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Autore: marea_lunare    17/07/2017    0 recensioni
E se qualcun altro prima di Rosie avesse risvegliato l'animo paterno di John? Qualcuno che farà breccia nel cuore tenero del dottore e in quello di ghiaccio di Sherlock.
-Ti voglio bene, papà-
-Anche io, piccola mia-
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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(13) The gun, the bullet
 
Spesso cose di cui non conosciamo nulla, cose che nemmeno ricordiamo fanno parte delle nostre esistenze, ci temprano, ci formano.

A volte sono cose che noi stessi scegliamo di dimenticare.

Distorciamo inconsciamente ma allo stesso tempo volontariamente la realtà e la nostra mente.

Può sembrare un paradosso, ma in questi casi si attiva quel fondamentale meccanismo di cui siamo dotati e che ci spinge a cercare di sopravvivere anche psicologicamente: l’autoconservazione.

Ed è per questo che Sherlock aveva deciso di dimenticare sua sorella.

Le aveva portato via una delle cose più importanti della sua vita ed era intelligente più di lui e Mycroft messi insieme.

Una mente criminale degna dello stesso James Moriarty.

Sadica, completamente pazza eppure contemporaneamente così scaltra e intelligente da lasciare senza parole, capace di raggirare qualsiasi mente umana.

Con il suo sadismo e la sua perfidia riuscì a distruggere la vita di John Watson e del fratello minore per l’ennesima volta, costringendo il giovane Holmes a fare una scelta impossibile persino per lui e il suo cuore ormai non più di pietra.

“Chi vuoi far morire, Sherlock? Tuo fratello Mycroft o il tuo caro amico John Watson?”

La pressione psicologica fu devastante, aggiungendosi a quella che già aveva indebolito notevolmente il detective.

Fu difficile pensare in modo razionale, soprattutto con Mycroft che tentava di utilizzare uno stratagemma basilare eppure allo stesso tempo sottile per farsi sparare e rendere più facile la scelta di Sherlock, senza però alcun risultato.

“Perché non io, Eurus?” chiese Rachel parandosi davanti a John “Perché io non sono contemplata come possibile vittima?”

“Rachel smettila!” sibilò John.

“Oh, mia cara Rachel, che eroina che sei. Vorresti sacrificarti per salvare il tuo papà? Mi dispiace, tesoro, ma non puoi. Sei così fragile. Piccola, fragile, stupida ragazzina” sorrise Eurus in tono languido e divertito “Non è facile per te, vero? Eppure sei stata abituata alla violenza, fin da bambina. Tuo padre ti picchiava molto forte, una volta ti ha quasi uccisa, ricordi?”

“Che cosa?!” esclamò John, sbarrando gli occhi e prendendo Rachel per le spalle.

“Perché non me lo hai mai detto?”

“Che senso avrebbe avuto?” disse lei con gli occhi lucidi.

“Ora basta parlare, signori. Sherlock, è ora di scegliere” affermò Eurus.

Durante tutta la conversazione, il detective aveva tenuto la pistola puntata contro Rachel e John come se tentasse di usare l’arma per concentrarsi su qualcosa, su un punto in particolare per riuscire a ragionare.

La voce acuta di Eurus ruppe quel torpore in cui era caduto ascoltando le voci del dottore e della ragazza, riuscendo a distrarsi per la prima volta nella sua vita, quasi a non pensare.

Tenne la pistola ancora puntata contro Watson che lo guardava teso.

Rachel tentava di mantenere la calma mentre Mycroft sembrava a proprio agio, nonostante Sherlock sapesse che non era così.

Non voleva macchiare le sue mani e il suo animo del sangue di qualcuno a lui caro.

Dentro quella stanza c’erano le uniche tre persone che, a parte altre pochissime, lo avevano sempre amato.

Non poteva fare questo a nessuna di loro.

Perciò applicò l’unica soluzione che gli sembrò possibile in quel momento.

Si puntò la pistola sotto il mento e iniziò a contare.

“Dieci”

“Sherlock, che cosa stai facendo?!” disse Eurus con una punta di panico nella voce.

“Nove”

“Sherlock per l’amor di Dio metti giù quella pistola!” gridò John, ma il consulente non gli diede ascolto.

“Otto”

“Sherlock, ora smettila!” disse Mycroft, mostrando la sua preoccupazione.

“Sette”

Rachel non aprì bocca, sapeva che sarebbe stato tutto inutile.

“Sei”

Sherlock era l’uomo più cocciuto che avesse mai conosciuto e non si sarebbe persuaso grazie a due paroline dolci ben dette.

“Cinque”

Doveva fare assolutamente qualcosa o quel pazzo si sarebbe sparato davvero.

