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Autore: Luca29    16/07/2017    0 recensioni
La Weltkrieg, la Guerra Mondiale, segnò un punto di svolta nella storia dell'umanità. Per sette anni, l'Europa bruciò nelle fiamme della guerra, e dalle sue ceneri emerse l'unico vincitore: l'Impero Tedesco. Nel 1921 la Pace con Onore sancì il destino dell'intero pianeta, che provava a risollevarsi. Antichi imperi crollarono, sorsero nuove Nazioni, nuove ideologie si diffusero tra la gente di un mondo sempre più sull'orlo di una nuova guerra, stavolta ancora più grande, e dall'esito incerto. L'eredità della Weltrkrieg era lì, da cogliere, e l'umanità intera avrebbe lottato per averla.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Alba bianca

Kaiserreich

10

Alba Bianca1

 

Tsaritsyn2, Russia

17 Gennaio 1919

 

L’alba era uno spettacolo meraviglioso quella mattina: era bianca come la neve che circondava l’area e che ricopriva col silenzio glaciale dell’inverno ogni cosa, mettendo a risalto così i rumori occasionali di qualche animaletto mattiniero che usciva dalla tana. Il silenzio, tuttavia, era accompagnato dal suono melodioso di una balalaika, che con le sue corde pizzicate riempiva le orecchie di Filip Armavirich. Il rappresentante del popolo cosacco stava in piedi sulle rive fredde e nevose del Volga, osservando in lontananza dal campo del generale Krasnov la città di Tsaritsyn. Per due volte lui ed i suoi uomini avevano tentato di espugnare la fortezza bolscevica, fallendo. I suoi cosacchi del Don erano dunque stati costretti ad accamparsi, nell’attesa dei rinforzi dell’Armata Volontaria Caucasica, che era arrivata una settimana prima. I soldati lealisti guidati dai generali Wrengel e Danikin erano accampati presso quelli di Krasnov, ed attendevano con ansia l’attacco per riconquistare la città. Filip diede le spalle alla città e si diresse verso la tenda dei generali, accompagnato dalla musica della balalaika. Entrato dentro vide i tre uomini in comando attorno ad un tavolo su cui vi era una mappa di Tsaritsyn e dintorni. In quel momento Danikin stava spiegando la situazione sul resto del fronte meridionale, e fece cenno a Filip di avvicinarsi mentre continuava a parlare.

“Come accennavo precedentemente, Kornilov ed i suoi hanno completato l’accerchiamento della città a nord, impedendo ai bolscevichi di fuggire e bloccando i rinforzi che ormai saranno in marcia. Detto ciò, possiamo iniziare a pianificare l’attacco vero e proprio, dato che il signor Armavirich è qui. Ha qualche idea?”

Filip si portò la mano sinistra sul volto, per lisciare pensoso i suoi neri baffi cosacchi, che tuttavia non toglievano la vitalità giovanile della Nazione. Con i suoi occhi castani scambiò uno sguardo col generale Krasnov. Gli occhi dell’uomo, color ghiaccio, brillavano alla fioca luce della lampada al centro del tavolo, e lo osservarono attentamente. Alla fine, iniziò a discorrere.

“La città è ben difesa da un consistente numero di Guardie Rosse, ben armate e barricate tra le vie e gli edifici di Tsaritsyn. Tuttavia non è del numero che dobbiamo preoccuparci, dato che grazie all’Armata Caucasica li abbiamo soverchiati, ma del loro comandante: un georgiano, membro del Politburo3 e candidato alla successione di Lenin dopo la sua morte in Agosto4; il suo nome è Ioseb Jugashvili, ma i suoi uomini lo chiamano Stalin.”

Danikin assunse un’espressione curiosa.

“L’uomo d’acciaio? C’è un motivo particolare?”

Krasnov rispose accendendo una pipa.

“Beh, sembra sia molto resistente nel fisico e molto duro. È lui che mantiene insieme con disciplina quella banda di traditori.”

