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Autore: Chameleon94    17/07/2017    0 recensioni
Ecco qui, se non potete aspettare la settima stagione, la prima puntata è qui! Questa storia non è interamente basata su quello che succederà, ci sono elementi presi dalle anticipazioni, e in parte è frutto della mia immaginazione e delle mie scelte. Hyperion Heights: La piccola Lucy conduce Henry in una nuova, grande città, piena di misteri e facce stranamente familiari, e dei nuovi antagonisti. I Flashback spiegano cosa è successo nell'arco di 15 anni e come si è arrivati al presente. Buona Lettura!
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
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STORYBROOKE – 15 anni fa
 
Faceva freddo quella mattina, nella città incantata del Maine, come ogni volta, eppure la luce del sole splendeva e illuminava il nuovo giorno sulle vaste, numerose abitazioni, sulla torre dell’orologio, che segnava le 8 e 15 del mattino, sulla vetrina della locanda della Nonna, sul municipio, sul banco dei pegni del Signor Gold, e su di una casa già di per sé scintillante, dipinta di un colore celeste come il cielo, con piani multipli come se fosse un castello fiabesco. Sulle scale davanti alla porta, erano seduti, spensierati, un giovanotto e sua madre, lui con l’immancabile sciarpa e un librone tra le mani, lei con l’iconica giacca rossa e i lunghi capelli biondi che la distinguevano. Fu proprio da un epico finale, con i fuochi d’artificio, che iniziava un nuovo libro, un nuovo capitolo della storia.
“Ce l’hai fatta mamma, ti sei ripresa la tua vita, hai finalmente ottenuto il tuo happy ending!” Esultò Henry, con il suo solito sorriso spensierato, mentre cercava di consolare la madre per l’assenza improvvisa dei suoi genitori.
“Già, hai ragione ragazzino, mi ha detto una cosa simile… mio marito” Rispose Emma, quando sul suo volto apparve, accennato ma inaspettato, un lieve sorriso, quasi commosso, ricordando i bei momenti del matrimonio, avvenuto poche settimane prima.
 “Ah, vero. E’ una cosa a cui mi dovrò abituare, quella” Riflette’ il ragazzo.
“Lui è fantastico, sul serio. Vorrei solo che i miei genitori e mio fratello fossero ancora in città, avremmo dovuto andare con loro per risolvere quella crisi nella Foresta… come una famiglia unita” Disse abbassando lo sguardo, ammirando il suo anello nuziale.
“Lo so, ma è una crisi minore, intanto chi avrebbe badato qui alla popolazione, se non la Salvatrice? Loro devono regnare lì per un po’, mentre Regina è ancora qui.” Tornò a sorridere Henry.
“Hai ragione… di nuovo, ha ha” Emma strinse a sé suo figlio, cercarono di consolarsi a vicenda, abbracciandosi.
Guardavano verso il cielo, verso la luce del sole, inconsapevoli che, dall’alto, era qualcun altro ad osservarli, in un luogo incognito, una dimensione al di fuori del reale, tre figure misteriose attorno a un pozzo, circondate da un bianco-latte, osservavano all’interno del buco rotondo del già menzionato pozzo, come in una visione, i due personaggi.
Solo la prima donna guardava, le altre, due ragazze più giovani, erano in attesa, non potevano ancora vedere nulla, come se ci fosse un unico occhio che potevano utilizzare a turno.
“Sembra tutto normale… apparentemente, sono felici, ma non è così che dovrebbero andare le cose…” Disse la prima, con un tono rigido, austero.
“Certo che no, hanno giocato con il destino, con delle vite, quei reami non dovrebbero neanche esistere al momento”
“Hanno sbilanciato il conflitto eterno tra bene e male, trovando quella scappatoia. Per non parlare del giovane che è tornato infante.”
“Abbiamo già iniziato a mettergli i bastoni fra le ruote dividendoli, adesso non ci resta che finire la nostra missione, care sorelle”
All’improvviso la scena scorta all’interno del pozzo si fece bianca come tutto il resto, liquida come acqua, ma vuota come aria, le tre sorelle avevano visto tutto ciò che c’era da vedere, con l’intento di tornare presto in azione.

SEATTLE -  Oggi, 5 Ottobre 2030.

