Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: Hikari_Sengoku    18/07/2017    3 recensioni
Ehilá, mi chiamo Hikari_Sengoku, e questa é la mia prima fanfiction su questo fandom. Ringrazio chiunque vorrá leggere e a maggior ragione dare il suo giudizio. Sono a conoscenza dell'usura del tema, ma vedere le cose da un'altra prospettiva é sempre una buona cosa, invito perciò alle critiche costruttive. Per questioni di trama, la storia si baserá unicamente sull'anime.
Cori é una ragazza italiana alle soglie della maturitá, con una famiglia particolare, un fratello scomparso che adorava ed un nonno pieno di misteri... Cosa potrá accadere quando da uno dei suoi anime preferiti pioverá letteralmente uno dei personaggi?
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Roronoa Zoro, Un po' tutti, Z
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Universi tangenti

Zoro stava rilassandosi dopo una lunga seduta intensiva di allenamento, osservava dalle vetrate di quella palestra dall’odore muffito di vecchio la ragazzina stendersi esausta sull’erba fresca. Aveva tutta l’aria di un naufrago febbricitante. Fino a pochi minuti prima anche il vecchio era lí, tenacemente deciso ad insegnarle quel che sapeva, ma Cori sembrava essere una pessima allieva, tanto che calato il sole l’ex-marinaio era rientrato sospirando, borbottando qualcosa su una frittata…

D’improvviso, un’ombra emerse dietro i rovi di more. Zoro mise subito mano alle katane, ma il rumore secco del portone che veniva sbattuto sulla parete lo convinse invece a raggiungere l’ingresso, dove un uomo alto quanto il vecchio lo attendeva sulla soglia. Aveva lunghi capelli argentei raccolti in una coda bassa e due taglienti occhi castani, allungati e sfuggenti. Camicia a righe e pantaloni alla pescatora beige, intorno al polso sottile teneva un braccialetto con una piastra verdastra, alle spalle una sacca. Era pallidissimo, il volto scavato ma privo di rughe marcate.
“Claw” salutò atono.
“Raven” Ricambiò l’altro. La tensione era palpabile.
“Non credo che questo nome abbia mai avuto molto senso, non credi?”
“Non credo che tu stia qui per chiacchierare”
“No, infatti. Sono qui per tua nipote”
“Sei venuto troppo presto. Non è ancora matura”
“Non insultare la tua intelligenza, Claw. So perfettamente ciò che quella ragazzina sa e non sa. E so che per adesso non può scappare. Perciò tu aprirai il portale, lei mi porterà dall’altra parte e nessuno si farà troppo male”
“Quello che si farà male sarai tu, se non la smetti di dire stronzate” si intromise Zoro piazzandosi a katane sguainate di fronte alla reincarnazione dei fantasmi di Perona, che prontamente si sganciò il braccialetto. Una serie di ombre scure fiorirono sulla pelle nivea dell’uomo, condensandosi sulle dita. Una smorfia guastò la sua espressione serafica.
“Ombredolore” sussurrò Claw senza fare in tempo ad avvertire Zoro, che attaccò l’uomo con un Onigiri in piena regola. Il ragazzo non si aspettava di certo che Raven gli sfuggisse con il Soru e piazzandoglisi di fianco, gli poggiasse una mano sul collo. Una scarica di dolore si diffuse nel corpo dello spadaccino. Il suo corpo si ricoprì di ombre e nervature nere, costringendolo in ginocchio, ma senza un grido.
“Pecchi di superbia, ragazzo” ghignò Raven.
“Un frutto del diavolo” espirò Zoro digrignando i denti. Il dolore era insopportabile.
“Itami itami no mi, per la precisione. Ringrazia che mi servi per tornare a casa, se no saresti giá morto. E ora sta a cuccia.” Gli impose con una sonora seconda sberla sul collo. Zoro si piegò, mentre le ombre lentamente cominciavano a scivolare sul suo corpo per tornare su quello del legittimo proprietario. Poggiato contro la katana infilzata per terra, riprese fiato per quel po’ di tempo che gli servì a pensare che Cori lì fuori non era sola.

Raven prese qualcosa dalla sacca. Claw nel frattempo non era rimasto a guardare. Si era autoinflitto una ferita sulla mano e si era impiastricciato le mani col sangue per un motivo a lui sconosciuto. Nascosto dietro il tavolo rovesciato, il vecchio tentava una resistenza disperata all’assedio. Raven teneva in mano una pistola dalla bocca svasata, e minacciava l’ex-marinaio, che evidentemente non sarebbe durato a lungo.

