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Autore: Flos Ignis    16/07/2017    4 recensioni
Terza classificata al contest "Raccontami una fiaba" indetto da Freya_Crescent sul forum di EFP
“Sono convinta che mia figlia sia speciale oltre ogni immaginazione. Quando ho scoperto della sua esistenza ho sognato una splendida luna piena; prima era bianca come la neve, poi si è tinta di rosso sangue… e infine è diventata nera. Ho la netta sensazione che quel sogno volesse dire qualcosa, che fosse un avvertimento degli dei: per questo l’ho chiamata Hermione, perché lei è destinata a grandi cose.”
Un epilogo alternativo, in cui alla fine della guerra Hermione subisce gli effetti devastanti del Veleno di Biancaneve: invece di arrendersi, decide di dare un senso alla sua sorte, utilizzando tutto il tempo e le energie che le rimangono per compiere un miracolo.
Perché l’amore è la magia più potente che esista.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Sirius Black, Un po' tutti | Coppie: Hermione Granger/ Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Nickname sul forum: Fiore di Cenere  ;    Nickname su EFP: Flos Ignis
Fiaba scelta: Biancaneve
Coppia: Hermione/Sirius
Generi: introspettivo, romantico, sentimentale
Raiting: giallo
 

 

I LEGAMI DELL’ANIMA

 

 

Bianca come la luna
Rossa come il sangue
Nera come l’ebano… o come una Black.[1]


 

19 settembre 1979
 

Jean Eleanor Granger riposava in un letto d’ospedale, provata dalle fatiche del parto.
Il travaglio era durato molte ore e l’aveva debilitata esponenzialmente mano a mano che il tempo passava, i medici le avevano persino proposto di procedere con un parto cesareo, ma lei aveva rifiutato; era stato in quel momento che la sua bambina aveva finalmente deciso di venire al mondo, come a ringraziarla per la sua ferrea decisione di farla nascere con le sue forze.
Suo marito era stato accanto a lei per tutto il tempo: quella gravidanza era giunta inaspettata, ma entrambi l’avevano accolta con gioia.
Ora Scott Granger accarezzava teneramente i capelli di sua moglie, attendendo con impazienza di tenere sua figlia tra le braccia: i medici l’avevano portata via per farle gli esami di routine prima che potesse anche solo darle un bacio.
Come percependo i suoi nervi provati, finalmente la ginecologa che si era occupata di Jean per tutta la durata della gravidanza apparve nella stanza, attirando su di sé le attenzioni dei due ansiosi neogenitori. Depositò tra le braccia di lei il fagottino leggero che aveva voluto riportare di persona a quella coppia tanto giovane quanto innamorata, per poi rassicurarli sul fatto che la bimba fosse sana come un pesce.
-Che nome avete scelto per lei?-
Scott non aveva sentito quella domanda, aveva smesso di ascoltare quando era stato certo della salute della piccola: era troppo concentrato sulla visione della sua famiglia appena allargata per prestare attenzione a qualsiasi altra cosa che non fossero le due donne della sua vita.
-Hermione. Lei si chiama Hermione Jean Granger.-
Un bianco raggio di luna dipanò appena il buio della notte, illuminando quella stanza in cui una vita era appena sbocciata, meravigliosa come il più raro fiore notturno e altrettanto speciale.
-Posso chiedere il perché di un nome tanto singolare?-
Jean parve perdersi nei suoi pensieri per qualche secondo, osservando i capelli biondi e gli occhietti vispi della neonata tra le sue braccia.
-Sono convinta che mia figlia sia speciale oltre ogni immaginazione. Quando ho scoperto della sua esistenza ho sognato una splendida luna piena; prima era bianca come la neve, poi si è tinta di rosso sangue… e infine è diventata nera. Ho la netta sensazione che quel sogno volesse dire qualcosa, che fosse un avvertimento degli dei: per questo l’ho chiamata Hermione, perché lei è destinata a grandi cose.-
Suo marito sorrise, abituato a certe stranezze della moglie: la sua passione sfrenata per la mitologia greca era un fatto noto a chiunque la conoscesse e, come aveva sospettato, ciò aveva influito persino sulla scelta del nome.
-Il nome del messaggero di Zeus era “Hermes”, se ricordo bene.-
Fu graziato da un meraviglioso sorriso per questo suo intervento: evidentemente Jean era felice che si fosse ricordato di qualcosa che gli aveva spiegato lei stessa chissà quando.
La dottoressa sorrise loro, accondiscendente, commentando con un sorriso: -Beh, con un nome così importante il suo destino sarà sicuramente unico.-
Confermando il fatto che la piccola Hermione fosse stata designata dal Fato, in quel momento aprì gli occhi, svelando due pepite dorate al mondo. [2]
 


Presente

 

Sette mesi.
La luna piena aveva illuminato per sette volte il mondo da quando la Speranza aveva trionfato; dopo tanto tempo, finalmente la sua luce così pura non era più contaminata dalla guerra.
Le ferite si erano cicatrizzate, ciò che era andato distrutto era stato riparato e i morti erano stati pianti: anche se il lutto non se ne sarebbe mai andato, la vita aveva lentamente ripreso a scorrere in pace.

Hermione Jean Granger non si era fermata un istante in quel periodo: aveva aiutato nella caccia degli ultimi Mangiamorte ricercati e testimoniato ai processi, assistendo con immensa soddisfazione alla loro carcerazione ad opera di Kingsley Shacklebolt, nuovo Ministro della Magia.
Quando gli ultimi disordini erano stati sedati e i processi ultimati, aveva avuto intenzione di andare a riprendere i suoi genitori in Australia: ogni minuto libero lo aveva passato facendo ricerche su tutti gli incantesimi di memoria conosciuti, spaventata dall’idea di non poterli più riabbracciare. Le dava una certa fretta il più che fondato sospetto che più i giorni trascorrevano senza che lei intervenisse, più i loro ricordi di una vita felice condivisa in tre si facessero labili, allontanandosi irrimediabilmente da quell’angolo di coscienza in cui li aveva rinchiusi.

