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Autore: Beauty    20/07/2017    1 recensioni
Cosa succederebbe se le protagoniste delle fiabe si incontrassero nella vita reale?
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Jess Woods ha quattordici anni e nessuna intenzione di dare una seconda possibilità alla madre che l'ha abbandonata in un istituto anni prima.
Tuttavia, quando tornerà a vivere con lei a Everbrooke, la sua città natale, scoprirà che non tutto è bello e tranquillo in quella cittadina di provincia, almeno non quanto la ricca famiglia Schreave cerca di far apparire: la morte violenta del patriarca e i delitti del serial killer soprannominato il Lupo si intersecano con il mistero di Rosebud Thorn, ragazza dalla vita perfetta ridotta in coma da un misterioso aggressore, con la sparizione della figlia di un commissario di polizia e con la morte, avvenuta oltre dieci anni prima e mai del tutto chiarita, di Adam Schreave, primogenito dall'intelligenza superiore alla media e pecora nera della famiglia.
Una giovanissima giornalista di podcast coetanea di Jess e le sue sorelle, una hacker sbruffona, una ballerina dal passato difficile, due ragazze straniere giunte in città per avere giustizia, una modella tanto bella quanto fragile e una fotografa reclusa dovranno unire le forze per svelare i segreti del passato...e fermare la scia di sangue del Lupo.
Genere: Commedia, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo II
 
You're Everything a Big Bad Wolf Could Want
 
(primo pomeriggio di domenica 8 settembre)
 
 
I. [Roxy]
 
Le luci psichedeliche erano ormai spente da più di otto ore e gli inservienti avevano quasi terminato di pulire e di rimettere tutto in ordine per la riapertura di quella sera. Roxy Randall buttò giù tutto d'un fiato il restante contenuto del suo boccale di birra; di fronte a lei, del pasto che il suo capo le aveva offerto – che era allo stesso tempo colazione, pranzo e cena – restavano solo un trancio di pizza capricciosa e una ciotola di patatine fritte pressoché intatta.
- Non ti piacciono?- domandò Charlie, accennando a esse. Stava asciugando uno dei bicchieri con uno straccio. Roxy pescò una patatina e se la portò alle labbra per dargli il contentino.
- Sono solo stanca - mentì.- Non vedo l'ora di andarmene a dormire.
- Non sei obbligata a fare ogni notte questi straordinari.
- Ah, no?- biascicò la ragazza, inarcando un sopracciglio.
Charlie sospirò mentre posava il bicchiere e ne prendeva un altro.
- Sai che se potessi permettermi di farti lavorare qualche altra serata in più, lo farei.
- Sì, lo so.
- Forse potresti provare a cercarti un part-time per le sere scoperte. O durante il pomeriggio.
- Grande idea, Einstein. Peccato che tu sia arrivato tardi - Roxy prese la borsetta di Valentino sul bancone e ne estrasse un curriculum vitae. Lo sventolò sotto al naso del ragazzo.- Ho un colloquio di lavoro oggi alle cinque.
Charlie prese in mano il CV e lo lesse, accigliato. Poi lo posò sul bancone, prese una penna e cominciò a cancellare sistematicamente alcune righe.
- Ehi, ma che fai?!- protestò Roxy, cercando di riprendersi il pezzo di carta. Charlie le allontanò la mano e non smise di cancellare le parole stampate.
- Non ti assumeranno mai se scrivi che hai lavorato qui - borbottò.- Quindi...te ne vai?
Roxy sbuffò divertita.
- Scherzi?! Non mollerei questo posto di lavoro neanche se la Burberry mi offrisse un posto come modella a tempo indeterminato...
- Perché stento a crederci?
- Perché sei diffidente fino all'osso. Comunque sta' tranquillo, non ti pianto in asso. E' un part-time tre giorni a settimana, e chiudono alle sei del pomeriggio.
- Che posto è?
- Il Be Our Guest.
Roxy aveva dato la risposta fra i denti, e aveva evitato di guardare il ragazzo mentre lo diceva. Charli alzò lo sguardo su di lei, perplesso.
- Non fare commenti - borbottò la ragazza.
- E' solo che non ti ci vedo - Charlie le restituì il curriculum.
- A servire hamburger e patatine?
- Così, non ti ci vedo - Charlie regalò all'outfit di Roxy uno sguardo a metà fra il critico e lo sprezzante. La ragazza indossava una giacca a vento leggera su uno dei tanti completi delle ballerine del Bearskin. Per le nuove arrivate c'era un guardaroba comune nel camerino che conteneva tutti i modelli con un range di taglie abbastanza ampio, fino a che non riuscivi a mettere da parte abbastanza soldi per comprartene uno intero a tua esclusiva disposizione.- Ce l'hai una camicia a casa? Mettitela.
Al Bearskin le ballerine dovevano indossare un completo a seconda del tema della serata. La nottata precedente c'era stato un addio al celibato, e Roxy aveva ancora addosso il costume intero e scollato che, unito a un berretto e a un manganello finto alla cintura, dava l'idea di una sexy poliziotta. A completare il tutto c'erano delle calze a rete nere e delle scarpe di vernice con il tacco quindici.
- Quanto la fai lunga. E' un colloquio per un lavoro da cameriera, mica devo andare in un ufficio o roba simile.
- Evita comunque di dire che lavori qui per il resto della settimana. E copriti le cosce.
Roxy prese un altro paio di patatine e le masticò con lentezza, chiedendosi che diamine avesse Charlie di lì a dieci giorni. Il ragazzo era sempre stato un po' orso da che lo conosceva, un tipo di poche parole e che tendeva a starsene sulle sue, si faceva gli affari suoi e mandava avanti il suo locale, punto e stop. Quando era di cattivo umore diventava intrattabile e brontolone, ma nel giro di qualche ora o un giorno sbolliva e tornava a essere quello di sempre.
Era da due giorni che trattava tutti con sufficienza. Persino lei.
- Che ti prende?- gli chiese alla fine, con noncuranza ostentata.
Charlie la guardò, sorpreso. Il ragazzo aveva quattro anni in più della ventitreenne Roxy, ma sembrava molto più vecchio talmente era sempre serio. Aveva un fisico asciutto e palestrato – una volta aveva raccontato a Roxy che, ai tempi del liceo, guadagnava qualche soldo posando come modello oltre che lavorando nel locale di famiglia, e quella rivelazione era stata un evento più unico che raro, dal momento che Charlie non raccontava quasi mai nulla di sé –, era alto e aveva i capelli castani che portava leggermente più lunghi rispetto alla moda, e gli occhi scuri. Roxy non gliel'avrebbe mai detto neanche sotto tortura, ma sin dal primo giorno in cui aveva messo piede al Bearskin aveva pensato che quelle pupille color cioccolato fossero mozzassero letteralmente il respiro. Non aveva mai visto degli occhi così, bellissimi e penetranti, che sembravano scandagliarti l'anima.
Roxy non sapeva se qualcuno glielo avesse mai detto, ma era certa che se lei lo avesse fatto, Charlie come minimo le avrebbe risposto di non sparare stronzate e di rimettersi al lavoro.
- Perché? Che mi prende?- le fece il verso.
- Sembra quasi che tu voglia mandare affanculo il mondo.
- E da quando è una novità?- Charlie scrollò le spalle e riprese ad asciugare i bicchieri.- Con la merda in cui ci troviamo a vivere, mi stupirei del contrario. Tu, piuttosto...
- Io, cosa?
- Non sei andata al funerale.
Charlie abbassò la voce mentre lo diceva. Sapeva che a Roxy non piaceva parlarne e che non avrebbe sopportato di venire collegata a quella famiglia. Lei lo capì e internamente apprezzò il gesto, ma le diede comunque fastido quell'affermazione, come se il ragazzo volesse farla sentire in colpa per qualcosa.
