Correre,
correre gli dava gioia come poche altre cose al mondo.
Il
vento gli scorreva addosso, non lo frenava e rallentava come faceva a
tutti gli altri corpi: si fondeva col suo, lo sosteneva; ci passava
attraverso, senza attrito e forze contrarie.
Michelangelo
era aria.
Correva
per New York, di terrazza in balcone, da tetto a cisterna.
Solitario.
Pensieroso.
Da
un paio d'ore se ne stava di ronda, a pensare, sforzando tutti i suoi
neuroni.
Cosa
si poteva regalare ad un matrimonio?
Quando
April e Casey si erano sposati, Don aveva creato per loro un mega
elettrodomestico tuttofare per la loro casa, a nome di tutti loro. Un
prodigio dell'avanguardia capace di cucinare, lavare e fare ogni
genere di faccenda domestica.
Tanto
sapevano tutti che Casey non era capace di cucinare, al limite
riusciva a bruciare ben bene gli hamburger alla griglia. Era stato
una manna dal cielo, per lui.
Ma
non sarebbe andata bene una cosa del genere.
Non
per la futura coppia di sposi.
Gli
seccava ammetterlo, ma Raph sapeva cavarsela alla grande con le
faccende domestiche. E d'altronde con gli insegnamenti del sensei non
poteva essere altrimenti. Ognuno di loro era praticamente l'uomo
perfetto sotto ogni aspetto.
Lui,
poi, era anche il più carino, a dover essere senza modestia.
Raph
era stato il primo a trovare una ragazza solo per pura fortuna.
Aveva
avuto la malaugurata idea di chiedergli cosa desiderasse per il
matrimonio. Col senno di poi sapeva che era stato stupido da parte
sua.
Raph
aveva ghignato, con un'aria sarcastica.
“Che
tu non ci venga. Non chiedo niente di meglio” gli aveva
risposto,
come suo solito. Ma davvero si era aspettato una risposta diversa?
Isabel,
al contrario, era stata di una dolcezza disarmante. Alla stessa
domanda gli aveva sorriso, teneramente.
“Niente.
Mi basta che tu sia lì con noi” gli aveva detto,
con quella sua
voce musicale, che scaldava il cuore.
Come
potesse una donna così splendida stare con quell'idiota di
suo
fratello era un completo mistero. Erano come acqua e fuoco. La notte
e il giorno.
Eppure
il loro rapporto funzionava alla grande, da quando si erano ritrovati
non facevano che passare il tempo assieme, lui docile e tranquillo
come solo lei sapeva renderlo.
Quel
dannato fortunato di Raph. Se provava a far piangere anche solo una
volta la sua sorellina lo avrebbe ucciso, con le sue mani.
Sospirò,
stanco. Non aveva ancora trovato un'idea per un regalo.
A
poco più di un mese dalle nozze era davvero una situazione
insostenibile.
Avrebbe
chiesto delle dritte a Donnie, l'indomani. Chissà che in due
non
riuscissero a venirne a capo.
Pattugliò
distrattamente la sua zona, mentre faceva ruotare pigramente i
Nunchaku nelle mani, per passare il tempo. Era una noia.
Se
da una parte era contento che non ci fossero problemi in giro,
dall'altra tutta quella calma lo rendeva apatico e insofferente.
Avrebbe
dato doppiamente fastidio a Raph una volta tornato a casa, giusto per
rifarsi del tempo perso.
Saltò
via dal tetto buio di un palazzo, atterrando su quello di fronte,
pieno di piante in vaso, alcune con le foglie bruciate dalla calura
estiva.
Perfino
di notte l'aria calda di Agosto non dava tregua alla città,
creando
una cappa soffocante e appiccicosa, pesante da respirare.
E
pensare che a casa c'era un fantastico ventilatore che lo aspettava,
tutto per lui. Vicino alla sua pila di fumetti, Isabel gliene
comprava uno nuovo a settimana, e all'altrettanto grossa pila di
videogiochi.
Ci
mancava solo un bel ghiacciolo all'arancia e il quadro idilliaco
sarebbe stato perfetto. Sì, ancora dieci minuti di ronda e
poi
avrebbe preso la strada di casa.
Poteva
già sentire il fresco che solo il loro rifugio sotto terra
poteva
offrire.
Camminava
svagato, con quei pensieri allettanti per la testa.
Finché
il suono di uno sparo non lo raggiunse fin lassù, dissipando
in
fretta ogni fantasticheria. Tese le orecchie, vigile come non mai, ma
non ebbe bisogno di cercare la fonte del suono, perché il
rumore di
una vera e propria sparatoria riempì l'aria.
