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Autore: Kerberos 1001    20/07/2017    0 recensioni
What if? Letteralmente: cosa se? Nel senso di: come sarebbe cambiato il futuro se fosse accaduto questo avvenimento e non un altro, in un preciso momento della storia passata? Cosa sarebbe accaduto se qualcuno avesse portato agli estremi limiti la tecnologia che possedeva per vincere una guerra che era destinato a perdere? Mettere in ginocchio gli Stati Uniti d'America avrebbe significato mettere in ginocchio mezza Europa. Era possibile farlo senza essere scoperti? Una vecchia idea, vissuta dal particolare punto di vista dei sommergibilisti ...
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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L’I-403 è entrato in rada alle due antimeridiane di oggi, le luci di navigazione schermate; subito, le reti mimetiche sono state rimesse a posto, a nascondere l’entrata del bacino protetto. Abbiamo accolto l’equipaggio allo sbarco, offrendo ad ognuno acqua fresca a volontà, insieme a compresse di sale, entrambe estremamente gradite da uomini che avevano trascorso le ultime dodici ore appoggiati su una secca del fondale a più di 40 °C. Il comandante, un capitano di vascello non più tanto giovane, ci ha rivolto un rigido inchino colmo di gratitudine, a noi semplici marinai!, prima di raggiungere a passo spedito l’ammiraglio Freisehen, comandante della base. Si sono salutati in perfetto tedesco, come se si conoscessero da una vita e Freisehen ha fatto strada verso il suo ufficio, dopo un rapido scambio di convenevoli. L’ufficiale di giornata, nel frattempo, ha chiesto a noi di provvedere al resto dell’equipaggio; per fortuna, il loro primo ufficiale spiccica qualche parola di tedesco, un po’ più di inglese e francese: se non si trattasse di uomini stremati dalla fatica di un viaggio lungo e pieno di insidie, il patois che ne risulta sarebbe quasi comico! Non fa niente: avremo almeno un paio di mesi per approfondire la nostra conoscenza; ora della fine, avremo fatto di tutti loro dei veri amburghesi!

L’operazione Seeblitz prende le mosse da molto lontano, affondando le proprie radici nella famigerata battaglia dello Jutland e nel blocco commerciale imposto alla Germania dagli Alleati: la guerra di corsa, l’utilizzo indiscriminato degli U-Boote costituivano uno dei modi per forzare la mano, per obbligare gli avversari ad interrompere le sanzioni commerciali così che il Reich potesse rifiatare. La visione strategica ufficiale puntava ad indebolire il commercio e le linee di rifornimento verso l’Europa affondando quante più tonnellate di naviglio avversario fosse possibile, con la convinzione che l’elemento terroristico insito nel colpire a caso, quando si presentava l’occasione, senza risparmiare il naviglio civile, avrebbe contribuito a spezzare il morale nemico, soprattutto considerando la reazione dell’opinione pubblica in patria. Valutazione quanto mai errata, come risultò, perché, invece di fiaccare gli avversari, in ultima analisi contribuì a rafforzarli, provocandone l’indignazione. In realtà, la soluzione al problema divisata da una piccola parte del Comando era piuttosto semplice: servirsi dell’arma subacquea per procurare allo Stato i tanto sospirati rifornimenti di materie prime; certo, con i sommergibili dell’epoca, pur spogliati di tutto tranne lo stretto necessario, l’afflusso di merci sarebbe stato ridotto ad un rivolo, ma si sarebbe comunque ottenuto molto di più di quanto si ottenne in realtà. L’idea d far scortare eventuali convogli dalla marina imperiale venne bocciata immediatamente come inopportuna, ovviamente: attuarla sarebbe equivalso a piazzare un segnale indicatore permanente alla testa di ogni convoglio, tanto più che le nostre gloriose navi da battaglia si erano rivelate pressoché inutili, un colossale spreco di denaro che di sicuro avrebbe potuto essere meglio impiegato in altri campi. Ci voleva qualcosa di grande, qualcosa di diverso, perché il gioco valesse la candela. Dopo il 1918, quella piccola percentuale di ufficiali e tecnici che avevano avanzato la proposta iniziarono in segreto a svilupparla. Occorsero ventisei lunghi anni perché si potessero vederne i risultati.

«Herr Mishima! Che piacere riaverla qui con noi! È stato piacevole il soggiorno a Parigi?»