Si sporse in avanti sul bancone per poter parlare a voce più bassa.
- Quale disturbo psichiatrico ti ha convinto che ci sarei andata?
- Roxy, con me e con chiunque altro hai sempre giocato a fare la ragazzina ribelle che manda al diavolo le convenzioni, e mi sta pure bene - Charlie sbatté il bicchiere sul ripiano del bancone e fece una smorfia infastidita.- Ma non è che puoi far finta di nulla su questa faccenda.
- Dove sta scritto che non posso?
- Resta sempre la tua famiglia. Era il marito di tua madre.
- E non mi stupisce che sia morto d'infarto. Gliel'avrà sicuramente fatto venire lei, con tutte le sue angherie.
Charlie tacque. La guardò per qualche istante, poi distolse lo sguardo e strofinò il bicchiere con più energia. Roxy ebbe la netta sensazione che volesse dirle qualcosa...e difficilmente le sue sensazioni sbagliavano.
- Ehi...!- chiamò.- Che c'è?
- Non lo sai, vero?
- Cosa?
Charlie inspirò a fondo, ma non disse nulla. Trascorsero diversi secondi, e Roxy era sul punto di mettersi a insistere perché le rispondesse, ma non ce ne fu bisogno.
- Non è stato un infarto.
- Che vuol dire?
- Che quella è stata la notizia che la moglie e il figlio maggiore hanno voluto venisse divulgata sui giornali e alla TV. Non gli è venuto un infarto, l'hanno ammazzato.
Roxy cercò di controllare la propria espressione facciale in modo che il ragazzo non si accorgesse che la notiza l'aveva colpita in pieno. Non fu sicura che avesse funzionato. Si ravvivò i capelli passando una mano fra le ciocche castane e mosse intervallate qua e là da mèches rosse, e chiese a Charlie se potesse servirle un'altra birra.
Lui le rispose che era finita.
- Non ci credo.
- Come ti pare, non crederci.
- Whisky? Negroni?
- Finiti.
- Mi va bene anche del vino.
- Niente alcolici. Però se vuoi posso servirti dell'acqua. Della bella acqua fresca, che ne dici?- il ragazzo sogghignò e prima che Roxy potesse rispondergli – per mandarlo all'Inferno – prese la bottiglia di acqua minerale e riempì un bicchiere che fece scivolare lungo il bancone.- E' quello che ti ci vuole. Sei diventata bianca come una morta.
Roxy bevve in silenzio. Charlie appoggiò i gomiti sul bancone a pochi centimetri da lei.
- Mi spiace di averti sconvolta.
- Non sono sconvolta. Solo, non capisco perché mentire.
- Per lo stesso motivo per cui tu stai mentendo a me in questo momento. Non vogliono mostrare di essere vulnerabili. Comunque, se ci pensi ha un senso - Charlie cambiò velocemente registro quando si accorse che Roxy lo stava guardando male.- Un uomo così noto nel mondo dello spettacolo, della moda, del business...è anche sensato che vogliano evitare che la pubblicità lucri su questa storia. Soprattutto perché a quanto pare il killer non è ancora stato preso.
- Tu come fai a sapere tutte queste cose?- inquisì Roxy.
- Voci - Charlie alzò le spalle e non fornì ulteriori dettagli se non un:- Lo sai, qui dentro non sempre gira gente rispettabile.
Roxy aprì la bocca per rispondere, ma venne preceduta da un paio di vibrazioni e dalla cover di Lee Mead di Paint it black. Charlie recuperò il proprio cellulare dalla tasca del grembiule e guardò lo schermo. La ragazza in quel momento vide chiaramente la sua espressione cambiare, farsi più cupa e la mascella serrarsi. Charlie rifiutò la chiamata e ripose il telefonino nella tasca.
Roxy sgranò gli occhi.
- Ma che fai? Non rispondi?
- No, non...era solo un piantagrane...- borbottò Charlie.- Senti, se non ti dispiace, io gradirei chiudere il locale e andarmene a letto. Odio gli addii al celibato...
- Mi stai buttando fuori?- rise Roxy.
- Proprio così. A calci, se serve - Charlie le allungò venti banconote da dieci dollari.- Le mance di stasera. Buona fortuna per il tuo colloquio, ci vediamo domani sera. Puntuale, mi raccomando...
- E quando mai faccio tardi?
- Più o meno tutte le sere da cinque anni.
Roxy prese la borsetta di Valentino, lo salutò e uscì. Quando fu in strada, tirò su la cerniera della giacca a vento e salutò il buttafuori. L'entrata del Bearskin era all'interno di un vicolo cieco, molto stretto – il Bearskin non era quel genere di locale come le discoteche di New York o di altre metropoli, dove trovavi file chilometriche di fronte all'ingresso –, dove i clienti si potevano infilare senza essere visti o riconosciuti.
La clientela del Bearskin era prevalentemente maschile. Roxy lavorava lì da cinque anni, e aveva visto uomini di tutti i tipi, dai single alla ricerca di un po' di compagnia agli sposati che volevano qualche avventura o un po' di distrazione. E la ottenevano, se avevano i soldi.
A dire il vero, il Bearskin era un po' di tutto. Era un pub costruito su due piani: a quello inferiore c'era una pista da discoteca circolare, intorno alla quale un piano sopraelevato ospitava i divanetti, gli sgabelli e i tavolini su cui i clienti potevano consumare l'aperitivo oppure ordinare un hamburger con patatine da sbocconcellare; alla stessa altezza dei tavolini c'era il bancone dietro a cui Charlie serviva i cocktail e gli alcolici. Uno stanzone a lato di esso dava accesso a un seminterrato che fungeva da sala da biliardo e da poker, e dove si poteva giocare alle slot machines. Attraverso una scala a chiocciola in ferro si accedeva al piano superiore, che altro non era se non un terrazzino circolare a sua volta munito di tavolini e sedie, e che permetteva una veduta dall'alto della vera attrazione del locale.
Al piano inferiore, di fronte alla pista da ballo e in mezzo a essa, sorgeva uno spiazzo sopraelevato dalla forma di palcoscenico e passerella, più alcuni piedistalli di forma cubica staccati da esso e sparsi lungo tutta la pista. Alcuni pali di ferro erano piantati verticalmente nel metallo delle pedane.
Era là sopra che avvenivano gli spettacoli delle ballerine: lap dance e spogliarelli. Roxy quattro sere a settimana cominciava il suo turno di lavoro vestita con un completino succinto e per almeno tre volte a notte si ritrovava a ballare in topless con addosso solo il tanga.
Durante le nottate di addio al celibato come quella precedente, grazie alle mance dei clienti che pagavano per vedere lei e altre ragazze ballare mezze nude, Roxy guadagnava quasi più in mance che con il suo regolare stipendio. E i soldi aumentavano se una delle ragazze accettava di ballare durante uno “spettacolo privato”.
Al Bearskin c'era una camera particolare, la stanza rossa, come veniva informalmente chiamata – anche se Charlie detestava quel nome forse più della stanza in questione. Era cosa nota che fosse stato suo padre, notevolmente un maiale della peggior specie, a volerla. Si trovava a poca distanza dai bagni, ed era una stanzetta munita di divanetto foderato di rosso e piazzato proprio di fronte a una pedana sopraelevata a forma di cilindro.