Corse,
seguendone la fonte, veloce come solo lui poteva essere, certo che ci
fossero dei guai in agguato.
Non
sapeva se esserne felice o meno.
Si
sporse dal tetto sul quale era appena atterrato, scrutando le
stradine sottostanti con attenzione. Un colpo riecheggiò,
seguito da
un secondo e poi un terzo.
Una
piccola figura correva con tutte le sue forze, saettando tra i
cumuli di immondizia del vicolo con precisione e leggiadria. Ne
saltò
uno con un grosso balzo, alto e perfetto, nemmeno fosse
stato un
atleta. Chiunque fosse, era di certo un tipo atletico.
Appena
dietro una banda al completo di brutti ceffi seguiva la figura,
sparando nel contempo tutte le munizioni.
Non
sapeva esattamente come stessero andando le cose, ma di certo la
situazione era impari. Il fuggitivo arrivò alla fine della
stradina,
proprio contro il muro che delimitava il vicolo cieco. Una bella
sfortuna la sua, non c'era che dire.
Gli
inseguitori armati smisero di sparare, una volta capito che fosse in
trappola.
Risero.
“Nessuno
ruba al nostro capo e la fa franca” grugnì quello
più grosso, con
un fucile sottobraccio.
“Non
so di cosa stiate parlando” rispose la figura premuta contro
il
muro, con una vocetta sottile e seccata. La vide girare la testa di
qua e di là alla ricerca di una via di scampo.
“Dacci
quello che hai preso! O lo prenderemo dal tuo cadavere!”
Stava
per intervenire. Era chiaro che quella persona fosse nei guai, anche
se sembrava che se li fosse cercati nel rubare ad una gang.
Poi
la piccola figura spiccò un salto. Alto. Colpì
con il piede il muro
alla sua sinistra, acquisì abbastanza spinta per rimbalzare
su
quello opposto e darsi ancora più elevazione. In un secondo
sparì
oltre il muretto, tuffandosi di schiena come un atleta di salto in
alto.
Il
gruppetto rimase spiazzato. Dal gesto e dalla velocità con
cui era
stato attuato.
“Cercatelo!
Sbrigatevi!” tuonò il capo banda, con un gesto
imperioso della
mano. Si dispersero all'istante in gruppetti più piccoli,
sparpagliandosi nelle viuzze attorno, cercando di trovare la traccia.
Michelangelo
sorrideva. Che razza di babbei.
Certo,
il fuggitivo era stato davvero svelto e preciso, ma a lui non
l'avrebbe fatta. Corse fino alla fine del tetto, nella direzione in
cui era sparito.
Da
lassù non contavano i vicoli ciechi e le strade a senso
unico:
poteva andare in ogni direzione, senza freni. Non gli fu difficile
ritrovare la scia della piccola figura.
Correva
come una disperata, cambiando verso di marcia ogni due per tre, come
se stesse cercando di confondere le idee a quelli che la seguivano; o
forse stava solo cercando un posto dove nascondersi.
Era
curioso.
Si
gettò in avanti e scavalcò con
facilità lo strapiombo tra due
palazzi, controllando sempre al di sotto per sapere dove si stesse
dirigendo: destra, sinistra, sinistra e poi ancora a destra,
scavalcando ostacoli e cancellate come fossero uno scherzo.
La
banda di gonzi non era altrettanto atletica, ma era di sicuro
ostinata a prendere il fuggitivo e lo seguiva ad una discreta
distanza, senza perderlo di vista.
E
di certo una volta preso quello non se la sarebbe passata bene.
La
fuga proseguì per qualche altro minuto, infine si
bloccò
bruscamente quando la figura si trovò di fronte ad un muro
troppo
alto da saltare, in un vicolo chiuso da tre case, senza alcuna via di
scampo. Non che non ci avesse provato, comunque: ribaltò un
paio di
bidoni, cercando di creare una scala per raggiungere il cornicione
del primo piano, ma i suoi salti erano troppo corti e le mani si
chiusero sul niente, ogni volta.
Al
terzo salto la gang arrivò nel vicolo e il fuggitivo si
fermò,
inchiodato al suolo.
Senza
una parola due degli uomini si avvicinarono e provarono a colpirlo,
con dei diretti al viso, ma la figura si difese alla grande e con
poche mosse li atterrò entrambi, nonostante la sostanziale
differenza di mole.
A
quel punto il capo banda sparò un colpo di avvertimento
verso il
cielo e il fuggiasco lasciò andare il braccio di uno degli
uomini e
alzò le mani, lentamente.
“Adesso
basta.”