“Ad ogni modo,” ricominciò Filip “con o senza leader il problema principale è come affrontare lo scontro. Né la nostra cavalleria né la nostra fanteria è riuscita, infatti, a sfondare le linee difensive comuniste. Manchiamo di forze di sfondamento.”

Wrangel fece un ghigno soddisfatto, e col suo volto magro e caratterizzato da piccoli ed adunchi baffi osservò Filip.

“Non più, Signori, non più. Con noi abbiamo dei pezzi d’artiglieria tedeschi! Ridurremo in polvere la resistenza di quei soldati!”

Krasnov osservò felice il generale, mentre Denikin cerchiava i punti critici della città, punti da dover possibilmente bombardare.

“Dunque gli Ucraini portano anche cose utili di tanto in tanto!” esclamò Krasnov.

“Non solo, abbiamo anche un’arma segreta da mostrarvi qui fuori. Che dice, Anton, la mostriamo?”

Denikin sollevò il volto dalla mappa ed annuì. Lasciarono tutti la tenda e si diressero verso il Volga. Sulla riva del fiume vi era una piccola stazione per i battelli, occupata adesso da un AT7-V tedesco su cui era stata disegnata la bandiera della Repubblica Russa. Vicino al carro armato c’era il suo equipaggio, occupato ad chiacchierare osservando l’alba bianca di Tsaristyn. Sulla superficie del fiume, in parte ghiacciato, c’era invece un battello armato di un piccolo pezzo d’artiglieria piuttosto datato ed una mitragliatrice. Filip si avvicinò scettico al carro armato, e gli diede un calcio facendo scivolare giù un po’ di neve che si era accumulata sul tetto.

“Questa scatola d’acciaio sarebbe la vostra arma segreta? I miei cavalli sembrano molto più agili e maneggevoli, o sbaglio?” Chiese il cosacco, scettico, a Wrangel. Quello rispose appoggiando la mano su uno dei cannoni del carro.

“Non si sbaglia, Filip Armavirich. Tuttavia dimentica le sue qualità: questa bestia è resistente ed ha una potenza di fuoco invidiabile. Per di più, i bolscevichi non la conoscono e ciò garantirà un buon effetto sorpresa e terrore nei loro ranghi. Si fidi, sul fronte Occidentale queste macchine vengono usate da entrambi gli schieramenti da tre anni ormai.”

Filip osservò gli altri generali, che davano ragione a Wrengel. Si voltò di nuovo verso il carro e mormorò:

“L’attacco inizierà a mezzogiorno. Se entro l’alba di domani la città non sarà ancora caduta, utilizzeremo la macchina tedesca. E sarà meglio che funzioni.”

 

Tsaristyn, Russia

18 Gennaio 1919

Ore 6:30

 