Se un cliente lo voleva, poteva pagare una somma extra perché una delle ragazze, scelta a suo piacimento, eseguisse uno spogliarello solo per lui nella stanza rossa. Roxy era lì solo da cinque anni, ma Chloe, una delle spogliarelliste che lavorava al Bearskin da più tempo, le aveva raccontato che le cose erano di gran lunga migliorate da quando il vecchio proprietario aveva tirato le cuoia e a prendere le redini del locale erano state prima la vedova e poi il figlio. Quando il padre di Charlie gestiva il tutto, le aveva spiegato Chloe, nella stanza rossa ci potevano entrare anche sei o sette uomini con una sola ballerina, i soldi li intascava tutti il proprietario e non importava a nessuno se la ragazza scelta fosse d'accordo o meno nell'intrattenersi con il cliente di turno – difatti, aveva specificato Chloe, all'epoca uno spettacolo nella stanza rossa era automaticamente sinonimo di scopata o, a volte, di stupro.
Charlie era benvoluto dalle ballerine anche per il fatto di aver modificato le regole della stanza rossa. Tanto per cominciare, i soldi extra per uno spettacolo venivano divisi al 50% fra il proprietario del Bearskin e la spogliarellista. Roxy ricordava a memoria le parole che lui le aveva rivolto quando era stato il momento di spiegarle le regole della stanza rossa.
- I rapporti sessuali non sono inclusi nella prestazione. Se vuoi andare a letto con uno dei clienti, così come se decidi di farti pagare per questo o meno, è una tua scelta. Metà del denaro per lo spogliarello la intasco io, l'altra metà è tua. Non, e su questo punto non transigo, ripeto non entrare nella stanza rossa con un cliente senza prima aver ricevuto una mia esplicita autorizzazione. Se qualcuno ti chiede una prestazione per uno spettacolo privato, invialo prima da me, o meglio ancora vieni tu con lui. Decido io chi può usufruire del servizio e chi no. Se qualcuno è ubriaco, sotto l'effetto di sostanze, ha un'aria poco raccomandabile o semplicemente ha una faccia che non mi piace, può scordarsi di ricevere la prestazione. Ci tengo alla salute delle mie ragazze. A questo proposito, si entra nella stanza con solo un cliente per volta. Vai là senza il mio permesso o con più di una persona e ti butto fuori a calci. Ah, un'altra cosa: quella a cui spetta sempre l'ultima parola sei tu. Se non ti piace il tipo, o non vuoi fare lo spogliarello per lui, anche se io ho dato l'autorizzazione basta che tu mi dica di no e non se ne fa più nulla. Ci siamo chiariti?
Roxy doveva ammettere di non avere chissà quella grande esperienza con la stanza rossa, complice anche il fatto che Charlie era abbastanza restio a permetterne l'uso – correva voce che volesse smantellarla, ma era da più di un anno che lo dicevano e ancora non se n'era fatto nulla. C'era stata, certo: era un ambiente cupo e polveroso, completamente foderato di vermiglio e cremisi, e la maggior parte dei clienti che le erano capitati erano dei poverini repressi che nella peggiore delle ipotesi si erano limitati a toccarsi un po' mentre lei si spogliava al ritmo di musica.
Niente che non avesse messo in conto nel momento in cui aveva accettato il lavoro al Bearskin, insomma.
Pensandoci bene, Roxy realizzava sempre che le sue sortite nella stanza rossa erano state tutte concentrate nel suo primo anno di lavoro al locale. Poi, Charlie aveva smesso di accettare le richieste dei clienti che la indicavano come la prescelta – e ce n'erano state parecchie, questo Roxy lo sapeva per certo da Chloe e Samantha.
Roxy ne era rimasta un po' sconcertata e si era anche sentita punta sul vivo. Non le era mai parso che Charlie riservasse lo stesso trattamento anche alle altre ballerine. Una sera aveva provato a chiedergli spiegazioni, ed era stata una delle poche volte in cui l'aveva visto perdere la pazienza: le aveva urlato in faccia che il proprietario lì era lui, dunque era lui che decideva e che se non le stava bene così non c'era nessuno che la trattenesse dall'andarsene.
Roxy ricordò questo episodio mentre rimuginava sul comportamento bizzarro di Charlie negli ultimi tempi. Anche quella telefonata non accettata le era parsa in qualche modo curiosa, come se lui nascondesse qualcosa. Una parte di lei le suggeriva di non darci troppo peso: Charlie era sempre stato un po' strano. Non solo era schivo e riservato, proprio non dava mai confidenza a nessuno e non raccontava mai niente della sua vita.
Roxy si era resa conto di essere l'unica al Bearskin a essersi guadagnata la sua fiducia quel poco che bastava perché loro due avessero un minimo di confidenza. Charlie con lei rideva e scherzava, ascoltava i suoi problemi, la consigliava e cercava di darle una mano per quel che poteva; ma Roxy a malapena conosceva il suo cognome e la sua età, di lui sapeva solo che abitava in un appartamento sopra al Bearskin, che aveva ereditato il locale da un padre con cui – sempre stando alle voci di camerino – non aveva mai avuto un gran rapporto, e che dopo la morte di sua madre vivesse da solo. Roxy non aveva idea se avesse una fidanzata, quale fosse il suo titolo di studio, se fosse mai uscito da Everbrooke o se avesse fratelli o sorelle. Presumeva fosse figlio unico.
Il solo fatto che una volta le avesse rivelato che gli piacevano gli horror e la cucina messicana equivaleva a una grande conquista informativa, per lei.
Roxy ridacchiò, ripensando al suo colloquio di lavoro cinque anni prima.
- Spiacente, sono al completo con le cameriere.
- Io sono qui per il posto come ballerina.
Charlie l'aveva guardata sospettoso. Era stato in quel momento che Roxy si era resa conto di che occhi meravigliosi avesse.
- Senti, ragazzina, non ho tempo da perdere.
- Non sto scherzando.
- Quanti anni hai, si può sapere? Bisogna essere maggiorenni per lavorare qui come ballerina. E a questo proposito, non so se hai capito che con ballerina intendo anche...
- Sì, sì, l'ho capito che bisogna spogliarsi e ballare nude. Ho diciotto anni, comunque. Vuoi vedere un documento?
Charlie aveva esaminato la sua carta d'identità e la sua patente con la stessa concentrazione e solerzia che avrebbe riservato la decifrazione di un documento top secret per la CIA. Alla fine se n'era uscito con un:- Ma sei scappata di casa?
- Mi hanno detto di andarmene e io ho ubbidito. Allora, me la fai fare una prova?
Gliel'aveva fatta fare. Roxy ricordava ancora che la musica che aveva messo su era Hit me baby one more time di Britney Spears e che Charlie l'aveva bloccata quasi terrorizzato quando aveva capito che stava per togliersi la camicetta.
- Che diavolo, ho detto che volevo solo vedere come ballavi!
- Ma tanto è questo che dovrò fare, no? Ho pensato che sarebbe stato più completo...
- Allaccia i bottoni, subito.
- Allora, mi assumi? Ti prego, ho bisogno di lavorare!
- Va bene, va bene! Cominci lunedì...tanto in capo a qualche mese avrai già trovato di meglio.
E invece era rimasta cinque anni. Roxy non stentava a capire perché Charlie l'avesse assunta.
Lei apparteneva alla rarissima razza di donne e ragazze che sono bellissime e sanno di esserlo. Forse il suo volto era di una bellezza un po' tiepida – naso piccolo, labbra sottili, guace piene e forma ovale, dei tratti abbastanza anonimi –, ma se c'era una cosa buona che le aveva lasciato sua madre era un bel fisico in eredità. Roxy era alta un metro e settantacinque, aveva un corpo sodo, le gambe lunghe, i fianchi stretti e un seno abbonandante anche se non eccessivamente prominente, gli occhi castani e i capelli castani e mossi che amava modellare in mille acconciature – sciolti sulle spalle, una o due trecce, acconciatura a corona, chignon, coda alta o bassa, treccine, permanente – e in mille tonalità – in passato era stata bionda, rossa, l'unico colore che aveva veramente evitato era il corvino perché intimamente si sarebbe sentita troppo simile alla sua sorellastra, e al momento li aveva ancora castani con delle mèches rosse e una ciocca davanti color rosa shocking; avrebbe voluto tingersi l'intera chioma di rosa shocking, ma quando le era sfuggito questo proposito con Charlie lui l'aveva minacciata di rinchiuderla nei bagni e di raparla a zero.
