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Autore: SusanTheGentle    20/07/2017    8 recensioni
Questa storia fa parte della serie "CHRONICLES OF QUEEN"

Il loro sogno si è avverato.
Tornati a Narnia, Caspian e Susan si apprestano ad iniziare una nuova vita insieme: una famiglia, tanti amici, e due splendidi figli da amare e proteggere da ogni cosa.
Ma quando la felicità e la pace sembrano regnare sovrane, qualcosa accade...
"E' solo un attimo, al sorgere e al tramontar del sole, attimo in cui riescono a malapena a sfiorarsi....
Sempre insieme, eternamente divisi"

SEGUITO DI "Queen of my Heart", ispirato al libro de "La sedia d'agento" e al film "Ladyhawke".
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caspian, Susan Pevensie
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Chronicles of Queen'
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IN FONDO LE MAPPE DI NARNIA E DEL MONDODISOTTO


Capitolo 35. Il Territorio del Fuoco
 
Qualche volta mi innervosisce
che gli anni migliori se ne siano andati…
Qualche volta sono un po’ terrorizzata
E poi vedo lo sguardo nei tuoi occhi…
 
 
 
Edmund fu svegliato da una fitta incandescente al braccio, dove la creatura di tenebra lo aveva colpito. Si rigirò nel suo sacco a pelo più e più volte ma non riuscì a prendere di nuovo sonno. Si alzò a sedere con un gemito, scrutando i compagni ancora addormentati lì intorno, Mullughuterum e i suoi qualche metro più in là. Facendo attenzione, scostò il lembo di stoffa lacerata sotto al quale era visibile la fasciatura che Lucy gli aveva messo prima di coricarsi. C’era qualcosa che non andava... Tolse la casacca, aprendo lentamente le bende, notando con un certo disgusto che la ferita si era tinta di un nero rossastro, intorno si diramava una ragnatela di segni rossi e bluastri.
Edmund sospirò lentamente. Forse si era aspettato quel peggioramento.
Fin da quando era stato colpito dalla creatura di tenebra, aveva capito che la ferita riportata non sarebbe stata come le altre. Non era l’aspetto malsano della ferita a preoccuparlo di più, quanto chi –
 o meglio, cosa – gliel’aveva inferta, e ciò che sarebbe successo se il cordiale del Fiore del Fuoco non fosse riuscito a curarla.
Un dubbio lo tormentava: se Lucy aveva ragione, se le creature di tenebra erano state mandate da Jadis alias Signora dalla Veste Verde, non era sicuro di poter affermare che quella lesione non gli avrebbe lasciato strascichi di qualche tipo.
Non era intenzione di Edmund far preoccupare nessuno, perciò si era ben guardato dal mostrare il benché minimo segno del fatto che il dolore non diminuisse affatto, fingendo invece che si fosse alleviato. 
Le ferite riportate nel passato erano venute da spade, lance o frecce, curabili con poche gocce della pozione miracolosa di sua sorella.
Questa volta, però, no.
Comunque, poteva anche essere tutto nella sua testa…
Non fece il minimo rumore, alzandosi lentamente per prendere acqua e bende. Rinfrescò il taglio e cambiò la fasciatura legandola stretta, stringendo i denti ad ogni minimo tocco. Faceva incredibilmente male solo sfiorandola.
Non voleva che gli altri vedessero in che condizioni era il suo braccio, non ancora. Avevano cose più importanti cui pensare, cose più immediate da fare: un piano per penetrare nel Castello delle Tenebre e salvare Rilian e Myra. La priorità andava a loro, come tutto in quel viaggio.
Si rivestì e si alzò, diretto verso l’uscita della caverna di Padre Tempo. Aveva appena notato che Susan e il lupo non c’erano, perciò decise di andare ad aspettarli.
La fasciatura stretta sembrava contenere il dolore, ma doveva stare molto attento a non fare bruschi movimenti, o le fitte brucianti tornavano a tormentarlo.
Come avrebbe potuto combattere con un braccio ridotto così?
Fissò lo sguardo su una macchia di piante che potevano essere felci. La loro luminescenza verde-blu si spegneva durante la notte e risplendeva durante il giorno. In quel momento, le foglie si stavano accendendo lentamente, come facevano i lampioni sulla Terra. Doveva essere appena l’alba.
Molte domande riempivano la testa di Edmund, tutte senza una risposta ben definita. Era veramente la Strega Bianca, ancora una volta, la nemica da affrontare? Era sempre decisa ad avere Narnia, a uccidere loro, a sconfiggere Aslan? Sì, certo che lo era.
Ma si trattava veramente lei? O le creature di tenebra erano una mera coincidenza? Forse, Jadis e la Signora dalla Veste Verde usufruivano degli stessi poteri. In ogni caso, quelle due donne fossero strettamente collegate. Poteva essere che la Dama Verde lavorasse per Jadis, agendo quindi per suo conto?
Edmund tentò di ricordare l’aspetto della Dama Verde quando l’avevano incontrata sul Ponte dei Giganti, ma non riuscì bene a figurarselo. Rammentava lunghi capelli biondi e un abito verde smeraldo, nient’altro. Cercare di rievocare la sua immagine era come guardare un riflesso in una pozza d’acqua torbida.
Un incantesimo per non essere riconosciuta? Comunque fosse, la Strega era ancora là, da qualche parte, Edmund lo sentiva ora più che mai.
Si portò di nuovo la mano sul braccio avvertendo una nuova fitta di dolore. Quelle belve… messaggeri oscuri di una creatura che traeva il suo potere dalle ombre più profonde. Potatori di un avvertimento, come se ella stesse dicendogli ‘vi aspetto’, e quello fosse stato solo un assaggio…
Un movimento alla sua sinistra interruppe il filo dei suoi pensieri. Caspian usciva dalla boscaglia di felci luminescenti, che adesso espandevano il loro bagliore sull’intera radura fuori dalla caverna.
“Ciao” lo salutò il Giusto.
“Edmund, sei già sveglio? È molto presto”.
“Non riuscivo più a dormire”.
Caspian gli si avvicinò, prendendo del cibo dalla sua razione della colazione. “Vuoi qualcosa da mangiare?”.
Edmund fece cenno di no col capo. Si accorse di avere un sentore di nausea. “Più tardi”.
“Io sto morendo di fame” disse Caspian, addentando un grosso pezzo di pane.
“Dov’è Susan?” chiese il Giusto, avvedendosi solo in quell’istante della mancanza del falco.
“Fuori. Credo avesse bisogno di sgranchirsi le gambe… voglio dire, le ali”. Caspian abbozzò un sorriso amaro.
Edmund lo guardò divorare il suo pasto in silenzio. Caspian era il suo migliore amico; forse, se gli avesse confessato i suoi timori avrebbe potuto consigliarlo. E se lo avesse anche pregato di mantenere il segreto con gli altri, non glielo avrebbe negato. Caspian c’era dentro fino al collo: lui e Susan erano stati colpiti da un maleficio tanto oscuro da adombrare persino i loro cuori, cambiandoli dentro.
Sarebbe successo lo stesso anche a lui, Edmund? Era stato maledetto da quelle creature? Dalla donna che le aveva mandate?
Caspian poteva aiutarlo, sì, ma quella scintilla d’orgoglio che Edmund si teneva stretta gli disse di non parlare, così non disse niente.
“Tutto bene, Ed?” chiese il Re, osservandolo attentamente.
“Cosa? Sì. Tutto a posto. Senti… non so quanto ti ricordi di quello che è successo ieri sera”.
Caspian lo guardò ancora un momento, poi abbassò la testa e il suo viso si incupì. “Sai bene che non rammento quasi nulla durante la mia forma di lupo”.
Il Giusto annuì. “Ieri sera abbiamo combattuto…”.
“Questo me lo ricordo” disse il Liberatore. E ricordava bene che per un istante aveva intravisto la sua Susan, nel momento in cui le Sette Spade aveva illuminato il Mondodisotto, nel secondo infinitesimale in cui giorno e notte si erano incontrati. Caspian scacciò il pensiero, concentrandosi su quello che stava cercando di dirgli Edmund. “Che altro è successo? Raccontami”.
Edmund decise che non c’era motivo per aspettare, così riferì a Caspian ogni cosa riguardo la sera precedente, da quando Lucy e Jill erano finite nelle sabbie mobili. Narrò dello scontro con le creature di tenebre, il modo in cui le Spade avevano operato per loro e sconfitto quegli essere infernali. Questo, Caspian lo ricordava, perciò Edmund passò alla parte più spinosa: il racconto di Mullughuterum, di come tutti gli abitanti del Mondodisotto fossero stati ipnotizzati con un sortilegio dalla Signora della Veste Verde, la quale li aveva resi schiavi costringendoli a servirla, per poi proclamarsi Regina; di come Mullughuterum affermasse che lui, e pochissimi fidati compagni, erano stati risvegliati dall’ipnosi da una voce (quasi certamente quella di Aslan), del fatto che avevano ricevuto l’ordine di ucciderli dalla Dama Verde ma di come si fossero rifiutati, implorando pietà. E poi, i bambini… i bambini che la donna teneva nel suo castello, i quali sembravano essere stati maledetti da degli uomini del Mondodisopra; e ancora, lo strano strumento che ella usava su di loro: la Sedia d’Argento. Infine, rivelò il dubbio che ognuno di loro aveva iniziato a maturare: la Signora della Veste Verde poteva essere la Strega Bianca.
Caspian ascoltò con pazienza, tradendo solo un paio di volte un tremito che placò stringendo i pugni così forte da ficcarsi le unghie nella carne, dolorosamente. Era la calma fatta persona, e questo preoccupò Edmund più che se avesse estratto la spada e minacciato di morte qualcuno.
Invece, non fece niente.
Il Liberatore abbandonò il suo pasto, mettendosi in piedi lentamente. “Sveglia gli altri. Abbiamo un piano da escogitare” disse con voce ferma. “Poi voglio parlare con questo Mullughuterum”.
Edmund si alzò a sua volta per andare verso gli altri. Quando furono tutti svegli e ben vigili, Caspian si avvicinò alle creature del Mondodisotto, le quali posarono un ginocchio a terra prostrandosi davanti al Re. Chiese loro di ripetere di nuovo tutto quanto gli aveva raccontato Edmund. Voleva ascoltare entrambe le versioni, capire se Mullughuterum e i suoi avessero cambiato i fatti o se il loro racconto avesse corrisposto perfettamente con quello di Edmund. Peter e gli altri confermarono che la versione era sempre la stessa.