“…Che significa che la mia famiglia ha bisogno di me? Io sono solo, i miei genitori sono morti tanto tempo fa, non ho nessuno, né tantomeno una figlia” Disse un Henry cresciuto, ormai quasi trentenne, deciso nel suo tono, ma confuso dall’entrata in scena di quella bambina, che disse di chiamarsi Lucy, un nome che gli diceva qualcosa, pensò che fosse un bel nome, davvero, però pensò anche che era la prima volta che lo sentiva. Di certo non voleva farsi coinvolgere nelle fantasie di una bambinetta credulona, aveva un lavoro lui, una vita, seppur semi-vuota, ma era pur sempre la sua vita.
Dentro di sé, comunque, era stato come in stato dormiente, in attesa di grandi avventure, come quelle che avrebbe potuto vivere un ragazzino di quattordici anni.
“Non è così, dai, devi venire con me, ti mostrerò tutto!” Disse Lucy battendo il piede sull’asfalto. Era una bambina precoce, quasi iperattiva, aveva fatto tutta quella strada da sola, da chissà dove fino a un noto quartiere di Seattle. Proveniva da una situazione familiare disastrosa, non si sapeva molto di più, il suo passato era avvolto nel mistero. Aveva dei capelli lunghi castani, sistemati appositamente da un fermaglio, e portava sempre con sé un piccolo libretto bianco, di poche pagine, una storia senza finale, forse appena iniziata, ancora tutta da scrivere e da scoprire.
“Senti, bimba, io non credo a niente di quello che dici. Mi preoccupi, da dove vieni? E’ meglio che ti riaccompagni a casa” Rispose con aria cinica, corrugando la fronte.
“Io non ho più una casa, anche io sono sola, aspetto che torni mio padre”
“E che mi dici di tua madre?”
“….” La ragazzina si fece misteriosa, abbassò lo sguardo e non degnò Henry di una risposta.
“Andiamo, su”. Henry prese le chiavi e trascinò Lucy fuori dal suo appartamentino, numero 815, scesero lungo le scale e uscirono dal palazzo.
Abitava in un quartiere tranquillo, un po’ troppo forse, molto solitario, conosceva diverse persone ma non aveva alcuna famiglia acquisita, neanche degli amici, solo il suo lavoro come ragazzo di consegne.
Entrarono in macchina in pochi minuti, Henry si mise alla guida, ovviamente, stava facendo una prova sul motore per assicurarsi che l’auto funzionasse. Lucy si posizionò sul sedile alla sua destra, e inizio a sfogliare il suo libricino, il quale partiva da una copertina piuttosto rudimentale. La prima pagina raffigurava una cena di famiglia, con le postazioni che assomigliavano a un famoso quadro; la seconda pagina pure sembrava qualcosa di già visto, l’immagine era di una madre e suo figlio seduti sulle scale della maestosa casa di lei.
“E quello sarebbe un libro di favole? E’ piuttosto piccolo, e fatto male, quella donna non sembra neanche una principessa, e chi è il ragazzino? Ha un’aria da stupido” Criticò il giovane, la sua lista di appunti sembrava non finire. Si ricordò che quand’era piccolo era un amante delle favole, aveva letto dei veri libri di fiabe, ma, purtroppo, erano appunto fiabe, nulla di reale, nulla che avesse a che vedere con la sua vita.
“Non sei pronto per questo…” Disse Lucy criptica.
“Non sono pronto per un libro di favole fatto male? Mi hai preso per uno sfigato?”
Le ruote dell’automobile cominciarono a roteare, e poi a muoversi percorrendo brevi tratti di strada, e la velocità aumentava, aumentava, grazie al momento della forza.
“Allora, dove siamo diretti, bimba?”
“Hyperion Heights, grande metropoli nella contea di King”

STORYBROOKE – 15 anni fa
                                                                                                                                                                                                                     
Emma entrò nel suo spazioso appartamento, in cucina trovò lui, che preparava la colazione, con una mano inseriva gli ingredienti nella padella, e con l’uncino la impugnava girando le uova, dopo due secoli si era abituato ad usarlo, quindi perché non sfruttarlo anche nelle faccende domestiche moderne?
Le mani della bionda si incrociarono con lo scintillante uncino, iniziando a farlo girare come fosse il pomello di un armadio. Lo alzarono insieme, lo fecero riflettere verso la luce della finestra e notarono che la sua forma ricordava proprio, dall’angolatura giusta, quella di un cigno. Coincidenza? Destino? Chi può dirlo.
L’altra mano di lui era piena di anelli, ognuno il ricordo di una vittoria, di una battaglia, ma la vittoria più grande era rappresentata dalla fede, anello che coronava il suo lieto fine.
Non dissero una parola per ore, avvicinarono i corpi e poi le labbra, cominciarono a strofinarle tra loro e subito a penetrarsi, come in un incastro perfetto.
Tutt’a un tratto sentirono qualcosa, non di piacevole, ma più come un disturbo, un bagliore e poi un lieve mal di testa prese la mente di Emma, forse un presentimento, un brutto presentimento.
Uscirono dall’abitazione e presto scorsero che la cittadina era avvolta da alcuni lampi di colore rosa: si trattava di un’altra crisi, ormai ci erano abituati, per fortuna potevano affrontarla insieme, pensarono.
Nella piazza davanti al grande orologio incontrarono Henry e Regina. Qui subito il silenzio precedente fu interrotto:
“Che succede adesso?”
“Non lo so, ma non promette niente di buono…” Rispose Regina, perplessa.
“Si tratta solo di una pioggerella, andiamo!” Sintetizzò Uncino, coraggioso ma anche spavaldo.
“Se si trattasse di quello pensi che avrei paura?” Disse Regina in tono sarcastico.
Intervenne Henry: “So chi può aiutarci… mio nonno”.
Ci fu un momento di silenzio, ne approfittarono per riflettere, probabilmente dubitavano della proposta del ragazzo.
“Non lo so Henry, Gold è diventato di nuovo arrogante ed egoista da quando Belle lo ha lasciato”
“Io conosco il coccodrillo, per salvare il culo a sé stesso sarebbe disposto a tutto, ci aiuterà” Disse sicuro Uncino.
Così entrarono nel banco dei pegni di Tremotino, senza bussare e molto di fretta, come urgeva in quella situazione.
“Coccodrillo, hai visto quello che succede devi aiutarci”
“Gold, senti, ci dispiace per quello che è successo con Belle, però …”
Emma fu interrotta, il proprietario del negozio alzò la mano, e fece vibrare l’indice.
“Voi non avete capito nulla, sapevo che questo momento sarebbe arrivato, così ho nascosto Belle e Gideon in un luogo sicuro, dove non potranno essere arrivati dalle persone che ci stanno minacciando”.
Regina pose le mani sui fianchi, impaziente e forse innervosita: “Quindi sapevi di questa crisi, e non ci hai avvisato? Tipico da parte tua, volevi salvare solo te e la tua famiglia”
“Bah, dovreste ringraziarmi, invece, vi ho lasciato godere un bel po’ il vostro tanto agognato Happy Ending. Usciamo da qui, ho un piano”
L’uomo prese un’ampolla piena di una sostanza color porpora da una delle sue credenze, e li accompagnò fuori dal negozio.
 