«Molto, signore!» Il capitano rispose con un inchino perfetto a quello un po’ approssimativo del suo anfitrione, nascondendo un lieve sorriso di compatimento, non più di uno stiramento di labbra. «Avevo sentito parlare molto della città, in patria, ma le descrizioni, per quanto precise, non rendono giustizia alla realtà.»
«Vero, vero! È tanto che manco da là: da giovane ho trascorso delle piacevolissime serate tra teatri e bistrots, mentre cercavo indegnamente di farmi passare per un pittore. Mi dica: ha visitato il Jeu de Paume?»
«Ovviamente! Non potevo mancare un simile appuntamento! Come non potevo mancare una visita al Moulin Rouge!»
L’ammiraglio Freisehen rise di gusto, mentre si dirigeva al piccolo bar del suo ufficio: «Posso ben immaginarmelo! Beve qualcosa, capitano Mishima? Champagne? Un liquore?»
«Lei mi tenta, signore: un dito di cognac, se non è troppo disturbo, grazie.»
«E cognac sia!» Sedutosi in poltrona dopo aver porto all’ospite un panciuto calice di liquore, perfettamente rilassato, attese qualche minuto tenendo il proprio tra le mani a coppa, riscaldandolo delicatamente perché il cognac rilasciasse naturalmente il suo aroma sublime. Dall’altro lato del tavolino intarsiato, Mishima si limitò a fissarlo in silenzio, bagnandosi appena le labbra.
Un sorso, poi: «Ci siamo, capitano! I lavori sono terminati ieri l’altro, con una settimana d’anticipo sul previsto.»
Nessun orgoglio, nemmeno la più piccola sfumatura, nella voce dell’ammiraglio: era una cosa che dava per scontata, come la perizia dei suoi sottoposti; Mishima annuì seccamente, prima di chiedere, con più di un pizzico d’ingenuità: «È … è venuto bene, herr Freisehen? È molto cambiato?»
Il tedesco sorrise: comprendeva perfettamente i sentimenti del suo ospite, quel sottomarino era stato per mesi il suo comando e la sua casa lontano da casa. «Faticherà a riconoscerlo, capitano! Abbiamo modificato lo scafo esterno, i timoni, la vela! Vedrà, rimarrà sorpreso. Piacevolmente sorpreso!»
A quelle parole, Mishima mandò giù una boccata abbondante dal bicchiere, facendo roteare in bocca il cognac, assaporandolo e prendendo tempo per la domanda che voleva porre; doveva essere sicuro di non venire frainteso: «Herr Freisehen, sono state apportate tutte le modifiche?»
«Certamente! Lei e il suo equipaggio inizierete il corso di aggiornamento tecnico tra una settimana esatta, seguito immediatamente da una breve crociera di addestramento. Conto su di lei per aiutarci a spiegare le procedure ai suoi sottoposti, visto che parla tanto bene la nostra lingua!»
«Sarà un onore e un dovere per me, ammiraglio. Posso proporre un brindisi?» chiese alzandosi di scatto. «Alla vittoria, contro tutte le difficoltà! Che gli dei siano propizi alle nostre grandi nazioni!»
Udendo quelle parole, fu la volta di Freisehen di nascondere, bevendo, un sorrisetto di compatimento.

Die Forelle: un esperimento mai tentato in precedenza. Della trota resa famosa da Schubert, il vascello che galleggiava sulle acque quiete del bacino protetto aveva ben poco, a parte una sagoma vagamente idrodinamica, anche se decisamente migliore di quella tozza e asimmetrica dell’originale giapponese. Manteneva a prua il compartimento stagno cilindrico, caratteristica essenziale per la quale era stato scelto per la missione, ma tutto il resto della sua struttura era stato rimaneggiato e, per certi versi, stravolto: la vela era stata smontata e riposizionata sull’asse dello scafo, raccordata a prua con l’hangar e a poppavia con la nuova sezione di diametro maggiorato lunga otto metri aggiunta all’unità; maggiorate erano anche le nuove superfici mobili che erano state installate, riposizionate rispetto a quelle originali per migliorare la manovrabilità, asservite a servomotori elettro-idraulici che avrebbero enormemente facilitato il lavoro del timoniere.