Quando li aveva visti per la prima volta davanti alla grotta di Padre Tempo, il Liberatore non aveva saputo dare un giudizio su quelle creature, non ne aveva avuto il tempo; ma ora scoprì con piacere che non sembravano avere intenzione di ingannarli.
Gli abitanti del sottosuolo soddisfecero pazienti ogni domanda di Caspian, sempre inginocchiati ai suoi piedi, affermando la loro estraneità ai piani della Dama Verde e ancora una volta giurando sugli eredi di Narnia.
Mentre Mullughuterum parlava, Caspian osservava la gigantesca figura di Padre Tempo disteso sul grande letto di pietra, simile a una scultura monolitica. Solo il movimento del possente addome indicava che era vivo e respirava, profondamente  immerso in un sonno misterioso.
Quando infine Mullughuterum tacque, anche Caspian rimase in silenzio.
Il Liberatore fece un lungo sospiro. Non c’era spazio per la rabbia, la sofferenza, o i ricordi passati. Non c'era il passato e non c’era il futuro. Esisteva solo il presente e quello che doveva fare ora. Era tornato a Narnia per uccidere il suo nemico, ma ora non gli era consentito pensare a Rabadash né alla sua sete di vendetta. Li avrebbe messi entrambi da parte per un poco. Troppi pensieri in una sola volta portavano via spazio alla concentrazione, e in quel momento più che mai Caspian aveva bisogno di considerare ogni mossa con mente assolutamente lucida e imperturbabile. In quel preciso istante, l’ostacolo più grande era entrare nel Castello delle Tenebre e salvare Rilian e Myra. Come, non lo sapeva, ma lo doveva fare.
Era alla fine, c’era quasi. Non ci sarebbero state seconde possibilità, aveva già riflettuto su tutto quello che poteva, adesso non era più il tempo per pensare ma per agire. Agire prima di immediatamente.
“Permettete un consiglio” disse Mullughuterum riprendendo parola.
Caspian fece un cenno di assenso con la testa.
“La Signora dalla Veste Verde dispone di un esercito formato da migliaia di abitanti del Mondodisotto. Il mio consiglio è quello di non affrontarla, non in numero così misero”.
Caspian distolse in fretta lo sguardo da Padre Tempo e lo puntò sul guardiano. “Abbandonare l’impresa?” domando, incredulo.
Mullughuterum annuì piano. “Sì, Sire. Il nostro aiuto non cambierà la situazione. Tornate indietro e attendete tempi migliori”.
“Mi stai chiedendo di abbandonare i miei figli, te ne rendi conto?”.
“I bambini resteranno al sicuro nel Castello delle Tenebre. Lì sono trattai molto bene, l’ho visto coi miei occhi, anche se…”, Mullughuterum abbassò la testa con mestizia “…anche se d’ora in avanti potrei non essere più in grado di vegliare su di loro, non dopo che la Signora mi avrà visto tornare a mani vuote e capirà che non vi ho uccisi. Ma l’Altissimo protegge i principi notte e giorno. Voi andatevene, tornate in superficie, chiedete aiuto a tutti quelli che potete e, quando i tempi saranno maturi, forse potrete ritornare ad affrontare la Signora”.
“Non farò nulla di tutto questo” disse Caspian alzando un poco la voce.
Mullughuterum sollevò la testa e guardò il Re di Narnia. La determinazione di quell’uomo sfidava le inevitabili conseguenze dei suoi gesti futuri. Era quella determinazione di chi non ha paura di morire. Egli, tuttavia, rifiutava di arrendersi davanti alla sconfitta, rifiutava la morte pur non temendola. E forse… forse il suo modo di accettare la propria possibile fine, misto al desiderio di sopravvivere, era talmente potente che avrebbe potuto farcela.
Ciononostante, le possibilità erano davvero scarse.
“Mullughuterum” riprese Caspian, la voce chiara e ferma, “se tenterai di fermarmi avrò la stessa pietà che potrebbe avere per te la tua Signora. Sappi che non la temo, poiché io e i miei compagni abbiamo ragione di credere di averla già affrontata. Se non è così, mi batterò con l’ignoto, non sarebbe la prima volta e non sarà certo l’ultima. Non torneremo indietro. Non ho nessuno che possa aiutarmi. Il mio esercito, i valorosi cavalieri che un tempo mi servivano, sono imprigionati, morti o fuggiti. Gli amici a cui potrei chiedere aiuto si sono dovuti nascondere per non morire. Non ho possibilità di rintracciarli, né di aspettarmi che qualcuno risponda al mio richiamo d’aiuto. Potrei mandar loro un messaggio, certo, ma ci vorrebbe troppo tempo e io non ne ho; e comunque, chi risponderebbe non sarebbe che una manciata di uomini. Non chiedo a nessuno – i miei compagni lo sanno – di fare più di quanto farei io. Ma non mi esimerò da questa missione, non dopo aver attraversato l’inferno per ritrovare i miei figli. Essere a un passo da loro e poi abbandonarli? No. Già una volta non riuscii a salvarli, ed ora non mi fermerò finché non ci sarò riuscito. Se tu e i tuoi seguaci vorrete combattere con noi, rimanete al nostro fianco. In caso contrario, siete liberi di decidere per voi stessi. Ma te lo ripeto: non cercare di fermarmi o convincermi in alcun modo”.
Mullughuterum e i suoi compari si scambiarono sguardi impauriti e gesti nervosi.
Caspian guardò i suoi compagni: Peter, Lucy, Edmund, Eustace e Jill lo avrebbero sostenuto qualunque cosa fosse successa. Nemmeno loro erano intenzionati a tornare sui loro passi. Ma da soli non potevano riuscire, non soltanto loro sette.
“Fate ciò che ritenete più giusto per voi” disse infine il guardiano del Mondodisotto.
“Io rivoglio solo la mia famiglia” disse Caspian, una lontana disperazione risuonava nella voce. “Puoi aiutarmi?”.
Mullughuterum lo fissò a lungo senza battere le palpebre, occhi negli occhi. “Se possiamo fare qualcosa, la faremo” rispose infine.
Caspian fece un altro lungo respiro. “Molto bene” disse, la voce di nuovo calma. Poi si allontanò lentamente dalla caverna.
“Dove stai andando?” chiese Eustace.
“Devo pensare. Perdonatemi un momento”.
“Ma…”
Peter mise una mano sulla spalla del cugino. “Lascialo da solo. Ha da poco avuto la conferma che i suoi figli non si ricordano più di lui. Prova a metterti nei suoi panni”.
Eustace non fiatò, continuando a guardare la figura di Caspian allontanarsi tra la debole luminescenza verdastra degli alberi. Il suo sguardo incrociò quello di Edmund: pensavano la stessa cosa: e se a Caspian fosse balenata in mente qualche strana idea individualistica?
“Credete sia prudente lasciarlo andare solo?” chiese ancora Eustace.
“Non corre più pericolo là fuori che da qualunque altra parte” disse Jill. “Credo valga per tutti noi”.
“E poi c’è Susan con lui” aggiunse Lucy.
Il falco era appena comparso al fianco del Re di Narnia, puntuale come sempre.
Per quanto Eustace non vedeva come Susan potesse essere di molta utilità a Caspian nella sua forma diurna, non replicò. A preoccupare lui e Edmund non era il pericolo che correva fuori dalla caverna, quanto la mancanza di una reazione a tutto. Caspian era rimasto fermo e muto davanti ad affermazioni contro le quali, solo qualche settimana prima, avrebbe mostrato tutta la sua collera e il suo dolore. Invece non aveva fatto nulla. Tutta quella calma era in qualche modo preoccupante.
“Non pensate che farà qualcosa di avventato, vero?” chiese ancora Eustace.
“In che senso?” chiese Peter.
“Non so…” Eustace esitò. “Se stesse pensando di agire impulsivamente?”
“Non lo farebbe mai!” esclamò Lucy.
“Sì, lo farebbe” replicò Edmund, ansioso.
“In effetti, la sua reazione è stata fin troppo pacata” commentò Peter, pensieroso.
“Esatto. Proprio per questo motivo io e Eustace temiamo che questa reazione passiva possa essere solo l’inizio di una delle sue azioni istintive” proseguì Edmund. Lanciò un nuovo sguardo al cugino, che annui per conferma.
I ragazzi si scambiarono altre occhiate molto eloquenti.
“Vado a parlargli” disse Jill, scattando verso l’uscita.
“No, aspetta” Peter la fermò afferrandole un braccio.
“Non voglio rischiare che la nostra compagnia si spezzi in tre parti, Peter!” esclamò la ragazza, turbata. “Abbiamo già dovuto lasciare indietro Emeth e gli altri. Se adesso Caspian decide di andarsene con Susan, senza di noi…”.
Peter la lasciò andare. Pensava a Miriel.
“Se commetterà qualche sciocchezza sarà a causa del dolore che non manifesta” proseguì Jill. “Non sarebbe il primo tentativo, ricordate? È tornato a Narnia solo per prendere la testa di Rabadash, lo disse Susan alla Torre dei Gufi, e lui lo riaffermò”.
“Jill ha ragione”, disse Edmund. “Voleva tornare a Cair Paravel da solo”.
. “Forse io non sono la persona più adatta a parlargli” continuò Jill, “visto che sono quella che conosce meno. Quindi, per favore, che lo faccia qualcuno di voi”.
Peter e Lucy non seppero cosa fare. Gli altri dicevano il vero: Caspian era molto cambiato, non gli importava di morire, e non si sarebbe fermato davanti a niente ora che sapeva che i suoi bambini erano vivi e dov’erano nascosti.
“Forse è vero, dovremmo dirgli qualcosa” disse Lucy.
“Io penso che parlargli non servirebbe a un bel niente” fece Eustace, sbuffando. “Lo dobbiamo costringere!”.
“Perché devi sempre essere in disaccordo, Scrubb?“. Jill scosse il capo. “La gente non si costringe, con la gente si parla”.
“Quanto sei ingenua. Pole. Pensi che se gli dicessi semplicemente: ‘Caspian, non andare al castello da solo’, ti ascolterebbe?”. Gli metteresti solo la pulce nell'orecchio se non lo sta già pensando.
Jill s’innervosì. “Voglio solo che prometta di non fare gesti avventati, Io…”.
“Non andrò da nessuna parte, non preoccuparti” disse una voce dietro di loro.