HYPERION HEIGHTS – Oggi
 
L’auto con Henry e Lucy passò oltre un ponte, e un grande arco con su scritto “Benvenuti a Hyperion Heights!”. Sicuramente si trattava di una città accogliente, pensò il giovane, ed era senz’altro la più grande che avesse mai visto, anche se non ricordava di aver visitato molte città, per qualche motivo.
“Complimenti, bella città. Su, dimmi dove abiti così me ne vado subito.”
“Non puoi andartene, devi aiutare la tua famiglia, aiutare me, e tutta la popolazione”
Henry osservava il grande traffico, strade piene di automobili, stracolme di pedoni che passeggiavano regolarmente.
“A me sembrano tutti a posto, sei tu l’unica con dei problemi qui…” Henry fece una smorfia, e rivolse lo sguardo sulla bambina.
“Devo aver preso da mio padre.” Rispose Lucy, impertinente.
“Grazie”
“Cambiando discorso… è vero, può sembrare che qui sia tutto normale, in realtà le persone sono dei personaggi delle favole, intrappolate in questo posto, non possono abbandonarlo, e non si ricordano chi sono!” Lucy spiegò la situazione all’adulto, facendo gesti con le mani, era davvero convinta di quello che stava dicendo.
Scesero dalla macchina, Henry all’inizio diede un’occhiata strana alla piccola, poi le si accostò, piegò le gambe e si avvicinò all’altezza della sua presunta figlia: “Senti, Lucy, non mi interessano queste storie, voglio solo riaccompagnarti a casa. Ce l’hai una casa, vero? Dov’è tua madre?”
“Tua moglie, vorrai dire!” Esclamò la bimba con un grosso sorriso sulle labbra.
Henry pose il suo palmo della mano sulla faccia, in segno di imbarazzo: “E dove sarebbe? Ti accompagno da lei”.
“Io… non vivo con lei. Non ho una vera casa” Il volto della bambina si capovolse, in particolare il suo sorriso.
“Ci sarà pur qualcuno che si prende cura di te.”                     
“Cura di me… non direi proprio. Vivo con le mie zie, non siamo davvero parenti, ma vivo con loro” Disse Lucy in tono piatto.
“Molto bene allora, bada per le zie” Henry prese la piccola per la mano e insieme fecero un bel tratto di strada. A un certo punto incontrarono una ragazza, con uno strano cappello e due buste della spesa piene. Lei e la bambina si riconobbero subito e si salutarono.
“Ehi, Lucy! Chi è questo signore?”
“E’ mio padre!” Il sorriso riapparve sul volto della bambina.
“Oh…” La donna fu imbarazzata, non voleva entrare nelle questioni familiari di Lucy, né voleva rimproverare il padre per la sua assenza. Riprese a parlare: “Salve, io sono Georgina, un’amica di Lucy, gestisco il locale – L’Hyperion – a Piazza Zeus. Se vuoi venirci a trovare sarai il benvenuto! Lucy, salutami il sindaco e le altre due tue zie” Disse con gentilezza, e si allontanò presto.
“Lei, in realtà, è Tiana della Principessa e il Ranocchio!” Accennò Lucy sottovoce, con una mano che copriva la bocca dal lato destro.
“Questo perché ha detto di avere un locale? Eh…” Henry era piuttosto scettico all’idea. Continuò: “Quindi sei la nipote del sindaco?”.
“Diciamo così…” E si allontanarono dalla stradina.
 