Zoro si rialzò in piedi. Ora che sapeva ciò di cui quel tizio era capace non si sarebbe più fatto giocare come un ragazzino.

“Shishi Sonson” Zoro menò il fendente sfruttando stavolta piú accortezza per non farsi sfuggire la preda o farsi toccare, ma anche stavolta Raven svicolò. Una lunga striscia rossa colorò le vesti squarciate dalla clavicola fino giù agli addominali. L’uomo arretrò, tentando allo stesso tempo di afferrarlo. Zoro a sua volta indietreggiò, parando i colpi con le katane. Con un secondo fendente lo colpì di taglio di nuovo diagonalmente sull’addome, ma l’altro ne approfittò per afferrargli il polso. Una seconda scarica di dolore invase i pensieri dello spadaccino. L’uomo ne approfittò per sparare, pochi secondi prima che la mano gli venisse tranciata di netto da un fendente ad aria compressa. Fendente che però non fermò l’ago proiettile, che colpì in pieno la vena femorale di Claw. Nel giro di pochi secondi, tante piccole luci si diffusero lungo il sistema sanguigno del vecchio, che cadde rovinosamente dietro la barriera improvvisata. Zoro nel frattempo, liberatosi della dolorosa stretta, aveva costretto Raven in un angolo. Fu in quel momento che un bestione enorme irruppe nella sala, trascinandosi appresso il corpo esanime di un ragazzo e Cori, completamente inerte nonostante gli occhi fossero vigili.



“Tu?”
“Chi ti aspettavi, piccola puttanella? Il tuo bel spadaccino? Te lo dico fin da subito, non verrá” la freddò Gabriele, emergendo dalle fratte con le mani ben piantate nelle tasche dei pantaloni bracaloni.
“Cosa vuoi, bestiaccia?” mugugnò annoiata. “Lo so, che sei il figlio di quel pazzoide. Cosa sei venuto a fare qui?”
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo. “Non voglio andare nell’altro universo. Hai due possibilità. O mi assecondi con le buone, e io ti faccio scappare, oppure lo fai con le cattive. Devo spiegarmi?”
Cori ghignò. “Sembri la parodia di un vecchio film sulla mafia. Te lo puoi scordare. Io non scappo, ne tantomeno crepo perché tu me lo ordini”
“Senti, io non ti sopporto come tu non sopporti me, ma ora devi ascoltarmi. Ti do la possibilità di fuggire da tutto questo. L’unica cosa che devi fare è accettare” disse avanzando.
“Mi dispiace” rispose cortesemente Cori, “ma non abbandonerò gli altri” “Ok, per me non è un problema. Sparisci” scandì l’altro puntandole contro una pistola e sparando. Il rinculo spostò la traiettoria, e giusto per un pelo Cori riuscì a schivare il proiettile. Un secondo colpo le sfiorò la tempia, insieme ad un ago tra le scapole. Dietro le spalle di Gabriele, un enorme essere lo tramortì con le sue enormi manone, giusto in tempo per vederla crollare faccia terra, inerme ed impossibilitata a muoversi.





Entrambi i ragazzi vennero gettati come sacchi di patate nei pressi nel corpo scosso da spasmi del vecchio. Dopo poco, le luci avevano invaso totalmente il corpo. Claw urlò, finché la sostanza nera che lui stesso aveva creato non lo inghiottì. Il forte risucchio del warmhole, nonostante fosse ostruito dalla massa espansa del nonno, destabilizzò gran parte dei presenti. Il bestione, un omone alto piú di due metri con un ridicolo pizzetto e dalle spalle grosse come cocomeri, si rivelò più intelligente del previsto, perché invece di attaccare Zoro a testa bassa afferrò con mala grazia la ragazza e stringendola a se le puntò un pugnale alla gola. Cori, ancora inebetita dalla neurotossina, faceva fatica a tenersi in piedi. Zoro era certo di poterla liberare, ma non aveva fatto i conti con Raven, che dal suo angolo sibilò un avvertimento, stringendosi al petto il moncone: “È inutile che pensi a come salvarla. Nel momento in cui Claw morirà il portale rimarrà aperto e risucchierà tutto. Se ci lasci fare, potrai tornare a casa tua. Se no, sarai destinato a morire qui, con noi. Cosa scegli?” ghignò retorico il bastardo. Zoro ringhiò. Non aveva la più pallida idea di cosa fare.
Raven non aspettò la sua risposta e parlò direttamente alla ragazza: “Tu porterai a casa me, questo bravo ragazzo e mio figlio, che tu lo voglia o no” ed ordinò al bestione di far toccare nonno e nipote. Cori riuscì a scivolare a terra e spingere via il corpo di Gabriele, ma il bestio la riprese subito. Con un ultimo calcio, Gabriele rotolò gemendo alla finestra, che spalancò. Raven e l’energumeno lo ignorarono, convinti che dovesse rimettere. Cori riuscí a guadagnare il tempo necessario per vedere Gregorio irrompere nella scena con tanto di ascia, prima di cadere nel buio profondo. In piedi, immobile di fronte alla immensa forza del warmhole, attendeva qualche segno divino che le dicesse cosa fare, perché al momento era totalmente impotente e per metà preda del panico. Pochi minuti dopo, qualcuno la caricava con uno zaino e le stringeva la spalla, spingendola dentro il buco nero.