“Sherlock, metti giù quella dannata arma!” stridé Eurus, sovrastando la voce del consulente che continuava a contare.

“Quattro”

Secondi inesorabili che scorrevano come l’acqua di un fiume in piena: veloci, disastrosi, dolorosi.

“Tre”

La ragazza agì senza esitare un attimo.

“Due”

Era perfettamente consapevole di ciò che stava facendo, non le importava cosa sarebbe accaduto.

Ciò che veramente contava è che Sherlock e John, insieme a Mycroft, si sarebbero salvati.

Non era mai stato nella sua indole il rimanere a guardare quando qualcuno soffriva, quando c’era un modo per risolvere una determinata situazione.

E questo caso non fu un’eccezione.

“Mi dispiace papà” sussurrò superando John di corsa, senza che l’ex soldato potesse risponderle o fare qualcosa.

Raggiunse Sherlock e gli strappò la pistola di mano.

“Uno”

Il detective la guardò spaesato, riuscendo a capire le sue intenzioni solo quando la ragazza si era già puntata l’arma allo stomaco.

“NO, FERMATI!” gridò allungando la mano verso di lei.

Troppo tardi.

Un colpo secco partì dalla pistola e la sua eco rimbombò per tutta la stanza.
 
 
 
“RACHEL!” il grido di John irruppe tra quelle quattro mura che sembravano rimpicciolirsi di secondo in secondo.

Watson avrebbe voluto fosse così.

Avrebbe voluto vedere le pareti arrivare a soffocarlo, svegliarsi madido di sudore nel suo letto e scoprire che era stato un altro dei suoi innumerevoli incubi. Scendere dal letto e arrivare in salotto, dove avrebbe trovato Sherlock ad accoglierlo suonando il violino, mentre Rachel e Rosie giocavano per terra con i ninnoli della bimba.

Implorò un Dio in cui non credeva più che fosse così, ma le sue preghiere non vennero ascoltate.

“No, no, no, NO” mormorò correndole incontro.

L’arma le era scivolata dalle mani, il bossolo del proiettile era rotolato fino alla parete opposta e la ragazza si era accasciata su se stessa mentre una pozza di sangue si stava espandendo sulla sua maglietta e sotto di lei.

Il dottore la sorresse, circondandole la vita un braccio e reggendole la testa, tremando come raramente aveva fatto in vita sua, solo in guerra.

Anche lui, come Sherlock, venne travolto da un ricordo ancora troppo fresco, una ferita ancora non del tutto chiusa che si riaprì in uno squarcio, con una violenza che li stordì entrambi e li fece temere persino per il loro rapporto: Mary.

 Di nuovo qualcuno si era sacrificato per salvare le loro vite senza che nessuno dei due potesse fare nulla.

La consapevolezza di non aver agito abbastanza in fretta sovrastò Sherlock come un cumulo di macerie, spezzandogli la schiena per l’ennesima volta.

Era rimasto paralizzato a causa del precedente crollo nervoso e del gesto di Rachel, il suo corpo e le sue emozioni avevano prevalso sulla mente.

“Sherlock, aiutami!” gridò il dottore mentre cercava di tranquillizzare la ragazza e di capire cosa diavolo le fosse saltato in mente.

Il detective non si mosse. Con un’espressione pietrificata impressa sul volto continuava a guardare John come se provenisse da un altro pianeta, come se quella che teneva tra le braccia non fosse sua figlia adottiva, non fosse la ragazza che lui e John avevano cresciuto insieme come una seconda Rosie.

“SHERLOCK, TI PREGO!” gridò più forte il dottore con voce spezzata.

A quel richiamo, il corpo del consulente rispose in un riflesso condizionato e le sue gambe si mossero da sole, i neuroni si riattivarono in un lampo.

Corse verso di loro e si tolse la giacca, legandola sul ventre di Rachel in un vano tentativo di bloccare l’emorragia.

“Hey” le sussurrò con un breve sorriso, inginocchiandosi al suo fianco.

“Hey Sherlock” sorrise lei a sua volta tra le lacrime, tra un affanno e l’altro.

“Che diavolo hai combinato” mormorò il detective.

“Lo so, ma era la cosa… giusta da fare”

“Avremmo potuto trovare una soluzione insieme” le disse.

“Ti sbagli, sai che non è così” affermò decisa la ragazza.

Sherlock sapeva quanto avesse ragione.

Eurus aveva imposto le sue condizioni e nulla le avrebbe fatto cambiare idea.

Così Rachel aveva optato per un disperato tentativo di salvare loro la vita.

“Dobbiamo trovare il modo di fermare l’emorragia, Sherlock” disse John tentando di non crollare.

“Lo so, John. Sto cercando di pensare più velocemente che posso”
 
 

La ragazza guadò Mycroft, alle spalle di John.