STORYBROOKE – 15 anni prima
 
Mentre i lampi continuavano a irradiare la cittadina di Storybrooke, i cinque eroi ed ex malvagi uscirono dal negozio e cominciarono a perlustrare la zona per comprendere meglio la situazione. Un lampo arrivò vicino ad essi e colpì un edificio, l’ospedale psichiatrico, che sparì in un baleno e fu sostituito da una fitta vegetazione.
“Sta tornando tutto come prima… la natura, prima che arrivasse Storybrooke” Disse Tremotino perplesso.
“Tremo, con chi abbiamo a che fare? Lo sai, vero?” Domandò Regina in tono serio.
“Vuoi davvero saperlo, cara?” Le si rivolse Tremotino con voce sarcastica.
Non ci fu risposta da parte di nessuno.
“Beh, i lampi sicuramente provengono da qualche divinità, secondo le ricerche che ho fatto… sono le Tre Parche”
“Cosa?!” Emma fu spiazzata, così come gli altri. Henry subito intervenne, portando un po’ di supporto e speranza:
“Ci dev’essere un modo per fermarle, abbiamo sconfitto degli Dei in passato”
Ma suo nonno lo stroncò immediatamente: “Mi dispiace ragazzo, ma è stata pura fortuna, cosa che non ricapiterà questa volta, è colpa vostra, sua in particolare, Signorina Swan, lei ha aggirato il suo destino fatale, così come ha fatto resuscitare il pirata qui presente. Purtroppo non ci resta che scappare e nasconderci.” Spiegò il vecchio.
“Ovviamente, Coccodrillo, non sai fare altro che scappare, sei un codardo come tuo padre!” Gli urlò contro Uncino.
Tremotino lo ignorò, e tirò fuori il cappello di Jefferson, cacciò anche l’ampolla dal taschino, che aveva preso in precedenza nel suo negozio, e ne versò il contenuto nel cappello, per alimentarlo di magia.
Annunciò che adesso potevano fuggire, Emma insistette sul voler salvare tutti gli abitanti di Storybrooke prima che fosse troppo tardi, ma Gold replicò che non c’era il tempo materiale per farlo. Mise fine alla conversazione Regina, che alzò le due mani e sferrò un raggio di energia rosso verso il cielo, creando un campo protettivo efficace per tenere a bada quei lampi divini.
“Adesso ce l’abbiamo il tempo. Forza, salviamo le persone della mia città!”
Una volta che ebbero portato tutti nel cappello, saltarono dentro anche loro. Mentre il campo protettivo di Regina cedeva, i lampi cominciarono a distruggere ogni cosa, e rimpiazzarono tutto con la natura primitiva, l’ultimo edificio a cadere fu la torre dell’orologio, che ancora insisteva nel resistere e mandare avanti il tempo, ci provò fino all’ultimo secondo. Fu la fine per Storybrooke.
 
HYPERION HEIGHTS – Oggi
 
Henry e Lucy incontrarono tre facce all’apparenza minacciose, Henry pensò fosse tutta una questione di primo impatto, una stupida impressione. Le tre facce, invece, erano parecchio familiari alla bambina.
La donna dall’età più avanzata, verso i quaranta, con i capelli a caschetto, e una giacca nera molto formale, si trovava nel mezzo, e subito si voltò verso la bambina, sollevata in viso.
“Lucy! Finalmente, ti abbiamo cercata ovunque, sono intervenuti tutti gli organi di Polizia!”
Nessuna reazione da parte della piccola. Henry lasciò la mano di Lucy, per stringerla alla zia di lei.
“Così lei è il sindaco di questa metropoli.” Disse.
“Già” Ci fu una risposta fredda da parte della prima cittadina. Continuò “E lei dev’essere…”
Henry pensò subito che le sue intenzioni fossero positive, non voleva essere ringraziato ma un po’ se l’aspettava, alla fine aveva perso molto tempo per accompagnare la piccola, e molta benzina. Invece la frase che egli ricevette fu un po’ diversa:
“… Colui che ha rapito nostra nipote! Guardie!”
Dal nulla sbucarono fuori due poliziotti, un uomo e una donna, entrambi molto attraenti, sulla trentina, lui dai capelli neri e lei castani, entrambi avevano una bella presenza; l’uomo mise le manette a Henry.
“Lei è in arresto.” Disse in tono serio. Henry era un grande osservatore, nonostante fosse stato colto di sorpresa, notò che il poliziotto aveva un accento inglese, e una delle mani che lo avevano arrestato era chiaramente una protesi.
Il sindaco fece un passo avanti: “Lucy, adesso sei al sicuro”. Le strinse la mano. “Lei si dovrebbe solo vergognare, la bambina ha già diversi problemi, una situazione familiare delicata, delle fantasie incontrollabili, e…” Si bloccò, non sapendo più cosa dire.
La bambina si liberò dalla presa della zia e cominciò ad urlare: “Non è vero niente! Siete state voi ad avermi rapita, ma adesso ho trovato lui, il mio papà biologico, e mi aiuterà!”
La donna cambiò sguardo, corrugò la fronte e abbassò le ciglia, le altre ragazze due erano rimaste esterrefatte: “Così lei sarebbe il padre? Credevamo fosse morto, dov’è stato tutto questo tempo, eh? Non creda di potersi riprendere tutto d’un colpo la piccola Lucy, è nostra nipote, ed è compito nostro prenderci cura di lei” Così avvertì il giovane, puntando l’indice contro di lui, in segno di sfida. E così Henry fu portato via dalla sua presunta figlia. Salirono nella macchina della Polizia, e lo portarono nella centrale di Hyperion Heights.
“La città sembrava molto più accogliente di così… di certo non mi aspettavo questa reazione da parte della zia” Disse Henry sconcertato.
“Eh. Sono un po’ dure le signore, non c’è da sorprendersi, tengono alla bambina. Quindi lei è il padre? Ci chiedevamo tutti che fine avesse fatto.” Replicò il poliziotto maschio, Carl Rogers, così si chiamava.
“Io non sono il pa…. Lasciamo perdere. Chi erano le altre due signore?” Domandò il giovane, incuriosito.
Si intromise l’altra poliziotta, partner dell’uomo: “Il vice-sindaco, e il capo del suo staff. Sono le sorelle del Sindaco Parker”.
Arrivarono alla centrale, fecero tutte le procedure di rito. Henry ammise di non avere colpa, e che aveva semplicemente accompagnato la bambina. Secondo la testimonianza di Lucy, al telefono, era così. Henry comunque avrebbe dovuto restare in cella per un po’… se non che, un individuo misterioso gli aveva pagato la cauzione, apparentemente. Il giovane fu così libero di andare, di tornare a casa sua.
Tornò dove aveva lasciato l’auto e fece per entrare, ma ripensò a Lucy, a quanto fosse infelice con le sue zie, e a quanto aveva insistito nel portarlo a Hyperion Heights. Non voleva costruire un rapporto con lei, in fondo non era sua figlia, ma voleva capirci qualcosa di più, per qualche ragione, voleva investigare e capire cosa era davvero successo alla famiglia di Lucy. Così, fece un giro di perlustrazione della zona, si ritrovò, per caso, davanti al locale The Hyperion, dove era stato invitato qualche ora prima da Georgina. Lo stomaco gli brontolava da un pezzo, quindi decise di fermarsi per un po’ nel pub della ragazza.
 