Caspian era rientrato nella caverna, Mullughuterum veniva con lui. Sembrava avessero appena finito di parlare. Caspian sorrideva un sorriso debole ma calmo, che si stendeva sulle labbra senza però illuminare lo sguardo. Gli occhi erano lontani, vigili, come se vedesse già oltre il momento.
Il Liberatore si avvicinò a Jill e le sorrise ancora. “Non me ne andrò, è una promessa. Ma voi dovrete fare esattamente quello che vi dico”. Divenne serio all’improvviso e li guardò uno a uno: sembravano pronti ad ascoltarlo.
Avevano avuto paura che li lasciasse, stavano lì a discuterne, ansiosi. Fu quanto di meglio poteva chiedere: sapere che la sua famiglia sarebbe stata lì a sostenerlo. Aveva un disperato bisogno di averli vicino: Peter, Edmund, Lucy, Eustace, la sua Susan, e anche Jill, quella ragazza che completava il cerchio, di cui sapeva poco o niente ma alla quale voleva bene come se la conoscesse da anni.
“Ascoltatemi: le creature del Mondodisotto dicono che possono a portarci al Castello della Signora dalla Veste Verde, o chiunque sia. Ma dicono anche che dobbiamo fingere di essere loro prigionieri. Hanno promesso alla loro padrona che ci avrebbero uccisi, tuttavia non l’hanno fatto, perciò mi sono accordato con loro: se non possiamo entrare nel castello da vivi, lo faremo da morti”
“Che cosa stai…?” fece Lucy, senza potersi trattenere.
Caspian la fermò alzando la mano. “Un momento, Lu, ti sto spiegando. La Signora… o la Strega… non si accontenterà di averci come prigionieri. Ci vuole morti, tutti, a lei non importa davvero ciò che può aver promesso a Rabadash, farà solo il suo tornaconto. Se noi arriviamo al castello vivi, computerà un fallimento a Mullughuterum e ai suoi compagni, uccidendoli. E ucciderà anche noi. Se invece arriviamo al castello con sembianze di morti, allora abbiamo qualche possibilità di salvarci, e salvare delle vite”.
“Dobbiamo fingere di essere morti?” chiese Peter, allibito, scioccato. “E come?”.
“Con un trucco che mi insegnò a suo tempo il dottor Cornelius”.
Caspian mostrò ciò che aveva in mano: una mezza dozzina di piccoli baccelli verdognoli  dall’aspetto anonimo. Ricordavano molto piccoli fagioli.
“Che cosa sono?” chiese Lucy.
“Germogli di Curaro*, una rara pianta che cresce solo nella Brughiera di Ettins”.
“Non ricordo di averne sentito parlare e neanche di averne mai visti a Narnia”.
“Non mi stupisce, Lu. Erano uso esclusivo dei Nani Neri del Nord”.
“Oh!” fece Lucy, capendo improvvisamente. Oltre che estremamente dotto, il dottor Cornelius era un discendente di quella razza di creature.
“Secernono un potente siero soporifero che, se mescolato a uno specifico preparato, può anche uccidere” continuò Caspian. “I Nani Neri delle Montagne del Nord usavano questa mistura per cacciare più facilmente le grosse prede, evitando il contatto ravvicinato, ed era un ottima arma contro ragguardevoli nemici”. Caspian ripose i baccelli dentro il sacchetto, tranne uno, stringendolo tra il pollice e l’indice per mostralo bene a tutti. Era grande quanto una nocciola senza il guscio. “I Nani Neri immergevano le punte delle loro frecce in una mistura di germogli di Curaro, corteccia resinosa e linfa. La preda colpita dalla freccia avvelenata moriva dopo pochi minuti”.
“Come ne sei venuto in possesso?” chiese Edmund. “Li hai trovati nella Brughiera?”.
Caspian scosse il capo, rigirandosi il baccello tra le dita. “Me li diede Cornelius prima che lasciassi Narnia, due anni fa. Non li ho mai utilizzati. Io e il dottor Cornelius… bhe, lo sapete, non ci separammo nel migliore dei modi” l’espressione di Caspian si fece cupa, la sua voce perse un tono. “Aveva tradito me e Susan, e tutta Narnia, rivelando il nostro nascondiglio ai soldati di Erton e Rabadash. Non ebbi per lui parole molto diverse da quelle che gli rivolsi durante la nostra ultima visita al monastero. Accettai questo dono solo per mera carità di un uomo che per me rappresentò qualcosa di più di un istruttore. Non vado fiero del modo in cui lo trattai”. Caspian chiuse di scatto il pugno attorno al baccello, ricacciando i ricordi e i sensi di colpa in un angolo del mente. “Comunque sia andata, adesso sono felice di aver accettato il suo dono. Noi abbiamo bisogno di apparire morti davanti alla Signora dalla Veste Verde, e questi germogli fanno al caso nostro”.
Edmund osservò Caspian con aria critica. “Noi come li useremo? Dobbiamo…mangiarli?”.
Prima la ferita al braccio e ora questo. Non era sicuro che gli sarebbe piaciuto granché ingoiare quelle palline velenose.
“No, mangiarli no, Ed. Bere il loro siero”.
“Ma hai detto che i Nani Neri preparavano una mistura per immergerci le frecce” intervenne Eustace.
“La via sanguigna non è l’unico modo in cui agisce” spiegò Caspian con pazienza. “I Nani Neri erano riusciti a capire l’efficacia di quel siero attraverso le ferite che infliggevano agli animali o ai loro nemici. C’era però un altro modo di utilizzare i germogli di Curaro: per ingestione”.
“Un infuso di morte apparente” mormorò Jill, affascinata malgrado tutto. “Come quello bevuto da Giulietta”.
“Chi?” chiese Caspian.
“La protagonista di una tragedia del nostro mondo, Romeo e Giulietta, di Shakespeare… ma immagino  tu non conosca la storia, vero?”.
Caspian sorrise malinconico. “La conosco, in realtà” disse, sorprendendola. “Me l’ha raccontata Susan. Non finisce bene per i due amanti”.
“Ehm… no, purtroppo”.
“Mi auguro che a noi vada meglio”. Caspian rimise l’ultimo germoglio nel sacchetto, soppesandolo nella mano. Finalmente, dopo aver cancellato praticamente ogni emozione dal viso, i suoi atteggiamenti così innaturalmente tranquilli tradirono la preoccupazione.
“Che cosa succederà dopo?” disse Peter, incrociando le braccia al petto in un gesto nervoso. “Hai già qualche idea?”.
“Qualcuna, sì”. Caspian fece un lungo sospiro. “L’infuso della morte apparente, come lo chiama Jill, agirà pochi istanti dopo che lo avremo bevuto. Dopodiché, Mullughuterum e i suoi ci porteranno dentro il castello. Ho già detto loro cosa devono fare”.
“Ti fidi davvero?”.
“Devo, Peter, sono l’unico aiuto di cui disponiamo. Non c’è altra maniera di entrare in quel palazzo. A sentire quanto dice Mullughuterum è attorniato da cinta murarie, decine di soldati le sorvegliano da ogni lato: dall’alto, da fuori e da dentro, a ogni ora del giorno. Inoltre, l’esercito della loro Regina è provvisto di centinaia di guerrieri, noi siamo in sette”.
Peter annuì con aria greve. “Va bene, e poi? Una volta dentro le mura che facciamo?”.
“Ancora non so bene. Di sicuro la Signora della Veste Verde vedrà i nostri corpi, sembreremo morti, perciò non avrà il minimo sospetto dell’inganno”.
“Hai pensato che Mullughuterum e i suoi potrebbero tradirci?”.
“Non lo faranno”.
“Non lo sai”. Peter lo guardò accigliato.
“No, è vero” rispose Caspian, tetro. “Hai un’altra idea? Se sì, ti sarei grato se volessi esporla”.
Peter serrò le labbra e voltò la testa. “E’ una follia”.
“Andrà bene, invece” disse Lucy, torcendosi le mani per il nervosismo. “Io... io voglio dar fiducia a quelle creature. Ricorda che hanno giurato su Rilian e Myra, Peter, e hanno sentito la voce di Aslan. Se il loro cuore non fosse aperto verso di Lui, non avrebbero potuto. Ciò significa che c’è del buono in loro. Forse hanno servito la Dama Verde, ma non per loro volontà. E comunque, mi sembrano veramente pentiti”.
Come al solito, Lucy riusciva a dissipare i dubbi e le paure di tutti evocando il nome del Grande Leone.
Caspian le rivolse uno sguardo pieno di gratitudine.
“Il siero di un solo germoglio non è sufficiente ad uccidere”, ricominciò il Liberatore, “tuttavia può causare un sonno molto lungo e profondo, tanto da rallentare le funzioni vitali. Studiai le proprietà del Curaro quand’ero un fanciullo. Cornelius mi insegnò soltanto la teoria, poiché era un preparato illegale – lo era ai tempi in cui regnava mio zio, almeno – cionondimeno, ricordo perfettamente ogni passaggio. Ma dovrete aiutarmi”.
Non c’era bisogno di dirlo, avevano deciso: l’avrebbero fatto.
Sembrava una pazzia, eppure aveva senso. Ogni cosa in quel viaggio seguiva un tracciato astratto, dove fatti e circostanze si intersecavano improvvisamente ma perfettamente tra loro, per portarli sul binario giusto. Il dottor Cornelius, discendente dei Nani Neri del Nord, aveva dato a Caspian una manciata di quei germogli come se sapesse in anticipo che un giorno gli sarebbero serviti. Caspian avrebbe potuto usarli per cacciare o difendersi dai pericoli, invece, erano rimasti inutilizzati fino al momento in cui il loro impiego reclamava uno scopo più grande.
 “La corteccia e la linfa degli alberi del Mondodisotto andranno bene, Caspian?” chiese Lucy, che aveva mandato a mente le istruzioni. “Che tipi di piante usavano i Nani Neri?”.
“Tutte quelle che secondo loro rispondevano ai requisiti. Non fanno eccezione gli alberi di qui. Dobbiamo solo trovarne uno che produca resina”
“Facilissimo, tsk!” brontolò Eustace.
“Tu comincia a cercare” lo rimbeccò Edmund.
“Comunque” proseguì Caspian, “quel che più conta è la quantità di siero che useremo. Il resto verrà da sé se rispettiamo il procedimento e le tempistiche giuste”.
“Quanto ci vorrà?” chiese Peter.
“A occhio e croce direi almeno tre ore”. Caspian prese un bel respiro. “Andrà bene”.
Aveva concepito idee migliori prima di quella, ma era l’unica a loro disposizione.
Nessuno mostrò il proprio timore agli altri, nessuno disse che non ce l’avrebbero fatta e che probabilmente – come avrebbe affermato Pozzanghera – bevendo quel siero sarebbero scivolati in un sonno irreversibile.