Gli spazi abitativi erano stati ampliati solo leggermente, ma rispetto agli standard precedenti, adesso erano addirittura lussuosi, con la possibilità, anche per i semplici marinai, di dormire in un’amaca! La modifica principale, però, riguardava l’impianto propulsivo: era questo che rendeva unico l’I-403; in sé e per sé, l’idea era piuttosto semplice: rendere un sommergibile un vero e proprio sottomarino, indipendente dalla superficie, una specie di chimera che i progettisti navali inseguivano più o meno da quando era spuntata l’idea di navigare sotto la superficie dell’acqua. Ma come evitare che l’aria divenisse presto irrespirabile? E soprattutto, come fare ad evacuare gli scarichi della combustione dell’inevitabile motore termico? Fino ad allora erano stati sperimentati i più vari espedienti, alcuni al limite dell’assurdo: il meglio che si era potuto fare era stato dotare le unità di uno snorkel, che lavorava a pelo d’acqua. Comodo, ma non definitivo e, ammettiamolo pure, alquanto rischioso, visto che obbligava l’unità a navigare per lunghi periodi a bassa velocità e a profondità periscopica. La nostra soluzione, invece, avrebbe fatto la storia!

«Signori! Ora siete a conoscenza di tutte le procedure necessarie a condurre ed operare il più avanzato derivato tecnologico dell’asse nippo-tedesco! La crociera addestrativa partirà tra quattro giorni, lungo una rotta circolare che vi porterà a completare il periplo delle isole britanniche; l’obiettivo è duplice: raggiungere la massima efficienza dell’equipaggio e testare in vivo le soluzioni approntate per sfuggire all’intercettazione da parte del nemico. Se la Home Fleet, nelle sue acque metropolitane, non riuscirà a sentirvi, le vostre possibilità di portare a termine la missione principale saranno decisamente a vostro – a nostro – vantaggio!» Freisehen fece una pausa ad effetto, osservando per qualche minuto l’uditorio silenzioso, cercando tracce d’indecisione, di paura – lui, dovette confessare a se stesso, ne aveva, soprattutto delle conseguenze di quello che stavano per fare – ma le facce che lo fissavano sull’attenti, prima fra tutte quella del captano di vascello Mishima, erano immobili e inespressive come la pietra, scolpite nel più puro fanatismo. Con un brivido, prese un sorso d’acqua, cercando di calmarsi, poi riprese: «Per questi quattro giorni, godrete di una meritata licenza; purtroppo, però, per ragioni di sicurezza, non potrete lasciare la base. Spero che capiate. Per il resto, sappiate che sono orgoglioso di aver avuto al mio comando uomini come voi!» Lasciò il palco, mentre i suoi sottoposti facevano risuonare un secco “Rompete le righe!”; raggiungendo il proprio alloggio, si disse che se proprio doveva sentirsi colpevole di qualcosa, non sarebbe stato della sorte di quegli uomini.

«Mollare gli ormeggi! Macchine avanti adagio! Riferire sullo stato dei motori e delle batterie!»
La sala comando dell’I-403 era più affollata del solito: in un altro momento, Mishima avrebbe cacciato a piattonate tutti quelli che si trovavano lì unicamente in veste di curiosi, ma si trattava di un’occasione storica, il varo di una nuova, rivoluzionaria unità navale, per cui decise di chiudere un occhio, almeno per il momento. In effetti, anche lui era ansioso di verificare la tanto decantata abilità tecnica germanica.
«Ormeggi mollati! Macchine avanti adagio! Motori: indici di funzionamento nella norma. Stato batterie: indici nella norma; autonomia: quindici ore!»
Il tono dell’ufficiale addetto alle macchine era leggermente sorpreso.
«Soltanto quindici ore?! Avevamo una maggiore autonomia con le nostre vecchie celle usurate!»
«Non capisco, Mishima-san! Può aiutarmi con la lingua dei quadranti?»
Stizzito, il comandante si fece largo fino a portarsi alle spalle dell’ufficiale: nonostante il corso intensivo di tedesco e le istruzioni operative che lui stesso aveva tradotto, alcuni membri dell’equipaggio faticavano ancora a comprendere la strumentazione, decisamente scarna, ridotta all’essenziale. Avrebbero migliorato col tempo, ma per il momento occorreva dimostrare un poco d’indulgenza. «Mi faccia vedere … livello di carica … livello di consumo … autonomia … Ecco! Credo di aver capito: quella che lei ha riferito è una previsione in condizioni di massimo consumo, una sorta di avvertimento; l’autonomia reale la può ricavare da questo secondo quadrante alla sua destra.» concluse picchiettando il vetro con le nocche.
«Oh! Capisco! Grazie, signore!» Poi a voce alta: «Correzione! Autonomia delle batterie, alle condizioni attuali: ottantasei ore, a velocità costante.» Di nuovo rivolgendosi al comandante: «Certo che è un bel rischio, quello che corriamo, con questa crociera di addestramento, signore.»