FORESTA INCANTATA, Località sconosciuta – 15 anni fa
 
Erano ancora lì, sfuggiti dalle grinfie delle tre Parche già da un po’ di tempo, nascosti in un luogo misterioso, i cinque protagonisti si accingevano a cenare. Regina aveva preparato le sue lasagne, nella foresta era un po’ insolito mangiarle, ma con la magia si può fare ogni cosa, diceva sempre lei, quindi anche creare una cucina con tutti gli accessori e le comodità. Per il resto, non usavano molto la magia in quel periodo, non volevano essere scoperti e una concentrazione elevata di attività magica avrebbe attirato le tre antagoniste dritte da loro.
“Per fortuna stiamo ancora tutti insieme” Disse Henry, lieto.
“Beh, dobbiamo ringraziare Biancaneve e Azzurro per il nascondiglio. Sono proprio dei furbastri quei due.” Rise Uncino.
“Io non li definirei proprio così” Parlò Regina, per lei erano sempre stati due sempliciotti, che soltanto per fortuna riuscivano a sventare i suoi piani.
Emma era silenziosa, non aveva toccato cibo, era un po’ strana da qualche tempo, da quando erano fuggiti da Storybrooke. Henry le si avvicinò.
“Che succede, mamma? Sei triste per i tuoi genitori, o per Storybrooke?”
“Nessuno dei due, ragazzino. Niente… è solo che mi sento inutile, siamo sfuggiti a quelle tre pazze, è vero, ma io non ho fatto nulla per fermarle, mi sento così inutile…! Dovrei essere la Salvatrice, e invece non ho salvato proprio niente!”  Emma diede un pugno sul tavolo. Tutt’a un tratto sentirono un rumore, seguito da una vibrazione, era tutto molto familiare, pensò Tremotino. Non perse tempo e subito uscì a vedere cosa stava succedendo.
Il bellissimo crepuscolo che circondava quella foresta incantevole ed incantata fu interrotto da nuovi, terribili lampi delle Parche. Stavolta facendo cadere alberi, distruggendo la flora e tutto ciò che le stava intorno. Una voce si udì in quel momento, solenne, rigida: “Non potete scappare al vostro destino. Avete soltanto guadagnato tempo, ma non vi servirà affatto”.
Uncino uscì dalla capanna, con una spada nell’unica mano, e incitò le tre malvagie: “Fatevi vedere, Parche, o volete nascondervi dietro i vostri giochi di luce inutili?”
Non ci fu risposta da parte delle tre divinità. I lampi colpirono Tremotino e Uncino, i quali svanirono nel nulla, rimase soltanto la spada, inutilizzata. Un forte vento fece sbattere e aprire la porta della umile capanna, scoprendo la sola presenza di Regina.
“So che siete qui, Pacche all’aria. State forse cercando Emma e Henry? Non li troverete MAI. Sono la mia famiglia, e sono la nostra unica speranza al momento!” Disse la donna latina agguerrita.
Le tre dee udirono la sua provocazione, e per tutta risposta la colpirono con un lampo e la fecero sparire, come era successo ai due uomini. Cosa gli era successo? Dove erano finiti? Erano davvero morti?
A molte miglia di distanza, Emma e Henry correvano, lei non poteva usare la sua magia, ma avevano a disposizione due puledri possenti, era ciò che bastava per sfuggire al destino.
 