Il maggiore degli Holmes a volte sapeva essere più perspicace di Sherlock, perciò non fu difficile per lui capire cosa Rachel nascondesse in quello sguardo.

Era una silenziosa preghiera per lui.

In quegli anni di convivenza con John e Sherlock, i due non avevano mai instaurato un rapporto affettivo di qualsiasi tipo e poche volte si erano rivolti la parola per dirsi cose come “Buongiorno” o “Buonasera”, ma di questo non si erano mai preoccupati.

Ora, invece, era diverso.

In quel momento gli stava chiedendo con gli occhi di proteggere Sherlock, e di conseguenza John, come aveva sempre fatto. Di continuare a salvarli dal mondo circostante e da loro stessi, di prestare attenzione che non accadesse loro nulla di male e che continuassero le loro vite tra casi, serial killer e corse infinite per Londra.

Il rammarico era ben visibile nella sua espressione, però solo il governatore inglese se ne accorse. Lei non voleva veramente morire, eppure le era sembrata un’aspettativa migliore piuttosto che perdere uno dei due uomini che ormai lei considerava genitori.

Mycroft le rispose con un leggero cenno d’assenso e un piccolo sorriso compassionevole, aprendo uno spiraglio di umanità grande quanto la capocchia di uno spillo, che per la ragazza fu abbastanza.

“Hai ottenuto la tua vittima, Eurus! Ora facci uscire da qui!” chiamò l’uomo, mantenendo la sua maschera di calma apparente.

“E’ inutile Mycroft” lo interruppe il minore “La vittima non sei tu, non è John e Rachel non è ancora morta. Perciò a meno che non ti sia venuto in mente un modo concreto per salvarla, sei pregato di chiudere la bocca!” concluse con un’esclamazione irritata.
 
“Tesoro, sono qui. Non chiudere gli occhi per nessun motivo, soprattutto se hai sonno, d’accordo?” le mormorò John avvicinandola a sé, come a voler riscaldare quel corpo che diventava sempre più pallido.

Le pulsazioni cardiache erano diminuite drasticamente e secondo dopo secondo rallentavano sempre di più.

“Andrà tutto bene, Rachel. Torneremo a casa tutti insieme, sono convinto che Rosie già sente la tua mancanza” disse Watson sorridendo più per incoraggiare se stesso.

“Quando torneremo, imparerai che io a colazione non voglio il tè?” rispose lei con una risata appena accennata.

“Sì, vuoi il caffélatte. Lo imparerò, promesso” ribatté l’altro, non riuscendo più a trattenersi e chinando il capo per permettere alle lacrime di uscire copiose ma invisibili.
 
“Perdonami” disse all’improvviso Sherlock.

Rachel lo guardò con occhi acquosi, quasi vitrei, il che smosse l’animo dell’uomo.

“Non sono riuscito a proteggere nemmeno te” continuò.

A quell’affermazione John alzò il volto di scatto, non nascondendo più il viso deformato dal dolore e dalle lacrime, sentendo l’affetto che lo univa a Sherlock crescere ancor di più.

“Va bene così, Sherlock. È stata una mia decisione e non la rimpiango assolutamente. I-io voglio che voi stiate bene. Tu rimarrai sempre il mio angelo custode” gli rispose lei, tendendogli la mano che, incredibilmente, Sherlock strinse con forza.

“Io…” provò a dire, ma Rachel venne scossa da una fitta di dolore che la stordì, facendola piegare in due e gemere.

Una volta passata, John le controllò ancora il battito cardiaco, impallidendo a quel rintocco così leggero.

“Non abbandonarmi anche tu” sussurrò inconsciamente.

A quelle parole, Rachel raccolse tutte le sue ultime forze in uno slancio che la portò ad abbracciare Watson, il quale la strinse a sé con una forza quasi delicata. Non appena sentì il profumo dei suoi capelli rossi contro il naso iniziò a singhiozzare in modo incontrollato, mentre lei gli parlava nell’orecchio.

“Io non avrei voluto farlo, ma sapevo che le cose dovevano andare così. Sherlock si prenderà cura di te, per questo sono tranquilla” disse, interrompendosi per riprendere fiato a causa dello sforzo.

“L-lui ti ama, come nessun altro ha mai fatto. Prendetevi cura l’uno dell’altro” concluse, il volto disteso e sereno “Ti voglio bene, papà”.

“Anche io, piccola mia”
 
 

Una nuova ondata di dolore arrivò all’improvviso, stavolta però non terminò.

Rachel soffrì in silenzio.

Continuò a digrignare i denti, aggrappandosi a John, cercando di non urlare.

La fitta continuò ad intensificarsi, occludendo il petto della ragazza in una morsa letale, pesante, senza scampo.