I suoi piani erano però andati in fumo: un male incurabile, a detta dei Medimaghi che aveva consultato, aveva iniziato per cause sconosciute a diffondersi nelle sue vene come un veleno, lento ma implacabile, e ormai con esso si contendeva il dominio del suo corpo da molte, troppe settimane.
Ogni giorno sentiva di perdere un po’ di sé stessa, ma aveva deciso di farsi visitare solo dopo un episodio abbastanza problematico di paralisi alle gambe durato diverse ore. I sintomi erano apparsi in principio come semplice stanchezza e piccole dimenticanze, per poi evolversi in svenimenti improvvisi e attimi in cui alcuni arti non le avevano risposto, ricadendo inerti: la durata di questi attacchi era aumentata nel corso del tempo, rendendola sempre più disperata ogni giorno che passava senza che trovasse una spiegazione.
Si era allontanata dai suoi amici, tacendo sul reale motivo per cui era diventata improvvisamente scostante e sfuggente. Ne avevano passate così tante, aveva pensato, che si meritavano solamente di riprendere le forze e godersi una più che meritata tranquillità.
Hermione era decisa: voleva affrontare da sola quella strana malattia, se di questo si trattava. A rafforzare la sua determinazione a tenere per sé quel problema, era giunta l’unica notizia utile che aveva trovato con le sue ricerche: un precedente, più di due secoli prima, che aveva avuto un epilogo che non somigliava per nulla al lieto fine delle fiabe.
Nel giro di pochi mesi, Maria Sophia Margaretha Catherina von Erthal [3] si era spenta, come divorata da un veleno insanabile, ora come allora. Nonostante non si fossero trovate prove, si era sospettata la matrigna di stregoneria: aveva convinto il marito ad allontanare la figlia di primo letto per permettere ai suoi di godere dell’eredità che avrebbe dovuto essere della giovane.
All’inizio, la bionda Grifondoro  non aveva capito perché le fosse suonato un campanello d’allarme leggendo il nome della matrigna, ma dopo aver scavato nella sua prodigiosa memoria aveva ricordato.
Durante il tempo che aveva trascorso a Grimmuld Place, molte erano le ore che aveva sottratto al sonno per passarle davanti all’arazzo della famiglia Black. Aveva imparato molto sulle parentele Purosangue, ma soprattutto le era stato utile per conoscere meglio la famiglia di Sirius.
L’arazzo e la storia di quella giovane sventurata avevano un nome in comune: Claudia Elisabeth von Reichenstein, matrigna di Maria Sophia e antenata della famiglia Black.
Quando l’aveva scoperto un singhiozzo le era uscito spontaneo, mentre una mano era scattata a coprirsi la scritta incisa sul suo braccio da Bellatrix.
Mudblood.
Una cicatrice di guerra che le ricordava costantemente quanto i pregiudizi potessero essere pericolosi, quanto sangue e quante lacrime erano stati versati in nome di un distorto ideale di purezza.
Aveva un che di ironico il fatto che era sopravvissuta così a lungo, contro tutti i pronostici, per poi scoprire di dover seguire nella tomba la strega che più di tutti aveva rappresentato per lei un nemico, l’incarnazione di tutto ciò contro cui stava combattendo… la donna che le aveva marchiato non solo la pelle, ma anche il sangue con una potente maledizione di cui non si conosceva il contro-incantesimo, il tutto tramite quella parola che era stata condanna di così tante vite innocenti da non poterle piangere tutte.
E se per lei era diventata un’etichetta di cui fregiarsi con orgoglio, al posto della precedente vergogna, era grazie all’uomo che era apparso nella sua vita come una minaccia da cui stare alla larga, da combattere, da comprendere, e solo poi una vittima da salvare, da proteggere, da ammirare. Un uomo da amare.
Sirius Black era stato molte cose, la gran parte delle quali certamente poco piacevoli per tanti degli individui di cui aveva incrociato il cammino, ma nessuno avrebbe mai potuto dire che era stato insignificante.
Nel bene come nel male, nessuno di coloro che aveva conosciuto si sarebbe mai dimenticato di colui che era stato marchiato dal suo stesso sangue come un reietto da eliminare, un’anomalia inspiegabile, una fiera indomabile nata nel grembo di una società, quella Purosangue, che se non poteva tenere sotto controllo qualcosa o qualcuno, questi veniva semplicemente cancellato.
Bastava un semplice tocco di bacchetta e il tuo nome ardeva sui muri, nei libri, persino nei cuori di chi ti aveva messo al mondo.
Ne aveva parlato spesso con Sirius, ma ogni volta Hermione restava sgomenta per il tranquillo disprezzo che l’uomo nutriva per ciò che gli era stato fatto. Solo dopo aver prestato davvero attenzione a ciò che le dicevano i suoi tormentati occhi grigi, al di là di ogni parola, aveva davvero compreso cosa celasse nel profondo del suo cuore.
E da quell’abisso, lei, non era più riemersa.
Era rimasta ammaliata da quel nero cuore che batteva furioso per amore: lei non aveva mai conosciuto un uomo dal carattere più sfaccettato, contraddittorio, paradossale, complesso e incomprendibile del suo. Aveva l’ira in corpo, ma combatteva come un leone affidandosi all’amore che ancora conservava nell’animo; di ombra e oscurità era permeata la sua mente come il suo stesso nome, ma aveva difeso la luce in cui aveva continuato a credere nonostante l’ingiustizia perpetrata contro di lui.
Ed era una crudeltà senza pari che il sangue del suo sangue avesse posto fine all’esistenza di Sirius, un’atrocità che Hermione si augurava Bellatrix avrebbe pagato all’inferno per tutta l’eternità.
La grifondoro aveva sempre combattuto contro le ingiustizie che aveva incontrato in vita sua, non avrebbe certamente lasciato che questa fosse la prima a restare impunita: non l’avrebbe mai fatto, ma, in virtù dei sentimenti cui aveva dato un nome troppo tardi, aveva ben più di una ragione per portare a termine il suo proposito.
Riportare indietro i morti era impossibile, nessun potere di questo o dell’altro mondo potevano intervenire sul ciclo della vita. Poteva ritenersi intelligente quanto bastava per capire che nemmeno con tutta la determinazione e il potere di cui avrebbe mai potuto disporre avrebbe potuto compiere un simile miracolo.
Era da mesi che attendeva con ansia di sperimentare alcuni degli incantesimi che aveva studiato appositamente per quest’unico scopo; riportare indietro i morti non era nelle sue facoltà, ma forse recuperare una persona dispersa in un altro mondo era tra le sue possibilità.
Hermione voleva rivedere Sirius un’ultima volta prima di morire. Quando era caduto oltre il Velo in seguito alla battaglia con Bellatrix, lei aveva la vista fuori uso a causa di una fattura di Dolohov che le aveva colpito il volto.
Non aveva neppur potuto dirgli addio.
Ripensandoci a distanza di anni, era stato meglio che fosse andata così: se l’avesse visto morire si sarebbe rassegnata, mentre ora aveva un obiettivo e i mezzi per raggiungerlo.
Non le importava se così facendo avrebbe accorciato la sua già breve vita, per far tornare l‘uomo che amava tra i suoi cari non avrebbe mai esitato, nemmeno se tra quelli che l’avrebbero accolto lei non ci sarebbe stata.

-Sei ancora in tempo per cambiare idea, Hermione. Non è detto che le tue ipotesi siano veritiere, per quanto brillanti. Ponendo invece il caso si rivelino corrette, come tu speri, ti ritroverai in uno stato peggiore della morte.-
-Il “Veleno di Biancaneve”, come hanno fantasiosamente chiamato questa maledizione, mi porterebbe in uno stato di morte apparente in ogni caso. La mia fine definitiva, se non hanno sbagliato la prognosi, dovrebbe avvenire nel giro di altri sette mesi. Se mi sbaglio, non ci perdiamo niente se a svolgere il rituale sono io, dato che sono comunque condannata.-
Hermione si volse alla sua destra con un’ardente decisione nello sguardo dorato, che divampava indomito verso il suo interlocutore: Kingsley era stato come sempre disponibile a riceverla, nonostante i suoi numerosi impegni, ma quando gli aveva esposto la sua teoria si era dimostrato palesemente contrario, tanto da convocare persino la professoressa McGranitt nel tentativo di dissuaderla.
Quando l’aveva minacciata di rivelare ogni cosa a Harry e Ron, aveva dovuto capitolare almeno su un punto: si era dovuta sottoporre alla prova del Veritaserum, perché nulla faceva più paura di nuovi problemi durante un periodo di pace appena sbocciato.
Forse l’avevano creduta sotto Imperius, o in stato di Confusione, o un devoto di Voldemort sotto mentite spoglie. Li capiva: parlare di resuscitare un morto avrebbe fatto dubitare anche lei della sanità mentale del suo interlocutore. Avevano convocato persino il suo Medimago, svincolandolo dal segreto professionale con la clausola della “priorità alla salute mentale”.
Alla fine avevano compreso che fosse perfettamente lucida, tanto da avanzare ipotesi su un argomento tanto complesso quanto accuratamente evitato come il Velo; tali ipotesi, inoltre, si erano rivelate non prive di fondamento.
Aveva dovuto mostrare tutto il suo materiale di ricerca per convincerli della concretezza delle possibilità di riuscita della sua impresa, ma ancora non erano stati convinti. La sua condizione fisica li aveva spaventati, oltre che intristiti, ma lei non aveva mollato: aveva detto chiaro e tondo che avrebbe portato a termine ciò che aveva iniziato, con o senza di loro, ma che con un aiuto in più il suo sacrificio avrebbe portato ad un risultato più sicuro.
-Sei certa di non voler avvertire almeno i tuoi amici?- era stata la sua professoressa a chiederlo, ed Hermione si voltò verso sinistra per guardarla negli occhi. Leggeva stanchezza in quello sguardo che aveva assistito alla morte di troppe persone, l’orgoglio del grifone appena sopito sotto la superficie, pronto a ruggire nuovamente, oppresso però al momento da una tristezza che inumidiva gli occhi ad entrambe.
Quella mattina aveva scritto di suo pugno una lettera di scuse, d’affetto e d’addio per ciascuno dei suoi amici più cari, per i suoi genitori anche se non le avrebbero mai lette e per Sirius, in cui gli confessava i suoi sentimenti più profondi, quelli che l’avevano fatta giungere fin lì, con il filo della sua vita che si sfilacciava sempre più, mentre combatteva contro quel tempo tiranno come una Moira della mitologia che da un lato tesseva la vita e dall’altro la tagliava.
La sua ora era vicina, mancavano due giorni all’eclissi di luna che avrebbe decretato, come il lugubre suono delle campane funebri, il suo addio al mondo.
Aveva pianto tutte le sue lacrime la notte precedente, ora era tempo di combattere ancora una volta, per quella che probabilmente sarebbe stata l’ultima e decisiva battaglia della sua vita.
Aveva lottato per un ideale, per la giustizia, per la sua vita e per quella dei suoi cari, ma mai prima aveva lottato solo per amore. Prima di capire che quella per Sirius era ben più di una cotta adolescenziale, avrebbe certamente detto che lottare per una sola persona non avrebbe mai potuto dare il coraggio e la forza di andare avanti nonostante tutto, non come se a guidare qualcuno fosse stato il bene di molti.
Hermione Jean Granger, in quel Solstizio d’Inverno [4]  capì quanto la sua stessa razionalità le avesse impedito di vedere molte realtà che erano proprio sotto i suoi occhi, ma così estranee al suo modo di essere che si era rifiutata di comprenderle.
Eppure era stata accanto alla Speranza per così tanti anni, assieme avevano riso, pianto, lottato, sofferto, amato… come aveva potuto vedere, ma non capire davvero?
Aveva visto l’amore di una madre sconfiggere il male per molti anni, il tempo che aveva impiegato suo figlio per crescere e portare a termine una profezia che lo avrebbe reso una vittima o un assassino. In qualche modo, Harry Potter aveva vinto persino sul destino.
Un groppo in gola la prese alla sprovvista, le sue ultime lacrime caddero senza che potesse impedirlo: era anche per il suo migliore amico che stava facendo tutto questo. Perché potesse ritrovare la famiglia che aveva scoperto e poi perso nel tempo di pochi battiti del cuore, perché potesse godere di un po’ della felicità che lui aveva portato nel mondo con la sconfitta di Voldemort.
Se anche non avesse amato Sirius con tutto il cuore, il sorriso di quel ragazzo straordinario dagli occhi verde speranza sarebbe stato un motivo più che sufficiente per lei e si sarebbe spinta oltre i suoi limiti per compiere anche miracoli con la sua magia.
Era proprio ciò che aveva intenzione di fare.