HYPERION HEIGHTS - Oggi
 
Henry entrò nel pub, lasciandosi alle spalle la porta, che, quando si chiuse, lasciò andare un lieve rumore, come un tintinnio, questo fece notare a tutti i clienti e addetti la presenza del giovane, il quale si ritrovò tutti gli occhi addosso. Hyperion Heights era una grande città, eppure la clientela del locale era sempre la solita, quindi le persone capirono subito che si trattava di un nuovo arrivato, oppure di un nuovo cliente.
Henry si sedette vicino a un tavolino, tutto solo soletto. Era un locale modesto, non troppo sfavillante, era tutto quello che Georgina poteva permettersi, considerando che doveva anche pagare altro personale, era una donna sola e, decisamente, non ricca.
Georgina si avvicinò al ragazzo, e domandò cortesemente: “Cosa posso portarle?” Subito si accorse di averlo già incontrato: “Aspetta, tu sei il padre di Lucy! Quella bambina è adorabile.”
Henry socchiuse gli occhi, “No, non sono il padre, e non ci sto capendo niente di questa situazione. E’ venuta a cercarmi per qualche motivo che non comprendo…”
Georgina sorrise, gentilmente, e continuò la conversazione, approfondendo un po’ la questione della bambina: “Lucy non ha una situazione familiare semplice, ha bisogno di tanto amore, è così con i bambini. Io l’ho capita subito, ho perso mio padre quando ero piccola…”
“Mi dispiace, io invece non ho mai avuto una famiglia” Disse Henry, dando molte cose implicite.
Georgina capì che quell’uomo era molto solo, e si trovava in contesto molto simile a quello di Lucy.
Furono presto interrotti da una piccola televisione a schermo piatto, posta in un angolino in alto, Henry notò subito una figura familiare.
“Chi è quella donna?” Si chiese il giovane.
“Ma dove vivi? E’ Sarah Gavin, famosissima attrice ispanica. E’ bravissima! L’ho vista in tutte le sue soap opera. Sembra che tu l’abbia riconosciuta eppure non sai il suo nome”.
“Forse l’avevo dimenticato, ho l’impressione di conoscerla”.
“Ad ogni modo, cosa ti porto?”
Henry ordinò una tazza di cioccolata calda speziata con cannella, che arrivò in men che non si dica. Dal nulla sbucò un uomo, affascinante, sui trentacinque, di colore, Henry lo scrutò per bene, si sedette allo stesso tavolo proprio di fronte a Henry.
“Pago io la cioccolata al signore, se non gli dispiace.” Disse sorridendo ed estraendo una banconota per poggiarla sul tavolo.
“Non mi dispiace, ma perché?” Henry era confuso in quel momento, non era abituato a una cosa del genere, magari in un quartiere dove le persone si conoscono fra loro, ma non in una grande città.
“Ha tutti gli occhi rivolti verso di lei, significa che è nuovo, le serve un amico in città, un alleato.” Disse mentre teneva le dita l’una nell’altra.
“Beh, è così. Forse ha ragione”
“E poi sembra apprezzare Sarah Gavin, la mia attrice preferita.”
“La conosco poco, ma sono già un fan!” Scambiarono una risata e qualche altra chiacchiera, si presentarono, l’uomo si chiamava Mark ed era un avvocato a quanto pare. Non prese niente da bere e da mangiare, e come era comparso, così si dileguò in poco tempo, uscendo dalla porta principale con un sorriso misterioso e alquanto spaventoso.
Henry si fermò verso il bancone per salutare Georgina, nello stesso momento stava entrando la poliziotta che lo aveva arrestato in precedenza, Henry la notò bene, non poteva dimenticare quello che era successo.
“Ehi, Jace!” La salutò Georgina, si scambiarono dei baci sulla guancia da buone amiche, e la poliziotta si sedette sopra uno sgabello. Henry si impicciò un poco, facendo notare che Georgina era in confidenza con le autorità locali, cosa che le dava un grande vantaggio sociale.
“Adesso ci possiamo presentare, io sono Jacinda, lavoro per la polizia… ma questo già lo sai.” Disse molto teneramente la ragazza latina.
Henry arrossì, e un po’ imbarazzato e impacciato le strinse la mano e si presentò a sua volta. La conversazione però non durò, in quanto Henry uscì subito dall’osteria, intento a lasciare la città per sempre.
 
