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Autore: malandrinaElly    18/07/2017    1 recensioni
Magnus se ne stava lì in piedi, di fronte a lei, con quell'aria nostalgica da darle il voltastomaco. Accanto a lui, uno shadowhunter dai capelli neri e gli occhi color del cielo la guardava come si guarda uno scarafaggio. Lo stesso sguardo che avrebbe voluto rivolgergli lei, se non fosse che aveva bisogno di suscitare compassione in quell'ammasso di idioti mortali.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Camille Belcourt, Magnus Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piccola premessa (spero): non scrivo da secoli su EFP e in generale nella vita, quindi perdonate eventuali errori e quant'altro. 

Nonostante io sia una fan dei Malec fatta e finita (chi non lo è, chi?!), ammetto di aver adorato il personaggio di Camille (forse sono l'unica al mondo, ma non importa :'D)

e ammetto di trovare lei e Magnus carini assieme, nonostante lei sia stata abbastanza stronza con lui. Non so spiegare bene il perché, ma penso che la loro sia stata

comunque una bella storia d'amore e che non fosse stata del tutto a senso unico. 

La storia riprende gli avvenimenti del capitolo 13 di Città degli angeli caduti, quando Camille richiede di poter parlare solo con Magnus. 

Ultima cosa: io ho finito da poco di leggere proprio il quarto libro di The mortal instruments, quindi ho scritto questa storia senza considerare gli ultimi due, non avendoli ancora letti. 

Finita la premessa (che non è stata tanto piccola), vi auguro una buona lettura! Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione :D 

 

 

 

Una -quasi- risposta sincera 

 

 

"Ripensi mai al passato?";

"Vorresti tornare indietro e cambiare qualcosa?";

"Non uccidere?".

Erano domande che ogni tanto riempivano la sua testa prepotentemente, le entravano dentro e non uscivano finché non si dava una risposta -quasi- sincera. Nonostante non fossero che mezze verità, quelle -quasi- soluzioni sembravano accontentare il proprio inconscio, pertanto Camille si sforzava di non oltrepassare il delicato confine che separava quel "quasi" dall'oblio della sua anima vecchia di secoli. Non le era mai piaciuta particolarmente la sincerità. Così sopravvalutata, motivo di discordia, dolore... molto meglio vivere come aveva sempre fatto: manipolando il prossimo. Era diventata una così grande esperta del settore, tanto da riuscire a manipolare persino se stessa. E quindi ecco che si rispondeva:

"Si, ogni tanto ripenso a qualche antica bravata";

"Se vorrei tornare indietro? Bé sicuramente eviterei il periodo in cui il corsetto andava di moda. Uno strumento di tortura che ti soffoca? No grazie, passo";

"Io non ho mai ucciso nessuno, sono gli altri ad essere stati troppo deboli da morire!".

C'era solo una domanda che non trovava -quasi- risposta, né ne corrispondeva una più vera. Semplicemente la ignorava, ma così facendo non spariva e rimaneva ferma al centro del suo cervello, martellante e insopportabile. Per anni era rimasta tranquilla. Ma poi l'aveva rivisto e BAM! eccola a riecheggiarle nella mente.

"L'hai mai amato davvero?"

Magnus se ne stava lì in piedi, di fronte a lei, con quell'aria nostalgica da darle il voltastomaco. Accanto a lui, uno shadowhunter dai capelli neri e gli occhi color del cielo la guardava come si guarda uno scarafaggio. Lo stesso sguardo che avrebbe voluto rivolgergli lei, se non fosse che aveva bisogno di suscitare compassione in quell'ammasso di idioti mortali.

 

Quella relazione stava diventando troppo seria. Adorava come Magnus si prostrasse ai suoi piedi non appena batteva ciglia, adorava i suoi regali, i suoi "ti amo" e, sì, adorava anche come scopava. Ma stava diventando DAVVERO troppo seria. Lei era libera, non apparteneva a nessuno e questo lo stregone sembrava lo stesse dimenticando.

«Camille, ti amo...»

La vampira gli sorrise, attirandolo a sé per baciarlo. Ma non ricambiò quella dichiarazione. Non la ricambiava mai, a dire il vero. A Magnus andava bene così, fintanto che le loro labbra erano legate assieme dalla passione e lei non gli scivolava via dalle dita.

 

Era fuggita comunque, alla fine. Gli aveva spezzato il cuore, ne era consapevole, ma anche quella volta non si poteva dire fosse colpa sua. Camille Belcourt non si possedeva e basta; Magnus era stato avvisato a parole e glielo avevano suggerito i suoi atteggiamenti.

"L'hai mai amato davvero?"

«Mi sei mancato, Magnus»

«Non è vero.»

Le scappò un sorriso. Non un sorriso di quelli che ti fanno sentire superiori a tutto e tutti, ma uno di quelli tristi, deboli... odiava essere debole.

"L'hai mai amato davvero?"

«Ti ho sempre amato»

«Mi hai lasciato.»

Ovvio, perché lei non era il tipo da relazioni stabili. Cazzo, questo Magnus avrebbe dovuto saperlo!

"L'hai mai amato davvero?"

Cristo basta! Perché doveva continuare a farsi quella domanda?! Era già abbastanza difficile dover supplicare per salvarsi la vita, dover gestire anche i propri sentimenti era troppo.

 

Magnus si era seduto su una poltroncina accanto alla finestra, fissando la strada, le persone che camminavano ridendo e scherzando, e le carrozze che passavano, quelle che si fermavano di fronte al portone del palazzo e quelle che proseguivano dritte. Osservava la quotidianità come se osservasse il più bel quadro al mondo, dipinto da uno dei più grandi artisti dell'epoca. A lei non piaceva, la quotidianità. L'aveva vissuta troppo a lungo ed ora le andava stretta. A lei piacevano le sorprese, il nuovo. Il cambiamento. Ecco perché era arrivato il momento di cambiare.

«Magnus, devo parlarti.»


Magnus le diede le spalle ed uscì dal santuario. Non sbatté la porta, come quando l'aveva lasciato. I suoi occhi non si erano fatti lucidi, come quando gli aveva detto addio. Si era offeso però, perché aveva parlato dello shadowhunter e della sua misera, corta, vita. Il suo sguardo si era incupito, il corpo aveva cominciato a tremare e si era morso le labbra come faceva sempre quando era nervoso. Una volta era il nome di Camille Belcourt che faceva tremare lo stregone Magnus Bane, non uno schifoso cacciatore di demoni.

"Sei gelosa?"

"Ovvio che si, ero IO la persona più importante per lui!"

"Quindi, l'hai mai amato davvero?"

Alzò gli occhi al cielo, sbuffando. Forse era il caso di darsi una risposta, così da non dover più affrontare quella domanda nell'immediato futuro.

"Amavo essere il suo tutto."

Come diceva, una risposta -quasi- sincera. 

  
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