Filip osservò l’orologio che teneva nel taschino: segnava le sei e mezza del mattino. Alto sul suo cavallo, osservò lo scenario intorno a sé. Dietro di lui, altri battelli si arenavano sulla riva del Volga su cui si affaccia la città, aprendo i portelli e vomitando fanti con i fucili armati di baionetta pronti a lanciarsi all’attacco. Il cielo, nuvoloso e grigio, iniziava ad illuminarsi con le prime luci dell’alba, che imbiancavano le nuvole. Le colonne dei soldati marciavano portando con sé alcuni pezzi di artiglieria leggera, mentre dall’isola davanti la città facevano fuoco le artiglierie tedesche in mano ai Bianchi. La città tuttavia, nonostante sotto un’incessante pioggia di proiettili, non era ancora caduta. Per questo Filip era nervoso: non voleva utilizzare quell’arma, che tuttavia vide sbarcare da un battello insieme a mezzi motorizzati. Digrignando i denti, fece un cenno con la mano ai suoi cavalieri cosacchi, che lo seguirono al trotto verso i primi edifici semidistrutti della città. I luoghi di sbarco erano stati presi, e la periferia ovest catturata, e Filip aveva in mente di puntare dritto al cuore della città, tagliando in due le forze sovietiche per poi allargare il corridoio fino a mergerlo con il fronte. Tra i tuoni dei cannoni, lanciò la carica. Decine di cavalieri caricarono lungo la strada butterata di crateri, affiancata dalla fanteria che faceva fuoco coi fucili. Dai sacchi di sabbia e dalle barricate fecero capolino i bolscevichi, che cominciarono a sparare con mitragliatrici e lanciare granate contro la cavalleria di Filip. Il cosacco, dal canto suo, aveva assunto in volto un’espressione compiaciuta e sadica, come ogniqualvolta che combatteva. Estrasse la sciabola con la sua mano destra, guantata d’acciaio, e tirò fuori dalla cintura che teneva la sua giacca di pelliccia una pistola, con cui sparò contro un sovietico oltre la barricata. Accanto a lui gli altri cavalieri galoppavano impavidi contro i nemici, non curandosi dei proiettili: alcuni adoperavano fucili a canne mozze, con cui scaricavano sui volti nemici i grossi proiettili; altri caricavano con la lancia in resta entrando nei buchi delle difese nemiche creati dai colpi di mortaio esplosi lì vicino, ed infilzando i soldati rossi come spiedini. Il cavallo di Filip balzò oltre la barricata, scalciando all’indietro e colpendo con gli zoccoli la schiena di un avversario, spezzandola, mentre il giovane in sella a lui fendette con la sua lama il collo di un ufficiale. Intanto altri cavalieri e fanti scavalcavano le barriere di sabbia dei sovietici, mentre alcune macchine corrazzate travolgevano barricate schiacciando i difensori sotto le loro ruote e facendo fuoco contro altri, che si erano appostati dietro alcuni tavoli rovesciati di una taverna. Dopo un po’, la piccola piazzola su cui erano state costruite le barricate era stata ripulita dalle truppe nemiche. Un paio di macchine corrazzate si incamminarono a massima velocità verso il municipio, dove risiedeva il Soviet5 cittadino ed il quartier generale di Stalin. Un proiettile di artiglieria esplose su un tetto di un edificio, polverizzandolo e scatenando un tuono vigoroso, mentre Filip osservava intorno a sé radunarsi cavalieri e fanti. Crebbe la sua adrenalina. Urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni:
 “За Родину! Для Республики! Следующий!6

(Za Rodinu! Dliya Respubliki! Sleduiuscii!)

Portò il cavallo eretto sulle zampe posteriori e si lanciò al galoppo, seguito dai soldati al grido di “Urrà!”. I cavalieri passavano con la spada tutti i sovietici che incontravano, uccidendo e mutilando, mentre i fanti rispondevano al fuoco nemico e caricavano con la baionetta. Alcuni soldati bolscevichi, dopo aver rovesciato un carretto di alcuni civili che scappavano verso il centro cittadino, fissarono una mitragliatrice e fecero fuoco. Tra cavalli, soldati bianchi e rossi che cadevano a terra, Filip cavalcava incurante, accompagnato dalle esplosioni dell’artiglieria che provocavano piogge di detriti e travolse il carretto con i suoi difensori, occupati a ricaricare la mitragliatrice, continuando imperterrito. Davanti a sé riconobbe le sagome d’acciaio delle macchine: tuttavia erano in fiamme, fumanti e irrimediabilmente danneggiate, con dietro alcuni soldati, o almeno chi non era ferito, che facevano fuoco con tutto ciò che avevano. Il perché di ciò esplose un colpo che arrivò dritto davanti a Filip, sbalzandolo dal cavallo, morto sul colpo, e scaraventandolo oltre una di quelle macchine. Soccorso dai soldati, il cosacco riprese la sciabola, caduta qualche metro più in là, e si mise in ginocchio dietro la macchina. Si sporse un poco per vedere cosa avesse sparato quel colpo, e vide un cannone anticarro dietro vari sacchi di sabbia, proprio sull’entrata di una strada che si restringeva stretta tra gli edifici.