Erano disposti a triangolo, Hermione a pochi passi dal Velo conservato al Ministero della Magia, la professoressa McGranitt e il Ministro alle sue spalle, pronti a darle supporto. Non che potessero fare molto, la riuscita del rituale dipendeva unicamente da lei: avere le spalle coperte le dava sicurezza però, e tanto bastava.
Era una grande stanza buia, a malapena qualche candela permetteva di vedersi l’un l’altro. Il lieve crepitio delle fiammelle era sovrastato dai sibili che fuoriuscivano dall’arco di pietre davanti alla giovane strega, riempiendola di brividi freddi, il cervello che veniva quasi sopraffatto dall’istinto di tapparsi le orecchie.
Non poteva. Era giunto il momento.
Con la bacchetta ben salda nella mano destra, Hermione diede inizio al rituale.
Non pronunciò una sola sillaba, tutto ciò che fece fu alzare entrambe le braccia e con tale movimento muovere le fiammelle, che si levarono all’improvviso illuminandosi di una luce rossa come il sangue e calda come l’inferno.
La cera della candele si sciolse velocemente, andando a disegnare un pentacolo sulla fredda pietra grigia. Al suo centro, solo il Velo ed Hermione.
Abbassò le braccia e il fuoco si spense.
Aprì gli occhi che non ricordava d’aver chiuso ed esso si riaccese, illuminando la volta scura di un bianco freddo e abbacinante.
I preparativi erano completi.  La parte più complessa era giunta, ma lei non aveva più paura: essa era scomparsa insieme alle ultime stille di tristezza che aveva versato poco prima.
C’era un motivo ben preciso per cui doveva essere lei a eseguire l’incanto: dai suoi studi era emerso che le anime intrappolate oltre quella specie di portale giacevano come addormentate, prive dei propri ricordi e soffrendo indicibilmente per questa mancanza. Un’anima priva dei suoi affetti, di ciò che l’aveva nutrita e accudita quando abitava un corpo vivo, diveniva solo un’anima tormentata.
Gli affetti possiedono una magia particolare, che è solo loro: persino i babbani comprendono, seppur nei limiti delle loro conoscenze, la magia dell’amore: perché quando due persone creano un legame, una parte delle rispettive anime viene ceduta spontaneamente all’altro, senza neppure accorgersene.
Erano pochi a conoscenza di questa verità, di questa potenziale, enorme risorsa  magica che molti secoli prima era stata traviata e trasformata in una magia oscura e proibita come gli Horcrux. Sapere di avere una parte di sè custodita da altri non era semplice da accettare, specie perché non accadeva in modo volontario. Nel corso di una vita, un'unica anima lascia traccia di sé in così tanti modi diversi e in così tante persone da non poterne mantenere neppure il ricordo, alle volte.
Poteva trattarsi di una traccia quasi invisibile la maggior parte delle volte. Piccole gocce di sé che nel tempo sarebbero evaporate, ma quando persisteva nel tempo un vero legame, la parte di sé che si fondeva con gli altri era sempre più grande.
Era in questi casi che il rituale che stava per compiere poteva avvenire: Sirius le aveva lasciato un frammento considerevole di sé, pienamente ricambiato da lei. Una parte di lei era stata uccisa insieme a lui da Bellatrix. Ed ora, sarebbe morta presto, sempre a causa di quella strega pazza.
Di lei sarebbero sopravvissuti quei frammenti che aveva donato ai suoi amici, a Harry, Ron e Ginny : forse era quello il motivo per cui, nonostante i suoi timori, aveva accettato il suo destino con relativa tranquillità.
Non sarebbe morta invano, e non lo sarebbe stata affatto nei cuori di coloro che aveva amato in vita.
La magia le ruggiva nelle vene, alimentata dalla forza e determinazione che animavano le sue intenzioni, perciò non perse tempo: intonò il richiamo, la voce le uscì chiara e limpida, le mani non tremarono, gli occhi non mostrarono alcun dubbio.
Usò come calamita la parte di Sirius che le era rimasta nel cuore e come pegno l’anima che lei aveva perso nel momento della sua scomparsa.
Eccolo il prezzo da pagare: Hermione avrebbe restituito a Felpato l’integrità della sua anima, condannando la propria all’oblio. Non avrebbe ricordato nulla, perché avrebbe donato tutta la sua conoscenza all’uomo che amava, cosicché potesse conoscerla attraverso le sue memorie e i suoi sentimenti.
Con la condanna del Veleno di Biancaneve che le pendeva tra capo e collo, di certo non le sarebbe servito ricordare chi era.
Ad un morto non servono memorie.
Va bene così. Sirius, vieni fuori. Torna qui, dalle persone che ti vogliono bene.
Poche parole ancora, la fatica che iniziava a farsi sentire, la sua maledizione che prendeva sempre più forza dentro di lei, pronta a ghermirla una volta per tutte.
La stanza che vibrava di potere, le urla di molte persone, molte più di quante non fossero all’inizio, ma a lei non importò.
L’arco di pietra si sgretolò, il velo parve cristallizzarsi per pochi istanti prima di frantumarsi e rivelare l’uomo che aveva celato per tanto tempo.
Il tempo sembrò immobilizzarsi quando egli aprì gli occhi, confuso e frastornato, ma inequivocabilmente vivo.
Hermione sorrise di pura gioia quando poté incrociare un’ultima volta il suo sguardo tempestoso, ma il tempo tiranno riprese a scorrere e ciò che aveva fatto pretese il suo prezzo: la maledizione, non trovando più ostacoli, avanzò violenta e implacabile, aggredendo ogni parte di lei, che poté solo lasciarsi andare, sfinita come mai in vita sua.
Non seppe nemmeno che la prima parola del mago che le aveva conquistato il cuore, nella sua nuova vita fu il suo nome, urlato con un tono roco e disperato.
-HERMIONE!-
 