Il classico fisico che attirava l'attenzione degli uomini, insomma. A ciò si univa anche il fatto che Roxy – ne era consapevole – fosse molto appariscente: non usciva mai se non era truccata – le piacevano le tonalità forti, il rossetto vermiglio, l'eyeliner e l'ombretto neri, unghie lunghissime e smaltate con colori pastello a cui aggiungeva sempre uno o più brillantini – si riempiva le braccia di bracciali e aveva un amore smodato per gli orecchini a pendaglio. Non disdegnava le minigonne e i tacchi alti, su cui non aveva problemi a camminare perché il suo lavoro le aveva fornito una capacità di equilibrio e una sensualità che molte sue colleghe invidiavano.
A Roxy piaceva ballare, e si considerava anche brava. Prendeva lezioni di danza classica e hip hop da quando aveva sei anni, e a dodici aveva iniziato con i balli da camera e il latino americano. Pensava spesso che, quando sarebbe stata troppo vecchia per lavorare al Bearskin, avrebbe potuto aprire una scuola di danza.
Con i risparmi di un secondo lavoro sarebbe stato possibile.
Mentre pensava questo, uscendo dal vicolo, Roxy urtò accidentalmente con quello che a prima vista le parve un cumulo di rifiuti. Si scansò, solo per accorgersi un attimo dopo che si trattava di un clochard, avvolto in un cappotto troppo pesante per la stagione e con il capo coperto da un telo di stoffa strappato, che se ne stava raggomitolato nell'angolo del marciapiede.
- Scusa, amico...- mormorò Roxy.- Non ti avevo visto...
Il senzatetto non sembrava neanche essersi accorto del fatto che lei gli avesse praticamente tirato un calcio per sbaglio, e alzò lo sguardo quando la sentì parlare. Fu allora che Roxy vide che si trattava di una donna.
Una ragazza, pensò. Doveva avere la sua età, o essere poco più giovane. Aveva il volto pallido e smunto, molto magro ma comunque ancora grazioso, e dei grandi occhi scuri. Dal telo che teneva avvolto intorno al capo sfuggiva qualche ricciolo castano.
La guardò senza dire nulla.
- Beh, scusa...- disse ancora Roxy, e proseguì per la sua strada. La ragazza non rispose e si coprì naso e bocca con una sciarpa lisa che teneva intorno al collo.
Roxy proseguì a passo spedito senza voltarsi. Il Bearskin si trovava alla periferia di Everbrooke, così come lo squallido appartamento che la ragazza aveva affittato e così come il Be our guest. Roxy fece una smorfia. Avrebbe anche evitato di trovarsi un secondo lavoro, ma i soldi che guadagnava non erano abbastanza.
Prima viveva in un bell'appartamentino a due passi dal locale, che costava poco e che riusciva a permettersi senza fare i salti mortali. Poi aveva ricevuto lo sfratto perché il padrone di casa aveva bisogno di un appartamento libero per farci venire a vivere il figlio appena sposato, e l'unica cosa che lei era riuscita a trovare era un monolocale che solo per l'affitto e le spese basilari se ne andavano stipendio e mance.
E lei non voleva assolutamente chiedere aiuto a...
Roxy interruppe a metà il flusso dei propri pensieri. Rallentò il passo fino a quasi fermarsi.
L'hanno ammazzato.
La notizia che Charlie le aveva dato l'aveva colpita, inutile negarlo. Ma non tanto per sua madre, per lo stesso Amos Schreave, o per se stessa, quanto per...
Roxy chiuse gli occhi e inspirò a fondo. Si domandò se lui lo sapesse. Come avesse reagito. Se avesse trovato un modo per andare al funerale nonostante tutto, se la sua condizione glielo avesse impedito o se si fosse rifiutato come aveva fatto lei.
Si domandò se fosse il caso di avvisarlo.
E se non lo sapesse?, la domanda era scontata. Vuoi davvero essere tu a dirglielo per prima?
Alla fine razionalizzò, e si disse che, con quello di cui era capace, di sicuro non era rimasto all'oscuro della vicenda a lungo. Ma decise comunque di sentire anche l'altra parte della famiglia rinnegata.
Attraversò la strada di corsa e raggiunse una cabina telefonica seminascosta accanto alle fronde di un albero piantato in un'aiuola. Vi si chiuse dentro e iniziò a frugare nella borsetta di Valentino alla ricerca della scheda e di un paio di dollari.
Quando finalmente riuscì a comporre il numero, Roxy dovette attendere solo pochi istanti prima che le rispondessero.
- Sì? Desidera?
- Joseph, ciao. Sono Roxy - la ragazza resse la cornetta del telefono incastrandola fra la spalla e il mento e recuperò un pacchetto di sigarette e un accendino dalla borsetta. Ne accese una e iniziò a fumare, socchiudendo un po' la porta della cabina perché il fumo fuoriuscisse.
- Buongiorno, signorina Roxanne. Le chiedo scusa se non l'ho riconosciuta, ma sullo schermo non è apparso né il suo nome né il suo numero di telefono. In cosa posso esserle utile?
- Sto chiamando da una cabina telefonica perché non volevo che nessuno sentisse.
- Molto saggio da parte sua, signorina Roxanne.
- Lui è in casa?
- Il padrone è salito nel suo studio mezz'ora fa per lavorare. Desidera che passi la chiamata al suo telefono?
- No, non farlo. Devo dirti una cosa, Joseph, meglio che sia tu a comunicargliela. Sai come prenderlo.
- Di cosa si tratta, signorina Roxanne?
- Beh, ecco...il tuo vecchio capo...sai, Amos Schreave...beh...
- Ho letto la notizia sui giornali, signorina Roxanne. Condoglianze.
- Risparmiatele, non me ne importava niente di quello stronzo. E' solo che...beh...lui come sta?
- Il padrone ha ricevuto la notizia con estrema calma. Non ha profferito parola in merito. Si è solo limitato a osservare che chiunque abbia voluto morto il signor Amos doveva avere delle ragioni molto serie...
- Ah! Quindi sa che lo hanno ammazzato?
- Con tutto il rispetto, signorina Roxanne, lei davvero crede che il padrone potrebbe essere all'oscuro di un fatto simile?- il tono nella voce di Joseph lasciò temporaneamente la sua tipica neutralità svizzera per assumere una sfumatura alquanto canzonatoria. Roxy si accigliò.
- E' andato al funerale?
- Non ne ha espresso la richiesta, e d'altronde lei sa che sarebbe stato rischioso.
- Sicuro che stia bene?
- Sembra che la notizia non lo abbia toccato, come le ho detto.
- Va bene...salutamelo, okay?
- Sarà fatto, signorina Roxanne.
- E tienimi aggiornata se ci sono novità di qualunque tipo.
- Naturalmente, signorina Roxanne. Desidera altro?
- No, grazie, Joseph. A presto.
- Le auguro una buona giornata.
Roxy chiuse la chiamata e terminò la sua sigaretta fuori dalla cabina telefonica. Quando si voltò, vide che la ragazza senzatetto era sparita.
 
II. [Il Lupo]
 
Alle due e quarantacinque minuti del pomeriggio l'ispettore Gordon si stava trascinando stancamente verso il suo ufficio alla centrale di polizia di Everbrooke, quando la segretaria lo chiamò alla sua scrivania.