Si misero subito all’opera. Non vi furono domande di interruzione sul perché le cose dovevano essere fatte in un certo modo. Cercarono per prima cosa un albero che produceva resina, dal quale avrebbero attinto anche la linfa. Non fu semplice, ma dopo una accurata ricerca nei dintorni individuarono quello che faceva al caso loro.
Mullughuterum e gli altri abitanti del Mondodisotto li studiavano da lontano in silenzio e in completa immobilità, con le loro facce inespressive e quegli occhi le cui palpebre non battevano quasi mai.
I Pevensie, Eustace e Jill stavano attorno a Caspian, eseguendo le sue istruzioni, pronti a venirgli in aiuto.
Accesero un fuoco sulla pietra viva e vi posero un contenitore di rame che di solito usavano per far bollire l’acqua quando cucinavano i pasti caldi. Caspian incise con il suo coltello la spessa buccia del primo germoglio, facendo attenzione a lasciarlo integro, provocandovi appena un taglietto per far uscire il siero di un verde molto chiaro e trasparente, che fece colare in una ciotola di cotto. Intanto, gli altri sbriciolavano la corteccia, toglievano la resina e la facevano sciogliere su un secondo fuocherello. Quando l’acqua bollì, vi immersero linfa, corteccia e la resina sciolta, al momento giusto tolsero il tutto dal fuoco e versarono il composto fumante dentro la ciotola di cotto. Appena si unì alla mistura, il siero dei germogli sfrigolò come se fosse venuto a contatto con dell’olio bollente, emanando fastidiosi effluvi acri. Lo lasciarono raffreddare; sulla superficie si formò uno strato vischioso di un verde-marrone scuro. Rimossa la patina, il composto venne messo di nuovo a bollire, e infine fatto colare goccia dopo goccia da una foglia arrotolata come una sorta di imbuto.
“Dobbiamo rifarlo con tutti i germogli, uno per uno?” chiese Jill, china sul fuoco, la fronte sudata. Se la risposta era sì, sarebbe stato un lavoro infinito. Invece, con grande sollievo vide Caspian scuotere il capo.
“Non con tutti. Tre germogli basteranno” rispose il Liberatore senza guardarla, gli occhi fissi su ciò che faceva. I suoi movimenti erano precisi, le mani ferme. “Un germoglio dovrebbe contenere sufficiente liquido per almeno due persone. Un sorso per ciascuno basterà. È ugualmente necessario preparare un infuso alla volta, poiché se facessimo bollire il siero di ogni germoglio nello stessa ciotola, ho paura di non essere in grado di dividerlo equamente per tutti una volta pronto. Se dovessi sbagliare, una sola goccia in più ci manderebbe dritti al creatore”. Caspian si scostò i capelli dal viso con uno sbuffo. “Maledizione, non sono mai stato bravo in queste cose”.
Jill gli posò una mano sul braccio. “Stai andando benone”.
La quiete di Caspian iniziò a non dispiacere agli altri, poiché ebbe il potere di mitigare i pensieri funesti di tutti. Lui stesso non comprendeva  appieno da dove gli venissero tutta quella tranquillità e sicurezza mentre si apprestava ad attuare un piano che poteva fallire per un miserevole errore. Più si avvicinava il momento, più comprendeva l’assurdità della sua scelta. Tuttavia c’era un specie di eco in fondo al suo animo, qualche volta lo abbandonava, altre risaliva dal suo più profondo io aiutandolo a proseguire. Intimava prudenza, trasmetteva forza. Non sapeva se fosse la voce di Aslan o semplicemente il suo subconscio, o forse entrambe le cose. In ogni caso, insisteva ad ascoltarla.
Infine, tutto fu pronto.
Un paio di centimetri di liquido nerastro riempivano appena il fondo dei bicchieri sbeccati che i ragazzi recuperarono dalle sacche da viaggio.
“Adesso ascoltatemi bene” disse Caspian, l’aria più seria che mai. “Una volta bevuto questo infuso ci addormenteremo entro pochi istanti. Se tutto va come pianificato, ci sveglieremo tra dodici ore dentro il Castello delle Tenebre. Mullughuterum…”.
Subito il guardiano del Mondodisotto avanzò, i suoi compari poco dietro di lui.
“Dovrai simulare delle ferite sui nostri corpi”.
“So già come fare, Sire” assicurò Mullughuterum. “Utilizzerò un po’ della magia a mia disposizione”.
“Molto bene. Dirai alla tua Signora che ci hai sorpresi nel sonno e hai cercato di ucciderci all’istante, ma ci siamo accorti della vostra presenza e abbiamo combattuto. Le racconterai che abbiamo usato le nostre armi; se dovesse chiederti quali, dirai archi e spade, e se dovesse domandarti ancora che tipo di spade, le risponderai che non ne sai niente. Voi siete in superiorità numerica, perciò noi abbiamo avuto la peggio. Ci avete feriti, indeboliti, e alla fine uccisi. Mi raccomando, dovrai essere molto credibile. Se quella donna è la nemica che combattemmo tempo fa, non si farà ingannare facilmente. Ci conosce, sa bene che arrendersi non è nella nostra natura”.
Mullughuterum annuì appena per dire che aveva capito.
Caspian si rivolse di nuovo agli amici. “Se siamo fortunati, la Signora crederà al racconto di Mullughuterum e forse non controllerà le nostre ferite. Probabilmente ordinerà di disarmarci, per cui è possibile che al nostro risveglio non avremo alcuna arma addosso.  In questo caso, dovremo procurarcene di nuove e in seguito recuperare le nostre. Ma a questo penseremo poi”.
“Che cosa succederà una volta che la Signora ci avrà visti?” chiese Peter al guardiano.
Mullughuterum sembrò soppesare la domanda. Sbatté una volta gli occhi senza pupilla. “Di solito, i criminali vengono giustiziati nella pubblica piazza e bruciati subito dopo”.
“Criminali!” sbottò Edmund.
“Per lei lo siete, Altezza” replicò il guardiano in tono distaccato. “Quasi certamente disporrà di seppellirvi oppure di bruciarvi. Dovremo sostituire i vostri corpi con quelli di altri individui realmente morti, e intanto nascondervi in un luogo sicuro”.
“Dove?” chiese Peter.
“Pensavo alla legnaia. Dietro il cortile del castello vi è un’enorme legnaia. Gli operai lavorano in continuazione per svuotarla e riempirla, serve molta legna per scaldare tutto il palazzo. Vedrò di far irritare l’addetto ai lavori, è un tipo molto bellicoso, sapete. Se riesco a dare il via ad una rissa, ci sarà tanto scompiglio che nessuno si accorgerà di voi quando uscirete dal magazzino. Vi fornirò degli abiti come i nostri” Mullughuterum indicò i suoi compagni, “che indosserete al posto di quelli che avete ora. Dovrete camuffarvi per mischiarvi alla nostra gente. Se passerete per semplici servi non avrete problemi ad entrare nelle stanze padronali”.
“Dove si trovano i miei bambini?” chiese Caspian, gli occhi accesi di vibrante determinazione.
“Le stanze del principe Rilian sono al secondo piano, in un’ala chiamata Corridoio del Re. C’è un alto arco luminoso che ne segna l’entrata, presieduto da due sentinelle. La principessa Myra ha da poco cambiato locazione, invece. Adesso le sue stanze si trovano al terzo piano, vicino a quelle della Signora della Veste Verde”.
Eustace imprecò sottovoce. “Sapevo che c’era la fregatura”.
“Non importa” disse Caspian. “Ci arriveremo lo stesso”.
“Devo raccomandarvi, Sire” continuò Mullughuterum. “Non date  nell'occhio: non sorridente a nessuno, non parlate se non siete interpellati. Non guardate negli occhi la Signora se doveste incontrarla”.
“Lo farò invece” assicurò il Liberatore. Serrò i pugni, stringendo i denti. “Voglio vedere la faccia di chi mi ha potato via i miei figli… prima di ammazzarla”.
Nessuno fiatò dopo quell'affermazione. Quelle parole erano la conseguenza del dolore di un uomo disperato. Né Edmund, né Lucy, Eustace o Jill, poteva comprendere fino in fondo la reale portata di quella sofferenza, forse solo Peter, che sarebbe divenuto padre. O forse nemmeno lui, non ancora.
“Cosa ne sarà di Destriero e dei cavalli che ci ha dato la regina Titania?” chiese Lucy, guardando gli animali legati alle rocce appena fuori dalla caverna.
“Li slegheremo. Destriero ci aspetterà qui. Forse rimarranno anche gli altri, altrimenti saranno liberi”.
“Qui sotto riusciranno a sopravvivere?”.
“Tranquilla, Lucy” tentò di scherzare Edmund. “Se ce la faremo noi – e sarà un miracolo – sopravvivranno anche loro per qualche tempo senza che nessuno se ne occupi”.
Lucy andò a sciogliere i finimenti dei cavalli, accarezzandoli uno alla volta. “Torneremo a prendervi” sussurrò rassicurante, anche se sicura non lo era neppure lei.
Caspian la imitò. Si avvicinò a Destriero e lo baciò sul muso. “Non posso portarti con me, questa volta. Tornerò, vecchio amico. E’ una promessa”.
Il cavallo lo fissò negli occhi un istante, poi abbassò la testa tristemente.
Il Liberatore chiamò il falco ed ella, pronta, planò sulla sua spalla. Caspian prese poche gocce da un settimo bicchiere tenuto da parte, facendogliele scendere nel becco.
“Posso farlo io!” esclamò Lucy, balzando in avanti. “Non sei costretto a…”.
“Devo farlo io” replicò il Re. La sua mano tremò appena, ma era difficile capire quale fosse il suo grado di agitazione.
Per un fugace attimo, Caspian pensò a Susan fredda e immobile come se la morte avesse aleggiato su di lei. Come l’incubo che per tanto tempo, in passato, lo aveva tormentato. L’incubo in cui Jadis lo aveva imprigionato sull’Isola delle Tenebre otto anni fa.
Tutti fissavano il contenuto a loro destinato. Eustace non riusciva a parlare; se lo avesse fatto, aveva la netta sensazione che avrebbe vomitato.
Edmund fece una smorfia quando allungò il braccio per afferrare il bicchiere. La ferita mandò una fitta quasi insopportabile.
“Tutto bene?” gli domandò Peter. “Ti fa male la ferita?”.
“Non è niente” tagliò corto Edmund. “Non preoccuparti”.
“Siete pronti?” chiese Caspian. Il gruppo annuì. “Bene. Ci vediamo al risveglio”. E bevve dal suo calice.
 

