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Autore: Blablia87    16/07/2017    5 recensioni
Si può scegliere di credere ad una bugia solo fino a quando non si incontra la verità.
[viclock][johnlock]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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I suoi papaveri hanno ancora profili duri e corolle di cristallo.
Ha sempre amato dipingerli così, fili neri che si perdono in un rosso acquoso, etereo.
Distribuiva il colore con le dita, lasciando una piccola traccia di sé su ogni fiore. E deve farlo ancora, perché un bocciolo chiuso - piegato in un inchino indolente - sfuma il proprio rossore tra i petali schiusi di quello vicino. Si sfiorano appena, e da quel contatto silenzioso Sherlock – in piedi di fronte a quell’enorme cartellone pubblicitario fiorito – capisce che è tornato.
 
Victor.
 
Che il cielo plumbeo di Londra scorre di nuovo, dopo anni, sopra la testa di entrambi.
Quella consapevolezza violenta, improvvisa, è quasi dolorosa. Si appoggia al centro dei suoi respiri, accanto al vuoto lasciato dal silenzio di John che dura, ormai, da due mesi.
Per un attimo, uno solo, gli sembra che essere sopravvissuto abbia di nuovo un senso.
Diverso, forzato, indotto. Ma reale.
 
Per un attimo, quel prato di papaveri di vetro sembra l’unico posto dove trovare ristoro.
 
 
 
* * *
 
 
 
 
I suoi occhi sono ancora verdi, ma piccole rughe si affollano adesso ai loro lati.
Ne nascono altre, improvvise, ai bordi delle sue labbra, quando lo scorge in piedi dall’altra parte della strada, le mani affondate nelle tasche del cappotto.
«Sherlock…» si lascia sfuggire, e la luce della galleria d’arte alle sue spalle lo fa sembrare fragile come le sue opere.
Poi, veloce, lo raggiunge. Si affianca a lui, in silenzio, le spalle quasi a toccarsi.
Non parlano per più di un’ora, ma si ascoltano a vicenda.
Sono sempre riusciti a riempire i vuoti con i respiri, e nessuno dei due si sorprende di riuscire ancora a farlo, tra il fumo leggero di due sigarette che bruciano all’unisono.
 
 
 
* * *
 
 
 
 
La rabbia gli chiude la gola, e le mani.
Vorrebbe distruggere ogni cosa, farne brandelli da portare con sé fino a casa, come un regalo.
Vorrebbe riconsegnare a Victor tutte le parole contenute in quelle lettere rubate – nascoste da suo fratello chissà dove – adagiandole ai piedi del letto nel quale hanno parlato per ore, ricucendo ferite con le labbra sino ad addormentarsi, stremati.
Vorrebbe un passato che non può più avere, per poter stemperare il presente tra le sue braccia, senza dolore.
Invece, abbandona l’ufficio di Mycroft poco dopo con le mani e il petto vuoti. Una volta a Baker Street – senza accorgersene - sfiora con un dito la poltrona davanti alla cucina, prima di tornare a sdraiarsi accanto all’altro nella propria stanza.
 
«A cosa pensi?» gli domanda Victor una decina di minuti dopo, aprendo gli occhi.
«A nulla» mente il detective, chiudendo i suoi.
 
 
 
* * *
 
 
 
 
Il suono morbido del pianoforte nel salotto di Victor accompagna il violino come una carezza. Intorno a loro, le note danzano mischiandosi agli sguardi.
Per un attimo il tempo si inarca e ripiega, stretto da fili invisibili. Hanno di nuovo vent’anni, ma non esiste nulla – adesso – che li possa allontanare. Nessun padre violento, o fratello invadente.
Sherlock scaccia con un piccolo movimento della testa un viso familiare che affiora con forza alla sua coscienza: non deve esistere, in quell’istante sospeso nel nulla.
Non può. Perché non si sono mai incontrati.
 
Eppure una parte di lui - mentre l’azzurro di due occhi lontani si stempera nel verde di chi sta stringendo, con delicatezza, il suo viso - sa che ogni bacio è una bugia che continua a ripetere nella speranza che cancelli, poco a poco, la verità.
 
 
 
* * *
 
 
 
 
La realtà è limpida, come una corolla di cristallo.
Victor la vede chiaramente, oltre i profili duri di due volti tirati. John Watson ha gli occhi scuri, labbra chiare e mani ferme, mentre chiude la ferita con perizia.
Baker Street è silenziosa, carica di sguardi che incatenano le labbra.
«Le fasciature vanno cambiate ogni due ore» sussurra il medico, distogliendo lo sguardo da Sherlock e spostandolo lentamente su quell’uomo esile che li osserva da lontano, appoggiato al caminetto. Per un attimo, i lividi più dolorosi sembrano quelli del sonno perso che si addensano attorno agli occhi del medico, infossandoli.
«Controlla che lo faccia» raccomanda a Victor, con voce bassa, senza chiedere chi sia e perché vegli lui – nel cuore della notte – le ferite di un caso andato male sul corpo del detective.
Esce poco dopo, seguito dagli occhi di Sherlock.
Le iridi azzurre non abbandonano la porta neanche quando, dopo più di mezz’ora, Victor si trascina in cucina.
 
