il Politburo era il consiglio di tutti i Soviet
dell’Unione, ma durante la guerra civile era più che altro il gruppo dei
fedelissimi di Lenin.
4 Lenin non morì nell’Agosto del 1918 nella nostra timeline,
tuttavia in quella di Kaiserreich sì, ucciso da un fanatico menscevico. Questo
destabilizzò il morale dei rivoluzionari, e fu un elemento chiave della
sconfitta dei sovietici.
5 I Soviet erano i congressi locali dell’Unione Sovietica.
6 “Per la Madrepatria! Per la Repubblica! Avanti!” in russo.
7 Il Mosin-Nagant, fucile di produzione russo-belga, era l’arma
principale usata dalla fanteria russa nella Grande Guerra.
8 “Cosa ti passa per la testa, Denikin?” in russo.
Salve! Non ci si vede da un po’, eh? Beh, come promesso
eccovi il capitolo della seconda settimana di luglio: abbiamo fatto la
conoscenza di Filip Armavirich, il rappresentante della Nazione cosacca, mio
OC, che si creerà in seguito con il nome di Federazione del Don-Kuban. La
Guerra Civile Russa sarà l’argomento dei prossimi capitoli, che tuttavia non
avranno una scadenza precisa, sempre per via dell’estate. Quindi, fino ad un
contrordine, ogni tanto date un’occhiata per vedere se avrò aggiunto un altro
capitolo. Beh, non mi rimane che salutarvi, ringraziarvi per la lettura e per
la pazienza con cui avete atteso il capitolo, invitarvi a lasciare una
recensione, augurarvi buone vacanze e ricordarvi che, se vi foste annoiati, non
s’è fatto apposta. Ciao, alla prossima!