 
 
~·~
 


 
Il carro procedeva lentamente su percorsi stretti e accidentati. Dopo aver lasciato Caspian e gli altri davanti alla caverna, Emeth, Miriel, Shanna, Ombroso, Pozzanghera, Shira e Lord Erton, erano tornati indietro attraverso la Landa Desolata, ed ora si dirigevano lungo una strada che terminava al limitare di una boscaglia scura.
Emeth avrebbe volentieri staccato i cavalli e proseguito con essi, lui e Shanna su uno, Pozzanghera e Miriel su un altro, Ombroso e Shira in volo… ma con Lord Erton ancora legato e imbavagliato che necessitava di essere guardato a vista, erano costretti a procedere così lentamente che, di questo passo, sarebbero giunti al Castello della Signora della Veste Verde molto in ritardo rispetto agli altri.
A casetta insieme a Pozzanghera, Emeth si voltò un momento a guardare le ragazze dentro il carro. Shanna teneva la mappa di Narnia sulle ginocchia e la leggeva al contrario, come aveva suggerito il vecchio Erton. Erano passati attraverso un paio di radure il cui aspetto aveva immediatamente ricordato loro luoghi cui avrebbero dovuto corrispondere nel Mondodisopra.  Era come viaggiare attraverso un mondo conosciuto ma all’incontrario.
Il primo giorno furono tutti molto silenziosi e preoccupati. Emeth pensava soprattutto a Lucy, Shanna a Edmund, Miriel a Peter, e agli altri che avevano lasciato indietro all’entrata di quella caverna oscura, sperando nel meglio, mentre Pozzanghera elencava le più atroci sofferenze in cui i loro amici erano certamente incorsi. Nessuno si arrabbiava davvero con Pozzanghera, che non parlava per cattiveria ma per puro e innato senso di sconforto. Lord Erton, invece, si crogiolava in tutta quell’ansia, purché non fosse la sua. Più gli amici di Caspian e Susan erano in difficoltà, più si divertiva. Il Duca continuava a ripetere fino allo sfinimento che non avrebbero trovato nulla, né un strada né un sentiero diversi da quelli da lui suggeriti. Si sarebbero perduti nelle gallerie infinite del Mondodisotto e avrebbero trovato la morte. Solo quando Shira minacciò di cavargli gli occhi il Duca si zittì.
Avrebbero preferito tutti quanti uscire di lì al più presto, ma nessuno osava lamentarsi. Sapevano che Aslan non avrebbe chiesto loro di fare qualcosa di impossibile. Tremendamente difficile, questo sì, ma non impossibile. Era stato il Leone a mandarli laggiù attraverso il terzo dei quattro segni, e l’estrema fiducia in Aslan e nelle sue promesse dava loro il coraggio di affrontare ogni cosa. Emeth e gli altri riponevano molta fiducia anche in Miriel, la quale li guidava ascoltando le vibrazioni della Terra con cui riusciva a comunicare in una sorta di linguaggio muto e primordiale.
Una volta addentratisi nella boscaglia scura, dove la luce degli alberi luminescenti creava strani riflessi sui tronchi e ombre spettrali sui loro volti, trovarono un buon riparo per passare la notte. Nonostante l’aspetto sinistro del luogo, non sembravano esserci pericoli di sorta.
All’alba del secondo giorno uscirono dalla boscaglia. Si ritrovarono su una strada più larga, spianata da quelli che sembravano lunghi letti di fiumi disseccati. Un’insolita calura li investì, accompagnata da un rumore insolito, una specie di rimbombo lontano dilatato dall’eco delle gallerie. Il rombo cresceva mano a mano che avanzavano e iniziava a dar fastidio all’udito.
“Che cos’è questo suono?” chiese Shanna.
“Non ne ho idea, ma mi piace poco” rispose Pozzanghera, facendo ballare la pipa tra le labbra.
Lord Erton bofonchiò parole incomprensibili attraverso il bavaglio.
“Sta cercando di dire qualcosa” disse Emeth.
“Devo farlo parlare?” domandò Shanna, incerta.
Nessuno aveva molta voglia di prestargli attenzione, ma quando il Duca prese a muovere la testa per indicare qualcosa al di fuori del carro, Emeth decise che l’avrebbe ascoltato.
“Shanna, levagli il bavaglio. Sentiamo cosa vuole”.
La ragazza si sporse per liberare la bocca del Lord. Con uno strattone gli fece scendere sul mento il pezzo di stoffa che lo impediva.
Lord Erton prese una profonda boccata d’aria. “Siamo vicini alla grande gola. Il rumore che sentite proviene dal centro della terra”.
“Il centro della terra? Ooohhh!” fece Ombroso, affascinato. “Ecco perché fa così caldo”.
Raggiunsero un tratto di strada disseminato da alte rocce dalle forme singolari, simili a sculture di qualche idolo irriconoscibile. Il terreno si restrinse improvvisamente, fino a diventare un corridoio di roccia che guardava direttamente sul fondo della gola: una cavità immensa, senza fondo, che correva per tutto un lato della strada tagliandola in due. Una profonda fenditura irregolare che si stringeva e si allargava a intervalli lungo la sua smisurata lunghezza, come se un tremendo terremoto avesse spaccato in due quello che un tempo poteva essere stato un terreno compatto.
Costeggiando la fenditura, il rombo che saliva dalle profondità del centro della terra si fece fortissimo e quasi insopportabile. Una losanga vibrante sotto le ruote del carro, simile al canto lugubre di una creatura enorme, una lunga nota cupa ininterrotta e minacciosa. Ombroso si premette le zampe sulle orecchie, gli occhi stretti in una maschera di sofferenza. In quanto pipistrello possedeva un udito finissimo, troppo per sopportare tutto quel rumore.
“Fermati, Pozzanghera” disse Miriel a un tratto.
Il Paludrone tirò le redini.
“Qualcosa non va?” chiese Shanna, apprensiva.
“Tutto a posto, dammi un secondo”. La Driade si sporse dal carro e chiuse gli occhi. Ascoltava. Le vibrazioni della Terra si erano spostate. L’avevano guidata sin lì ed ora cambiavano nuovamente direzione. Perché?
“Miriel?”.
“Ho sbagliato” mormorò Miriel, più a se stessa che agli altri.
Ombroso mosse nervosamente le ali. “Cosa vuol dire che hai sbagliato?”.
“Ho sbagliato ad interpretare la voce della Terra”.
“Io ve l’avevo detto che la strada…” fece Erton, il quale venne subito zittio.
“Oh, per tutti i Leoni di Narnia!” sbottò Shira, facendo schioccare il becco. “Se ripetete ancora che la strada non è quella giusta, stavolta vi cavo un occhio per davvero!”.
“Magari gli strappiamo anche la lingua” rincarò Ombroso, speranzoso.
“Ah!” scattò il Duca. “Ecco la vera faccia delle nobili creature di Narnia! Tanto gentili, tanto buone… minacciano di strappare arti a un povero vecchio!”.
“Voi non siete un povero vecchio” dissentì Ombroso, “voi siete un vecchio rimbambito!”
Si misero a parlare tutti insieme. Shanna, Emeth e Pozzanghera chiedevano a Miriel spiegazioni; Ombroso, Shira e Lord Erton litigavano. Nessuno riusciva a capire quello che diceva l’altro.
Finché la Driade gridò: “SILENZIO TUTTI!... Molto bene. Adesso posso spiegarvi”.
“Un momento, un momento, Miriel! Questo vecchione…”.
“No, Ombroso, non puoi strappargli al lingua, ci serve il suo aiuto per andare al castello. Ci deve spiegare la strada”.
“Dicevi che avresti trovato tu un’altra strada” le fece notare Emeth.
“Sì, è vero, ma quando l’ho fatto non avevo considerato la possibilità di sbagliarmi”. Miriel balzò giù dal carro. Emeth la seguì, Shanna, Ombroso e Shira subito dietro. Pozzanghera rimase seduto dov’era. Erton si torse il collo per vedere cosa succedeva.
“Quando ho detto che riuscivo capire dove andare secondo le vibrazioni della Terra, ero davvero convinta che ci stesse portando sulla via giusta, una strada secondaria che secondo Lord Erton non dovrebbe esserci” proseguì la Driade, posando una mano su una delle strane rocce. “Ebbene, pare proprio che non ci sia. Il Duca ha ragione”.
“Come sarebbe?!”. Vi fu un tumulto generale. In mezzo alle proteste, Erton raddrizzò gli arti in tutta la loro importanza e sul viso gli si dipinse un’espressione di trionfo che, suo malgrado, venne cancellata da un cenno di Miriel.
“Tuttavia” proseguì lei, “quella che voi ritenete sia l’unica via, Duca, è solo la più sicura, la strada maestra del Mondodisotto, per così dire. Perciò, non è sbagliato supporre che una strada alterativa ci sia veramente”.
Le proteste si spensero all’istante.
“Va’ avanti, mia cara, non metterci ansia!” disse Pozzanghera.
“Quando abbiamo lasciato gli altri davanti alla caverna, la distanza era ancora troppo grande perché potessi sentirlo con chiarezza. Poi siamo arrivati qui, dove la Terra mi ha guidata. Il frastuono che sale dalla grande gola mi ha costretta a concentrarmi maggiormente sulle vibrazioni, ed è stato solo ora che ho capito”.
“Cosa?! Cosa?!” domandarono gli altri in coro, perfino il Duca.
“Pensavo che le vibrazioni venissero solo dalla Terra. Invece non è solo Lei a mandarmi dei segnali. Ce ne sono due, due tipi di vibrazioni diverse, derivanti da due esseri diversi: la Terra, e chi – o cosa – sta cercando di comunicare con me. Le ho scambiate per la stessa ma, ora che le ascolto bene, la prima è più cupa e dissonante, la seconda, quella che non avevo percepito all’inizio, è ritmica e tranquilla. La Terra mi ha condotta per la strada più sicura, ma la seconda entità sembra volermi dire qualcosa, mi sta chiamando e diventa sempre più insistente. Non siamo lontani”.
“Da cosa, esattamente, non siamo lontani?” chiese Emeth, non senza una punta di timore. “E che cosa starebbe cercando di dirti?”.
Miriel rivolse al ragazzo uno sguardo di scuse. “Purtroppo non posso rispondere a nessuna delle due domande”.
“C’è da fidarsi?” chiese Pozzanghera, guardingo. “Con la fortuna che abbiamo, potrebbe essere un tranello nemico, o magari un mostro terrificante che ci sta attirando nella sua tana”.
“No, io non penso” disse Shanna. “Se questa creatura comunica attraverso la Terra significa che si serve degli stessi poteri di Miriel, quindi dev’essere una creatura magica come lo siamo io e lei. Tutti sanno che le creature magiche sono chiamate i veri figli di Aslan, perciò non dovremmo aver nulla da temere, no?”.
“Tesoro, non si può riporre fiducia in tutte le creature magiche” disse saggiamente Shira. “Una volta, forse, ma coi tempi che corrono…”.