Un singhiozzo le morì in gola mentre le palpebre iniziarono a chiudersi lentamente, il cuore flemmatico e flebile come il battito d’ali di una farfalla.

Guardò il soffitto, piangendo e chiedendo che quel dolore terminasse prima possibile.

Dolore, dolore, dolore, buio.  

Il peso opprimente si dissolse all’improvviso.

Tutto sembrò sparire in una nuvola di niente.

Le forze le mancarono tutte d’un colpo, le palpebre si abbassarono completamente.

La bocca rimase semiaperta.

Le braccia scivolarono piano lungo la schiena di John fino a raggiungere il suolo con un tonfo sordo.

A quel rumore, l’ex soldato spalancò gli occhi, reggendo la testa di Rachel con una mano e nascondendole il viso dietro la spalla.

Cercò lo sguardo del compagno, pregando che almeno lui lo disilludesse da quella realtà così orribile.

Ciò che invece gli confermò Sherlock, fu solamente che lui era un dottore: non poteva sbagliare in questi casi.

Il consulente aveva gli occhi arrossati nonostante non avesse pianto, la mano ancora aperta come se aspettasse che Rachel glie la riprendesse.

“No. Rachel, ti prego, no. Non puoi farmi questo, non puoi! Avevi promesso che saresti tornata a casa con me!” mugugnò tra un singhiozzo e l’altro, ripetendo quelle poche frasi come fossero una litania.

Quando ebbe il coraggio di guardare il volto della ragazza e si accorse del piccolo sorriso tranquillo, sereno nella consapevolezza di averli salvati, che lo incorniciava, non riuscì a trattenere un grido.

Aprì i polmoni e spinse in alto il diaframma, volgendo la testa al soffitto, spalancando le porte al dolore che per mesi, per anni aveva portato dentro di sé come un tarlo che gli corrodeva l’anima.

Appoggiò delicatamente la ragazza sul pavimento e si alzò, barcollando, ubriaco d’ira.

“Eurus!” gridò “Eurus, dove sei?! Vieni fuori pazza psicopatica! Facci uscire da qui! Apri questa cazzo di porta prima che butti giù a testate tutte le pareti di questa maledettissima stanza!!”

Sherlock rimase folgorato da quello sfogo così violento, non lo aveva mai visto così furioso.

Immediatamente si alzò e lo raggiunse, tentando di bloccarlo mentre tempestava di pugni e calci la parete alla sua sinistra.

“John. John, calmati” gli disse avvicinandosi, tentando di sovrastare le grida di Watson.

“Facci uscire da qui!”

“John per l’amor del cielo, smettila!” urlò Sherlock.

“NO!” sbraitò l’altro girandosi di colpo verso di lui, il volto deformato dalla rabbia “IO VOGLIO AMMAZZARLA TUA SORELLA! VOGLIO FARLA SPARIRE DALLA FACCIA DELLA TERRA!”

“John, adesso BASTA!” gridò ancora una volta il consulente afferrandolo da dietro e bloccandogli le braccia lungo il corpo.

“Lasciami andare, Sherlock, lasciami!” protestò John, ma Holmes non lo ascoltò, continuando a stringere per tenerlo fermo.

Quando Watson capì di non poter fare nulla e di non potersi più muovere, si inginocchiò all'improvviso, come se la scarica di adrenalina di poco prima si fosse esaurita tutta insieme.

“Mi dispiace, John. Mi dispiace” disse Sherlock mettendosi di fronte al compagno, abbracciandolo davvero stavolta, compiendo un gesto che nemmeno lui si sarebbe mai aspettato di poter realizzare.

Quando le mani candide del detective raggiunsero i suoi capelli biondo grano, John si lasciò andare ad un pianto disperato che non poté durare molto.

Lo schermo da cui Eurus parlava si era spento pochi secondi prima della sfuriata del dottore, ed ora era nero e silenzioso.

Al suo posto, però, si udirono tre piccoli click.

Una freccetta piena di sonnifero colpì ognuno dei tre uomini al collo.

Mycroft fu il primo a svenire.

John si afflosciò sul pavimento mentre ancora era tra le braccia di Holmes.

Sherlock riuscì a mantenere per qualche secondo la lucidità e si spinse verso Rachel, senza ben sapere il perché.

Quando sentì le gambe cedergli, cadde prima sulle ginocchia per evitare di sbattere la faccia sul duro pavimento di pietra.

Poco dopo il petto arrivò con forza a terra, la sua mano destra si allungò verso il polso sinistro di Rachel, l’indice e il medio vi si appoggiarono sopra per pochi millesimi di secondo.

Poi tutto fu buio.
 




TUM-TUM.
 
   
 
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