La centrale di polizia di Everbrooke era piccola e ospitava al suo interno dieci poliziotti, fra commissario, ispettori e agenti, e tre civili, tra cui una signora che si occupava delle pulizie, una segretaria che faceva anche da centralinista e temporaneamente anche uno studente universitario di criminologia che doveva scrivere la tesi.
Era naturale che ci si conoscesse tutti. E sarebbe stato da idioti non accorgersi che la segretaria non era la bella signora di quarantacinque anni che lavorava alla centrale tutti i giorni.
- Louisa?- boccheggiò l'ispettore Gordon, sbalordito.
La segretaria alzò lo sguardo dal computer su cui stava lavorando. Era una brunetta con i capelli ricci che le circondavano il volto a cuore e il collo, fermati da un cerchietto in cima al capo, e gli occhi verdi; era piuttosto graziosa, con le guance rosee e le labbra a bocciolo.
E aveva diciassette anni.
- Buongiorno, ispettore - mormorò come se nulla fosse.- Il commissario Torrance ha richiesto la sua presenza nel suo ufficio. La sta aspettando.
- Che diamine ci fai qui?!- bisbigliò l'ispettore Gordon, poggiando le mani sulla superficie della scrivania e chinandosi verso di lei.- Dov'è tua madre? E tu perché non sei andata a scuola?
- La mamma non stava bene, ha vomitato tutta notte, così oggi ho pensato di sostituirla io. Non si preoccupi per la scuola, oggi non c'era niente d'importante. Il commissario Torrance...
- Sì, me l'hai già detto! Dannazione, Louisa, te l'avrò detto mille volte che non devi saltare la scuola!
- Ha anche chiamato sua figlia per sapere se era arrivato. Preferisce farle uno squillo lei o vuole che la richiami io?
Gordon batté un pugno sulla scrivania. Un agente che passava di lì reggendo un bicchiere di plastica ricolmo di caffè trasalì e si fermò a guardare che stava accadendo.
L'ispettore lo guardò in cagnesco.
- Fatti gli affari tuoi, Hunter!- ringhiò; tornò a rivolgersi alla giovanissima segretaria.- Louisa, finiscila di cambiare discorso, per favore. Io e te ci eravamo parlati in modo molto chiaro. Mi avevi promesso che non avresti saltato la scuola per sostituire tua madre.
La ragazza gli restituì lo sguardo di fuoco.
- Sa benissimo che la mamma non può permettersi detrazioni dallo stipendio perché è malata, ispettore!- sibilò.
- Finirai per farti bocciare, se continui così.
Lei fece spallucce come a dire che non le importava niente, e riprese a lavorare al computer; a Gordon non sfuggì che gli occhi le si erano riempiti di lacrime. Quando parlò, infatti, la voce le uscì incrinata.
- Che me ne faccio del diploma? Tanto finirò a fare la cassiera al Walmart in fondo alla strada...
- Ci finirai per davvero, se ti ostini a saltare la scuola.
- Insomma, le ho detto che il commissario la sta aspettando! Vuole andare sì o no?!- sbottò la ragazza alla fine. Ormai intorno a loro si era radunato un capannello di gente che, chi con la scusa di fare fotocopie, chi fingendo di farsi gli affari propri o di sbrigare le proprie faccende, stava origliando la loro conversazione.
L'ispettore sospirò e si raddrizzò, deciso a non mettere Louisa ancora di più in imbarazzo. Si allontanò di un passo, ma non distolse lo sguardo dalla ragazza.
- Comunque io e te non abbiamo finito...- sussurrò, prima di girare i tacchi e dirigersi verso l'ufficio del commissario. Era la stanza più ampia della centrale di polizia, e l'arredamento corrispondeva allo standard di tutti gli altri uffici: scrivania, una poltrona, due sedie di plastica e qualche accessorio a piacere, in questo caso una pianta in un angolo, uno scaffale alle spalle della scrivania e un ritratto incorniciato del Presidente degli Stati Uniti.
Entrando, l'ispettore Gordon non poté fare a meno di notare un'altra fotografia incorniciata: si trattava di una ragazza di circa vent'anni, con i capelli castani e ricci e grandi occhi scuri, che gli sorrideva smagliante come se lo conoscesse da sempre.
A Gordon quella povera ragazza aveva sempre ricordato sua figlia o Louisa.
- Dobbiamo fare qualcosa per quella ragazzina...!- disse infatti, un secondo dopo aver richiuso la porta.- Non può continuare a saltare la scuola ogni volta che Karen sta male.
Il commissario Torrance smise di prestare attenzione al fascicolo del caso che stava esaminando e lo guardò stranito. Gordon avanzò verso la scrivania.
- Non credo di aver presente la persona di cui sta parlando, ispettore.
- Louisa. La figlia di Karen Larabee. La segretaria - precisò al limite della sopportazione, dato che lo sguardo del commissario lasciava intendere che non avesse la più pallida idea di chi fossero non solo la figlia, ma anche la segretaria stessa della centrale di polizia. Quando nominò la mansione che Karen Larabee svolgeva, l'uomo parve ricordarsi improvvisamente di lei.
- Ah, sì. Certo, la signora Larabee, come no...è ancora malata?
- Sì. E sua figlia è venuta al suo posto, oggi.
- E dove sta il problema?
Gordon lo guardò, sbalordito.
- Ha diciassette anni. Ogni volta che la madre è malata o deve occuparsi dell'altra figlia, salta la scuola per venire qui.
- A diciassette anni ha la possibilità di scegliere se prendere il diploma oppure no.
- Non è questo il punto. Louisa verrà bocciata, con tutte queste assenze.
- Il contratto della signora Larabee prevede che i giorni d'assenza dal lavoro vengano detratti dal suo stipendio mensile. Se lo desidera, è libera di cercarsi un altro impiego che soddisfi le necessità date dai problemi di salute suoi o della figlia minore.
- Resto comunque dell'idea che dovremmo fare qualcosa - insistette l'ispettore.- Tutti in città conoscono la situazione di quella famiglia. Ne avrà sentito parlare anche lei. Se potessimo almeno...non so, rivedere il contratto di Karen...o meglio ancora, fare qualcosa per allontanare quell'uomo...
- Perché se la prende tanto a cuore, Gordon? Sono suoi parenti?
L'ispettore rispose che non lo erano, e bofonchiò qualcosa riguardante all'etica morale che risultò confuso e campato per aria anche a se stesso. Torrance lo guardò quasi compassionevole, come se volesse prenderlo per i fondelli.
- Senta, capisco che l'aver tirato su una...bambina senza l'aiuto dell'agente Caroline Gordon, riposi in pace, l'abbia resa particolarmente sensibile nei confronti dei genitori single e dei loro figli, ma non c'è nulla che possiamo fare se la signora Larabee ha deciso di gestire la sua vita privata in questo modo. Spetta a lei gestire i problemi della sua famiglia; al massimo, se la situazione fosse critica, se ne dovranno occupare gli assistenti sociali. Quanto al compagno della signora Larabee...sì, ho sentito alcuni pettegolezzi in giro, ma senza una denuncia o senza l'evidenza di un reato non possiamo agire, lo sa anche lei.
L'ispettore provò a insistere ancora, ma Torrance alzò una mano aperta come per fermarlo.
- Per favore, risparmi le sue energie per questioni più importanti. Non l'ho convocata per sentirla parlare dei problemi della signora Larabee.
- Già. Immagino voglia aggiornamenti sul caso Rosebud Thorn...- sibilò l'ispettore. Richiuse le dita della mano destra a pugno e poi le distese, facendo scricchiolare le nocche nel processo.- Le comunico che per il momento non ci sono novità.
- Non dico che mi faccia piacere saperlo, ma per il momento la prima questione è conclusa. L'ho chiamata anche per un'altra cosa.
- Dica.