“Giusto, giusto” assentì Pozzanghera. Mollò le redini e incrociò le braccia. “Non vi porterò da nessuna parte se prima non avrò avuto la certezza che non andremo incontro alla morte”.
“Pozzanghera, per favore” esclamò Miriel. “Non essere sciocco”.
“Non sono sciocco, sono prudente”.
“La prudenza l’abbiamo lasciata in superficie, amici” disse Emeth. “In ogni caso noi ci fidiamo delle tue parole, Miriel, e non le metteremmo mai in dubbio. Ma capirai che non conoscere l'identità di questa seconda creatura che sta comunicando con te, ci mette in allerta”.
“Lo so, Emeth, nemmeno io ho certezze, però sento che dobbiamo ascoltare il richiamo. O per lo meno, io devo”.
Il soldato e la Driade si guardarono. Lui non le avrebbe certamente permesso di continuare da sola, e lei non ne aveva l’intenzione. Miriel non era per niente una donna sconsiderata, tutt’altro, era sempre stata molto responsabile e prudente. In quel momento lo pregava in silenzio di non scartare a priori la possibilità di un aiuto insperato, proveniente da una qualche creatura misteriosa che, in qualche modo e in qualche luogo, aveva percepito la presenza della Driade e la stava chiamando a sé. La prudenza era rimasta davvero tra le foreste di Narnia, a Bosco Gufo magari, da dove erano partiti. Incertezza per incertezza, era preferibile cogliere un’opportunità remota piuttosto che non averne alcuna. E, sinceramente, Emeth era molto più propenso a rischiare seguendo i suggerimenti di Miriel piuttosto che quelli del vecchio Erton.
“Da che parte devo andare?” disse allora il soldato, risalendo sul carro accanto a Pozzanghera e prendendo le redini che il Paludrone aveva abbandonato.
La Driade fece un gran sorriso, arrampicandosi sul retro. La fiducia che i compagni riponevano in lei era una ventata di coraggio in più.
Una parte della sua magia se n’era andata quando aveva scelto Peter, rinunciando all’eternità come Driade delle Valli del Sole per diventare la compagna del Re Supremo. I suoi poteri non erano più serviti durante gli anni in cui era vissuta alla reggia di Cair Paravel come ancella di Susan. Si erano pian piano assopiti, fermi e silenziosi dentro di lei. Ma dopo che Rabadash aveva preso Narnia, la magia si era risvegliata, pronta per tornare a scorrerle dentro, chiedendo di essere usata. Miriel le aveva dato ascolto, sapendo di non poter reprimere un bisogno primordiale come quello. Non poteva cambiare la sua natura: anche se per metà era umana, ora, rimaneva in parte Driade. Gli elementi facevano parte del suo essere poiché da essi era stata creata, primi fra tutti il fuoco e la terra, dai quali traeva la sua forza. Ed ora, la sua magia rispondeva alla presenza di un'entità nascosta tra le viscere del mondo che forse era simile a lei.
Proseguirono per un lungo tratto costeggiando la grande gola, con Lord Erton che gracchiava come fossero completamente pazzi, senza cervello e sconsiderati.
“Sta diventando seriamente insopportabile” disse Shanna. “Ombroso, sei sempre del parere di strappargli la lingua?”.
“Sì, sempre!”.
“Iniziamo a pianificare dove buttare il corpo?” propose Shira, reprimendo un ghigno dietro l’ala.
Lord Erton esibì il suo sguardo più malevolo. “Brutte bestiacce, ibridi, topi volanti e ragazzine impertinenti. Il regno di Narnia finirà malissimo se continuffffghh”.
Shanna si sporse verso il Duca e gli rimise il bavaglio. Dopo ciò, non gli fu più permesso di restare senza.
La compagnia andò avanti ancora per quasi un giorno. Miriel li condusse lontani dalla gola. Il rombo delle sue grida si attenuò, infine si spense mentre entravano in un'ampia valle sotterranea fatta di rocce e alberi scheletrici. La temperatura divenne ancora più calda, l'aria attorno a loro si fece incredibilmente pesante, la luce si tinse di un pallido rossore e la strada iniziò ad ondeggiare davanti agli occhi come in una giornata molto afosa. La terra tremò un paio di volte. Tutti lanciavano occhiate perplesse a Miriel, la quale sembrava però assolutamente tranquilla. Era più che mai attenta, in assiduo ascolto, pareva essere con loro e allo stesso tempo lontana chilometri, gli occhi acquamarina fissi in un punto preciso. Sapeva dove andava e cosa stava facendo, e agli altri bastava.
“Emeth” mormorò d’un tratto Shanna. “Emeth, guarda i suoi occhi!”
Gli occhi verde acqua di Miriel erano diventati di un rosso lucente, sembravano pietre preziose.
“Miriel, ti senti bene?” domandò Shanna avvicinandosi lentamente all’amica, posandole una mano sulla spalla.
In risposta, Miriel coprì la mano della Stella con la propria. “Sì, tutto bene”. Sorrise, chiuse gli occhi, e quando li riaprì erano tornati del suo colore. “Adesso so dove siamo e perché siamo qui”.
Miriel era raggiante, sicura di sé.
“Puoi spiegarlo anche a noi?” chiese Emeth.
“Un istante solo. Ferma il carro, intanto. E’ meglio se vado avanti io”.
“Avanti dove?” chiese il soldato, arrestando i cavalli.
“Tra poco vedrai”. Miriel allungò un braccio per indicare un luogo ancora invisibile alla loro vista. Poi scese dal carro quando questo si fermò. “Seguitemi, ma restate un po’ indietro, va bene?”.
Gli altri annuirono e fecero come aveva detto. La lasciarono andare avanti di almeno dieci passi, poi, lentamente, smontarono dal mezzo e si incamminarono dietro di lei.
“Non mi lasciate qui!” strepitò Lord Erton attraverso il bavaglio.
“Lo dobbiamo portare con noi?” chiese svolgiatamente Pozzanghera.
“Sarebbe meglio” disse Shira. “Non vorrei che scappasse, questo farabutto”.
Pozzanghera e Emeth scaricarono il vecchio Duca dal retro del carro. Il Paludrone prese una corda dalla sua sacca, legandone un capo al proprio polso e l’altro a quello di Erton.
“Cosa fate, grossa rana? Non sono già abbastanza legato?”.
“Vi impedisco soltanto di andarvene casomai pensaste di poterlo fare. Sarebbe davvero un peccato non poter più godere della vostra logorante compagnia, signore”.
Così, seguirono Miriel. La ragazza risalì con passo sicuro una collina di nuda terra brulla. Quello che videro una volta arrivati in cima tolse loro il fiato.
Una valle ancora più immensa, fatta di quelli che a prima vista sembravano – no, lo erano davvero! – laghi di lava e fiamme, sorgeva tranquilla sotto i loro piedi. Tutto intorno era protetta da piccole montagnole brune, dalle quali sprizzavano faville incandescenti a intervalli di pochi minuti. Crateri di vulcani spuntavano dalla terra, il resto sepolto a chissà quali profondità. Nessuna creatura avrebbe potuto vivere laggiù, e invece, disseminati per tutta la vale, pascolavano placidamente decine e decine di cavalli, i più grandi che avessero mai visto.
Istintivamente, Miriel si incamminò verso di loro discendendo il versante opposto. Non fu sorpresa dell’intensità dei suoi sentimenti verso quelle creature. Era la Driade del Fiore del Fuoco, quegli animali erano come lei, fatti di carne, sangue e magia del fuoco.
Gli sbuffi di vapore che salivano dai crateri erano intensi e caldi, ma non troppo, almeno non per lei. Quel luogo somigliava un po’ all’Isola del Drago. Miriel si voltò indietro per vedere cosa facevano i compagni: Emeth e Shira davanti, Shanna al suo fianco con Ombroso sulle spalle simile a una mantella nera, Pozzanghera appena un po’ più indietro. Lord Erton veniva con loro, ammanettato al Paludrone. Avanzavano con circospezione, in formazione compatta, tenendosi a distanza debita dagli zampilli incandescenti che il nucleo di Narnia buttava in superficie.
Al contrario, Miriel sembrava perfettamente padrona della situazione.
Il branco dei Cavalli di Fuoco sembrò non prestar loro attenzione, almeno finché non furono abbastanza vicini da udire il crepitio delle fiamme di cui erano fatte le loro criniere, rosse e arancioni. Puro fuoco. Si muovevano come se un venticello costante soffiasse su di esse, lo stesso le belle e lunghe code ondeggianti e la strana peluria di fiamme che cresceva alla base dei possenti zoccoli neri.
Mano a mano che si addentravano in quella landa enorme, notarono pozze d’acqua piuttosto grandi, riflettenti il paesaggio circostante. Arbusti stepposi crescevano a mucchi dal terreno arido, tuttavia a quegli animali sembravano piacere molto.
Ad un tratto, uno dopo l’altro, i cavalli smisero chi di bere, chi di brucare, chi di muoversi. Decine di paia di occhi color rubino si posarono sui nuovi arrivati.
Miriel si fermò, gli altri alle sue spalle fecero lo stesso. Pensarono che le creature fuggissero ora che si erano accorte di loro. Invece, pochi secondi dopo in cui ebbero studiato i narniani con gran curiosità, uno dei cavalli si staccò dal branco e venne avanti. Il portamento solenne, la stazza, nonché la fierezza emanata dal suo sguardo, fecero capire loro che doveva essere il maschio alfa. Era alto quasi due metri, i muscoli possenti guizzavano sotto il manto di un nero brillante screziato di rame, i grandi zoccoli di un lucido color ferro. Una creatura fantastica.
Il Cavallo di Fuoco si fermò con uno sbuffo a un paio di metri dalla Driade. La sua voce rombante vibrò nell’aria, levandosi sopra i suono del vapore e degli zampilli infuocati.
“Slave, sorella” la salutò la creatura.
Miriel si stupì nel notare che non aveva aperto la bocca per parlare. Non comunicava come gli altri animali parlanti. In un primo momento pensò potesse udirla solo lei, ma da uno sguardo veloce agli amici capì che anche Emeth e gli altri l’avevano sentita.
Tornò a concentrarsi sul cavallo. L’aveva chiamata sorella… La creatura sapeva che non era completamente umana, bensì una creatura magica che al pari di lui apparteneva al fuoco e alla terra.
Miriel chinò il capo in segno di rispetto, continuando però a guardare il capobranco negli occhi. Pensava di potersi fidare ma allo stesso tempo trovò prudente non abbassare la guardia. Anche il capobranco restò vigile, tuttavia rilassato.
“Salve a te, amico” gli rispose. “Sono spiacente per aver disturbato la vostra quiete, ma la Madre Terra mi ha guidata sino a voi”.
