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Autore: Snow_Elk    18/07/2017    1 recensioni
L'amore. Un sentimento profondo, capriccioso, instabile. Un'emozione oscura, qualcosa che tutti cerchiamo. Anche Alan, uno studente universitario, lo sa bene. Pensava di averlo finalmente trovato, ma si sbagliava, tutto ciò a cui teneva è svanito, l'ennesima relazione "andata a puttane" come direbbe Phil, il suo coinquilino. Eppure, mesi dopo, Alan è ancora tormentato da strane visioni, da ricordi vividi e da lei, da quella stessa ragazza a cui aveva dato il proprio cuore. Perché l'amore può trasformarsi in odio, l'odio in consapevolezza e quest'ultima ci aiuta a crescere, a capire. Perché anche se un cuore è andato in frantumi può ancora battere, riecheggiando nel silenzio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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Fragments of a Silent Heart



Frammento IV- Parole senza voce

"Scusami, sono stato davvero uno stupido” scarabocchio sul foglio, cercando malamente di scusarmi per la figura di merda che ho appena fatto.
“Tranquillo, mi succede spesso. Io sono Lizbeth, scusami se ti ho urtato, ero di fretta” ha una bella grafia, leggera.
“Io sono Alan, piacere. Scuse accettate, direi che siamo pari” parlare tramite quel foglio e la matita, in mezzo all’atrio della facoltà è davvero strano, ma lei lo fa sembrare quasi normale.
Legge la mia ultima risposta, mi sorride, raccoglie i suoi libri. Mi rialzo e la osservo per qualche secondo senza dire nulla, anche perché sarebbe inutile.
Mi sorride, muove due dita a forma di “V” lungo il braccio e poi si allontana come se niente fosse. Che ragazza strana. Lizbeth, ha detto di chiamarsi Lizbeth.
Ritorno in aula a seguire la lezione, aspettando che si concluda per quel poco che rimane e il resto della mattinata sembra scivolare via come le gocce di pioggia sulle foglie degli alberi nel cortile.
Continuo a non capire lo scorrere del tempo, mi viene da pensare che faccia seriamente di testa sua, infischiandosene degli altri e di tutto il resto. Quasi lo invidio, dovrei farmi dare qualche dritta a riguardo.
Saluto gli altri, dopo aver chiacchierato ancora un po' sul da farsi per la serata, guardando l’orologio che segna le 13:10. Se non mi sbrigo a tornare a casa Phil me ne dirà di tutti i colori, affermando per l’ennesima volta che faccio volontariamente ritardo per evitare di dover cucinare. Forse ha ragione, ma non gli darò mai la soddisfazione di saperlo.
- Ci vediamo stasera alle 9, nella piazza dell’orologio! – mi urla Mark agitando le braccia da sotto l’ombrello mentre mi allontano.
- D’accordo, alle 9 in piazza! – esclamo di rimando per dare conferma che ho ricevuto il messaggio. Alla fine, nello scontro delle proposte, ha vinto Helen e il bowling.
Mi incammino verso la fermata del bus, sotto la cupola del mio piccolo ombrello, perché continua a piovere, non ha mai smesso di piovere.
Sono di nuovo perso nei pensieri, ripenso al fatto che ho visto Christie davanti la facoltà, non ci sono dubbi che fosse lei, alla serata che mi aspetta insieme agli altri, a Phil che starà fissando l’orologio preparando gli insulti da lanciarmi addosso e quello strano incontro.
Davanti alla pensilina c’è una piccola folla di persone, più del solito, mentre le macchine sfrecciano da una parte all’altra mi avvicino per capire cosa sta succedendo.
Alcuni stanno discutendo sotto la tettoia in acciaio, altri si muovono nervosamente da una parte all’altra del marciapiede. La risposta viene da sé non appena riesco ad intravedere lo schermo degli orari. Il bus è in ritardo di quindici minuti.
Fantastico, ma c’era da aspettarselo, probabilmente la pioggia e il traffico saranno i principali colpevoli.
Sospiro, armandomi di pazienza, ignorando la signora accanto a me che sta cercando di spiegare in tutti i modi al figlio che non riuscirà a tornare a casa in tempo per preparare il pranzo. Sorrido, pensando che non sono l’unico in questa posizione.
Sfilo lo smartphone dalla tasca, mentre la musica inizia a serpeggiare nelle cuffiette, e mando un messaggio a Phil per avvisarlo del mio ritardo, questa volta giustificato in piena regola.
Ho la tentazione di accendermi un’altra sigaretta nell’attesa, ma mi trattengo, ultimamente sto fumando troppo e per quanto mi aiuti a rilassarmi dovrei darmi una regolata. Mi farò bastare la musica, andrà più che bene.