Torrance chiuse il fascicolo che stava leggendo all'ingresso di Gordon e ne estrasse un altro da un cassetto della scrivania. Li fece scivolare entrambi sulla superficie di legno in modo da piazzarli sotto al naso dell'ispettore.
- Il caso Amos Schreave?- lesse quest'ultimo.
- E il caso del Lupo. Apra la prima pagina - lo invitò il commissario, indicando il secondo fascicolo.
Gordon lo fece e il primo impatto fu tale da costringerlo a chiudere gli occhi per un istante: la prima pagina del fascicolo riguardante il Lupo mostrava la fotografia del cadavere di una ragazza, ancora seduto al posto del guidatore della sua auto: il corpo giaceva scompostamente con le gambe fuori dall'abitacolo, un braccio abbandonato contro il volante e il dorso appoggiato allo schienale del sedile. Il capo era reclinato all'indietro, e all'altezza della giugulare si poteva osservare con chiarezza uno squarcio – sicuramente inferto da un'arma da taglio, magari una mannaia, pensò Gordon – che le aveva quasi mozzato la testa talmente era profondo; da esso, il sangue era scorso giù a imbrattarle il collo e il torace lasciati scoperti dalla maglietta scollata; altre coltellate allo stomaco e all'addome avevano fatto in modo che anche i jeans e le scarpe da ginnastica diventassero un lago rosso.
La bocca della ragazza era spalancata in un grido e gli occhi erano sbarrati in un'espressione di terrore.
Terrore, rifletté Gordon guardando quegli occhi senza vita. Terrore, sì...ma anche sgomento. Come se fosse stata spaventata ma incredula. Come se non si aspettasse che proprio una certa persona potesse ucciderla.
In cima alla pagina c'era una didascalia.
 
Possibile vittima n. 4
Adele Jimmerson, 18 anni
 
- Quando l'hanno trovata?
- Oggi, verso le sei del mattino. E' stata una signora che era uscita per portare a passeggio il cane a trovarla e a dare l'allarme. Era in fondo a una stradina isolata in periferia, nei pressi del bosco.
Gordon avvertì una fitta al cuore al pensiero del bosco. Aveva sempre considerato Everbrooke una bella cittadina, tranquilla e sicura – il Lupo aveva cominciato a colpire solo da un anno, e prima di casi eclatanti a cui lavorare ce n'erano stati, certo, ma si potevano contare sulle dita di una mano –, se non fosse stato per il bosco che la circondava. Era una foresta non intricatissima, ma abbastanza folta e che si estendeva per diversi chilometri; al suo interno c'erano pendii, scarpate, ed era cosa nota a tutti che fosse pieno di cinghiali e che fosse la meta preferita di tutti i tossicodipendenti che andavano lì dentro per bucarsi.
Non esattamente il genere di luogo adatto per delle escursioni o per un picnic. Lui stesso era fra i primi ad aver sempre raccomandato fino alla nausea alla propria figlia di non andarci.
- Crede che ce l'abbiano portata?
- No, penso proprio che sia da escludere. E' chiaro che il corpo non possa essere stato spostato dal sedile del guidatore. Anche la spiegazione che hanno fornito i genitori sul perché si trovasse lì ha un senso.
- Quindi, la famiglia è già stata avvertita...
- Sì. L'agente Hunter e due dei nostri esperti si sono recati a casa loro stamattina alle dieci, hanno anche già riconosciuto il corpo. Siamo riusciti a raccogliere un po' d'informazioni su di lei: Adele Lucille Jimmerson, diciotto anni compiuti il trenta luglio scorso, si era appena diplomata alla Everbrooke High School con il massimo dei voti ed era stata ammessa alla Central Washington University. Avrebbe dovuto trasferirsi lì a inizio ottobre.
- Come hanno giustificato il fatto che si trovasse lì, in quel postaccio?
- Stava lasciando la città. Aveva detto di voler andare a trovare un'amica a New York. Secondo i genitori, quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbero avuto modo d'incontrarsi per parecchio tempo, dato che Adele si sarebbe trasferita nel dormitorio della CWU. Hanno anche confermato che l'auto, una Kia Sportage usata, fosse sua.
- L'amica in questione è stata contattata?
- Sì. Lavora come commessa in un grande magazzino a NY. Ha confermato che aspettava Adele per l'indomani mattina. Ha pure un alibi di ferro, ha detto di aver passato la serata in un locale con qualcosa come quindici persone.
- Vuole che sia io a prendere in carico il caso, commissario?
Torrance ridacchiò. Gordon aveva sempre trovato la sua risata alquanto sinistra, anche se non avrebbe saputo dire con esattezza il motivo. Il commissario non era un bell'uomo – e a pensarlo era un altro che somigliava a un manico di scopa rinsecchito –, poco alto, tozzo, con un ventre non prominente ma che lasciava intendere una certa familiarità con la birra, una calvizie incipiente e una mandibola molle, cascante, che unita agli occhi acquosi gli dava l'apparenza di un rospo, un viscido rospo. Di certo, non il tipo di persona che ispirava confidenza; specialmente in un tipo come John Gordon per cui il massimo del concedere confidenza consisteva nel permetterti di dargli una pacca su una spalla.
- I casi, ispettore - precisò il commissario, e picchiettò con l'indice sul fascicolo Amos Schreave.- Io e l'ispettrice capo Holsey riteniamo che siano collegati.
Gordon si mostrò sorpreso.
- Le altre tre vittime del Lupo sono state uccise con colpi di arma da taglio, e così anche questa poveretta - indicò l'immagine del corpo dilaniato di Adele Jimmerson.- Amos Schreave è stato ucciso a colpi di pistola.
- Dimentica Rosebud Thorn.
- Le hanno sparato, è vero. E infatti non eravamo del tutto convinti che si trattasse dell'opera del Lupo.
- Ricorda dove è stato ucciso Amos Schreave?
Gordon se lo ricordava. Ricordava a memoria nomi, età, e dettagli di tutte le vittime dei tre casi che in quel periodo stavano tenendo occupata l'intera centrale di polizia di Everbrooke.
Era cominciato tutto circa undici mesi prima.
La prima vittima era stata Hailey Delariva, una cheerleader di sedici anni. Trovata sgozzata su una panchina del parco.
La seconda si chiamava Denise Cresswell, quindici anni e scrittrice del giornalino scolastico della Everbrooke High School. Pugnalata a morte nel giardino di casa sua. La maggior parte delle ferite erano sulla schiena, il che faceva pensare che avesse tentato di scappare.
La terza, Jamie Ronning, era una quattordicenne che frequentava il primo anno, occhialuta, secchiona e un po' bruttina, per niente popolare. Lei era stata quella su cui il Lupo si era accanito di più, squarciandole l'addome e quasi mozzandole braccia e gambe tanta era stata la furia delle coltellate.
Questi primi tre omicidi avevano condotto tutti sulla pista del maniaco sessuale, sebbene nessuna delle vittime avesse riportato segni di violenza carnale – anzi, Denise e Jamie erano ancora vergini –, del pervertito fissato con le adolescenti e le studentesse.
Poi, era arrivata Rosebud Thorn. A Everbrooke la conoscevano tutti, e tutti si ricordavano di lei sebbene se ne fosse andata dalla città già da due anni. Gordon stesso si ricordava di lei perché lei e Belle seguivano qualche corso insieme al liceo e in un paio di occasioni Rosebud era venuta a casa sua per farsi dare ripetizioni di matematica da sua figlia.
Anche se Belle sosteneva di averle fatto solo un favore, che non fossero amiche.