“Sento…” disse il Cavallo di Fuoco. “Sento quel che sei, sorella degli elementi. Che tu sia benvenuta in mezzo a noi nel Territorio del Fuoco, e con te i tuoi congiunti”. Il cavallo chinò il capo a sua volta. Era un segno di amicizia e stima.
Miriel si voltò indietro sorridendo agli altri, facendo loro cenno di avvicinarsi senza timore.
Pozzanghera punzecchiò con la punta del pugnale il sedere del Duca, che rifiutava di muoversi. Lord Erton non aveva intenzione di restare lì con quel calore insopportabile, la lava che zampillava attorno a loro, il puzzo di zolfo, e quelle creature parlanti e spaventose. Pozzanghera e Erton ingaggiarono una breve lotta, nella quale il Paludrone ebbe la meglio. Riluttante, il Duca avanzò con lui.
Il Lord inveì brevemente in direzione del capobranco. Per tutta risposta, la splendida creatura batté le palpebre un paio di volte con aria perplessa, senza scomporsi.
“Per quale motivo tenete legato questo ammasso d’ossa?” chiese.
Ombroso non si trattenne, scoppiando in una risata fragorosa. “Ahahah, uhuhuh! Ammasso d’ossa! Questa è proprio buona!” Il pipistrello si asciugò una lacrima d’ilarità. “Ah, signore, è necessario, sapete? È davvero – ahah – un individuo brutto e fastidioso”.
“Che ti possano cadere le ali, maledetto topo volante!” bofonchiò Lord Erton.
“Ecco, vedete?”.
Il Cavallo di Fuoco scosse la criniera. “Se ritenete necessario tenerlo imprigionato, fate pure. Per mia somma fortuna, sono pochi gli individui fastidiosi quaggiù nella mia valle”.
“Siete fortunato, mastro cavallo” disse Pozzanghera.
“Il mio nome è Fleunor” disse il capobranco in tono altero ma non arrogante. Era un leader, e per questo desiderava essere trattato con rispetto.
“È un onore fare la tua conoscenza, Fleunor” disse Emeth, il quale aveva fretta di andarsene da lì. Si sentiva a disagio, gli altri Cavalli di Fuoco alle spalle di Fleunor puntavano ancora gli occhi su di loro.
Il capobranco fissò il soldato solo un momento, tornando poi a rivolgersi a Miriel.
Emeth si sentì deliberatamente ignorato, ma non se la prese troppo, anzi, ne fu in qualche modo sollevato. Ancora non capiva come facesse a parlare una creatura che neppure apriva bocca per farlo, e la cosa lo inquietava un po’. In occasioni come quella, dove incrociava il cammino di un essere schiettamente fatato, le vecchie superstizioni calormeniane della sua infanzia tornavano a farsi sentire.  La magia era sempre stata al di fuori della sua comprensione, lo era un po’ meno dopo tutto ciò che aveva visto e affrontato da quando aveva conosciuto Narnia. Tuttavia, Emeth preferiva affrontare qualcosa che poteva comprendere appieno. La sua spada era la sua sicurezza, arcani e magie li lasciava volentieri a chi sapeva leggerli, pur accettandoli come un’inevitabile conseguenze delle sue scelte. Vivere a Narnia voleva dire una vita colma di ogni sorta magia.
“Cosa ti ha portato nei meandri del Mondodisotto, giovane sorella?” chiese Fleunor a Miriel.
“Una missione” rispose lei, desiderosa di capire se potevano sperare nell’aiuto di quelle creature. “Siamo amici del Re e della Regina di Narnia. Non sono certa se siate al corrente di ciò che è accaduto loro”.
“Da tanti secoli non solchiamo le lande del Mondodisopra. Da quando il nostro signore cadde in un lungo sonno”.
“Chi è il vostro signore?”.
“Padre Tempo, colui che dorme laggiù in una caverna sacra in attesa del Grande Risveglio che avverrà nel Giorno di Aslan”. I Cavalli di Fuoco chinarono le belle teste fiammeggianti al nome del Leone. “Noi siamo i fedeli servitori del nostro signore, com’egli lo fu del Grande Leone e dell’Imperatore d’Oltremare”.
“Il padre di Aslan” mormorò Shanna, emozionata.
“Siamo fortunati! Conoscono veramente Narnia!” sussurrò Ombroso fremendo tutto.
“Non c’è bisogno di bisbigliare, giovane Stella” disse Fleunor, facendo un passo verso il gruppo. “E nemmeno tu, amico della notte”.
Shanna e Ombroso si strinsero l’uno all’altra.
“Noi non parliamo allo stesso modo delle altre creature cui è stata data tale facoltà. A noi basta pensare e così percepiamo i pensieri altrui”.
“Leggete le mente?” chiese Emeth, inquieto. Non trovò gradevole l'idea di farsi frugare nella testa da quelle creature. Si pentì subito dei suoi pensieri, poiché se i Cavalli di Fuoco riuscivano a sondarli, non era saggio offenderli in alcun modo. Ma come avrebbe fatto a impedirsi di pensare?
Comunque, Fleunor non pareva essersi offeso. Tuttavia, fissava il soldato con fare critico come se non fosse sicuro della sua presenza lì.
Emeth credette lo ignorasse ancora, invece il cavallo si rivolse direttamente a lui.
“Possiamo farlo se vogliamo. Nondimeno preferiamo siano gli ospiti ad esprimerci i loro pensieri”. Fleunor mosse la criniera infuocata e tornò a rivolgersi a Miriel. “Or dunque, sorella, parlaci: come possiamo aiutarti?”.
Quella domanda non fu inaspettata, non per Miriel. In ogni caso, domandò: “Come sapete che abbiamo bisogno di aiuto?”
“Non ti ho chiamata per caso” rispose Fleunor, donandole uno sguardo eloquente. “Lo sai anche tu”.
Miriel sorrise. “Hai percepito la mia presenza”.
“La Madre Terra mi ha guidato a te” spiegò il Cavallo di Fuoco. “Ha vibrato molto forte un paio di giorni fa, ed io mi sono messo in ascolto. Sono uscito dalla valle spingendomi fin dove ho ritenuto prudente. Noi non usciamo mai dal Territorio del Fuoco. Ho percepito che quaggiù c’era una nuova creatura simile a noi, con un potere uguale al nostro, e ho avvertito il suo bisogno di aiuto. Eri tu. Allora ho lanciato il mio segale, e mi hai sentito”.
“Un segnale?”.
Fleunor batté uno zoccolo a terra con forza. Un tenebroso gong risuonò intorno, dentro e sotto la valle. Il suolo si mosse, e i ragazzi temettero di perdere l'equilibrio.
“Incredibile” disse Pozzanghera, raddrizzandosi il cappello di paglia. “Mastro cavallo – ehm, perdonatemi… mastro Fleunor – tutto questo è sorprendete”. Pozzanghera pestò un piede palmato a terra: non produsse più di un tonfo sordo.
Un basso borbottio fu la risata divertita del capobranco. “Siete una creatura bizzarra”.
“Sono un Paludrone” rispose Pozzanghera, levando il copricapo.
“Ci aiuterete, allora?” chiese Miriel.
“Faremo tutto ciò che è in nostro potere fare. Non potremmo mai ignorare un segnale della Madre Terra. Se ti ha fatta arrivare qui insieme ai tuoi compagni, vi è uno scopo”.
“Dobbiamo raggiungere un castello” disse Miriel, vedendo subito al dunque. Inutile tergiversare. “Il castello della Signora dalla Veste Verde”.
A quel nome, decine di zoccoli pestarono il terreno nervosamente. Nelle teste dei narniani si accese l’eco come di un crepitare di fiamme. Erano i mormorii dei Cavalli di Fuoco.
“Il Castello delle Tenebre” ripetevano, “il Castello delle Tenebre…”.
“Sì, è quello il luogo” affermò Miriel. “Potete portarci laggiù?”.
Fleunor scattò sull’attenti. La sua voce divenne aspra, ma non era ai narniani che tale asprezza si indirizzava.
“Conosciamo l’essere che si annida in quella parte del Mondodisotto” disse. “Giunse qui anni or sono e si impossessò di tutto. Gli abitanti del sottosuolo sono al suo servizio, ora, soggiogati da un maleficio. Ha rapito alcuni dei nostri sottomettendoli per servirla. Non è tollerabile per un Cavallo di Fuoco servire quel genere di essere malefico”.
“La Signora della Veste Verde è dunque così malvagia?” chiese Ombroso, battendo i denti.
“Molto più di quel che credono i suoi servi. Badate, non sarà facile adempiere la vostra missione”.
“Ce ne rendiamo conto” disse Miriel, “tuttavia dobbiamo. Quella donna ha rapito i principi di Narnia. Aslan ci ha mandati in loro soccorso. Il Re e la Regina sono anch’essi stati colpiti da una maledizione, Narnia rischia di morire per questo: il regno è malato e la magia sta sparendo”.
L’effetto delle sue parole fu un tumulto di nitriti indignati.
“Tutto è opera di questa creatura sacrilega?” domandò ancora Fleunor.
Miriel annuì con vigore. “Pensiamo che abbia un ruolo rilevante in tutto ciò. Insieme a lei agiscono due individui: il principe di Calormen e…” Miriel si voltò indietro, indicando Lord Erton. “Quell’uomo laggiù”.
“Se la magia sparisce da Narnia, il mondo andrà incontro alla distruzione totale” disse Fleunor con gravità.
“Lo sappiamo” esclamò Shanna. “Io e Miriel disponiamo di alcuni poteri e ci siamo rese conto che si sono indeboliti rispetto al passato”.
“Parli bene, giovane Stella” annuì Fleunor. “Miriel avrebbe sentito immediatamente il mio richiamo, l’avrebbe riconosciuto per ciò che era se avesse disposto dei suoi pieni poteri. Dunque, la situazione è così seria…”.
Fleunor chiuse gli occhi e rifletté a lungo. Ogni tanto emetteva un respiro ansioso. I Cavalli di Fuoco si avvicinarono piano al loro capo, accerchiandolo come sentinelle per impedire che venisse disturbato.
Miriel e gli altri non si arrischiarono a interrompere quel momento di raccoglimento che, senza dubbio, aveva uno scopo ben preciso.
“Cosa sta facendo?” sussurrò Emeth all’orecchio della Driade. Gli altri si sporsero per ascoltare.
“Credo stia cercando di comunicare con la Terra” rispose Miriel, tenendo prudentemente la voce molto bassa.
“Come lo sai?”.
“La Terra si muove intorno a Felunor, la sento, ma credo sia una conversazione privata”.
“Privata tra Fleunor e la Terra?” chiese Pozzanghera a bocca aperta. “Creature davvero strane questi Cavali di Fuoco”.
Attesero, il calore del Territorio del Fuoco si spandeva intorno a loro come la più afosa delle giornate estive. Infine, Fleunor riaprì gli occhi. Il resto del Branco si dispose intorno a lui.
“Vi aiuteremo” disse solennemente. “La Terra Madre mi ha parlato di nuovo, mi ha mostrato la via per farvi giungere incolumi nel Castello delle Tenebre”.
“Vi ringrazio!” esclamò Miriel. Avrebbe ballato di gioia. “Anche a nome dei miei compagni e dei sovrani di Narnia: vi ringrazio di tutto cuore!”
Fleunor si impennò e nitrì, lo stesso fecero gli altri Cavalli di Fuoco. Le fiamme di criniere, code e zampe mandarono una pioggia di scintille.
“Sorella degli elementi, saremo lieti di entrare al tuo servizio”.