Fu un viaggio breve e turbolento. La forza che il buco nero esercitava era immensa, e la attirò senza via di scampo. Un sottile raggio verdeazzurro era l’unica guida, quasi una linea magnetica che la attraeva da qualche parte. All'improvviso la forza si ridusse sensibilmente, fino ad invertirsi di senso e sputarla fuori. Cori tentò una frenata di emergenza, ma era veramente troppo forte per lei, che era a dir poco sfinita. Ancora ad una velocitá imponderabile, il rivestimento nero si sciolse, permettendole di vedere una vasta distesa di acqua marina, con una minuscola torre in mezzo che si avvicinava sempre di più. Stava precipitando. Stava precipitando! Nel mezzo del mare! Con la coda dell’occhio, vide Zoro fluttuare – o meglio precipitare – al suo fianco. Dall’altra parte, Gabriele piagnucolava come un vitello. Di sicuro non era quello il problema più grosso. Stavano precipitando. Senza paracadute, perché frugando ai lati dello zaino non aveva trovato leve! Si sarebbero sfracellati sull’acqua, dura come il marmo!
All’improvviso, un urlo belluino li raggiunse dalla piattaforma sospesa, un “Oooooohiiiiii!”, seguito da lunghe propaggini color carne. Le dita di Rufy, intrecciate. Zoro fu il primo a capire, girandosi di spalle e lasciandosi affondare nella rete di dita. Gabriele lo seguì e Cori ci provò. L’impatto fu meno traumatico del previsto. La rete di gomma accompagnò e frenò lentamente la caduta, impedendo al loro collo di spezzarsi. Zoro e Gabriele finirono per penzolare oltre il bordo della piattaforma, mentre lei venne lanciata ancora a velocitá considerevole dritta nella piscina. Battè la testa e per un po’ perse conoscenza. Quando riaprì gli occhi, un braccio muscoloso la tirava su, buttandola oltre il bordo. Stesa sul bordo piscina, con la testa che pulsava, vide il tremolio dell’aria intorno al varco svanire. Presa dal panico, provò ad alzarsi, ma non ci riuscì. Tutta la visuale girava come una trottola, era tutto cosí appannato…

“ohi stupido marimo, ti sei perso di nuovo?” gli berciò Sanji dal bordo piscina, fradicio per essersi immerso per recuperare Cori, stesa sul bordo piscina con una vistosa ferita sulla testa, ma (ed era proprio il caso di dirlo, fortunatamente) perlopiù illesa. La ragazzina si agitava e si contorceva, preda della disperazione, finché distrutta non si immobilizzò semicosciente, giusto in tempo per farsi lanciare da Zoro dritto in spalla a Franky diretto alla nave. Stavano fuggendo dalla torre crollante a causa di uno scontro.
“Portala sulla nave” mugugnò il ragazzo prima di lanciarsi all’attacco di un nemico sul luogo che aveva abbandonato giorni prima.
“Certo, fratello!” gli sorrise il cyborg correndo giú alla nave, sballottandola come un sacco di patate. Cominciava ad averne le tasche piene di essere sballottata ovunque da energumeni diversamente intenzionati, pensò mentre veniva depositata sotto l’albero maestro, dove rimase immobile e svenne.



