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Autore: Unintended6    16/07/2017    1 recensioni
Lui era lì. Sul tetto. Che con la voce rotta parlava con John al telefono. "È tutto vero" diceva. "Ho inventato io Moriarty" diceva. Gli aveva chiesto di tenere gli occhi fissi su di lui. Quello era il suo biglietto. "Addio John."
John teneva gli occhi fissi su di lui.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Lui era lì. Sul tetto. Che con la voce rotta parlava con John al telefono. "È tutto vero" diceva. "Ho inventato io Moriarty" diceva. Gli aveva chiesto di tenere gli occhi fissi su di lui. Quello era il suo biglietto. "Addio John."
John teneva gli occhi fissi su di lui. Li teneva fissi su di lui mentre cadeva. Quasi senza forze correva verso di lui. Qualcuno lo aveva urtato ed era caduto a terra. Con le ultime energie che gli rimanevano si era tirato su per raggiungere l'amico. 
"Sono un medico, fatemi passare." urlava alla folla che si era radunata attorno al corpo. "Sono suo amico." aveva detto con tono di voce stremato; "È un mio amico! Vi prego." con l'ultimo filo di voce che gli rimaneva. 
Poi lo aveva visto lì. John era un medico militare, aveva visto morti e feriti, ma in mezzo a quella folla sentiva le gambe cedergli. Gli aveva preso il polso per sentire se c'era battito. 
Era ormai a terra quando aveva visto i suoi occhi, di quell'azzurro bellissimo con mille sfumature. Quegli occhi, nei quali troppo spesso si perdeva per minuti interi. Quegli occhi che ora erano fissi nel vuoto. 
Era sempre più in preda al panico quando aveva visto il sangue sul viso e sui riccioli scuri. Su quei lineamenti perfetti, che troppe volte avrebbe tanto voluto accarezzare, e sui capelli, nei quali molto spesso gli sarebbe piaciuto passare le dita. Quella pelle di porcellana sulla quale ora scorrevano fiotti di sangue e quei riccioli ormai pieni di riflessi rossastri.
Alla vista di quell'orrendo spettacolo gli era venuta la pelle d'oca e la nausea, forse era svenuto. Non ricordava più nulla di quella giornata, se non il senso di vuoto che iniziava a portarsi dietro. L'uomo che aveva conosciuto qualche tempo prima, in modo alquanto bizzarro, era entrato nella sua vita come non avrebbe mai potuto immaginare ed era diventato parte fondamentale delle sue giornate. Dopo tempo finalmente, da quando era stato ferito in guerra, si sentiva di nuovo vivo. Sentita di nuovo il sangue scorrergli nella vene, Sherlock era stato per lui come un'iniezione di adrenalina allo stato puro.
Nello stesso uomo aveva trovato anche il suo migliore amico, qualcuno di cui fidarsi ciecamente. Forse qualcosa di più. Avrebbe dovuto parlargliene tempo prima, senza timore; prendere il coraggio a quattro mani e aprire il suo cuore. Certi sguardi gli avevano persino fatto credere che potesse ricambiare qualcosa. Ma ormai era tardi. Sherlock non lo sarebbe mai venuto a conoscenza dei suoi sentimenti e tantomeno John, nel caso in cui l'altro ne condividesse qualcuno.
Il giorno del funerale era stato  il peggiore. I suoi amici c'erano tutti, chi in lacrime chi  no, tutti afflitti da una quantità di dolore che si spera di provare il meno possibile nella vita.
John stava in mezzo a loro, con lo sguardo perso nel vuoto. In certi momenti piangeva, da solo chiuso in una camera, affinché nessuno lo vedesse. Tutti sapevano però che probabilmente la persona che avrebbe patito di più la sua morte sarebbe stato proprio lui. In altri momenti si chiedeva il perché del suo gesto. Sherlock gli aveva detto di essere un impostore, di aver inventato Moriarty. Sapeva che ciò che aveva detto non era vero. Lo sapeva perché nel periodo passato a Baker Street aveva imparato a conoscerlo, quasi a leggerlo. Non lo aveva mai visto così sconvolto.
I giornali erano stati terribili. Aveva smesso di leggerli, troppi ricordi. Anche solo uscire di casa, addirittura respirare l'aria del 221B era troppo difficile. Per strada molti conoscenti lo guardavano con occhi tristi; qualcuno si fermava a parlare con lui, altri evitavano, stringendogli solo la mano o dandogli una pacca su una spalla con un sorriso accennato ma triste, come per dire "mi dispiace". Sapevano che era già abbastanza dura così da sopportare e, giustamente, non volevano fargli pesare la cosa più di quanto non gli pesasse già.
Aveva iniziato la terapia. Parlandone si sarebbe potuto sentire meglio, si ripeteva. Ma  era ogni volta la stessa storia. Era come rigirare il dito nella ferita ancora fresca, e faceva davvero male.
Più il tempo passava più era difficile rispondere al telefono, ancora più difficile chiamare.
Un giorno, in preda ad una crisi, gli era quasi passato per la mente di farla finita. Per tornare da lui. No, non l'avrebbe mai fatto. Non si sarebbe sbarazzato del dolore in modo così vile, smettendo di soffrire, ma facendo soffrire il doppio gli amici. 
C'erano giornate buone. Giornate in cui si alzava la mattina, quando riusciva a dormire e gli incubi non lo tenevano sveglio tutta la notte, e si diceva di tirarsi su. Per quanto partisse con lo spirito giusto, non arrivava mai a un risultato. Avrebbe dovuto ricominciare e rifarsi una vita, rassegnarsi a convivere con la sua perdita.
Ma non ci riusciva. Non ora. Non dopo tutto quello che Sherlock era stato per lui.
Aveva iniziato a perdere le speranze. D'altronde niente e nessuno glielo avrebbe riportato. Forse aveva perso la fiducia in Dio, perché sapeva che nemmeno lui gli avrebbe ridato Sherlock Holmes. Il consulente investigativo, l'unico al mondo. Il suo migliore amico. L'uomo che probabilmente amava. Sherlock. Il suo Sherlock.


John aprì gli occhi. Era sudato, con il cuore a mille, aveva il brividi, tremava. Forse aveva urlato nel sonno. L'unica cosa certa era l'angoscia che provava il quel momento. E la paura.
Si girò nel letto alla ricerca di un punto di riferimento. Qualcosa, una cosa qualunque, che gli provasse che tutto ciò che aveva vissuto non era la realtà. Era confuso.
Alla sua sinistra c'era una sagoma scura. Si muoveva. Forse aveva davvero urlato.
Allungò la mano per capire se facesse ancora parte del sogno, o meglio dell'incubo. No. Emanava calore. Calore di cui aveva tanto bisogno in quel momento. 
Mise una mano nel suoi capelli. Eccoli. Erano loro. I capelli nei quali gli sarebbe tanto piaciuto passare le dita. I riccioli scuri. I suoi riccioli scuri.
La persona accanto a lui girò la testa, rivolgendo il viso verso di lui. Accennò un sorriso addormentato. Quel sorriso familiare. Quel sorriso che aveva tanto amato e che amava ancora più di ogni altra cosa al mondo. Il suo sorriso. 
Mentre gli accarezzava il viso con le lacrime che gli rigavano il volto, notò qualcosa. Qualcosa che brillava, proprio lì, su un dito. Un anello. Capì che era stato tutto un brutto sogno . Era l'anello che qualche tempo prima si erano scambiati. Simbolo di promesse e centinaia di migliaia di giorni che avrebbero passato insieme.
Giorni che John Hamish Watson avrebbe passato con il suo amato William Sherlock Scott Holmes.
  
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