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Autore: Erse Dewdrop    14/06/2009    5 recensioni
"Lui, Nuada Lancia d'argento, la sua guerra l'aveva già persa una volta. In partenza, forse. E probabilmente, la nuova battaglia che ora si apprestava a combattere non avrebbe avuto esito diverso. Perchè lottava contro il suo peggior nemico: sè stesso. Ma quante volte ci è concesso perdere prima di essere considerati dei perdenti?"
Anche i cattivi, i duri e i disperati possono avere un cuore. Ma spesso questo non fa che complicare le cose.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Scusate tanto per il pessimo postaggio del prologo, sono nuova e ho combinato un casino! Cercherò disperatamente di rimediare con i prossimi capitoli. Grazie infinite a tutti coloro che hanno avuto la bontà di recensirmi ( tenete duro, in questo capitolo il "biondo" c'è! Fuori i pon pon, diamo inizio alle danze! ^w^) Buona lettura! (inutile dire che imploro ancora la clemenza della corte...) Un sibilo. Leggero. Rapidissimo. La lancia danzava al suono di una musica ultraterrena fra le sue mani. Un colpo di piatto, uno di taglio, avanti e indietro nell'angusto sotterraneo. Lo spostamento d'aria ad ogni movimento era l'unico rumore presente, discreto e inudibile. I suoi passi erano silenziosi come sempre. Il respiro perfettamente regolare. I muscoli guizzavano asciutti sotto la pelle, tendendosi con il massimo della loro forza ad ogni movimento. Il freddo avrebbe dovuto aiutarlo a riflettere, alleviare il peso del fardello che portava. Invece no. L'aria gelida del sotterraneo bruciava a contatto con la pelle. E si sentiva male da morire. Si fermò, riprese fiato anche se non ne aveva bisogno. Sapeva bene che non si trattava di un malessere fisico, e sapeva che l'unica cura possibile era allenarsi. Stremare il corpo, spingere le ossa fin sulla soglia della rottura, per liberare la mente. Funzionava, di solito. Ma quel giorno non era un giorno qualunque. Quel giorno era il suo giorno. Il Giorno della vendetta. Il Giorno della rivincita. Il Giorno del Giudizio. Non c'era tempo per pensare, per farsi prendere da uno stupido ed irrazionale senso di colpa o tantomeno per tornare indietro. Bisognava andare avanti, e basta. Senza nessun rimpianto. Eppure ne aveva di rimpianti, e più di uno. Così insistenti che ormai credeva di poterli vedere. Se solo chiudeva gli occhi, quelli affioravano in lui con il loro carico di ricordi. Che quei ricordi fossero belli o brutti, non faceva differenza. Nient'altro che fumo, ecco cos'erano in realtà. Il primo aveva il volto di una fanciulla, bionda, pallida, gli occhi dolcissimi nascosti dalla cascata di capelli. Il secondo ritraeva un anziano, fiero, ieratico, duro, una corona sul capo irto di rami. Un'immagine che amava e temeva al tempo stesso. E poi veniva il terzo. Non era mai riuscito a cristallizzarlo entro una cornice, come aveva fatto per tutti gli altri, ed era rimasto il più feroce, indomato e potente. Dannatamente vivo. Un campo di battaglia, le pire dei caduti ordinatamente disposte sul terreno. Il cielo rosso sopra di loro, l'erba ancora pregna di sangue sotto i piedi. Suo padre, il grande condottiero, che stringeva la mano al comandante dei mostri bestemmiatori e assassini. Sua sorella, la principessa, che sorrideva triste ma serena, speranzosa. Lui, il principe, che assisteva alla scena impassibile, senza alcuna reazione. Con l'odore della morte nelle narici, ricacciando le urla in gola. L'anima straziata, il corpo indebolito dalle ferite. E un pensiero maligno che si dibatteva fra le pareti della sua mente per uscire. La guerra, l'amata guerra, non si può vincerla nè perderla. Si può solo combatterla, e pregare che serva a qualcosa. In quel caso particolare, non era servita a niente. Non a lui, almeno. Lui, la sua guerra, l'aveva persa. In partenza, forse. Aveva avuto fiducia fino all'ultimo. Aveva versato sangue, litri su litri, fermandosi il tempo appena sufficiente per estrarre l'arma dallo squarcio. Poi, di nuovo in battaglia. Aveva passato notti d'inferno, a supplicare, a piangere nel delirio. Tutto inutile. La sua devozione e la sua lancia non potevano niente contro la volontà del re. Di quello stesso re che avrebbe sempre dovuto chiamare padre. Le dita sbiancarono stringendo l'arma. Ancora un attimo, poi l'esercizio