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Autore: Sarasvati    19/07/2017    7 recensioni
Questa storia è stata scritta per la Challenge estiva indetta sul gruppo EFP Fandoms!
Echo, una giovane elfa resa schiava da un popolo maligno, deve far fronte ad una pericolosa richiesta da parte della padrona.
L'affetto che prova per lei, la spingerà a fare qualsiasi cosa.
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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N.d.a.: La seguente storia è stata scritta per la challenge indetta sul gruppo EFP Fandoms!
Dopo avere formato delle coppie ad estrazione, ogni autore avrebbe dovuto scrivere qualcosa che piacesse al compagno: il mio compito era pertanto quello di scrivere una OS Fantasy d’azione, con un’attenzione in particolare al rapporto servo-padrone. Buona lettura!

UNTIL WE DIE 
 
Echo osservò la sua immagine riflessa nello specchio d’acqua del piccolo laghetto ai piedi delle montagne, soffermandosi sul marchio ben visibile impresso sull’orecchia sinistra.
24.11, il numero che l’avrebbe accompagnata per tutta la sua vita, quello con cui era stata assegnata alla sua padrona e che faceva di lei una schiava; il destino dei pochi elfi rimasti, era quello, dopo che la grande guerra si era conclusa con lo sterminio di gran parte del suo popolo per mano dei coboldi.
Quei folletti demoniaci erano tutt’altro che clementi e non si erano certo accontentati di essersi impossessati di tutti i loro territori: avevano ucciso ogni elfo di sesso maschile, per impedire la rigenerazione, mentre le femmine le avevano rapite e, dopo averle marchiate con un maledetto numero, le avevano vendute come schiave e concubine.
Echo spostò un boccolo dei lunghi capelli vermigli, tentando di coprire il segno indelebile e lasciando che solo la punta dell’orecchio si intravedesse; i grandi occhi pervinca si sollevarono in direzione dei monti, oltre i quali si trovava quella che un tempo era stata la sua terra, contemplando malinconicamente un passato che ormai non le apparteneva più, finché la squillante voce della sua padrona la richiamò ai suoi doveri.
Immergendo rapidamente le mani nell’acqua, ne estrasse un candido lenzuolo, che strizzò con cura prima di correre verso la dimora che mai avrebbe osato definire casa.
“Echo, devi aiutarmi ad allacciare l’armatura.”
Zenith non era mai stata crudele con lei, era diversa dagli altri della sua specie, sia nell’aspetto che nell’attitudine, discriminata dai sui simili per il suo essere mezzosangue, figlia di un coboldo e di un’elfa.
Era un’ibrida dai lineamenti dolci, con il muso serpentino appena accennato, due occhi rettiliani magnetici, che, per via del colore smeraldino, ad Echo ricordavano le pietre con cui era solita giocare un tempo sulla riva del fiumiciattolo che attraversava le sue terre.
Dopo aver steso il lenzuolo bagnato su un filo, legato a due salici che svettavano nel cortile centrale della villa, Echo raggiunse Zenith nella camera da letto, trovandola già spogliata e pronta per indossare la tenuta da assassina.
La giovane elfa prese le due estremità dei lacci, iniziando a tirarle con estrema meticolosità per stringere la corazza bronzea attorno al busto della padrona, notando due profondi tagli sulla spalla di quest’ultima.
“L’ha fatto di nuovo, Echo.”
Sapeva esattamente di cosa stesse parlando, nonostante non proferì alcuna parola, limitandosi ad alzare lo sguardo e ad incontrare quello di Zenith attraverso lo specchio.
Quello spregevole coboldo a cui era stata data in sposa, amava la violenza tanto quanto il sesso e se lei osava ribellarglisi, la sua carne veniva trafitta dalle unghie e dai denti animaleschi di lui; Echo aveva la sensazione che Zenith sapesse che quel viscido mostro ogni tanto, di notte, faceva visita anche lei, ma da schiava terrorizzata e sottomessa quale era, aveva sempre lasciato che facesse di lei ciò che voleva, permettendogli di entrare nel suo giovane corpo e svuotarsi in esso.
Zenith non era più così giovane, ma possedeva una bellezza eterea, quasi celestiale, eppure lui si divertiva a rovinarla, non rendendosi conto del sacrilegio che commetteva.
“Voglio ucciderlo.”
Quelle due parole fecero sussultare l’elfa, che ancora una volta trattenne qualsiasi risposta, attirando su di sé gli occhi della padrona; si voltò rapidamente, schiaffeggiando il viso di Echo con i lunghi capelli biondi e facendole scivolare dalle mani i lacci della corazza.
“Padrona, ora dovremo ricominciare dall’inizio.”
Teneva il capo abbassato in segno di sottomissione, i boccoli rossi le cascavano sul viso rivelando le lunghe orecchie.
“Echo guardami. So che lo fa anche con te. Aiutami ad ucciderlo…”
Per la prima volta l’elfa ebbe la sensazione di cogliere un fremito di paura e disperazione nel tono della padrona, decidendosi così a guardarla dritta negli occhi.
“Ci uccideranno loro, se noi uccidiamo lui.”
“Non abbiamo più nulla da perdere, piccoletta.”
Aveva ragione: l’unica cosa che teneva Echo legata alla vita, era l’affetto che ormai provava per quella mezzosangue, che nonostante tutto l’aveva sempre protetta, e lei desiderava esserle fedele fino alla morte.
Zenith le accarezzò il viso, non preoccupandosi della corazza che nel frattempo si era allentata, scivolando lungo i fianchi e lasciandole scoperti i seni piccoli e sodi, sui quali involontariamente si posarono gli occhi dell’elfa.
“Stanotte uscirai dalla tua stanza e farai cadere volontariamente qualcosa, in modo tale che lui ti senta e venga da te.  Lascerai che si distragga con te, finché non interverrò io.”
Ad Echo sarebbe parso un piano perfetto, se solo non fosse stata abbastanza sveglia da analizzare ogni singolo dettaglio.
“Padrona, mi permetta. Dove nasconderemo il cadavere? E come sfuggiremo all’ira dei suoi commilitoni?”
“A lui ci penseranno gli spiriti che abitano le acque del lago. Lo porteranno nelle profondità oscure.”
L’elfa si sforzò per trattenere una risatina di fronte a quelle parole, nell’assoluta convinzione che non esistessero simili spiriti e che presto il corpo sarebbe riemerso.
Zenith, dal canto suo, sembrava essere assolutamente convinta del suo piano, ed Echo decise di seguirlo alla lettera senza fare di testa sua; nella sua mente continuava ad echeggiare l’immagine di se stessa con la sua padrona, inginocchiate al centro di una massa informe di coboldi, pronte per essere sgozzate, e in un certo senso questa cosa la sollevava.
L’idea della morte, della fine di ogni tormento, le dava la forza per fare ciò che Zenith le aveva chiesto, quindi annuì, rispondendo allo sguardo d’intesa rivoltole.
 