 
 
 
 
*Curaro: pianta realmente esistente in natura.
 
Sono emozionata per essere tornata a postare questa storia dopo così tanto tempo! Rendiamoci conto, sono due anni che non aggiorno, quindi accetterò maledizioni, macumbe woodoo, parolacce, lettere anonime, pallottole in busta, minacce, bombe carta… perché lo so di essere stata orrenda e chiedo perdono! Chi è ancora qui sappia che ha tutta la mia stima. Se sono sparita non è stato perché mi fossi stancata di scrivere questa storia, ma è perché ho avuto parecchi problemi personali che non ho ancora del tutto risolto, e non c’era né il tempo né la concentrazione giusta. A te che stai leggendo va un GRAZIE INFINITE  per non aver abbandonato me e gli eroi di Narnia!!!
 

Ringraziamenti:
 
Per le preferite: Ai_Ran, Aly_Effe, Aminta, aNightingale15, Annabeth Granger, battle wound, Ben Barnes,  BettyPretty1D007flowers, bibliophile, Callidus Gaston, Caspietoli12, CHIARA26, Crice_chan, Dark side of Wonderland, english_dancer, Flemmi, Francy 98, fran_buchanan, Fra_STSF, Friends Forever, Gigiii,
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Per le seguite: ale146, aleboh, All In My Head,  Aly_Effe, Aly_F, Aminta, Amy_demigod,  Annabeth Granger, Aryelle,  Ben Barnes, Betely,  BettyPretty1D007flowers,  bulmettina, Callidus Gaston, CathyH94, cat_princesshp, Cecimolli, ChibiRoby, cleme_b, Dark side of Wonderland, ecate_92 ,  fede95 , FioreDiMeruna, Francesca lol, fran_buchanan, , Fra_STSF, Gigiii, giuls_2000, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, harukafun, ibelieveandyou , Jane8, JessAndrea,  jesuisstupide, JLullaby, Judee, katydragons,  LeaSnow, littlesary92, Lucinda Grey, Marie_ , MartaKatniss98, Matita Nera, Ma_AiLing, mewgiugiu, NestFreemark, NewHope, Omega _ex Bolla_ , osculummortis,  POTTERINA02,  Queen Susan,  Queen_Leslie, redberry , Revan93, Riveer, Sara_Trilly, saretta_delenaSS, senoritavale , Soleil_3, Thaleia thea, vio_everdeen,  VSRB,  Zouzoufan7,  _Abyss_,  _Bruschettina_ ,  _likeacannonball ,  _LoveNeverDies_,  _Rippah_ 
 

Per le recensioni dello scorso capitolo: Ai_Rain, Aura22_Ire31, Fred6,  harukafun, il principe mezzosangue, LittleWitch_, NewHope, POTTERINA02, Rhona, saracaruso04, saretta_delenaSS, Susan Lace, WaterAlch, _Abyss_ , _Bruschettina_

Angolino delle Anticipazioni (non può mancare):
I Cavalli di Fuoco accompagneranno Mirel e co. al Castello delle Tenebre, ma sulla strada incorreranno in qualche ostacolo. Lo stesso accadrà ai Sette Amici di Narnia dopo che si saranno svegliati dentro le mura del palazzo. Riusciranno a passare inosservati o qualcuno rivelerà la loro presenza alla Signora dalla Veste Verde? Lo vedremo... 

 
Spero che il capitolo non sia troppo tedioso, mi rendo conto che è molto lungo. Se vorrete lasciare i vostri commenti sarò più che lieta di leggerli e rispondervi.
Almeno per questa estate non dovrei avere interruzioni di sorta, perciò… stay tuned!
 
Vostra Susan♥

 
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