«Siamo tutti volontari, le ricordo. La Patria lo esige!»
«Certamente, signore! Quello che intendevo dire è che, se per caso dovessimo venire intercettati, potremmo non riuscire a portare a termine la nostra missione principale.»
Mishima lo fissò freddamente: «Dubita forse delle capacità nostre e del nostro alleato?»
«Lungi da me, comandante! Però, ritengo prudente tenere in considerazione anche le peggiori eventualità.»
«Concesso, ma che queste osservazioni disfattistiche rimangano tra lei e me: se dovessi venire a sapere che si sono propagate, lei ne pagherà le conseguenze …»
«Potrebbe risultare difficile eseguire un suicidio rituale sott’acqua, ma nel caso si rendesse necessario, vedrò di ingegnarmi, Mishima-san.»

«Rapporto!» Il capitano Mishima era appena giunto in plancia direttamente dai suoi alloggi; l’ufficiale di guardia si affrettò a passargli la cartella con le annotazioni del turno appena trascorso. Scorrendole rapidamente, il capitano chiese delucidazioni riguardo ad alcune minuzie, prima di passare a cose ben più importanti: «Capo ingegnere! Abbiamo effettuato la prima ricarica sommersa come da programma?»
«Due ore fa, signore! Tutto regolare, nessuna anomalia né nel generatore di vapore né nel turbo alternatore. Siamo pienamente efficienti.»
«Lo stato del catalizzatore?»
«Buono, comandante: non ho rilevato variazioni apprezzabili.»
«Però ne ha rilevate …»
«Come scritto nel manuale tecnico, il substrato tende a sgretolarsi durante la reazione, ma le misurazioni che ho effettuato sono perfettamente nella norma!»
«Ottimo! Navigatore! Status?»
«Profondità stabilizzata a cinquanta metri, signore. Rotta impostata, con una deviazione di due gradi a dritta per compensare una corrente superficiale non segnalata sulle nostre carte, probabilmente un flusso di marea anomalo.»
«Avete testato il sonar?»
«Attendevamo il suo arrivo, Mishima-san.»
Il capitano annuì: «Sonar: eseguire una scansione a bassa frequenza. Riferire i risultati.»
«Sissignore! Emettitore impostato. Inizio la scansione.»
«Mi scusi, signore, non saliamo a quota periscopio?» Il primo ufficiale non pareva troppo convinto delle nuove procedure, ed esprimeva i suoi dubbi con un inchino anche più formale del dovuto.
«Dobbiamo verificare il buon funzionamento di tutte le apparecchiature. Perché dovremmo salire a quota periscopio, secondo lei?»
«Per integrare e confermare visivamente gli eventuali risultati del sonar, signore!»
Mihima sorrise: «In effetti, il sonar non ci può dire se quello che rileva è un mercantile o una corazzata … Accetto il suo punto: eseguita la scansione, raggiungeremo quota periscopio ed effettueremo un’esplorazione visiva.»
«Grazie signore!»
«Sonar?»
«Scansione completata, signore: abbiamo un rilevamento a Nord-Ovest, piuttosto distante.»
«Sia più preciso!»
«Non posso, signore: c’è molto rumore di fondo, in queste acque, e con la scansione a bassa frequenza il segnale di ritorno è debole e disturbato.»
«Il rumore di fondo … »
«Sì?»
«Sono altre imbarcazioni?»
«Probabile. Stiamo navigando in acque trafficate.»
«Vero anche questo. Temo che dovremo abituarci.»
«Procediamo all’emersione, signore?» Il primo ufficiale gli stava al fianco, un passo indietro, come da protocollo.
Mishima guardò l’orologio fissato alla paratia di prua: «È notte e siamo al largo: dubito che qualche ricognitore possa vedere la scia del nostro periscopio …»
«E se filassimo la boa del radar? Anche quello è stato sostituito con un modello tedesco: i nostri operatori potrebbero cogliere l’occasione per fare pratica.» suggerì rispettosamente il suo secondo.
«Ci stavamo preoccupando della scia del sonar, quella della boa filabile è decisamente maggiore.»
Il secondo sorrise, divertito: «Mi scusi signore, ma lei ha visto la boa in questione?»
«Che razza di domanda! No, avrei dovuto?»
«Se lo avesse fatto, si sarebbe risparmiato una preoccupazione, signore!»