FORESTA INCANTATA, Luogo imprecisato – 5 anni fa
 
Erano trascorsi ben dieci anni da quando i membri di Storybrooke che erano fuggiti inizialmente erano svaniti nel nulla, a causa delle tre Parche. Molte cose erano cambiate: Henry aveva conosciuto una ragazza, e se ne innamorò subito, si sposarono durante una piccola, breve, cerimonia, e poi…
“Nonna, mi racconti di nuovo quella storia?” Disse la piccolina con voce minuta, rivolgendosi all’adulta.
“Certo, Lucy. All’alba della battaglia finale, tutto sembrava perduto, la Fata Nera aveva lanciato l’ennesimo sortilegio, così come l’aveva creato, ma stavolta ogni reame era in pericolo, e stava per essere distrutto, ma la speranza non moriva mai…” La bambina si addormentò subito, ed Emma chiuse il librone del figlio.
Emma uscì dalla capanna e trovò Henry:
“Tua figlia è bellissima, forte e intelligente. Sono orgogliosa.”
“Lucy Emma Mills. Ha preso tutto dalla nonna, non solo il nome.” Disse Henry fiero.
Furono interrotti da una povera donna, sui quaranta, che chiese loro un’informazione.
“Scusatemi, avete per caso un tozzo di pane, devo portarlo a mio figlio, non mangia da giorni purtroppo…”
Henry si mosse subito: “Certo, vado subito a prenderlo” Ed entrò dentro, lasciando le due donne sole.
“Non si preoccupi, la aiuteremo” Assicurò la bionda.
“Tu aiuti sempre tutti, non è vero Emma? Ma dove eri quando Regina e gli altri sono spariti?” Rise la donna.
Emma si mise sulla difensiva, con le mani aperte rivolte verso la signora dai vestiti da paesana, pronta ad usare la sua magia per proteggere la famiglia che le restava.
“Chi sei?! Dove sono loro?”
“Non preoccuparti, sono al sicuro, non posso dire la stessa cosa di te.” La povera contadina si rivelò nei suoi abiti reali, quelli della dea Lachesi, divinità del destino, che tesse i fili della vita.
Emma gridò subito ed avvertì Henry e Lucy di fuggire, così come Regina aveva fatto a sua volta 10 anni prima. I raggi di energia bianchi di Emma si incrociarono con quelli violetti della dea. Una battaglia impossibile probabilmente, ma non era la prima che affrontava, è vero che si scontrava con una divinità, ma lei era la Salvatrice, era suo compito quello di riportare gli Happy Ending.
La Moira vibrò come aria e si avvicinò ad Emma senza che questa potesse colpirla.
All’interno della casupola, Henry avvertì la bambina di alzarsi.
“Ci hanno trovati, presto, devi scappare Lucy” Le diede in mano il librone “Non dimenticare le nostre storie, promettimelo”.
“Si, papà, ma tu cosa farai?”
Henry estrasse la sua vecchia spada da un piccolo forziere, la alzò e la fece scintillare. Poi la ripose nella fodera.
“Mi preparo alla battaglia, tu vai, salvati.” Diede un bacio sulla fronte della piccolina e la fece passare attraverso un cuniculo segreto.
Henry vide sua madre, stretta nella morsa della Moira, impotente. La dea infilò la mano nel suo petto, ed estrasse il cuore della donna.
“Non lo farai!” Henry era pronto a lanciare la spada, proprio come suo nonno la lanciò alla regina il giorno del suo matrimonio, ma la Parca lo congelò prima che potesse fare alcuna mossa.
“Te l’ho detto Emma. Non si scappa al destino. Adesso, Henry, guarda come uccido tua madre.”
Lachesi stritolò il cuore di Emma, ma qualcosa non andò come previsto, il suo cuore opponeva una resistenza, non mollava, la dea fu costretta ad usare i suoi raggi energetici contro il cuore, polverizzandolo.
Emma cadde sulle sue gambe e precipitò sul terreno, con gli occhi spalancati. Henry fu costretto a restare immobile, la dea non gli concedeva neanche di avere una reazione, di piangere per la sua perdita.
Poco dopo fu liberato: “Te la farò pagare! Tu non hai idea…”
“Dovresti capirlo che non c’è niente da fare contro il volere degli dei, Henry. Qualunque cosa proverai non funzionerà. Emma doveva pagare, ma tu non c’entri con questa storia, noi Parche vogliamo farti un regalo, ti dimenticherai di tutta la tua famiglia, delle tue perdite, e potrai ricominciare a vivere da zero in un nuovo posto.”
Henry iniziò a piangere e si piegò sulle ginocchia, egli non voleva dimenticare quanto coraggiose fossero le sue madri, quello che era accaduto a suo padre. La sua memoria fu ripulita e azzerata, e in un baleno sparì come era successo a Regina e agli altri, per riapparire chissà dove.
 