Il padre di Rosebud, Stephen Thorn, era il proprietario di una catena di ristoranti e locali di lusso di cui la moglie, Leah Thorn – il suo cognome da nubile era Beaufort-Spencer, il che esplicava in modo più che cristallino il suo retaggio da figlia di ricca e antica famiglia aristocratica inglese – era la PR e la manager. Rosebud era la loro unica figlia, una bella ragazza dal fisico snello, gli occhi azzurri e i capelli biondi, che vestiva sempre con capi griffati e andava a scuola accompagnata dall'autista. Dalle informazioni che avevano raccolto durante le indagini, al liceo era impegnata in mille attività – era il capo delle cheerleader e la rappresentante d'istituto, la presidentessa del Comitato per le Decorazioni e le Organizzazioni della Everbrooke High School, l'ultimo anno era anche stata eletta reginetta del ballo scolastico e partecipava a tantissime attività extracurricolari: scriveva articoli sul giornalino scolastico, andava in piscina, giocava a tennis, suonava il pianoforte, era socia di un club di lettura – tanto da essere raramente a casa; eppure, a scuola aveva degli ottimi voti, tanto che con la sua media era stata accettata alla Princeton University con una borsa di studio.
Aveva lasciato la città per frequentare il college e laurearsi in giornalismo.
E poi, tre mesi prima, era tornata.
I suoi genitori avevano giustificato il fatto che fosse tornata perché voleva prendersi una pausa dallo studio – era sempre stata una ragazza riservata, per questo aveva preso un appartamento per conto suo per starsene un po' tranquilla.
Le avevano sparato mentre stava guidando la sua auto. Anche lei stava attraversando il bosco. I proiettili avevano attraversato il finestrino e la portiera e Rosebud Thorn era stata colpita a una spalla, al torace, un paio di pallottole le si erano conficcate in una gamba e una le aveva perforato una tempia.
Era un miracolo che non fosse morta sul colpo. Il 911 era stato avvisato da una chiamata anonima, ed era stato solo grazie a quella telefonata che Rosebud non era morta nella sua auto per la ferita alla testa. Ora era in coma da tre mesi, nessuno sapeva spiegare chi e perché avrebbe potuto avercela con la nuova Laura Palmer rediviva, e non erano ancora riusciti a risalire a chi diavolo avesse fatto quella telefonata. Rosebud non poteva essere stata, perché i medici erano certi che avesse perso i sensi nel momento in cui la pallottola l'aveva colpita alla tempia, e l'operatrice telefonica che aveva accettato la chiamata aveva riferito che si trattava di una voce palesemente truccata in modo da non poter essere riconosciuta.
Gordon comprendeva dove il commissario Torrance volesse andare a parare: Rosebud Thorn era stata attaccata alla guida della sua auto, nel bosco; l'ultima vittima, Adele Jimmerson, stava guidando lungo una strada costeggiante il bosco, quando era stata uccisa; e infine, anche Amos Schreave si trovava al volante della sua macchina, al momento della sua morte.
Sulle prime, i casi di Rosebud Thorn e del magnate dell'industria di cosmetici erano stati effettivamente collegati: Amos Schreave non era neanche nei pressi del bosco, stava guidando per i fatti suoi durante una piovosa serata di inizio settembre lungo una strada già di per sé poco trafficata, e quella notte deserta a causa del tempo. Tutti, inclusi la vedova e il figlio maggiore, avevano detto che Amos stava tornando da una cena d'affari al ristorante Bramblesses Roses – crudele scherzo del destino voleva che questo fosse di proprietà della famiglia Thorn.
La dinamica era ancora poco chiara, ma per un qualche motivo Amos Schreave aveva fermato l'auto in mezzo alla strada, era sceso – o qualcuno l'aveva obbligato a scendere – ed era stato giustiziato con un colpo di pistola alla nuca.
In quei giorni, una delle piste era quella del regolamento di conti, ma adesso l'ispettore Gordon comprendeva che il commissario Torrance voleva condurlo su un altro sentiero. Era d'accordo sul fatto che l'assassino di Amos Schreave e quello che aveva cercato di uccidere Rosebud Thorn potessero essere la stessa persona, ma non coglieva il collegamento con il Lupo e le altre vittime.
Lo disse.
- L'autopsia sul corpo di Adele Jimmerson è stata disposta per domani mattina - rispose il commissario.- Ma il medico legale, durante il primo esame, mi ha fatto notare un dettaglio interessante.
Torrance indicò l'addome della ragazza.
- Dalla fotografia non si nota - disse.- Ma quando vedrà il cadavere, ispettore, potrà osservare che prima di accoltellarla, l'assassino le ha sparato un colpo all'altezza dell'addome. Potrebbe essere il fil rouge di tutta questa storia: il Lupo ha ucciso le sue prime tre vittime con soltanto un'arma da taglio, poi in qualche maniera è riuscito a procurarsi una pistola...o ce l'aveva già e ha deciso fosse il momento di provarla...
La porta si spalancò senza che nessuno avesse bussato, ed entrambi gli uomini trasalirono. Entrò un giovanotto che non doveva avere più di trentacinque anni, con la barba più lunga e incolta di quel che di solito si addiceva a un rappresentante della forze dell'ordine, i capelli color sabbia spettinati e vestito completamente in borghese – jeans strappati alle ginocchia, scarponi da trekking e una camicia bianca appena sbottonata sul petto e coperta da un gilet marrone. Su di esso c'era una tracolla con una fondina, unico indizio che lo avrebbe classificato come poliziotto.
- Ah, Hunter!- lo salutò il commissario.- Venga, si sieda, la stavamo aspettando...ispettore, l'agente Hunter sa già tutto. Sarà il suo partner nella risoluzione del caso del Lupo...Hunter, a proposito del caso della...ragazza scomparsa - Torrance accennò alla foto della ragazza appesa alla parete.- Ho già provveduto a sollevarla dall'incarico e ad affidarlo a qualcun altro di meno occupato. Un agente come lei, che ha avuto esperienza in una città come NY, mi occorre su questo caso...
Hunter rivolse un sorriso complice all'ispettore Gordon, il quale non ricambiò e anzi finse di non averlo notato. Si sentiva profondamente infastidito per il fatto che Torrance avesse informato prima l'ultimo arrivato di lui, che lavorava alla centrale di polizia di Everbrooke da quando era uscito dall'accademia. Senza contare che il suo nuovo partner non gli era mai piaciuto.
Alexander – chiamatemi “Alex”, ragazzi! – Hunter era un agente arrivato solo sei mesi prima da New York, dove aveva sempre lavorato. Il trasferimento era parso sospetto a tutti – nessuno voleva venire a Everbrooke, soprattutto se si trattava di fare il salto da una metropoli come New York a una cittadina di provincia come quella –, ma lui aveva sostenuto che dopo anni nel casino della città aveva bisogno di rilassarsi aggiungendo anche che il suo cuore era lì.
- Che tradotto significa: la fidanzata abita a Everbrooke - aveva osservato Karen Larabee.
Fidanzata che nessuno aveva ancora avuto il piacere e l'onore d'incontrare, ma non era quello il punto. Il punto era che Alex Hunter era il classico poliziotto che si vedeva nei film d'azione hollywoodiani, belloccio, sbruffone, del tutto privo del senso della realtà e abituato a inseguimenti spericolati nella metropoli newyorkese.
Una volta Gordon e l'ispettrice capo Holsey avevano avuto la malaugurata idea di accettare la sua offerta di uno strappo dalla tavola calda Be our guest dove avevano speso la pausa pranzo alla centrale di polizia. Dopo tre semafori rossi bruciati, cento chilometri all'ora in pieno centro, quattro curve in cui l'ispettore aveva temuto che i pneumatici stessero per prendere il volo, all'arrivo Gordon era certo che stesse per prendergli un ictus, mentre la Holsey aveva i capelli dritti in testa.