L'uomo
abbassò l'arma e gliela puntò dritta in pieno
petto, il dito che
già accarezzava il grilletto.
Un'ombra
calò su di loro e la pistola volò via con un
tocco sordo. In mezzo
ad un paio di grida, altre cinque pistole e tre uomini caddero a
terra, rapidamente.
Mikey
si muoveva veloce tra di loro, svelto a capire quale fosse la
minaccia principale e neutralizzandola all'istante, per poi passare
alla successiva, finché non rimasero solo tre uomini in
piedi,
confusi e spaventati, decisi a combattere dato che non potevano
scappare.
“Cosa
cazzo è quello?” urlò il capo degli
idioti, quando Michelangelo
si fermò abbastanza a lungo da essere identificato.
“Sono
un modello, non si vede?” rispose lui, fintamente risentito.
Sentirlo
parlare sembrò sconvolgerli ancora di più e si
gettarono tutti e
tre contro di lui, su tre lati, con i pugni già caricati:
con uno
sventolio di Nunchaku li neutralizzò all'istante, e in un
attimo era
rimasto l'unico in piedi, circondato da uomini svenuti.
“Sono
profondamente offeso dalla vostra ignoranza” esalò
infine, anche
se loro ovviamente non potevano sentirlo.
Dalle
sue spalle arrivò un tonfo e si voltò in tempo
per vedere il
fuggiasco che provava ad allontanarsi rasente al muro, a qualche
metro di distanza da lui: era un ragazzino, vestito da rapper, con
pantaloni e una felpa larghissimi, neri, a dispetto del caldo
torrido, e con un berretto calcato in testa. Da sotto la visiera
spuntava una zazzera bionda, disordinata.
Si
avvicinò con cautela, per non spaventarlo.
“Ehy,
tutto ben-”
Un
pugno lo colpì dritto alla base della mandibola,
disorientandolo per
un attimo, e il ragazzino sembrava pronto a dargliene un altro, se
non lo avesse bloccato in tempo per un polso.
“Non
mi toccare, coso!” gli urlò divincolandosi, e
prima che se ne
accorgesse un calcio lo prese allo stomaco, fortunatamente protetto
dal piastrone. Sorrise della sua smorfia dolorante e lo
lasciò
andare, indietreggiando di un passo.
“Ti
ho salvato, non voglio farti del male” assicurò
con voce dolce,
capendo la situazione.
L'altro
sbuffò col naso, come a voler dire che non lo temeva per
niente,
sempre comunque sul chi vive. Alla faccia della gratitudine.
“Non
avevo bisogno del tuo aiuto, coso.”
La
sua voce era squillante, ancora acuta di un bambino non arrivato
nella pubertà, ma era alto e gli occhi grigi sotto il
berretto erano
fieri e duri.
“Non
mi chiamo coso, sono Michelangelo. Ma è lungo, puoi
chiamarmi
Mikey.”
“No,
ti chiamo addio, me ne vado, coso.”
E
tenendolo d'occhio fino alla fine del vicolo, sparì dalla
sua vista.
Mikey
rimase immobile a fissare il punto dove era sparito, poi
scoppiò in
una risata.
Quel
tipo era interessante.
Si
gettò nella sua scia, cercando di ritrovarlo, e una volta
individuato lo seguì cautamente, senza fretta. Stava
gironzolando
per le viuzze, attento ad ogni movimento sospetto e apparentemente
indeciso su dove andare.
Appena
svoltato un angolo, Mikey se lo trovò di fronte, di nuovo
col pugno
carico contro di lui.
“Perché
mi stai seguendo, coso?” domandò sospettoso.
“Volevo
essere sicuro che non ti succedesse nient'altro”
replicò subito
lui, sinceramente.
“Non
ho bisogno di protezione, vai via” borbottò il
ragazzino,
abbassando il braccio e voltandosi, continuando a camminare.
Mikey
gli andò dietro comunque, svagatamente.
“Mi
stavo chiedendo perché quei tizi ti stessero seguendo...
cosa gli
hai rubato?”
Il
giovane girò appena la testa per mandargli un'occhiataccia
disgustata.
“Non
ho rubato niente.”
“Non
sta bene rubare e mentire alla tua età, ragazzino.”
Si
beccò un altro sguardo di disprezzo, perfino più
cattivo di prima.
“Non
ho rubato. Non ho mentito. E non sono un ragazzino. E adesso
sparisci, mi dai noia, coso.”
Si
allontanò a grandi passi senza prestargli più
attenzione,
nonostante sapesse che era ancora dietro di lui.