*****
 

Erano stati giorni di confusione, di domande, ma soprattutto di disperazione.
Perché una cara amica si era sacrificata in silenzio, per permettere ad un compagno perduto di tornare.
C’erano state lacrime, ed era stato difficile versarle: per la gioia, per la tristezza, per tutto ciò che non avevano saputo affrontare. Sembravano tornati i neri giorni di lutto che si sperava non tornassero più, non per qualcuno di così giovane, coraggioso e altruista come Hermione Jean Granger.
Sirius Black aveva ancora molte domande che gli frullavano in testa, ma quando meno se lo aspettava sentiva la voce di Hermione, della sua piccola amica cui doveva la vita ben due volte, rispondergli nella mente.
Aveva scoperto grazie alla sua voce cosa era accaduto nel tempo in cui era stato dato per morto, della guerra e della vittoria finale, dei caduti e dei sacrifici; aveva visto tramite un altro paio d’occhi la fine di sua cugina – era anche ora, stronza malefica! -, ma anche di chi aveva portato con sé nella tomba. Hermione, la sua Hermione, che aveva affrontato da sola una logorante fine senza chiedere il sostegno di nessuno; anzi, si era fatta forza e aveva trovato il modo, benedetta strega dal cervello straordinario, come l’aveva apostrofata la cara vecchia Minnie, di non rendere vana la sua morte.
I suoi amici di sempre avevano protestato, urlato, ma ormai non c’era stato più nulla da fare. Ora lei giaceva in un letto d’ospedale, in una sala privata affinché la notizia passasse sotto silenzio almeno per qualche tempo. Non aveva bisogno di macchinari per respirare, ma dei monitor controllavano costantemente le sue condizioni: era in coma, un sonno irreversibile che avrebbe fatto cedere il suo cuore nel giro di qualche mese.
Avevano letto al suo capezzale, tutti insieme intorno a lei, le lettere che aveva lasciato loro.
Sirius ricordava bene i singhiozzi delle sue amiche, la biondina svagata e la focosa piccola fidanzata del suo figlioccio, quando lui aveva letto la sua: un amore straziante, logorato dal rimorso di non averlo riconosciuto in tempo, di non averglielo detto, di non averlo salvato.
Aveva quasi pianto lui, invece, quando Harry aveva letto la sua lettera: gli occhi verdi erano rimasti asciutti, ma erano vuoti da far paura, come se il suo dolore fosse immenso come l’oceano e lui semplicemente vi fosse affogato dentro.
Aveva lasciato per tutti loro parole gentili, di forza e coraggio, di generosità e altruismo, affinché continuassero a vivere anche per lei, così che l’anima che aveva affidato ad ognuno di loro potesse vivere insieme ai suoi cari per sempre.
Sirius, a quelle parole, non aveva retto. Erano tutti devastati, lui per primo si sentiva peggio che morto - ed era uno dei pochi a poterlo dire, a questo mondo, con assoluta certezza, perché se essere oltre il Velo non significava essere morti, poco ci mancava-. Era un filo sottile a dividere le due cose, quel luogo era come un limbo infinito in cui non si sarebbe mai trovata pace.
Ed Hermione era finita in un posto simile, per lui.
Non ci stava.
Non avrebbe festeggiato il suo ritorno, non a un simile prezzo, non finche non l’avesse salvata.
Aveva una maledizione da spezzare e una damigella da salvare, proprio come in una di quelle fiabe babbane che a volte lei gli aveva raccontato nel cuore della notte, quando abitavano a Grimmuld Place, per lenire il terrore che lo attanagliava ogni qualvolta il ricordo di Azkaban gli mozzava il respiro.
Lei gli narrava le fiabe della sua infanzia, lui la ascoltava e tornava a credere in un mondo migliore. Era stato in quei momenti che le loro anime si erano toccate e fuse insieme.
Se Hermione aveva fatto leva su quel sentimento per farlo tornare, lui avrebbe fatto altrettanto per riprendersela.
Non era la sola, la giovane Grifondoro, ad avere dei rimorsi sul tardivo riconoscimento dei suoi sentimenti.

-Sirius, non credo di farcela.-
Harry lo stava praticamente implorarlo di non farlo, perché non avrebbe retto alla perdita di una persona cara, non di nuovo: ne sarebbe morto.
-Devo andare a riprendere Hermione, non la lascio morire per me, non anche lei. Ho bisogno che ti fidi di me, Harry.-
-Mi fido di te. Sai, mi era sembrato di vedere una strana complicità tra di voi… ma poi, con tutto quello che è capitato quell’anno, non ci ho più pensato. Ho creduto che lei e Ron potessero costruire qualcosa, ma lei ha sempre negato. Ora capisco perché.-
Lui si sentì un po’ a disagio ad avere quella conversazione proprio con il suo figlioccio, ma al tempo stesso non c’era persona più adatta di lui.
-Le devo due volte la vita, figliolo. Non è qualcosa che posso ignorare, mentre lei aspetta di morire nel sonno, da sola.-
Il Bambino Sopravvissuto ebbe un forte sussulto, per poi coprirsi gli occhi con le mani: rimase fermo a pensare, per minuti interi, tempo che il suo padrino passò a tormentarsi il cervello cercando le parole giuste per convincerlo ad approvare il suo piano: sapeva, in cuor suo, che ci avrebbe provato comunque, ma il senso di colpa per essere andato contro il volere di Harry l’avrebbe perseguitato per tutta la vita.
Quando finalmente incrociarono nuovamente gli sguardi, la decisione era stata presa.
-Va bene, facciamolo. Dobbiamo riportare Hermione a casa, o aver tanto sofferto per vincere questa guerra perderebbe di senso, se la ragazza a cui entrambi dobbiamo la vita muore così.-
 

*****
 

Faceva freddo in quel luogo, ovunque esso si trovasse. Una distesa infinita in cui i suoni perdevano volume prima ancora di nascere, dove i colori mutavano alla velocità della luce creando un caleidoscopio minaccioso e oscuro che le vorticava attorno.
Era una sensazione che non sapeva spiegare bene, specialmente perché non ricordava chiaramente come avesse imparato la differenza tra caldo e freddo, come non ricordava molte altre cose.
Sapeva di aver vissuto, di aver incontrato persone e visto luoghi, ma con il tempo tutto ciò le sembrava sempre più un sogno e quell’incubo diventava la sua realtà.
Non percepiva più il passare del tempo, se non con il diminuire sempre più drastico dei suoi ricordi: sempre meno volti le facevano compagnia nella solitudine della sua mente, non ne sentiva più le voci, non ricordava in che modo erano stati importanti per lei. Non ricordava chi era lei.
Presto sarebbe stata completamente sola ad affrontare il peso sul suo cuore: ricordi di una tortura, di urla, di dolore e pianti disperati, di sangue e morte, di perdita e lutto.
Sempre più spesso scene del genere le riempivano la vista e l’udito, a malapena riusciva a controllare il suo stesso corpo, a contenere la voglia di rannicchiarsi a terra e lasciarsi schiacciare.
Cosa la spingeva a resistere? A farsi forza, stringere i denti e continuare a lottare? Per farlo doveva richiamare alla mente quanti più ricordi possibili e contrastare quelli dolorosi con quelli più lieti, ma prima o poi sarebbero finiti i sorrisi. A ogni ondata di dolore, molta della gioia che portava con sé veniva distrutta e lei non poteva farci nulla.
Poteva solo resistere finché aveva i mezzi per contrastare quelle maree di nero oblio, ma poi? Cosa le sarebbe accaduto?

