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Autore: vortix    18/07/2017    2 recensioni
Tarquinio il Superbo non aveva preso molto bene la storia che lui fosse l'ultimo re di Roma, e la monarchia per lui doveva continuare. Ora l'ultimo dei re è tornato in vita e sta cercando di impossesarsi nel fuoco di Estia, la fiamma che tiene in vita non solo Roma ma anche la fede negli dei.
Sarà Chiara, l'ultima semidea in Europa, insieme ad alcuni illustri personaggi a noi conosciuti, che cercherà di fermare il temibile Tarquinio.
Storia post "Le sfide di Apollo".
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Estia, Leo Valdez, Nuovo personaggio, Percy/Annabeth, Reyna/Jason
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una serie di (sfortunati) eventi.'
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Quando apro gli occhi la prima cosa che vedo è il volto di mia madre che, con un sorriso a trentadue denti, mi saluta e mi fa gli auguri, stritolandomi in un abbraccio.
Ci metto qualche secondo a collegare i suoi auguri al fatto che oggi sia il mio ventesimo compleanno.
La ringrazio ricambiando l’abbraccio, e mi alzo dal letto sistemandomi il disastro dei miei capelli.
Oggi è il 28 luglio, fuori il sole è alto nel cielo e fa un caldo della madonna.
«Ti ha già risposto Luca?» la voce di mia madre riecheggia dal corridoio, e io biascico un “si” di risposta.
Questa sera sarà una serata speciale, tutti i miei amici e parenti si riuniranno per festeggiare me. E okay, per mangiare anche la torta.
Adoro il giorno del mio compleanno semplicemente per il fatto che io sono al centro dell’attenzione. Ma aspettate a giudicare, non sono la tipica ragazza che palesa il voler essere al centro dell’attenzione, anzi. La mia è più una forma di desiderio tacito, perché alla fine risulto essere parecchio timida con le persone che mi circondano. Si lo so, sono parecchio strana.
Oh, dimenticavo. Non sapete nemmeno il mio nome: mi chiamo Chiara Lombardi, ho (ufficialmente) vent’anni e vivo in un piccolo paese di campagna non tanto lontano da Venezia.
Mi definisco una persona nella norma, una di quelle che non verrebbe riconosciuta per il suo particolare aspetto fisico o doti eccezionali.
Frequento l’università di Bologna, ho un gatto a cui sono molto attaccata, una sorella più piccola di dieci anni, un padre che vive più nel suo ufficio che a casa e una mamma troppo affettuosa per i miei gusti.
Vedete? Nulla di particolarmente eccitante. Una delle tante vite che si trovano in giro.
La giornata passa velocemente e io vengo servita e riverita come se fossi una dea: mi viene impedito di pulire la camera, mi viene offerto il gelato dopo il pranzo e ora mia madre mi sta addirittura facendo la piega ai capelli per questa sera.
«Davvero, non c’era bisogno che mi aiutassi tu. So come si piastrano i capelli.»
Mia madre si guarda allo specchio davanti a noi; ha un’aria particolarmente nervosa, e non capisco perché.
«È il tuo compleanno, rilassati per una buona volta.»
Decido di stare zitta e seguire il suo consiglio. Mi appoggio allo schienale della sedia, fissando il mio volto riflesso nello specchio: i miei capelli castani scivolano di ciocca in ciocca sulle spalle, i miei occhi verdi sono leggermente rossi per via del sapone che mi è entrato prima in doccia e le mie guance sono abbastanza rosse per riuscire a sostituire Heidi in un possibile film.  Continuo a rimanere in silenzio finché non noto un paio di valige seminascoste dietro la porta di camera mia.
«E quelle che sono?» chiedo.
Mia madre non fa in tempo a darmi una risposta che io salto sulla sedia, presa dall’entusiasmo.
«Oddio mi avete organizzato un viaggio!» esulto. «Dove? Dove? Oh cielo, magari ad Atene, o a Londra! No a Londra ci sono già stata. Amsterdam! No, papà non me lo permetterebbe mai con tutta l’erba che gira lì…»
«Chiara! -ride mia madre- Non si può tenerti nascosto nulla, vero? Beh, sì. Partirai.» ora sembra decisamente più nervosa.
«E dove? Con chi? Scommetto che è stata Benedetta ad organizzare tutto. Lo sapevo, mi aveva dato qualche indizio.»
