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Autore: EmilyHerondale    19/07/2017    1 recensioni
Niente è mai come sembra.
Neanche le stradine della città che ti ospita fin dalla tua nascita.
Ed è proprio lì che si nasconde il segreto più grande, quella magia che hai sempre sentito e che non hai mai riconosciuto.
Ed è proprio quella magia che porterà Cassandra, una normale sedicenne con nessuna passione in particolare, ligia alle regole, a conoscere Ettore, musicista, lettore appassionato, studente svogliato e grande oratore.
Insieme andranno oltre i confini del mondo che appare ai loro occhi, alle radici della magia radicata nella loro città. Ma per farlo avranno bisogno di scendere sotto terra, arrivando nel quartier generale di uno dei segreti più antichi del mondo.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedicato a chi mi ha vista crescere.
Dedicato a chi mi ha insegnato ed a chi mi insegnerà
Dedicato a chi mi ha vista ridere e piangere.
Dedicato a chi mi ha detto che ce la potevo fare ed a chi non ci ha mai creduto.
Dedicato a quelli vicini ed a quelli lontani
Dedicato a chi c’è ancora ed a chi non c’è più
Dedicato a me stessa.
Dedicato a voi.
 










     Prologo
 
Napoli, 8 luglio 1647
 
Non avrebbe mai pensato che sarebbe finita in quel modo, non lo avrebbe pensato quella mattina, quando, era uscita di casa all’eos trovandosi dinanzi i rivoltosi guidati da Tommaso Aniello D’Amalfi.
“Viva il re di Spagna, mora il mal governo” era il loro motto, lei non lo avrebbe sentito più.
Era lì, distesa a terra, la battaglia attorno a lei infuriava.
Stava perdendo molto sangue.
Non sarebbe sopravvissuta.
Sudava freddo, preambolo della sua imminente morte.
Ne aveva visti tanti quel giorno cadere così.
Aveva la vista annebbiata ed i suoni le si stavano affievolendo all’interno dei padiglioni auricolari.
Dinanzi a sé aveva solo colori indistinti.
Ma poté udire con chiarezza il rumore di alcuni passi ed una sagoma che le si avvicinava, un nemico che veniva a darle il colpo di grazia o un amico di infanzia che le veniva a chiudere gli occhi, dando così la grottesca impressione che stesse solo dormendo?
Sperava in entrambe le cose.
I passi aumentarono di velocità fino a diventare corsa.
L’ombra le si calò accanto fino a sfiorarle il fianco con una mano.
-Aurora! Ti prego Aurora! – adesso sapeva che era lui a chiamarla. Sarebbe sempre stato lui.
-Ti prego, Aurora! – ora la sua voce suonava lamentosa, sfociava quasi nel pianto –Non lasciarmi, non lasciarmi! – gridò con quanto fiato aveva in gola.
Da così vicino Aurora poteva vedere le lacrime che ormai gli scendevano lungo le guance, provò ad allungare la mano per cancellarle, ma non ci riuscì.
-E’ tardi, Zefiro- la sua voce era soffocata
-Non è tardi, ti prego, abbiamo tutti bisogno di te, nostra figlia, non ci pensi a nostra figlia? – appariva disperato, quasi volesse convincerla a non morire, come se pregandola potesse fermare il sangue e rimarginare la ferita dal quale sgorgava.
- Abbiamo bisogno di te, Aurora, io ho bisogno di te, ti amo, ti prego- Zefiro piangeva, adesso neanche più tanto velatamente.
Singhiozzava come mai nella sua vita.
-Non posso, è tardi- sussurrò in un ultimo utilizzo di forze –Ricordati quello che ti ho detto, Zefiro, è al sicuro, ha due nuovi padroni, ricorda…- tossì -…ricorda di amare Dafne abbastanza per entrambi-
Aurora sentiva le sue forze abbandonarla, fluivano via come il sangue dalla sua ferita.
Faceva fatica a rimanere sveglia, a non cadere nell’eterno sogno che l’aspettava. Zefiro se ne accorse.
-Aurora, Dafne ha poco più di un anno…-
-Le parlerai di me? –
-Ogni singolo giorno, le mancherai almeno quanto mancherai a me…- Si interruppe prima che lei tossisse un’ultima volta.
-Sei un bravo padre- sussurrò in un ultimo fiato, sorridendo.
Zefiro ora la teneva tra le braccia, gli occhi aperti, l’ultimo sorriso sulle labbra, la scosse lentamente, come faceva ogni mattina per svegliarla, ma lei non si mosse, neanche il suo petto lo faceva più.
-L’AVETE UCCISA- gridò –L’avete uccisa- sussurrò tra sé continuando a singhiozzare, prima di chiuderle gli occhi che ormai erano vacui.
Non vi era più alcuna anima all’interno, più niente che rimanesse della sua Aurora, la donna che amava più di se stesso, la donna che aveva sposato e con cui aveva una figlia.
Zefiro voleva piangere, avrebbe voluto piangere per sempre, ma non poteva, non doveva, a lei non sarebbe piaciuto.
Gli aveva lasciato il suo popolo ed un messaggio importante.
Si rialzò, asciugando le lacrime con la manica della camicia.
Sguainò la spada, pronto a riavere la pace.
Era buffo che per riaverla dovesse avere una spada, la lasciò cadere.
-Attenzione! – gridò, ed in quel momento il clangore delle spade si fermò.
Avrebbe riavuto la pace, avrebbe guidato il suo popolo.

Per Aurora, la donna che amava, e per Dafne, la loro bambina.
   
 
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