Non ebbe modo di pensarci per l’ennesima volta, poiché accadde qualcosa di diverso in quell’istante, qualcosa che non poteva assolutamente prevedere: il destino cui era andata incontro aveva fatto una brusca svolta, prendendo il volto dell’uomo dagli occhi grigi che spesso appariva tra i suoi pochi rimasugli di memorie.
La guardò, la studiò a lungo e le sue labbra presero una piega quasi canzonatoria per rivolgerle la parola.
-Hermione, ma guardati…stai da schifo!-
-Er…mione?-
Possedeva la voce di una bambina, ma era quasi certa di essere adulta. Era tutto estremamente confuso.
L’uomo parve turbato, ma subito riprese l’espressione gioviale con cui era apparso.
-No, non Ermione, il tuo nome è ‘Hermione’… Non importa, abbiamo tempo. Ora però vieni con me, abbiamo molte cose da fare e tu da imparare nuovamente.-
-Imparare? Cosa vuol dire?-
Questa volta lui quasi cadde, emettendo un grugnito dal sapore disperato e incredulo.
-Ma che cazz…? Siamo messi peggio di quanto temessi. Forza, a quanto pare non abbiamo tutto il tempo che credevo. Spero solo che basti.-
La prese per mano e la avvicinò a sé il più possibile, parlandole a voce sempre più bassa: -Non ti ricordi proprio di me? Andiamo Hermione, sei la strega più brillante della tua età! Mi sei venuta a salvare dai Dissennatori in groppa a un ippogrifo quando avevi tredici anni; quando ne avevi quindici hai vissuto con me per un po’ e, diamine, eri davvero odiosa con quel modo saccente di correggermi ogni due minuti! Ma più lo facevi meno pensavo ai miei tormenti, più mi sgridavi più il passato allentava la sua presa… e tu prendevi il suo posto tra i miei pensieri.-
Non capiva bene ciò che le veniva sussurrato sulle labbra, troppo distratta da quell’effimera distanza: però, la sua anima aveva sussultato più di una volta a quelle parole, come se fossero la realizzazione di un desiderio che l’aveva a lungo divorata.
-Anche se non lo ricordi, tu mi hai dato quel che restava della tua anima per potermi risvegliare, hai compiuto un sacrificio per amore e hai compiuto un miracolo. Io sono qui per ricambiare il favore: ti restituisco la parte di te che mi hai donato.-
Due cose accaddero contemporaneamente: le loro labbra si unirono dolcemente, e i ricordi del tempo passato con quell’uomo, con Sirius, tornarono a lei di diritto.
Pianse di gioia, perché diversamente da quanto le accadeva solitamente in quel luogo sperduto come un bimbo abbandonato, invece di perderne aveva riconquistato dei ricordi felici: in particolare, si era ricordata il suo nome e dell’amore che aveva provato. Era felice di aver conosciuto un sentimento così intenso e travolgente e le sue lacrime stavano esprimendo senza indugio questo tumulto interiore.
-Sirius… tu sei Sirius! Perché sei qui? No, non importa, sei vivo e questo mi basta, perché significa che ce l’ho fatta a riportarti indietro!-
Erano stretti in un abbraccio stritolante da cui non intendevano minimamente fuggire; fu lui il primo a distaccarsi, seppur malvolentieri.
-Hai recuperato solo una parte di te stessa, ma ho portato con me qualcun altro che possa aiutarti: guarda dietro di te.-
C’erano sei persone oltre a loro due, ma non avrebbe saputo dire da quanto fossero arrivate. Li conosceva tutti molto bene, riusciva a dare un nome a ciascuna di quelle figure che si erano avvicinare fino a circondarli in un semicerchio che sapeva di protezione.
Eppure, cosa la legava davvero a quelle persone? Sentiva la nebbia che nascondeva la verità su di sé leggermente diradata dopo essersi ricongiunta all’uomo che amava, ma essa persisteva ancora, più tenace di lei.
Non aveva la forza di combattere…
-Invece si, Hermione. Hai un cuore coraggioso, molto più di quanto tu creda. Abbiamo lottato fianco a fianco così a lungo che la mia vita non avrebbe senso senza di te, perciò sono venuto a riprenderti.-
Harry sorrise, un po’ emozionato, passandosi una mano tra i capelli più disordinati che lei avesse mai visto, per commentare poi con un po’ di ironia, spezzando la tensione: - Certo, non avrei mai immaginato che la mia migliore amica fosse innamorata del mio padrino, ma penso di potermici abituare.-
Tornò serio in un lampo, fissandola con due incredibili occhi verdi che lei ricordava bene, perché erano apparsi spesso a confortarla dalla solitudine di quel nulla che li circondava.
-Ma per potermi abituare all’idea di voi due insieme, tu devi tornare indietro. Perciò Hermione, trova un’ultima volta il coraggio di combattere, ma stavolta fallo per te stessa.-
Le prese una mano, e quel contatto le trasmise una marea di ricordi di loro due intenti a ridere, studiare, parlare, o più semplicemente appoggiarsi l’uno all’altro nei momenti più oscuri delle loro vite, quando a volte la speranza era sparita e il motivo per cui avevano combattuto così strenuamente sbiadiva dai loro cuori. Ma loro avevano resistito, avevano combattuto e vinto.
Come aveva potuto lasciarsi andare in quel modo, subire passivamente la condanna che, lo sapeva, si era comunque scelta da sola? Non rimpiangeva la sua decisione, ma si biasimava per il modo indegno di lei in cui aveva affrontato le conseguenze.
Rivoleva indietro la sua vita, tutta quanta, i momenti belle e quelli brutti, erano suoi e adesso li avrebbe pretesi.
Non servirono parole, il cameratismo di tanti anni di amicizia fece capire ad entrambi di essersi ritrovati.
Tramite un’associazione inconscia, al pensiero della loro amicizia il suo corpo si mosse da solo voltandola verso il ragazzo dai capelli rossi, che la fissava con l’espressione di chi ha perso qualcosa di importante.
-Sai Herm, non ti biasimo affatto per esserti innamorata di un altro. Chiunque altro, al posto tuo, mi avrebbe mandato al diavolo da un sacco di tempo. Miseriaccia, in effetti l’hai fatto più di una volta, ma sei stata leale alla nostra amicizia, a ciò che veramente c’era tra noi: un sincero affetto, profondo e insostituibile, ma che non potremo mai trasformare in una relazione.-
Ron aveva sostituito nei suoi occhi la perdita con la gioia del ritrovarsi, come se un membro della sua famiglia fosse tornato da un lungo viaggio.
-Come tu sei andata avanti lo farò anch’io, perciò quando tornerai dovrò presentarti una persona. Ricordati della nostra amicizia, ti prego… non posso chiedere alla mia ragazza di sposarmi, se non ho entrambi i miei migliori amici a farmi da testimoni!-
Le prese la mano libera, e nuovamente riebbe una parte della sua anima.
Il Magico Trio si era riformato e lei si sentiva sempre più forte, amore, amicizia e coraggio erano tornati a far parte di lei.
-Non c’è che dire Granger, ti sei cacciata in un bel casino.-
Un istintivo moto di fastidio la animò, portandola a prestare tutta la sua attenzione a un ragazzo biondo che aveva accuratamente evitato di avvicinarsi. Perché percepiva un vago sentore di pericolo? Draco aveva gli stessi occhi grigi di Sirius…
-Questa caccia all’uomo è stata un’immane perdita di tempo, secondo il mio non modesto parere, ma avevo un debito da saldare…- guizzò con lo sguardo verso Harry, e in un secondo si erano concentrate tra loro una vasta gamma di parole e vicissitudini.
-Sono venuto qui principalmente per rimproverarti, in ogni caso: ritengo molto offensivo che tu abbia dimenticato tutta la fatica che ho fatto per irritarti a morte! Ma soprattutto, non vedo il motivo per cui io sia il solo a dover ricordare il momento più umiliante della mia vita: dopo il processo sei apparsa alla mia porta, mi hai visto ubriaco e…diciamo che non ero proprio lucido. Mi hai tirato un ceffone, gridando come una pazza sulla gratitudine per una seconda possibilità e amenità simili…-
Ora la fissava senza più l’astio iniziale, indossando una maschera alla velocità della luce per nascondere la tempesta che gli si era scatenata dentro…
- Mi hai gettato addosso un potente ‘Aguamenti’ per svegliarmi dalla sbronza, hai detto che era il momento di rialzarmi, rimboccarmi le maniche e fare in modo di meritarmi la grazia che il mondo magico mi aveva legalmente concesso… perché solo così sarei stato in pace con me stesso. Poi mi hai schiaffeggiato di nuovo, ma hai tenuto ferma la mia faccia impedendomi di scostarmi: avevi un’ultima cosa da dire… “ti perdono, perché hai tutta la vita per imparare come diventare un essere umano decente. Non sei un caso disperato.”-
Si avvicinò pericolosamente e, veloce come la serpe che era, le diede uno schiaffo:-Questo te lo dovevo. È diventato d’obbligo però ora che sei diventata così…amorfa. Vedi di tornare un’orgogliosa grifona, o sarà tutto terribilmente noioso senza qualcuno da perseguitare.-
Hermione non avrebbe saputo dire se aveva fatto più male il colpo fisico o quello morale, ma erano stati entrambi efficaci: litigi, dispetti, insulti, e solo più recentemente qualcosa in lui che l’aveva convinta della sua innocenza.
Era un ragazzino borioso e viziato, pieno di pregiudizi e prepotente, ma non era un assassino. Era stato una pedina inconsapevole posizionata su una scacchiera pericolosa: nei limiti delle sue possibilità, si era rifiutato di macchiarsi più di quanto il marciume che l’aveva circondato già aveva fatto.
Per questo era andata da lui e gli aveva detto che lo perdonava.
A distrarla ci pensò una nuvola di fiamme vermiglie che l’avvolsero con un calore che faceva battere forte i loro cuori ritrovatisi dopo una lunga separazione.
-Mi sei mancata così tanto amica mia…  è stato orribile pensare a ciò che hai passato da sola per tutti quei mesi. Non lo fare mai più! Ci siamo sempre state l’una per l’altra, è grazie a te se mi sono ripresa dopo l’incubo che è stato per me il primo anno, se ho smesso di piangere per ogni cosa che mi terrorizzava. Sono diventata forte perché mi hai dato una fiducia incondizionata, perché hai creduto in me quando io stessa mi vedevo solo come una patetica bambina piagnucolosa…-
Quello stesso affetto che Ginny affermava di aver ricevuto da lei, ora glielo stava rimandando indietro, tutto insieme: quello del passato e quello presente, che sommati le stavano donando un caleidoscopio di colori e immagini rasserenanti, in grado di ancorarla con forza alla realtà.
Era, una volta ancora, la consapevolezza di non essere sola, che non lo era mai stata e non lo sarebbe diventata mai.
-Figlia nostra… cara, coraggiosa donna. Ci sei mancata così tanto! Fatti abbracciare.-
Le ultime due figure si erano avvicinate, circondandole le spalle con l’amore che solo chi ti ha dato la vita può donarti.
-Mamma, papà!-
Un bacio sulla fronte, una carezza sui capelli.
Gli ultimi pezzi di sé ricongiunsero i frammenti della sua anima, le restituirono la sua infanzia, le estati dell’adolescenza a fare campeggio per i boschi e le lunghe lettere durante i mesi di scuola.
-Voi siete davvero qui con me? Vi ricordate chi sono?-
-Amore mio, i tuoi amici ci hanno raccontato tutto quando sono venuti a prenderci in Australia. Quando abbiamo saputo ciò che hai passato, che hai subito una maledizione e poi hai perso anche tu i ricordi per aiutare il giovane che ti tiene tra le braccia… non sai quale dolore abbiamo provato.-
-Mamma…-
-Hai fatto del tuo meglio per proteggerci, hai persino estirpato la tua stessa esistenza da noi, perciò ora lascia che siamo noi ad aiutare te. Hai patito la sofferenza della perdita, ma non ricapiterà. Staremo per sempre con te d’ora in poi, perciò fatti forza piccola mia. Mancano pochi passi per tornare a casa.-
-Papà…-
Una per una, le figure delle persone che amava scomparvero davanti a lei, avevano assolto il loro compito di restituirle la parte di anima che aveva donato a ciascuno in vita per farla tornare indietro. Le donarono sorrisi incoraggianti e questo le diede la determinazione necessaria a tornare indietro.
Sirius fu l’ultimo ad andarsene, doveva darle un ultimo avvertimento.
-Hermione, sono felice che tu abbia ritrovato te stessa. Non è ancora finita però, noi abbiamo fatto il possibile, ora tocca a te: non è stato facile trovare il modo per salvarti dal maleficio, ci abbiamo messo del tempo, ma ora il nostro compito è finito. L’ultima battaglia dovrai affrontarla da sola. Mi dispiace, non vorrei lasciarti… ma ho fede in te. Ricordati: sei la strega più brillante della tua generazione, perciò vedi di tornare alla realtà! Tutti noi e io, in particolare, ti aspetteremo.-
Hermione rimase sola, ma sentiva ancora gli incoraggiamenti, le parole e l’amore delle sette persone che erano giunte fino a lei, nel nulla che circondava il mondo reale pur di salvarla.
Era pronta a tornare da loro.