Calata la notte sulla piana, assicuratasi che i padroni si fossero coricati, Echo indossò una leggera vestaglia di seta, che lasciava intravedere il suo magnifico corpo, e dischiudendo la porta, un brivido la percorse lungo la schiena; ripetendosi come un mantra che quella sarebbe stata la sua rivincita sulla vita, la sua vendetta per l’uccisione del suo popolo, si fece forza e ribaltò sul pavimento una piccola statuetta in legno, raffigurante una divinità.
Attese in silenzio, finché la porta della camera si aprì e il muso allungato del mostro fece capolino; la scrutò ferocemente, bramandola con la stessa voracità con cui un animale divora la propria preda, e in un attimo le fu addosso.
Echo sentiva le sue mani ovunque, taceva inerme, aspettando Zenith.
Fu tutto molto veloce, l’elfa nemmeno se ne rese conto: il sangue sgorgava dalla gola di lui come una cascata in caduta libera, mentre giaceva sul pavimento ancora nudo come un verme ed eccitato; la vestaglia di seta era intrisa del liquido viscoso, che colava copiosamente anche dalla lama che Zenith reggeva tra le mani.
Non l’aveva mai vista in azione, non la credeva davvero capace di tanta freddezza.
Gli occhi rettiliani, in pochi secondi, ripresero a brillare, quasi fosse appena ritornata nel mondo reale dopo uno stato di trance e si sollevarono al cielo dopo che si inginocchiò recitando una strana formula.
Echo era stordita e intimorita, ma il culmine lo raggiunse quando vide la padrona posare le mani sul corpo frapposto tra loro: non sapeva cosa avesse fatto, non sapeva chi fosse davvero la mezzosangue a cui apparteneva, ma certamente aveva la certezza che il cadavere era sparito, con esso il suo sangue e che nulla fosse frutto della sua fervida immaginazione.
“Padrona. Cosa è successo?”
“Te l’ho detto che devi fidarti di me. Ora cambiati, ci aspetta un lungo viaggio, Echo.”
Era sempre così misteriosa, così disperatamente attraente, persino dopo aver ucciso il marito e averne fatto magicamente sparire il cadavere.
Echo eseguì l’ordine e si diresse verso il bagno, non prima di venire afferrata al polso dalla stretta di Zenith, che la costrinse a voltarsi per stamparle un bacio sulle morbide labbra, facendola avvampare.
“Mi sarai sempre fedele, piccola elfa?”
“Sì, padrona.”
“Ti proteggerò, Echo. Il nostro viaggio comincia ora. Tu fidati di me.”
“Fino alla morte.”  
 
ANGOLO AUTRICE: Non pensavo che sarei riuscita a concluderla, e invece, here I am ^-^ nonostante non rientrasse nelle mie corde, ho apprezzato molto il poter cimentarmi anche in questa esperienza di scrittura! Spero l’abbiate apprezzata, anche un minimo :3
E ovviamente, spero che sia stata di gradimento per la mia compagna, Silvia, che ringrazio per avermi dato gli input necessari ^-^
-Sarasvati 
   
 
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