Una luce, troppo brillante per essere ignorata, filtrò tra le palpebre chiuse, scaldandole. Il lieve pulsare alla testa la svegliò del tutto. Col dorso della mano sulla fronte, troppo stanca per spostarlo, o forse solo non aveva la forza morale di rimettersi a posto la spalla lussata per l’abbandono, osservò le pareti di legno dell’infermeria, sentì le bende sulla sua testa.
Profumavano di fresco. Non doveva essere passato molto tempo da quando si era fatta la ferita. Ai suoi piedi, il suo zaino da campeggio blu la aspettava immobile. Che cazzo ci faceva lì? Aveva visto il varco scomparire, senza l’ombra di suo nonno o di quello spostato di Raven. C’era solo quel fottuto imbecille di Gabriele, che con tutta la sua ingombrante tracotanza non era riuscito nemmeno a togliersi dalle palle. Anzi, ora che ci pensava, non c’era più neanche lui. E lei era bloccata in quel cavolo di universo, e non c’era modo di tornare a casa, dalla sua famiglia, e suo nonno con tutta probabilità era morto e lei non poteva farci niente, niente! Lontana dai suoi genitori, da Gregorio, e da ogni possibilità di ritrovare suo fratello, lontana da ogni rimasuglio di rapporto sociale! Non c’era neanche Angelo, o i ragazzi del corso, niente! C’era solo un mucchio di piratucoli da strapazzo che con tutta probabilità l’avrebbero mollata sulla prossima isola, sola come un cane bastardo, data la sua manifesta inutilità. Chiusa in quella stanza oscillante nel vuoto, con lo sguardo perso tra due nodi del legno, Cori si disperò, torturandosi con altri mille pensieri. Non aveva nemmeno preso il diploma. Si rimise a posto la spalla con uno schiocco doloroso, e mordendo il polso con tutta la forza che aveva, strillò, stringendo le lenzuola fra le dita, e pianse, tirando calci al materasso, tentando di sovrastare con altro dolore il dolore di aver perso tutto, ogni singola cosa o persona a cui avesse tenuto oltre quello zaino. Pianse e strillò, morse e picchiò per quelle che le sembrarono ore, soffocando singhiozzi e urla nella sua carne, martoriata e sanguinante. In silenzio, tra le lacrime, si lasciò soffocare dalla nostalgia. Con la gola ingolfata di muco, mugugnò tra le labbra, le parole di quella vecchia canzone che in qualche modo riusciva ad esprimere lei in quei momenti – quelli che Ottavio anni prima chiamava scherzosamente “momenti di depressione acuta”, che di solito duravano due tre mesi. Ne aveva avuti solo due veramente brutti (e nonostante fossero brutti erano ben lontani dalla depressione vera e propria), uno a nove anni e uno poco tempo prima che cominciasse tutto quel casino.

I’m so tired of being here

Suppressed by all my childish fears…


La cantò tutta, poi rovistando nella tasca superiore dello zaino trovò l’MP3, che fissò a ripetizione su My Immortal al massimo volume, ficcandoselo nelle orecchie nel tentativo di soffocare i pensieri. Cullata dalla musica, si addormentò.

Era uno dei suoi primi ricordi. All’epoca avrebbe avuto quattro, cinque anni forse. Emilia l’aveva accompagnata al parco, da sola perché Ottavio stava a scuola. Stava sull’altalena, quando arrivò un altro bambino ricciuto, che con la faccia cattiva la spinse giù. Cori si alzò con i pugnetti stretti ed un'espressione bellicosa. Diciamo che neanche all’epoca era tipa da stare in silenzio. Si erano tirati schiaffi e morsi. I due bambini si erano azzuffati finché le rispettive balie non erano venute a dividerli, sgridandoli per sollevarli dal pantano di polvere in cui i piccoli si rotolavano. In braccio a Emilia, con le ciocche rosse della donna strette nei pugnetti rosacei, aveva visto il bambino allontanarsi con un signore dai capelli d’argento rigati di castano. Era il primo ricordo che aveva di Gabriele.