La sua anima era di nuovo integra come la sua memoria ora, ma cosa le mancava per vincere il Veleno di Biancaneve?
-Devi fare una scelta, Hermione.-
Non ebbe un infarto solo perché non poteva materialmente accadere, ma l’istinto le fece portare una mano alla tasca in cui portava la bacchetta.
Sfortunatamente, non aveva né tasche né bacchetta. Non si era mai accorta prima di indossare un lungo abito bianco, a impreziosirlo solo dei ricami in pizzo argentato, rosso e nero. Come aveva potuto non notarlo?
-Non devi aver paura di me, non ti farò del male. Sono qui per aiutarti, in realtà.-
Hermione osservò la bambina davanti a lei, percependo la sua sincerità. Aveva lunghi capelli biondi dai boccoli voluminosi, un visetto a forma di cuore con labbra sottili, nasino all’insù e occhi nocciola dal taglio allungato: le donavano un’aria felina, ma nel senso dolce del termine: era come una micina in cerca di coccole.
Soprattutto, la guardava con un amore infinito, come se la conoscesse e le volesse bene.
-Chi sei tu?-
-Mi chiamo Diane.-
-No. Non è possibile…-
Diane. Il nome della sorellina che, ormai otto anni prima, non era mai nata. Non l’aveva confessato a nessuno, ma era una ferita che non si sarebbe mai rimarginata: una perdita che non avrebbe mai colmato.
Quella bambina poteva essere una proiezione della sua mente? Il suo cervello poteva aver elaborato la crescita di quella piccola vita che non aveva potuto vedere il mondo?
Se fosse nata sarebbe diventata così?
-Si, questo è il mio aspetto, quello che avrei avuto se fosse andata diversamente. Sai Hermione, avrei tanto voluto conoscerti… ma è accaduto comunque, in un certo senso. Non sono nata, ma la mia anima si era già formata e quando il mio corpo ha ceduto ha cercato un modo per sopravvivere. Forse è stata la mia magia: sarei stata una strega anche io. Quindi mi sono rifugiata dentro di te e in te sono cresciuta, ma non sarebbe stato possibile se tu non avessi mantenuto vivo il mio ricordo. Grazie, sorellona.-
-Diane… sta davvero accadendo?-
Per tutta risposta, lei la abbracciò. Affondò il volto nel suo petto, stringendola ai fianchi: era un’emozione nuova per lei, le sembrava di essere nell’occhio di un ciclone, ma quando le raffiche di vento giungevano fino a lei si trasformavano in refoli di brezza calda e piacevole, che portavano con sé il profumo dei fiori di campo.
La strinse forte, certa che quello fosse un miracolo, qualcosa di irripetibile.
-Sono felice di conoscerti, sorellina.-
-Ma tu mi conoscevi già, solo che non lo sapevi. Ora però c’è qualcosa di più importante da fare: devi svegliarti.-
-Lo so, ma non ho idea di come fare.-
-Per questo ci sono io. Devo farti da guida in questo percorso finale e assisterti nella scelta.-
Si staccarono, Diane mosse una mano e apparve nel suo piccolo palmo una mela rossa. [5]
-Una mela? Proprio come nella favola?-
-È il tuo inconscio che ha dato forma alla scappatoia che ti permetterà di infrangere il sonno mortale in cui sei caduta. Immagino sia per questo che abbia preso queste sembianze. Credo sia adatta, non pensi?-
-Hai ragione. Cosa dovrei fare?-
-Hai due possibilità. Se le dai un morso, potrai acquisire la conoscenza che il mondo reale non riuscirà mai ad ottenere: potrai riportare in vita i morti, vedere il passato e il futuro a tuo piacimento, parlare la lingua del mondo e molte altre cose. Tuttavia, se lo fai non ricorderai più nulla di te stessa una volta sveglia.-
-…la seconda opzione?-
-Puoi decidere di prenderla e distruggerla, oppure portarla con te: saresti la custode della conoscenza di cui ti ho parlato prima per il resto della tua vita. Dovresti vegliarla, proteggerla, impedire che chiunque possa anche solo immaginare la sua esistenza. Non avrai la possibilità di usarla nemmeno tu. Se dovessi farlo moriresti avvelenata in pochi istanti, perché la maledizione di cui sei vittima la vedrebbe come una violazione delle regole.-
-Mi sveglierò se scelgo questa opzione?-
-C’è la possibilità che non funzioni in questo caso. Nel primo invece saresti sicuramente salva.-
Vivere con una conoscenza praticamente onnipotente, ma priva dei suoi stessi ricordi; oppure rischiare di non sopravvivere, proteggere un segreto pericoloso per tutta la vita, ma con la sua anima ancora intatta.
Non c’era nemmeno, una vera scelta. Forse un tempo avrebbe esitato, ma ora non aveva dubbi di alcun genere.
Prese la mela dalla mano di sua sorella, continuando a tenere i loro sguardi fissi l’uno nell’altro.
-Cosa ti accadrà?-
-Non devi aver paura per me. Io vivrò per sempre nella tua anima, sia che tu rimanga qui, sia che tu decida di perdere i tuoi ricordi per svegliarti. Io mi ricorderò di te e non sparirò, puoi stare tranquilla.-
-Sai, forse un tempo, anche solo pochi mesi fa, sarei stata tentata di mangiare la mela per ottenere un potere inimmaginabile come quello che mi hai descritto: potrei riportare indietro molte persone che sono morte in questa guerra, farei felici tante famiglie. Io chi sono, in confronto a così tanta gente?-
Diane continuava a sorriderle con dolcezza, come se sapesse perfettamente ciò di cui stava parlando. Cosa non da escludere, visto che viveva in lei.
-Però, dopo questa esperienza, dopo tutto quello che i miei amici e la mia famiglia hanno fatto per ridarmi i miei ricordi, sarebbe davvero un sacrilegio gettarli via nuovamente.  Se li perdessi, chi mi garantisce che non userei quel potere per scopi egoistici? Sono quelli che mi tengono ancorata alla realtà, che mi fanno stare dalla parte della giustizia.-
Ora la piega delle labbra di Diane prese una sfumatura orgogliosa, come se fosse felice della sua decisione.
-Non mi importa se c’è la possibilità di non svegliarmi, questo potere non dovrà mai cadere in mano a nessuno, nemmeno a me.-
Hermione pianse, perché sapeva che era un addio quello che stava per vivere. La rendeva felicissima sapere che Diane sarebbe stata viva in lei, ma averla con sé non era come poterla guardare negli occhi, non sarebbe mai stato come abbracciarla.
-Mi mancherai Diane. Ti voglio bene sorellina!-
-Te ne voglio anche io. Sono felice che tu abbia scelto di restare te stessa. Vivi intensamente, non imbrigliare troppo i sentimenti con la razionalità: ti farà bene avere Sirius accanto! Ti auguro tutta la felicità di questo mondo.-
Era il momento di mettere in atto la sua scelta.
Strinse forte il pugno, distruggendo il frutto proibito della conoscenza.
 