Ad un tratto sento qualcuno tirarmi la manica del giubbotto, mi volto cercando di non urtare le altre persone che stanno aspettando con impazienza il bus e la vedo. E’ di nuovo lei, la ragazza sorda. Lizbeth.
Tira fuori di nuovo quel suo piccolo sorriso dopo avermi visto, forse non pensava che fossi io.
- Ehi ciao – la saluto, ma poi mi accordo che non può sentirmi. Che idiota.
 Estrae un taccuino dalla tasca laterale dello zaino e si mette a scrivere:
“Scusa se prima sono andata via di corsa, ma ero in ritardo per una lezione”
Scoppio in una piccola risata: oggi sembra che sia la giornata dei ritardatari e tutto ciò mi fa sentire a mio agio, quanto vorrei che ci fosse Mark per mostrargli che non sono l’unico che ha qualche problema con l’essere puntuale. In tutto.
Sto per afferrare il taccuino per risponderle, ma lei continua a scrivere con una penna minuscola.
“Volevo ringraziarti”
Non riuscirei mai a scrivere con tanta facilità su quel taccuino, sotto la pioggia, in mezzo a tutta quella gente, così tiro fuori lo smartphone e digito la mia risposta nel blocco note. E’ sempre meglio di niente.
“E per cosa?” le chiedo.
“Mi hai risposto. Di solito le persone quando mi vedono scrivere invece di parlare mi reputano strana, non sanno cose comportarsi nei miei confronti. Provano imbarazzo e se ne vanno. Tu sei rimasto”
Leggo quel messaggio quasi con stupore, accorgendomi di quanto quella discussione in silenzio sia così surreale, lei è davanti a me eppure nessuno dei due apre bocca.
“Non mi sembra di aver fatto chissà cosa, comunque non c’è di che”
In lontananza, nel serpente metallico che invade la strada, riesco ad intravedere le luci del bus, i vetri rigati dalla pioggia. Non so cos’altro scrivere: non è così facile scrivere ciò che si vorrebbe dire a voce. E’ strano.
“Che gesto era quello che hai fatto prima di andartene?” le chiedo per pura curiosità.
Lei legge il messaggio, rimane un attimo a riflettere e poi mi guarda e riproduce il gesto, lentamente, allontanando la “V” dal braccio nel momento finale, poi riprende il taccuino.
“E’ il linguaggio dei segni, significa -ci vediamo- o -alla prossima-“
Il linguaggio dei segni, sto ancora provando a riprodurre quel gesto che il bus frena alle mie spalle e la gente inizia ad avvicinarsi con insistenza verso le porte.
 “E’ il mio bus, devo andare, è stato bello incontrarti, Lizbeth” le faccio leggere il messaggio, lei annuisce e prima che me ne accorga sto riproducendo quel gesto a V, “ci vediamo”. Lei sorride nel vederlo, un sorriso da “Bravo, l’hai fatto bene”.
La calca dei pendolari e dei ritardatari mi trascina verso l’entrata del bus, ma prima che le porte si chiudano lasciando fuori la pioggia riesco a vederla: le dita  “V” lungo il braccio, dopodiché afferra il taccuino e me lo mostra, c’è sopra una frase scritta più grande del solito.
“Puoi chiamarmi Liz”
Il bus riparte nella sua eterna corsa, lei e gli altri rimasti accanto alla pensilina diventano sagome sempre più piccole che ben presto si perdono nella pioggia come ogni altra cosa.
La strada scorre oltre i finestrini, le fermate si susseguono una dietro l’altra, mentre rimango immerso nella musica e in nuovi pensieri. Dopotutto sembrava simpatica, Liz, con quel suo taccuino e il linguaggio dei segni.
Mi accordo di sorridere mentre tento di riprodurre di nuovo il gesto del “ci vediamo” beccandomi qualche sguardo curioso da alcuni passeggeri, ma mi blocco:
non provavo una sensazione simile quando ho conosciuto Christie tanto tempo fa? Una sensazione di leggerezza, di tranquillità.
Mi mordo le labbra: finisco sempre per ricollegare ciò che faccio o ciò che vivo a lei, lo faccio involontariamente e non appena me ne accorgo vorrei prendermi a pugni da solo.
Che cos’è l’amore? Come può qualcosa di così bello lasciarti addosso uno schifo del genere? Ho perso il conto di quante volte ho discusso di tutto ciò con Phil, Mark e gli altri, ma non siamo mai arrivati ad una conclusione logica. Probabilmente perché non esiste. Dicono che ci penso troppo.
Mentre il bus si avvicina alla mia fermata scuoto la testa: alla fine l’ho vista di nuovo, Christie, quindi come avevo promesso dovrò contattarla senza trovare altre scuse.
Voglio mettere la parola fine a questa storia, tornare a vivere senza dovermi ritrovare davanti ogni volta il mio passato. Inizia ad essere frustrante.
                                                       