riprese. Via il dolore. Macchie indistinte, bianche, nere, rosse, si muovevano sotto le sue palpebre. Sembravano quasi danzare, ora che ci pensava, sì.... una danza di guerra, ma una danza mistica, antica come il mondo, una di quelle che solitamente precedevano un rito, o che servivano come tale. Scuotendo la testa per allontanare quel pensiero, la ragazza riaprì gli occhi e fissò decisa lo spartito che aveva davanti. Si trattava di una vecchia romanza, che con ogni probabilità la signora Blanchard aveva rinvenuto dentro qualche baule in solaio. Non era affatto male, stando a quanto poteva capire dal pentagramma ingiallito, ma il nome- 'Les larmes de la fleur-de-lys'- lasciava presagire qualcosa di antico, lento e melodrammatico. Proprio il genere di canzone che le occorreva per cominciare bene la giornata, pensò sarcastica. "Cominciamo quando vuoi, Euterpe" disse Ilsa Blanchard, sistemandosi dietro il pianoforte. Sollevando lo sguardo su di lei, Euterpe Allister non potè fare a meno di pensare che, stipate com'erano nell'asfittico salottino grigio topo, con la porta sprangata e le tende tirate, sembravano proprio due perfette congiurate. Chissà, magari anche Catilina e gli altri cospiratori si erano riuniti nel salottino della loro vecchia insegnante di pianoforte per prendere lezioni di canto, all'insaputa dei genitori, prima dell'omicidio di Cesare. Molto improbabile, certo, ma chissà... "Sono pronta, signora" mormorò in fretta, per mettere fine al lavorio frenetico del proprio cervello. La corpulenta maestra le sorrise e suonò il preludio della romanza. Euterpe scostò nervosamente una ciocca di capelli scuri dalla fronte, leggermente a disagio, ma comunque troppo felice che Mrs Blanchard avesse accettato di darle lezioni per pensare che l'inevitabile fosse in agguato dietro l'angolo, pronto a rovinarle la giornata. E infatti, al primo acuto, successe. La finestra alle spalle della ragazza andò in frantumi come se fosse fatta di fragile cristallo e non di vetro rinforzato. Una dopo l'altra, tutte le finestre del salotto la imitarono. Fu questione di un secondo. Invece, Ilsa Blanchard impiegò almeno due minuti prima di trovare la forza di reagire. Euterpe ebbe così tempo a sufficienza per nascondere le lacrime e fingere di essere sorpresa. Ancora una volta, avrebbe dovuto sfruttare la collaudatissima scusante della scossa di terremoto improvvisa. L'ago s'immergeva nella fine stoffa color muschio con impeccabile precisione, fuori e dentro, fuori e dentro.... poi, troppo velocemente perchè potesse evitarlo, una minuscola goccia scura macchiò un angolo di tessuto, cadendo dalle esili dita bianche artefici di quello splendido lavoro. Il ricamo era riuscito perfettamente, infatti, ed ecco che un' insignificante puntura arrivava a rovinare tutto! La fanciulla si maledisse per la propria sbadataggine, quindi si affrettò ad esercitare pressione sul polpastrello affusolato per interrompere il flusso di sangue. Un cascata d'oro pallido le piovve sul viso e sulla schiena quando si chinò ad esaminare il danno. Niente di grave, per fortuna. Non se lo sarebbe perdonato, altrimenti. Pur sforzandosi di nascondere a sè stessa il proprio sollievo, la principessa non potè fare a meno di sfiorare con le labbra la minuscola ferita, quasi a volersi scusare del dolore che aveva causato a lui. A suo fratello, al suo amato fratello, nonostante tutto. Nonostante non avesse mai accettato la decisione del re e avesse rinnegato il proprio ruolo di figlio, esiliandosi volontariamente. Anche se odiava ammetterlo, lei non lo aveva mai perdonato per averla abbandonata. Non ci era mai riuscita, mai, e per questo non aveva mai smesso di destestarsi, di considerarsi un'egoista. Ma ora, per la prima volta dopo tanti anni- così tanti-di distacco sentiva, percepiva dentro di sè la presenza del proprio gemello. Dapprincipio fievole, il loro antico legame andava rinforzandosi di giorno in giorno, più forte, sempre più forte, sempre più vivo ogni secondo che passava. E l'unica conclusione possibile, era che lui fosse vicino. Che Nuada, dopo così tanto tempo, avesse scelto di tornare dall'esilio. Di nuovo, la principessa si portò il dito alle labbra e depose un timido bacio esitante sulla ferita. Che ne dite? Lasciatemi un commentino, please! ^w^
  
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