25 dicembre 2004
 

C’era un tramonto meraviglioso quella sera.
Un pallido sole danzava sulle acque del Lago Nero, mentre gli ultimi fiocchi di neve finivano di depositarsi e compattarsi a terra. Pareva che il cielo e la terra avessero deciso di mandarle un segno quel giorno, perché i cristalli di ghiaccio che le vorticavano intorno erano ricamati anche sul suo abito.
Indossava un vestito con corpetto rigido, maniche svasate, gonna lunga che le ricadeva morbida sulle lunghe gambe. Fiocchi di neve argentei e dorati lo impreziosivano, rendendolo elegante e leggero al tempo stesso.
Avvolta da quell’abito da sposa cucito appositamente sotto sue direttive, Hermione si sentiva più bella che mai. Finì di sistemarsi il trucco, mise le scarpe basse che aveva comprato apposta per non rischiare di rompersi una caviglia e fu pronta. Niente velo, niente acconciature elaborate: per quanto riguardava il primo si era rifiutata lei stessa, per il secondo il suo quasi sposo l’aveva pregata con argomenti molto convincenti di lasciarli sciolti.
Del resto, qualsiasi acconciatura sarebbe stata da lui distrutta non appena le avesse messo le mani addosso, come sempre: adorava infilarle le mani tra i boccoli color cioccolato e manovrarla come voleva, con la delicatezza e la passione che gli erano proprie.
-Hermione, figlia mia, sei splendida e luminosa come la luna. Vieni, è ora di andare.-
Si fece prendere volentieri sotto braccio da suo padre, soprattutto perché le gambe non volevano saperne di smettere di tremare. Non aveva paura di quel passo, ma l’agitazione, l’ansia e l’aspettativa che colpiscono tutte le novelle spose avevano contagiato anche lei.
Percorse la strada che da Hogwarts l’avrebbe portata al limitare nel bosco, sulle rive del lago dove avrebbe pronunciato il più magico degli incantesimi: avrebbe legato per sempre la sua vita a quella dell’uomo che amava, con appena poche parole.
Sì, lo voglio.
A pochi passi dal portone che l’avrebbe condotta all’aperto, mentre gli ultimi raggi del sole facevano risplendere i ricami del suo abito, ripensò a ciò che l’aveva condotta a quel momento, sicuramente il più felice della sua vita.

Aveva riaperto gli occhi, completamente padrona del suo corpo e delle sue memorie, il giorno dell’Equinozio di Primavera [6] del 1999.
Accanto a sé aveva trovato Sirius e Harry, profondamente addormentati, che le stringevano le mani. Avrebbe poi saputo che tutti i suoi amici si erano dati il cambio per poterla vegliare a nastro continuo, in attesa del suo risveglio.
Una settimana dopo il suo risveglio era stata dimessa e aveva passato la convalescenza tra le premure dei suoi genitori e il divertimento che i suoi amici portavano in casa sua per non farla stancare: aveva pur sempre passato tre mesi in coma.
Dovettero passare altre sei settimane prima che le dessero il via libera, prima che potesse tornare a maneggiare la bacchetta e correre senza sentirsi male.
Ogni giorno Sirius era stato accanto a lei, l’aveva accompagnata nel suo percorso di riabilitazione e l’aveva sostenuta con il suo solito modo giocoso. Erano servite ulteriori settimane affinché lui trovasse il coraggio di confessarsi, ma Hermione non aveva avuto fretta.
Andarla a salvare non era come dichiararle amore eterno: le difficoltà non erano poche, la differenza d’età notevole, l’incompatibilità caratteriale evidente. Lei si era innamorata quando era appena una ragazzina, mentre lui ci aveva messo del tempo per capirlo e ancora di più per ammetterlo.