«Ah sì?» mia madre riprende in mano la ciocca lasciata a metà e la rifinisce con la piastra. «Da cosa lo hai capito, precisamente?»
«Beh, durante l’ultimo esame continuava a parlarmi delle mega offerte che c’erano su Trivago, mi ha mandato delle foto di alcune capitali europee su Facebook… insomma, più palese di così si muore.»
Mia madre finge un piccolo sorriso, e lascia cadere i capelli lungo la schiena poggiando la piastra ancora bollente sulla scrivania.
«Beh, allora vuol dire che tra non molto lo scoprirai. Vado a prendere tua sorella da pallavolo, torno tra poco.» mi lascia un leggero bacio sulla fronte ed esce dalla stanza prima che io possa dire altro.
Leggermente stranita dal comportamento di mia madre, decido che ora come ora non è il momento di preoccuparsene. Quando la sua macchina lascia il vialetto di casa, mi metto all’opera. Oggi è il mio compleanno, e devo trovare qualcosa da mettere per non sembrare una barbona.
Dopo venti minuti buoni a rovistare nel mio armadio con in sottofondo la mia playlist preferita di Spotify decido finalmente che non ho nulla da mettermi.
Perfetto, sono una ventenne finita. Come posso non avere nulla che vada bene per stasera?
Mi accascio sul letto in preda ad una delle tipiche crisi che ogni giorno le adolescenti di tutto il mondo devono affrontare e che io, in quanto non più una teenager, dovrei lasciarmi alle spalle. Dopotutto però il problema rimane ancora.
Sto per rialzarmi dal letto quando sento un tonfo provenire dal mio balcone.
Prima che io possa avere un infarto, ne sento un altro, questa volta accompagnato da una voce che dice: “oh my god, Leo!”
Rimango paralizzata sul mio letto, pensando a come io sia troppo giovane per essere uccisa da due ladri, o stalker.
Fatico a respirare, continuando a fissare la porta che dà sul mio balcone. Qui le opzioni sono due: o comincio ad urlare a pieni polmoni (il che non avrebbe tanto senso, dato che sono sola in casa), o faccio del mio meglio per non morire.
Giro lo sguardo per un attimo sulla mia scrivania e noto la piastra ancora calda vicino allo specchio. Ad un tratto quell’aggeggio mi sembra un’ottima arma da combattimento.
Non so con quale coraggio, ma mi alzo dal letto e con uno scatto furtivo afferro la piastra; percepisco ancora il suo calore tra le mani, ma non ho scelta.
Le due presenze sul balcone non hanno fatto nessun rumore ma vedo le loro ombre riflesse sul muro, il che mi mette un’ansia incredibile. Possono essere due armadi di cento chili con un manganello e una pistola e io sto per andare ad affrontarli con una piastra rosa semi bollente tra le mani.
“Almeno ci ha provato”. Dovrebbero scrivere così sulla mia tomba.
Appoggio la mano sulla maniglia della porta e conto fino a tre.
Un bel respiro. Uno, due, tre… L’apro velocemente e dò un colpo in testa alla prima delle due figure che mi si presentano davanti, il tutto accompagnato con una delle mie urla più acute.
Davanti a me però non ci sono due armadi di cento chili con un manganello e una pistola ma due ragazzi, più o meno della mia stessa età, sconvolti pure loro.
«La mia testa!» urla in inglese a sua volta il tipo che ho picchiato con la piastra per capelli.
Il ragazzo che si lamenta ha una folta chioma di riccioli castani, una tuta blu sporca di…olio per macchine? Indossa degli scarponi beige e un borsellino giallo intorno alla vita.
L’altro invece è un po’ più alto, occhi azzurri, capelli biondi rivolti verso l’alto alla Justin Bieber e vestito con una maglia viola e dei pantaloni neri.
«Ehi, ehi! Calma, siamo venuti in pace.» il ragazzo con il ciuffo biondo alza le mani in aria in segno di resa, e io abbasso la mia arma micidiale.
«Chi diavolo siete? Perché siete sul mio balcone? Perché lui parla in inglese?» non riesco a non chiedere.
«Io sto bene, grazie per averlo chiesto.» Continua il ricciolino.
«Leo, sei sopravvissuto a cose ben peggiori e sei anche ignifugo, una piastra per capelli calda non ti ha fatto niente.» gli risponde il biondo questa volta in inglese.