Michelangelo
avrebbe potuto lasciar perdere, se avesse anche solo lontanamente
saputo cosa volesse dire quell'espressione, ma quel tizio lo
incuriosiva e in più sembrava aver bisogno di aiuto e lui
non si
sarebbe tirato indietro. Ovviamente aveva deciso tutto da solo.
Si
fermò quando lo vide entrare in un locale dall'altra parte
della
strada, in cui lui non poteva, logicamente: si tenne nell'ombra in
attesa, non seppe nemmeno bene perché.
Non
sapeva cosa stesse combinando o cosa volesse combinare, in fin dei
conti.
Rimase
in attesa per una buona mezz'ora, prima di pensare che potesse
esserci qualcosa che non andava; e se ci fosse stato, lui non lo
avrebbe saputo per tempo.
Si
arrampicò sul palazzo vicino e una volta sul tetto prese la
rincorsa
per lanciarsi su quello di fronte, alla cui base c'era il locale: da
lì, tenere d'occhio sia l'ingresso che l'uscita sul retro
era
questione di pochi passi e aveva l'illusione di aver tutto sotto
controllo, a modo suo.
Attese
ancora, percorrendo a piccoli passi il tetto, morendo di noia, mentre
il pensiero del suo rifugio fresco e dei ghiaccioli si faceva di
nuovo strada nella sua mente.
Dopo
quella che gli parve un'eternità, sentì delle
voci risalire dalla
strada.
“Non
ci piace chi fa la spia agli sbirri, pidocchio.”
“Ho
solo chiesto un'informazione, non lavoro con la polizia.”
Mikey
riconobbe la seconda voce e si affrettò a correre dall'altra
parte
del tetto, sporgendosi poi oltre il cornicione per guardare sotto, in
un vicolo dietro il locale su cui si apriva la porta sul retro.
C'era
il suo piccolo piantagrane insieme a tre uomini più alti di
lui di
almeno trenta centimetri, minacciosi e pericolosamente vicini, pronti
a picchiarlo. Quello, tuttavia, non sembrava impaurito e teneva testa
con la sua cocciutaggine, a dispetto della figura esile.
“Non
ci piace nemmeno chi fa domande, nessun genere di domande”
rispose
uno, spintonandolo via.
Il
ragazzino reagì in fretta e lo colpì allo stomaco
con un pugno e
poi roteando velocemente lo mandò al tappeto con un calcio
in piena
faccia. Gli altri due si lanciarono contemporaneamente contro di lui,
ma uno venne colpito in testa da qualcosa caduto dal cielo, mentre
l'altro lo stese abbastanza facilmente con pochi colpi.
Poi
alzò lo sguardo in alto e trovò un sorridente
Michelangelo che lo
salutava con una mano.
“È
tua abitudine andare in giro sui tetti e immischiarti negli affari
degli altri?” chiese sarcastico.
“È
tua abitudine metterti nei guai con tutti?”
“Non
sei nei guai se li stendi tutti prima che lo facciano loro.”
Il
ragazzino si chinò a prendere il Nunchaku che aveva lanciato
e poi
lentamente si avvicinò alla scaletta antincendio, issandosi
facilmente sul tetto.
“Senti,
non so perché continui a starmi dietro, ma ti avviso che non
ho
molta pazienza” iniziò a dire una volta sopra,
facendo roteare il
Nunchaku con la mano destra.
Non
era bravo quanto lui, ma non se la cavava poi così male.
“Mi
sembri nei guai; posso darti una mano. Cosa stai cercando?”
“No,
grazie. E qui le faccio io le domande: cosa sei, coso?”
“Sono
un ninja! Non si vede?” replicò Mikey indicando la
sua figura, ma
al vedere che il ragazzo non sorrideva nemmeno, sbuffò
deluso.
“Sono
una tartaruga mutante” rispose meno divertito, e vide che
l'altro
sembrava decisamente più interessato.
“Una
tartaruga mutante con addestramento ninja e aggiungi alla lista anche
carino, simpatico e dal cuore romantico.”
Vide
gli occhi grigi rollare verso il cielo e un po' gli venne da ridere,
ma si fermò quando il ragazzo smise di far roteare la sua
arma e si
avvicinò circospetto, studiandolo con occhio attento; gli
prese una
guancia e tirò forte, forte, finché non
gridò di dolore e sorpresa
assieme.
“Ma
sei-”
“È
vera. Allora questo non è uno scherzo?”
“Ti
sembra uno scherzo questo?” si lagnò Mikey,
mostrando la guancia
arrossata, che si strofinò prontamente con un broncio offeso.
Solo
allora lo vide ridere, un ghigno contento per ciò che aveva
fatto e
gli venne il dubbio che quel ragazzo non fosse poi così
buono e
bisognoso di aiuto.