Il sole era tramontato e la luna sorta. Gli ospiti erano arrivati e, quando aveva mosso il primo passo nel camminamento che avevano magicamente ricavato sulla neve, si erano alzati tutti in piedi per accoglierla. Arpe e violini stavano suonando una marcia nuziale ibrida magico-babbana, alcune signore avevano già tirato fuori i fazzoletti e i pochi bambini presenti sorridevano.
Ad aspettarla all’altare c’erano i suoi migliori amici in veste di testimoni: entrambi erano già sposati, Hermione aveva svolto a suo tempo il compito di testimone per entrambi: anche senza una guerra erano sempre il Magico Trio. Il Ministro avrebbe celebrato le nozze e dietro il suo fidanzato c’erano Arthur e Molly Weasley, che col tempo avevano stretto un rapporto incredibilmente amichevole con lo sposo e avevano accettato di fargli da testimoni.
Occhi d’oro e d’argento si erano fusi insieme, e non c’era più stato spazio per nessuno nelle loro menti.
Suo padre passò, come da tradizione, la mano di sua figlia al suo novello sposo, per poi raggiungere la moglie in prima fila, quella dedicata ai familiari.
-Siamo qui riuniti oggi…-
Entrambi persero gran parte del discorso celebrativo, troppo occupati a sondare i pensieri l’uno dell’altra, persi nel mondo magico che avevano costruito solo per loro. Erano così distratti che si accorsero a malapena di essere giunti al momento del fatidico sì.
-Lo voglio!- il tono di Sirius era determinato, sicuro di sé, perdutamente innamorato.
-Lo voglio… ti amo.- quello di Hermione invece era sottile, sarebbe sembrato fragile a chi non la conosceva bene, ma la realtà era che l’emozione le aveva tolto il fiato.
Finalmente poterono darsi il primo bacio come marito e moglie.
Non udirono gli applausi, né le congratulazioni di chi li aveva accompagnati fino a quella pagina della loro vita. Fino all’inizio del loro viaggio da dividere in due.
-Vi presento il Signore e la Signora Black! [7]-
Vissero per sempre felici e contenti? No. Ma qualunque cosa la vita gli mise davanti, la affrontarono insieme, forti del loro amore.


 


[1] La frase originale, derivata dalla fiaba dei fratelli Grimm, sarebbe: “bianca come la neve, rossa come il sangue, nera come l’ebano”. Ho voluto modificarla leggermente, in quanto la luna mi pare più adatta come paragone della neve se riferita ad un personaggio come Hermione, specialmente considerando il fatto che nella mia storia ho voluta dare un’impronta di predestinazione… e la luna è un chiaro riferimento al Fato.
[2] L’oro è il colore che simboleggia il divino nell’arte. Ho voluto sfruttare questo fatto e anche il suo stesso nome per mostrare che, fin dall’inizio, il destino aveva in serbo per lei qualcosa di speciale.
[3] Secondo la tesi di Karl-Heinz Barthels, questo era il nome della ragazza la cui storia diede l’ispirazione ai fratelli Grimm per la fiaba di Biancaneve.
Maria Sophia Margaretha Catherina von Erthal, nata a Lohr nel 1725 e figlia di un importante magistrato e rappresentante del Principe Elettore tedesco: la nobile aveva perso la madre in età giovanile e suo padre si era risposato con Claudia Elisabeth von Reichenstein, che aveva usato la sua nuova posizione sociale per favorire i suoi figli di primo letto, a scapito della von Erthal. Questa sarebbe stata costretta a lasciare il palazzo per vivere nei boschi lì attorno; nella zona erano presenti molte miniere, nelle quali, data la ristrettezza dei cunicoli, lavoravano persone di statura molto bassa o addirittura bambini: da questo elemento sarebbero derivati i sette nani. La ragazza morì di vaiolo pochi anni dopo; probabilmente l'avversione dei suoi concittadini per la matrigna inasprì la figura di quest'ultima a vantaggio di Maria Sophia, dipinta come una martire; la sua storia venne tramandata oralmente in forme simili a quella poi raccolta dai Grimm, che attualmente conosciamo. Il castello dei von Erthal è tuttora un'attrazione turistica e ai visitatori viene mostrato il cosiddetto "specchio parlante", che il padre di Maria Sophia avrebbe regalato alla matrigna: si tratta di un giocattolo acustico in voga nel '700, in grado di registrare e riprodurre le frasi pronunciate da chi si specchiava. Esso sarebbe alla base dello Specchio Magico della matrigna.

[4] La Seconda Guerra Magica finisce il 2 maggio, andando avanti di sette mesi si giunge a dicembre, ed io ho scelto come giorno fatidico per il compiersi della maledizione il giorno dell’anno in cui il buio vince la luce. Per moltissime civiltà antiche questa era una ricorrenza naturale pregna di significati trascendenti, e siccome in alcuni studi Biancaneve viene associata alla vita che prende a scorrere nel bosco spezzando la precedente andatura ciclica, ho approfittato di questa coincidenza delle date. Se Biancaneve è la vita, il suo sonno equivale all’inverno, mentre il suo risvegliarsi alla primavera. Non credo esistessero giorni più adatti in cui Hermione, la mia Biancaneve orgogliosa e dotata di bacchetta (e, se permettete, molta più intelligenza dell’originale), possa cedere al sonno “eterno”.

[5] La mela: non c’è bisogno di spiegare la vastità della sua simbologia, no? Ovviamente, ho voluto riprendere in parte il veleno della mela di Biancaneve, ma invece di renderlo la causa del suo sonno eterno ho deciso di renderla la via d’uscita. Ho comunque inserito una trappola, una specie di prova finale per la nostra Hermione, e per questo mi sono avvalsa della più antica tra le simbologie del frutto proibito: la mela dell’albero della conoscenza del bene e del male, narrato nella Bibbia. La tentazione cui Eva ha ceduto per le parole del serpente ha tentato anche la mia protagonista, ma al posto dell’infido animale ho inserito un’aiutante inaspettato, inedito e puramente inventato da me. La piccola Diane le offre la mela non per indurla in tentazione, ma per darle la possibilità di scegliere, avendo piena fiducia nel fatto che Hermione avrebbe optato per il meglio.
La mela è il frutto della Vita, del desiderio, che rivela, oltre alla sua dimensione positiva (accesso alla conoscenza, superamento della propria condizione), la sua pericolosità (costo simbolico della rivelazione). La sua caratteristica fondamentale è l’ambiguità, e io ho scelto di mantenerla tale: un aspetto accattivante e seducente, che tenta di nascondere i rischi ad essa connessi.

[6] Ricollegandomi alla nota numero 4, ho scelto di dare un significato simbolico al risveglio della mia “Biancaneve”: poiché il suo sonno può essere simboleggiato tramite l’inverno, il suo risveglio è paragonabile alla primavera, dunque il giorno più adatto è l’equinozio, il 23 marzo. Ho pensato che comunque ci sia voluto del tempo, anche settimane per trovare il modo di salvarla, recuperare i suoi genitori e attuare l’incantesimo per restituirle l’anima che conservavano dentro di loro.

[7] Ho giocato sull’ultima parte della frase dei fratelli Grimm, “nera come l’ebano”: in inglese nero si dice “black”, ed ho giocato sul nome di Sirius e sul matrimonio per attribuire in qualche modo questo aggettivo anche a Hermione.

 


Note:
Poco oltre troverete ulteriori note, poiché mi sono sentita in dovere di spiegare le fonti da cui ho attinto per scrivere questa storia. Ho consultato diversi siti per trovare dei significati più profondi ai vari elementi che caratterizzano questa fiaba, e il risultato finale, per quanto diverso da ciò che avevo in mente in principio, mi piace altrettanto.
Ho giocato sulla frase che i fratelli Grimm utilizzano per descrivere Biancaneve, sulla mela avvelenata e sul numero sette: sette sono le persone che vanno a salvare Hermione, che le restituiscono una parte di sé stessa tramite una caratteristica particolare che ho sottolineato con il corsivo.
Amore, coraggio, amicizia, fiducia, perdono, sacrificio e perdita. Il sacrificio è legato a entrambi i genitori, che io inserisco praticamente insieme, mentre la perdita (settimo sentimento) è legato alla sorellina (ottava persona, che però non è mai tecnicamente nata): secondo alcuni studi i nani erano sette perché quel numero equivale al tempo immobile, mentre l’ottavo elemento, cioè Biancaneve, è quello che sblocca una vicenda immobile, dando il via ad un tempo che precedentemente era fermo.
Diane, piccolo personaggio di mia invenzione, una sorellina mai nata alla nostra Hermione, è e al tempo stesso non è l’ottavo elemento, dato che ha vissuto nella nostra cara protagonista, il vero numero otto.
Spero vivamente che questo mia opera possa emozionarvi, coinvolgervi, divertirvi magari. Sapere di aver toccato il cuore di qualcuno è la massima aspirazione per me come scrittrice.
Alla prossima!
Flos Ignis

  
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