“Dobbiamo trovare un modo per abbattere quel cannone…” Mormorò Filip. E gli venne in mente l’arma segreta di Wrangel. Ordinò ad uno dei soldati vicino a lui di correre nelle retrovie e richiamare il carro armato. Il soldato partì correndo il più velocemente possibile, mentre un altro tentava di centrare con un proiettile del suo Mosin-Nagant7 la testa degli artiglieri riparati dietro il cannone. All’improvviso, mentre ricaricava il caricatore (il precedente si era vanamente consumato sui sacchi di sabbia o sulla strada), si sentì uno sparo e il soldato cadde all’indietro con uno spruzzo di sangue. Sulla fronte aveva un buco da cui usciva sangue, e sotto la testa si formò una pozza rossa intrinseca di pezzi di cervello. Filip digrignò una smorfia, e guardò verso le finestre dei palazzi, da cui sembrava fosse venuto il proiettile. Tuttavia non sapeva da quale finestra provenisse. Si guardò intorno e vide un cadavere sotto la macchina. Lo afferrò ed ordinò a i due soldati rimanenti di sorreggerlo e portare la testa oltre la protezione del mezzo, mentre lui prese il fucile del morto. I soldati eseguirono e il cranio senza vita del cadavere fu trapassato, stavolta però Filip vide lo sparo ed esplose anche lui un colpo verso la finestra dove stava appostato il cecchino, che si accasciò morto con il busto penzolante oltre l’intelaiatura lignea e il vetro scheggiato. Dopo aver vuotato il caricatore contro il cannone, mancando i bersagli umani, Filip sentì il rumore di una finestra rotta, e sporgendosi vide una granata volare giù verso di lui. Si alzò e si slanciò con forza e prontezza, venendo investito dall’esplosione e sbalzato vari metri al centro della strada. Filip tossì ripetutamente, impolverato e con le gambe doloranti. Alzò lo sguardo e vide la bocca del cannone anticarro puntare verso di lui. Rimase immobile, impietrito, ad osservare i bolscevichi caricare l’arma con un proiettili, scosso dal dolore fisico e dalla paura. Sebbene infatti una Nazione non possa morire che per mano di un’altra Nazione (o sé stessa in caso di suicidio), o per la morte di tutti i suoi abitanti o l’estinzione della sua cultura, le ferite rimanevano tali: ed un colpo d’artiglieria preso in pieno significava la morte de facto. Le palpebre, spalancate sui suoi occhi castani, si chiusero al suono di un esplosione, e si riaprirono appena il cosacco notò di essere ancora senziente: la postazione del cannone era stata distrutta, e al suo posto c’era un cratere insanguinato. All’immediata percezione del rumore meccanico che sentì dietro di sé, Filip si voltò notando la figura dell’AT7-V. Un portello si spalancò, ed un soldato prese di forza il giovane portandolo all’interno del carro, che proseguì, scortato dai fanti di rinforzo, la lenta marcia.

Tsaritsyn, Russia

18 Gennaio 1918

Ore 16:54

Nel Municipio di Tsaritsyn, danneggiato dai combattimenti e dai colpi di artiglieria, i generali erano seduti intorno ad un tavolo nell’ufficio del sindaco. Sui tetti degli edifici più importanti della città ormai sventolava la bandiera della Repubblica Russa, e per questo Wrangel, Denikin, Krasnov e Filip stavano facendo un brindisi con la vodka trovata nell’ufficio. Il cosacco si era ripreso velocemente dalle violente scosse subite agli arti, data la sua robustezza, e si stava difendendo dalle continue frecciatine di Wrangel.

“Allora, mio caro Armavirich, ti sei ricreduto sulla scatola d’acciaio?”

“Tks, è lenta da far schifo! Fosse arrivata prima non avrei rischiato la vita in quel modo!”

Mentre i due continuavano a discutere sull’efficacia dell’AT7-V, Denikin e Krasnov facevano il punto sulla situazione.

“Sembra che tra i vari fuggiti all’ultimo secondo ci sia anche colui che chiamano Stalin, anche se è lui quello che ci ha tenuti impegnati qui così a lungo.” Cominciò il generale dei cosacchi.

“Poco importa, Krasnov: ciò che conta è la presa della città. Il contrattacco sovietico sta venendo bloccato da Kornilov, e Kharkov è già stata riconquistata.”