“Allora,
vuoi dirmi cosa stai cercando? Può non sembrarti, ma sono
bravo ad
aiutare le persone.”
Il
giovane si adombrò di colpo e gli restituì
immediatamente il
Nunchaku, di colpo chiuso in sé stesso.
“Non
mi puoi aiutare, faccio da me. Vai a salvare qualcun altro,
stanotte.”
Si
allontanò sul tetto, intenzionato a saltare su quello
più vicino,
ma Mikey gli andò dietro, insistendo.
“Posso
davvero aiutarti! Conosco tutta New York e so muovermi meglio di te,
non c'è niente che mi sfugga e se mi dici che
cosa-”
“Mia
sorella! Sto cercando mia sorella!” lo interruppe il ragazzo,
facendo dietro front con un viso cupo e sofferente.
Michelangelo
si fermò sorpreso, colpito dal tono accorato, dalla presenza
che lo
fronteggiava, seppur piccola.
Ci
fu qualche istante di silenzio e temette davvero che se ne sarebbe
andato una volta per tutte, dopo averlo colpito in faccia
probabilmente.
“Mia
sorella è scomparsa l'anno scorso, la sto cercando da undici
mesi.
La polizia ormai non fa più niente, è passato
troppo tempo... mi
hanno detto che è quasi impossibile che sia ancora
viva” raccontò
invece, malinconicamente.
Mikey
lo avrebbe anche abbracciato, se non avesse temuto che lo picchiasse.
Assomigliava
un po' a Raphael, quel ragazzino, al Raphael di un tempo che
ragionava solo con i pugni.
“I
vostri genitori sanno che sei fuori a cercarla?”
Un
ghigno amaro piegò le sue labbra, gli occhi più
cinici.
“Non
ho genitori. Mia sorella è tutto quello che ho.”
Ok,
adesso voleva davvero abbracciarlo, gli costò tutta la sua
risoluzione per non farlo.
“Io
potrei aiutarti. Non posso andare in giro a fare domande, ma ho
anch'io le mie conoscenze” propose dolcemente, pensando alla
loro
rete di informazione fornita dai barboni di New York. Arrivavano
ovunque, sapevano molto più della polizia, avevano accesso
ad ogni
genere di informazione.
Il
ragazzo sembrò pensarci su, indeciso se fidarsi o meno. Non
sembrava
uno che si fidava degli altri con facilità.
Frugò
in una delle tasche della felpa e gli allungò titubante una
foto,
quasi con riluttanza.
Vi
era ritratta una giovane donna, il viso a cuore incorniciato da una
cascata di morbidi e boccolosi capelli biondi, gli occhi grigi
identici a quelli del fratello. E un sorriso dolcissimo, diretto a
qualcuno fuori dal campo della fotografia.
In
un altro momento avrebbe fatto un commento, una battuta anche, ma era
rapito e il cuore batteva forte e le mani gli sudavano.
Era
stupido sentirsi così per una foto, ma quella era la donna
più
bella che avesse mai visto in vita sua, senza offesa per le sue
fantastiche sorelle, incarnava tutto quello che avesse mai sognato e
desiderato in una compagna. Anche di più.
Si
riscosse infine dalla trance, e si accorse che l'altro lo stava
fissando.
“Ti
aiuterò a trovarla” annunciò solenne.
“E poi me la presenterai”
aggiunse con un sorriso furbo.
“Che
schifo, non ci pensare nemmeno, coso. Non lascio mia sorella ad un
mutante, ninja e tartaruga!”
“E
carino. Hai dimenticato carino.”
Il
ragazzo sorrise appena, scuotendo la testa.
“Prima
troviamola, poi sentiamo che cosa ne pensa lei” disse mezzo
divertito.
Poi
tese la mano verso di lui.
“Io
sono Sam, molto piacere, coso.”
Note:
Buona
sera a tutti, ben ritrovati.
Prima
di quanto pensaste, immagino.
Eccoci
al primo capitolo della mini-avventura di Mikey. È passato
un mese
dalla lotta contro gli Shisho e dalla proposta di Raph a Isa e il
piccolo di casa si chiede cosa possa regalare loro per il matrimonio.
Poi ovviamente passa in secondo piano per il nuovo incontro.
Sam
sta cercando sua sorella e noi seguiremo Mikey mentre gli da una
mano, ovviamente sempre in stile Mikey. Ne avremo per almeno quattro
capitoli.
OT: oggi subirò un piccolo intervento, se mi penserete anche un poco, so che la paura sarà di meno.
Vi abbraccio fortissimo.