HYPERION HEIGHTS – Oggi
 
La stazione di Polizia era un luogo tranquillo, non succedeva molto e i poliziotti spesso si annoiavano, giocavano a carte o con delle riviste di cruciverba, le celle erano piccole e, solitamente, vuote; ogni tanto qualche furto, qualche altro piccolo reato, ma Hyperion Heights era una città tranquilla, con tutto sotto stretto controllo del sindaco e degli organi di Polizia. Carl Rogers stava sistemando alcuni documenti, in particolare, quelli di rilascio di Henry, e di altri prigionieri, era da solo, la sua collega era andata a farsi un bicchiere al locale The Hyperion. Qualcuno bussò alla porta, chiese permesso ed entrò: era il capo dello staff e sorella del sindaco, Rogers si alzò in piedi e la accolse.
“Signora Parker, a cosa devo questa visita?”
“Vorrei vedere il Signor Mills, sappiamo che sarà rilasciato presto ma vorrei dargli un’occhiata”
“Mi dispiace, è stato già rilasciato, è stata pagata la cauzione”
“Cosa?! Le mie sorelle non saranno contente che quel delinquente è già a piede libero…”
“Pensavo ci fossimo messi d’accordo che fosse tutto a posto con lui, che le sue intenzioni non fossero moleste nei confronti della bambina. Comunque, che altro posso fare per lei?”
La donna fece un gesto con la mano e si congedò, dalla stessa porta, prima che uscisse, entrò un altro uomo, mediamente alto, con un po’ di pancetta, un accento inglese e folti capelli lunghi, sui cinquantacinque anni, aveva anche un bastone con sé poiché zoppicava. Salutò la Signora Parker e poi abbracciò il poliziotto.
“Stai facendo il tuo lavoro, ragazzo?” Chiese l’uomo misterioso, in tono scherzoso.
“Sissignore” Affermò Carl.
“Tu cosa fai qui, papà?” Continuò sempre il giovane.
“Lo sai, non ho niente da fare, sto sempre cercando un impiego, ci servono più soldi se vogliamo vivere in questa importante città, il mio vecchio mestiere di filare la paglia ormai non serve più a nessuno, eh!” Si lamentò il padre, il suo nome era Robert Straw, stranamente aveva un cognome diverso da suo figlio.
“Non preoccuparti, con il mio nuovo distintivo ce la caveremo, te lo prometto. Ti voglio bene, vecchio!” Si abbracciarono di nuovo, stavolta stringendosi più forte.
 
FORESTA INCANTATA – 5 anni fa
 
Lucy continuava a camminare, e camminava, camminava, con il suo libro in mano, fino a che, finalmente, trovò la sua fata madrina, Giglio Tigrato, la fata rossa. Era molto bella, in un lungo vestito, con le treccine e una utile dose di speranza che non guastava mai, soprattutto in quel momento.
“Fata, cosa posso fare? Voglio trovare mio padre!”
“Le Parche lo hanno nascosto in un luogo misterioso, ma ti assicuro che non è morto, e, secondo le profezie, ti ricongiungerai a lui, un giorno…” La fata continuò: “Però posso portarti nel luogo dove c’è il resto della tua famiglia, Regina, Uncino e Tremotino, e c’è anche tua madre.”
“Mia madre è lì?” Questo colse la piccolina impreparata.
“Sì, anche Jacinda è lì”
Giglio Tigrato estrasse la sua piccola bacchetta, la impugnò e la fece roteare un paio di volte attorno alla bimba, e una serie di stelline luccicanti apparvero intorno a lei e la condussero in un altro luogo: Hyperion Heights.


“Papà, sto arrivando!”
 
HYPERION HEIGHTS – Oggi
 
La Signora Sindaco era sempre indaffarata, con questioni minori ma pur sempre impegnata, oggi, però, era un giorno particolare: la sua nipotina era scomparsa e poi ritrovata tra le grinfie di un uomo minaccioso, voleva scoprire di più su di lui, capire perché fosse in città, cosa volesse da Lucy. Consultò i suoi tarocchi, modo sicuro per vedere cosa c’era da aspettarsi per il futuro; tuttavia, le carte non le diedero la risposta che cercava, di solito era tutto chiaro e cristallino come l’acqua, questa volta no, le carte dicevano cose contrastanti, non erano per niente chiare, significava che il futuro era incerto, era cambiato, e senz’altro non era una buona notizia, non era come voleva lei.
Ad un tratto il telefono del suo ufficio squillò, lei rispose dalla sua poltrona nera, con una voce scura:
“Si?”
“Sono io” Disse una voce maschile.
“Bene. Cosa mi racconti in merito al ragazzo? So che non è più in prigione.” Disse la Signora Sindaco, preoccupata, ma con voce calma.
“E’ tutto sotto controllo, è molto più stupido di quanto pensassi, non ha sospettato minimamente delle mie intenzioni quando l’ho incontrato e gli ho pagato da bere, se si tratterrà in città rimarremo in contatto, farò in modo di incontrarlo spesso, se dovesse trattenersi in città, sarà tra le nostre mani. Quindi, stai tranquilla, mi raccomando, ci penso io.” Assicurò l’uomo di colore misterioso, stava parlando dalla cabina telefonica, chiuse le comunicazioni, si infilò sul capo il suo cappello, e fece per andarsene.
 
In un altro quadrante della città, Lucy usciva da scuola, accompagnata da sua zia, il vice-sindaco, serena ma un po’ delusa al tempo stesso, mentre da lontano qualcuno la osservava dentro l’auto: era Henry. A quell’ora avrebbe già dovuto trovarsi fuori dalla città, eppure qualcosa lo tratteneva, o meglio, qualcuno, e quel qualcuno era proprio la piccola amante delle favole. Si promise di restare ancora un po’, giusto una settimana, per capire quanto davvero fosse felice la sua presunta figlia. Henry decise di muoversi e non farsi notare dalle due femmine e guardò il suo orologio da polso, che segnava le 8 e 16 di sera.

 
 
 
   
 
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