Il tempo si apre nuovamente, come i petali di un fiore. Riprende a scorrere, come la tristezza che - per motivi diversi - hanno cercato entrambi di ignorare fino a quel momento.
 
Ma si può scegliere di credere ad una bugia solo fino a quando non si incontra la verità.
 
 
 
* * *
 
 
 
John ha un bicchiere tra le dita, lucido come i suoi occhi.
 
Ogni sera, da mesi, si allena alla rabbia ed al rancore, perché le loro grida riescono a soffocare un sentimento al quale non vuole dare ascolto.
Tutte le notti lo spinge nuovamente a terra, con forza, lanciandogli contro tutto il dolore di due anni di abbandono, silenzi e bugie. Lo fa a pezzi e poi lo nasconde negli angoli più remoti della propria coscienza, fino a quando l’alcool – e la stanchezza – non hanno la meglio sulle sue gambe e i suoi respiri.
 
Al suo rientro ha colpito il muro del salotto più e più volte, sino ad aprirsi le mani. Ora, in silenzio, siede immobile in un angolo, lo sguardo fisso davanti a sé. Non ha più ricordi da regalare all’oblio, o collera da alimentare.
Perché – si rende contro aprendosi in un sorriso amaro – non c’è livore che non affondi le radici in una qualche speranza. E, adesso, non ha più nemmeno quella.
 
 
 
* * *
 
 
 
 
Lo trova così, il viso arrossato e le labbra gonfie. Ha le nocche sbucciate, può vederlo anche da quella distanza, nonostante la palpebra gonfia.
Forse non è mai stato bello come in quel momento, John, gli occhi spalancati per la sorpresa, i capelli spettinati e un’espressione confusa sul viso.
«Non sei nelle condizioni per muoverti» riesce a dire il medico dopo qualche secondo, e ha la voce roca.
Sherlock annuisce, ma resta immobile dall’altro lato della strada.
«Perché sei qui?» gli chiede, e al detective sembra di non avere più spazio nel petto per contenere tutta la paura.
 
 
 
* * *
 
 
 
 
 
Victor ha gli occhi tristi, mentre gli appoggia un bacio sulla fronte.
Il tempo ha ripreso a scorrere, e si stanno nuovamente dicendo addio. Non è più un cortile assolato ma una cucina in penombra, e sui loro visi ci sono i segni di un dolore più maturo. Adombra gli occhi, come allora, ma non piega più le labbra, né fa fremere le mani.
Rimediano con uno sguardo profondo, silenzioso, a quel saluto che non avevano mai davvero scelto di darsi, trasformando un amore acerbo in una verità intoccabile. Lo sussurrano a fior di labbra, aspettando che il rimpianto serbato per anni divenga, lentamente, una consapevole malinconia.
 
«Va’ da lui» mormora Victor, mentre una lacrima coraggiosa si spenge su un sorriso timoroso.
 
Sherlock lascia che l’altro nasconda il viso nell’incavo della sua spalla, restando immobile fino a quando non sente il suo respiro tornare regolare.
 
 
 
* * *
 
 
 
 
 
«Perché sei qui?» chiede il medico, e al detective sembra di non avere più spazio nel petto per contenere tutta la paura che Victor si sia sbagliato. Che abbia visto amore dove, invece, non c’era che delusione.
Immobile pochi passi oltre la soglia John trema per il freddo, per l’alcool, per il terrore cieco e indicibile che quello sia un addio. Si appoggia allo stipite della porta e socchiude gli occhi, aspettando di sentire pronunciare la propria condanna.
Le prime gocce di pioggia cadono sull’asfalto, scurendolo.
Solo allora la voce del detective rompe il silenzio, mentre le loro ombre - protette dalla luce calda dei lampioni - si sfiorano, tremando, su un marciapiede bagnato che sembra di cristallo.
 
 
«Per te.»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice:
 
Lo so, lo so.
 
Non ho ancora risposto alle recensioni (cosa di cui mi vergogno molto e mi scuso… Rimedierò quanto prima, promesso!) delle due ultime pubblicazioni, che già vi tormento con una terza.
 
Non avevo mai scritto tanto, a Marsiglia, come negli ultimi giorni.
Non so cosa stia succedendo. Forse è una reazione all’allagamento del mio studio della scorsa settimana. XD
Ad ogni modo, considerando quanto discontinua sia stata da quando ci siamo trasferiti, preferisco approfittare il più possibile di periodi come questi.
 
Spero solo di non annoiarvi troppo! XD
 
Questa breve OS è nata da una discussione avvenuta ieri su Facebook (Novizia_Ood, se mi leggi, sappi che parlo proprio del nostro scambio serrato di “trame che avremmo voluto leggere”! XD).
Quanto riportato qui si discosta molto dalla mia idea originale, più complessa e introspettiva, ma avevo bisogno di trascrivere in una qualche forma il concetto fondamentale che la animava, in modo da poter liberare la mente da questo pensiero. ^_^’’
 
Grazie, come sempre e di cuore, a chiunque abbia letto fin qui.
 
A presto,
B.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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