                                                         […]
 
Alla fine Phil non mi ha lanciato addosso tutti gli insulti che mi aspettavo, si è limitato a fare un discorso contro i bus, il tempo di merda e le botte di culo che mi becco ogni volta che tocca cucinare a me.
Abbiamo pranzato con calma, chiacchierando del più e del meno, di come siamo messi con la preparazione degli esami e dei suoi continui flirt che ogni volta lo trascinano in qualche storia assurda.
Siamo ritornati anche sulla questione delle visioni, di Christie e dal fatto che ho finalmente deciso di contattarla, per fissare un incontro, per poter parlare faccia a faccia dopo tutto questo tempo.
- Beh io vado a studiare, i piatti toccano a te, è il minimo dopo l’ennesimo ritardo – Phil si congeda sghignazzando. Sembra quasi che abbia sporcato più cose del solito solo per farmi un torto. Che stronzo.
- Ci stai prendendo troppo gusto nel farmi fare il lavapiatti! – lo sento ridere dal corridoio e quella risata vale più di qualsiasi risposta.
Senza pensarci troppo mi metto all’opera e con un po' di musica di sottofondo il tempo passa velocemente e la mia avventura da “casalinga” si conclude.
Dovrei studiare anch’io, ma dopo la mattinata di oggi non ho proprio la testa per mettermi sui libri. Rimango seduto sul divano a fissare il nulla, per rilassarmi un po',  finché non mi decido a prendere il cellulare per scriverle.
C’è ancora il blocco note con i messaggi scritti per Liz, lo chiudo, devo essere concentrato. Cerco il numero di Christie, premo il tasto verde e sospiro.
Squilla, una, due, tre volte, alla fine risponde:
- Pronto? - risentire la sua voce mi fa uno strano effetto, fa risalire tante cose che avevo spedito nelle profondità dei ricordi.
- Ehi Christie -
- Ciao Al – dal suo tono di voce capisco che è stupita e forse anche un po' preoccupata.
- Come stai? – le chiedo, prima di passare al dunque.
- Bene, sono molto impegnata ultimamente, ma sto bene. Tu? –
- Solite cose, lezioni, esami, cose del…-
- Al – mi interrompe, il suo tono è cambiato – Perché mi hai chiamato? -
   
 
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