“Siamo riusciti ad entrare in contatto con Kolchak?”

“Sì, si è congratulato della vittoria ed ha ordinato un rafforzamento delle linee di rifornimento da Kazan a Tsaritsyn.”

Kolchak, comandate delle armate bianche siberiane e nominato comandante in capo delle forze Repubblicane, stava nel frattempo ad Omsk, impegnato nel gestire i movimenti imprevedibili della Legione Cecoslovacca, prima schieratasi con i bolscevichi ed in seguito passata alle forze lealiste. Denikin prese una mappa, e cominciò a tracciare alcune linee. Wrangel e Filip si avvicinarono, avendo finito il duello verbale.

“La strada verso Mosca è aperta! Dovremmo immediatamente approfittarne.” Disse Denikin, mentre segnava le divisioni disponibili sulla mappa.

“Se conquistiamo Mosca, la guerra sarà vinta!” Esclamò entusiasta. Tuttavia gli altri erano perplessi, e fu Wrangel ad esporre le sue posizioni nettamente contrarie.


“То, что происходит в вашей голове, Деникина?8 (To, chto proiskhodit v vashey golove, Denikina?) Un’avanzata adesso ci sarebbe fatale: le nostre truppe sono stanche, il fronte si allungherebbe troppo e poi dimentichi Makhno e la sua Armata Nera in Ucraina, che potrebbe facilmente tagliarci fuori! No, è una mossa stupida adesso. Abbia pazienza, Denikin, e vedrà sorgere su Mosca un’alba bianca molto presto.”

Denikin, sebbene scettico, si lasciò convincere. Ma per vedere l’alba bianca di Mosca, avrebbe dovuto aspettare ancora a lungo.

 

Note:

1 Il titolo “Alba Bianca”, oltre al fatto che nel capitolo si faccia riferimento molto spesso alle candide aurore, è anche una parodia del film “Alba Rossa”, in cui l’Unione Sovietica, in piena Guerra Fredda, era riuscita a conquistare la costa Occidentale del Nord America.

2 Tsaristyn, ad oggi Volgograd, è la più importante città del bacino del Volga, e capitale dell’Oblast’ omonimo. Ai più è conosciuta come Stalingrado, dato che, come abbiamo visto nel capitolo, fu difesa da Stalin stesso. Nella nostra linea temporale, vincendo.

3 Il Politburo era il consiglio di tutti i Soviet dell’Unione, ma durante la guerra civile era più che altro il gruppo dei fedelissimi di Lenin.

4 Lenin non morì nell’Agosto del 1918 nella nostra timeline, tuttavia in quella di Kaiserreich sì, ucciso da un fanatico menscevico. Questo destabilizzò il morale dei rivoluzionari, e fu un elemento chiave della sconfitta dei sovietici.

5 I Soviet erano i congressi locali dell’Unione Sovietica.

6 “Per la Madrepatria! Per la Repubblica! Avanti!” in russo.

7 Il Mosin-Nagant, fucile di produzione russo-belga, era l’arma principale usata dalla fanteria russa nella Grande Guerra.

8 “Cosa ti passa per la testa, Denikin?” in russo.

 

Salve! Non ci si vede da un po’, eh? Beh, come promesso eccovi il capitolo della seconda settimana di luglio: abbiamo fatto la conoscenza di Filip Armavirich, il rappresentante della Nazione cosacca, mio OC, che si creerà in seguito con il nome di Federazione del Don-Kuban. La Guerra Civile Russa sarà l’argomento dei prossimi capitoli, che tuttavia non avranno una scadenza precisa, sempre per via dell’estate. Quindi, fino ad un contrordine, ogni tanto date un’occhiata per vedere se avrò aggiunto un altro capitolo. Beh, non mi rimane che salutarvi, ringraziarvi per la lettura e per la pazienza con cui avete atteso il capitolo, invitarvi a lasciare una recensione, augurarvi buone vacanze e ricordarvi che, se vi foste annoiati, non s’è fatto apposta. Ciao, alla prossima!

   
 
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