Era piú grande, aveva sette anni. Sdraiati sul cornicione, Cori e suo fratello lasciavano penzolare i piedi nel vuoto, l’una aggrappata all’altro, fissavano il cielo nel tepore soporifero del pomeriggio estivo. Emilia gridava in giardino, cercandoli, ma i due la ignorano e restarono cosí, a dormicchiare al sole. Ottavio amava fare foto insignificanti alle piccole cose, gli piaceva mettere a fuoco. Prima una formichina, poi una graziosa erbaccia, alla fine lei, che per tutta risposta gli fregò la macchinetta e gli diede le spalle. I capelli di entrambi, ricci, lunghi, di quel caldo colore castano, si mescolarono sul cemento del terrazzo in un groviglio confuso di ricordi…

Era una calda giornata di settembre. Dopo piú di un anno di ricerche inconcludenti, Ottavio era stato dichiarato morto. La sedicenne Cori piangeva sulla lapide del fratello. Dietro di lei, suo padre stringeva fra le braccia convulse sua madre, che urlava la sua disperazione. La treccia castana sconvolta al vento e le urla ricordava di lei. Suo padre, incrinato nella sua stoica fortezza, si lasciava trasportare a sordi singhiozzi silenziosi, rivelati dal ritmico movimento delle larghe spalle. Il sole cocente ardeva la pelle riarsa, il terreno brullo, le sorde, inutili speranze. L'ariditá sulle labbra sussurrava lacrime asciutte. In ginocchio sulla tomba, una sorella piangeva il fratello, aggrappandosi a quei ricordi lontani…

Il Maestro era lí, ad aspettarla, nella palestra che aveva abbandonato due mesi prima. Arcigno, infuriato, l’aveva aggredita con forza. Dopo neanche due minuti si rotolavano a terra in una lotta molto meno disciplinata, ma di sicuro molto piú soddisfacente. Pugni, calci e morsi si susseguivano in un ritmo violento. Quando finí, Cori stesa sul tatami aveva una costola incrinata, la mascella e la spalla slogata e diversi lividi un po’ ovunque, ma per la prima volta sorrideva. Amava combattere, niente da fare. Non passò giorno da allora che Cori non si allenasse…

Greg era stato, a suo tempo, il capo di una banda di monellacci, a detta del vecchio Silas, e ogni tanto quella antica eredità ricicciava fuori come le erbacce che puntualmente estirpava. Nei giorni più afosi dell’estate romana, un’ imprecazione rada volava fra le fronde del parco, svegliando Cori sonnecchiante sul prato. Non saliva piú sul cornicione da tempo. Sorrise pensando al povero Greg, costretto a lavorare con quel caldo umido, tremendo, irrespirabile. Ondeggiando nell’aria incandescente, la figura controluce di Greg la sovrastava, facendole ombra. “Battiamo la fiacca?”




Quando si svegliò di nuovo, aveva il polso fasciato, e la benda sulla fronte era stata cambiata, anche se latente nell’aria si percepiva il puzzo della ferita in suppurazione sotto le bende.
“Ben svegliata. Ti chiami Cori, vero?” la bizzarra voce di Chopper la svegliò del tutto. Annuì, fissando la renna umanoide.
“Riesci ad alzarti?” le chiese titubante.
Cori suo malgrado sorrise. “Certo”
“Hai avuto solo un lieve trauma cranico, niente di preoccupante. Gli altri vorrebbero conoscerti, quindi appena te la senti puoi venire da noi”
“Volentieri, grazie” sospirò flebile mentre la porta si richiudeva. La ragazza si guardò allo specchio. Portava ancora il pigiama di quella mattina, e aveva i capelli più scarmigliati di sempre. Per il resto, era passabile, se non fosse stato per l’aria da morto vivente. Frugando nello zaino scoprì qualche cambio che buttò sul letto per analizzarlo in seguito, il necessaire per lavarsi, una torcia, la spiritiera, alcool, sacco a pelo, stuoino, poncho, coprizaino impermeabile, coltello a serramanico e coltellino svizzero, più un altro milione di piccole cose utili, come cordini, quaderni, penne e tanto altro. Quello zaino era una miniera d’oro, ma si sarebbe riservata il piacere di esaminarlo a fondo piú tardi. Infilò jeans, canotta ed il suo amatissimo chiodo di pelle, poi si stampò un sorriso e uscì, con il proposito di essere solare e positiva.



















Scusate l’immenso ritardo, ma ho avuto un po’da fare ultimamente. Spero che il classico risvolto della situazione non abbia deluso nessuno. Fatemi sapere cosa ve ne pare, soprattutto della scarna discussione fra Gab e Cori e di Zoro, che non ho idea di come sia venuto! Alla prossima,
Hikari_Sengoku


http://www.grandeblu.it/index.php?url=saccheggio&id=53936
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: Hikari_Sengoku