- Sono sicuro che saremo una bella squadra, eh, John?- fece Hunter; ecco un'altra cosa che l'ispettore non tollerava: il novellino tendeva a dare confidenza a tutti, indistintamente.
Torrance si schiarì la voce.
- Dicevo...
- L'assassino ha sparato ad Adele Jimmerson per immobilizzarla, in modo che poi potesse finirla tranquillamente con la lama - proseguì l'ispettore, e intanto rifletteva. E' possibile che si tratti di un sadico, pensò. Avrebbe potuto ucciderla a colpi di pistola, ma non l'ha fatto. Ha preferito sgozzarla come un animale e farla morire soffocata.- Ha cercato di fare lo stesso con Rosebud Thorn e con Amos Schreave - proseguì.- Ma nel primo caso, probabilmente l'autore della telefonata è arrivato sul posto prima che potesse accanirsi su di lei, così è dovuto scappare...
- Perché non sparare anche a lui, allora?- l'interruppe Hunter.
- Forse aveva esaurito le munizioni. O forse il suo arrivo inaspettato lo ha gettato nel panico e la fuga gli è parsa l'unica soluzione possibile. Ma tu hai già visto il nuovo fascicolo?
- Sì, stamattina.
- Comunque, per quel che riguarda Amos Schreave...
- Scusa, John, ma la tua teoria non mi sembra proprio perfetta...- lo interruppe di nuovo Hunter; Gordon dovette soffocare l'impulso di rifilargli un pugno in pieno naso.- Se il suo intento era solo quello d'immobilizzare Rosebud Thorn come ha fatto con l'altra disgraziata, perché le ha scaricato addosso un intero caricatore? E poi, come la metti con Amos Schreave? Lì il colpo era uno solo, e l'assassino non avrebbe avuto motivo di scappare...
- Forse il fatto che fossero in una strada poco nascosta come nel bosco gli ha messo fretta.
- Perché non attendere un altro momento? E poi, il colpo è stato sparato alla nuca. Tutto fa pensare a un'esecuzione.
Gordon su questo doveva dare ragione a Hunter. C'erano parecchie cose che non quadravano, compreso il sesso e l'età delle vittime: Hailey Delariva, Denise Cresswell, Jamie Ronning, Rosebud Thorn, Adele Jimmerson...erano tutte ragazze, tutte giovanissime e tutte studentesse. Amos Schreave era un industriale di quasi sessant'anni che in quel mucchio c'entrava come i cavoli a merenda.
- Sta a voi due spiegare queste incongruenze...- Torrance pronunciò questa frase mentre Gordon tornava a guardare la foto di Adele Jimmerson. Fisso quegli occhi senza vita e sbarrati, increduli.
John Gordon aveva visto altri cadaveri in vita sua; non poteva vantarsi di averne visti tanti quanti Hunter o qualche altro suo collega che lavorava nella squadra omicidi di qualche metropoli, ma abbastanza da poter leggere loro negli occhi.
Tutti pensavano che le orbite dei morti non avessero espressione, che fossero morte e basta. Gordon non riteneva fosse del tutto falso, ma neanche del tutto vero.
Ogni volta che vedeva gli occhi di qualcuno che era stato ucciso, riusciva sempre a scorgere una domanda. O meglio, due.
La prima cosa che quegli occhi morti sembravano comunicare era perché a me? Perché sta succedendo questo? Perché proprio adesso, perché proprio a me?. Questa domanda la ponevano tutti gli occhi che aveva visto. L'aveva scorta riflessa anche in quelli di sua moglie, prima che il medico legale le abbassasse pietosamente le palpebre.
La seconda, che non tutti ponevano ma che era caratteristica di alcuni, era perché proprio tu?.
Era sempre così. Gordon vedeva quella domanda ogni volta che guardava gli occhi di chi era stato ucciso da qualcuno che non si aspettava. Una persona che conosceva, magari a cui voleva bene. Un marito, una moglie, un figlio, un amico...
E gli occhi di Adele Jimmerson stavano ponendo quella domanda.
Perché proprio tu? Che cosa ti ho fatto?
- Il finestrino dell'auto era abbassato?- domandò Gordon, all'improvviso.
Torrance sembrò sorpreso dalla domanda.
- Sì.
Il finestrino dell'auto di Rosebud Thorn era stato infranto dalle pallottole. Adele Jimmerson invece aveva il finestrino aperto, oppure doveva averlo abbassato per parlare con qualcuno. L'autopsia, pensò l'ispettore, avrebbe anche rivelato la distanza da cui era stato sparato il colpo.
Era probabile che Adele Jimmerson conoscesse il suo assassino. E se anche le altre vittime...?
- Si sa qualcosa in più di lei?- domandò ancora.
- I genitori erano troppo sconvolti per parlare - rispose Hunter, e Gordon ebbe la netta sensazione che non conoscesse quei dettagli perché gli erano stati riferiti da Torrance, ma che fosse lui l'agente che aveva dato la tragica notizia.- Hanno detto solo che era una ragazza del tutto normale, parole loro. Era molto contenta di essere stata ammessa all'università e non vedeva l'ora di raggiungere la sua amica a New York.
- M'interesserebbe sapere qualcosa di più su di lei. I suoi interessi, che tipo di posti frequentava, chi erano i suoi amici...- incalzò Gordon.
- A quanto pareva era una ragazza molto riservata. Aveva pochi amici e non usciva molto di casa. Secondo i genitori era dovuto al fatto che il suo ragazzo fosse un tipo parecchio geloso...
- Aveva un ragazzo?
Hunter annuì.
- Il suo ex, a dirla tutta. Si erano lasciati sei mesi fa. O meglio, lei aveva mollato lui, e lui non l'aveva presa bene. Il padre ha detto che per due mesi ha continuato ad aspettarla sotto casa o fuori da scuola, a chiamarla sempre, anche nel cuore della notte, diceva che senza di lei non poteva più vivere e che se non l'avesse perdonato si sarebbe ammazzato...una volta lei lo ha beccato a pedinarla mentre era al centro commerciale con delle amiche, e un'altra ancora l'ha scossa per le spalle urlandole in faccia che se non si fosse rimessa insieme a lui avrebbe prima ucciso lei e poi si sarebbe sparato in bocca...è stato dopo questo episodio che lei si è decisa a denunciarlo...
- Aspetta, abbiamo una denuncia?!- scattò su Gordon.
- Non esattamente. A quanto pare lei ha ritirato il tutto dopo un paio di settimane. Lui aveva smesso di darle fastidio e lei non voleva metterlo nei guai un'altra volta, così ha detto la madre.
- Che significa un'altra volta?- incalzò il commissario.
Hunter si strinse nelle spalle.
- A quanto pare aveva già avuto dei guai con la giustizia, ma non so di che genere.
- Perché si erano lasciati?
- La madre ha detto che sua figlia sosteneva che fosse troppo possessivo e che frequentasse brutta gente...
- Ti hanno detto il nome del ragazzo?
- No. Ma il padre ci ha tenuto a precisare che a loro non è mai piaciuto...credo che sia il caso di inizare da qui. E magari fare un salto a casa Schreave nel pomeriggio, eh, John? Credo che a quest'ora siano nel pieno del rinfresco...
 
 





 
 
 
 
Angolo Autrice: Ringrazio chi ha letto il capitolo precedente, SansaStark17 e ValeStark per aver aggiunto la storia alle preferite e Aching heart e Jessica24 per averla aggiunta alle seguite.
Il prossimo capitolo vedrà gli eventi del tardo pomeriggio, della sera e della notte di domenica 8 settembre, mentre dal capitolo IV cominceremo con il primo giorno di scuola e da lì, a parte in alcuni casi, i capitoli copriranno giornate intere.
Fatemi sapere che ne pensate.
A presto.
Un bacio,
 
Beauty
  
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