«Come fai a sapere che è una piastra per capelli?»
«Piper la usa quasi tutti i giorni.»
Alzo di nuovo la piastra in aria, per far notare che sono ancora davanti a loro e loro sono ancora sul mio balcone.
«Scusate?»
Il biondo torna a prestarmi attenzione. «Oh sì, scusaci. Io sono Jason e lui è il mio amico Leo. Siamo qui per… portarti in un posto.»
Improvvisamente tutto si fa più chiaro. «Ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima! Siete i ragazzi che mia madre ha ingaggiato per portarmi alla festa a sorpresa! -tiro un sospiro di sollievo, ridacchiando- Però potevate suonare alla porta… Sbucare così all’improvviso nel mio balcone è abbastanza strano.»
«No non siamo qui per la tua festa a sorpresa… Possiamo entrare?» chiede Jason. Che nome strano, da queste parti al massimo trovo ragazzi che si chiamano Gianfranco.
«Certo che no! Siete dei completi sconosciuti e mi avete appena provato che non c’entrate niente con il mio compleanno. Cosa volete?»
«Amico, puoi tradurmi cosa ha detto?» dice Leo in inglese. Perché non parla in italiano?
«Sei venuto con me perché avevi assicurato che l’italiano e lo spagnolo si assomigliassero.» Jason incrocia le braccia al petto, con uno sguardo truce.
«Ed è così! Però non sto capendo niente comunque. La vera domanda è perché tu capisci cosa sta dicendo.» ribatte Leo, sempre in inglese.
Jason fa spallucce. «Io sono di origine romana, l’italiano è una delle prime lingue che derivano dal latino. Se capisco il latino, capisco anche l’italiano a quanto pare. E lo parlo pure. Che figo!»
Oh Dio, questi sono un caso perso. «Aspettate, il ricciolino con la tuta da meccanico parla solo inglese mentre tu invece parli inglese ma con me in italiano perché sai anche il latino? Sai che la cosa non è così automatica, vero?»
Jason fa un sospiro, un poco rassegnato. «Chiara, giusto? Possiamo entrare e parlare? Giuriamo sullo Stige che non rubiamo niente e non ti uccidiamo a sangue freddo.»
Giurare sullo Stige? Forse quella ubriaca sono io e mi sto immaginando tutto.
I loro volti piuttosto stremati mi fanno abbastanza pena, il che mi porta ad annuire e permettergli di entrare in camera mia.
Mi ringrazio mentalmente di essere almeno vestita con una tuta, altrimenti mi sarei presentata in mutande davanti a due completi sconosciuti, affetti probabilmente da alcune malattie mentali.
Li faccio entrare, e poi chiudo la porta del balcone. «Allora, cosa volete da me? Siete sicuri che tutto questo non sia uno scherzo architettato dai miei amici? Perché sarebbe molto probabile.»
Mentre Leo si siede sulla sedia della scrivania Jason fa un cenno con il capo. «No. Noi arriviamo da lontano, e trovarti non è stato facile.»
Punto il dito contro il biondo. «Questa è la perfetta frase per uno stalker.»
Jason abbassa il capo, ridacchiando. «Leo, ti prego. Dammi una mano.»
«Ah no, sei tu quello che sa parlare in italiano. E poi io le sto sistemando un virus che ha sul computer.»
«Ti sta mettendo a posto il computer.» Traduce Jason. «Comunque, Leo viene da Long Island, New York e io vicino a San Francisco. Hai presente?»
«Stati Uniti d’America? E perché cercate proprio me?»
«Perché tu sei una persona estremamente importante per la salvezza dell’umanità.»
 
 
 
 
 
 
….
Saaalve a tutti!
Non mi pare vero di stare per postare questa…cosa. Scrivere su Percy Jackson per me è sempre stata una cosa impossibile e avevo abbandonato subito l’idea, ma in questo periodo sto leggendo le Sfide di Apollo e la fangirl che c’è in me ha ripreso pieno possesso delle mie facoltà mentali.
Questo è solo il primo capitolo, la storia deve ancora essere svelata (e credetemi, ho molte cose da raccontare) quindi per ora spero di avervi incuriosito per poter lasciarmi un piccolo commento e continuare a leggere i prossimi capitoli.
Se volete cercarmi sui social
Twitter- @glaukopsis
(magari più in là metto anche gli altri)
Un bacio, Claire xx
   
 
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