La boa radar delfinava. Letteralmente. Gli specialisti tedeschi che l’avevano realizzata avevano avuto l’idea di imitare la natura, disponendo delle superfici in tutto simili a pinne tutt’attorno allo scafo, in modo che la boa affondasse e riaffiorasse periodicamente: vista da un ricognitore, avrebbe dato l’impressione di un cetaceo solitario che aveva perso il branco.
«Schermi radar liberi, signore: nessun rilevamento.»
«Grazie. Riemergiamo, comandante?»
Mishima annuì concisamente: «Quota periscopio: osserveremo per dieci minuti, prima di tornare alla profondità di crociera.»
«Ritiriamo la boa, signore?»
«No: manteniamo la sorveglianza radar.»
«Sissignore! Timoniere! Riemergere a quota periscopio!»
«Ricevuto! Manovra impostata. Saremo a quota periscopio tra cinque minuti, signore.»
Nel frattempo, il capitano Mishima si era avvicinato al basamento del periscopio, la mano sulla leva del comando idraulico di elevazione: «Timoniere?» chiese
«Un minuto, capitano.»
«Bene! Lei si tenga pronto ad avviare il cronometro.» disse, rivolto al primo ufficiale che gli stava di fronte presso il periscopio ausiliario.
«Certo! Lei prende il settore di prua, signore?»
«D’accordo. Cinque minuti, poi facciamo a cambio.»
«Quota periscopio raggiunta, comandante.»
«Su i periscopi!»

La notte sul mare appena mosso era meravigliosa, con banchi sparsi di nubi che coprivano a sprazzi le stelle, gettando ombre vive sulle onde. In lontananza, una linea sottile più scura indicava la costa meridionale dell’Irlanda: le uniche luci visibili erano quelle dei fari, con il loro eterno, tipico apparire e sparire.
«Niente da segnalare?»
«No, signore. E lei?»
«Solo che siamo in rotta, a quanto pare: sto osservando quella che dovrebbe essere la costa irlandese. Si vedono i fari.»
«Un po’ la invidio signore: dalla mia parte si vedono soltanto onde!»
«Tempo?»
«Quattro minuti, trentacinque secondi.»
Mishima si staccò dall’oculare gommato: «Tanto vale scambiarci adesso!» disse, prendendo il posto dell’altro.
Per tre minuti si limitò ad osservare malinconicamente le onde, poi notò qualcosa di strano, giusto a poppavia: un bagliore rossastro, flebile, tanto flebile che doveva essere vicinissimo … «Tenente! Cosa le sembra di quello?»
L’ufficiale accostò l’occhio al periscopio, osservò per un minuto, poi sussultò: «Signore! Le assicuro che prima non c’era, sul mio onore!»
«Lasci perdere l’onore, adesso! Secondo lei di cosa si tratta?»
«L’unica cosa che mi viene in mente è … un accendino? Possibile?»
«Una nave – un peschereccio – al largo? Un marinaio che ha violato la consegna, sentendosi al sicuro?» Seppure dubbioso, Mishima considerò la questione. «Anche se fosse, non possiamo rischiare: potrebbero avere a bordo una radio. Se ci avvistassero …»
«Avremmo addosso una squadra prima ancora di rendercene conto. Lo affondiamo?»
«Troppo pericoloso: immersione rapida! Ritirare la boa radar! Andatura silenziosa!»
«Sonar, riusciamo ad avere un’identificazione, anche approssimativa?»
«Con gli idrofoni, signore? Posso tentare, ma dovremmo avvicinarci, derivare, cambiare posizione, derivare …»
Mishima lo interruppe bruscamente con un gesto: «Timoniere, appena immersi, riprendere la rotta stabilita!»
«Si, capitano.»
Mishima fece cenno al suo secondo, poi chiamò: «Guardia! A lei il comando!»
Senza attendere risposta, fece strada fino al quadrato ufficiali, a quell’ora vuoto, e versò del the per entrambi.
Lo bevve quasi tutto prima di dire quel che pensava: «Abbiamo rischiato molto, forse troppo.»
«Ne è convinto, capitano?»
«Lei no?»
«La nostra missione attuale prevede di testare il funzionamento del sottomarino e di impratichirci del suo utilizzo, in vista della traversata oceanica. Qualche rischio è da mettere nel novero, ritengo.»
Mishima trangugiò il fondo e si versò una seconda tazza: «Siamo in acque nemiche, con un mezzo completamente rimaneggiato da stranieri, del quale sappiamo poco o nulla. Quello che sto dicendo è che avrebbero potuto organizzare questa crociera d’addestramento nelle acque del Baltico, per esempio, o in Norvegia!»
il primo ufficiale sorrise: «Dica la verità, capitano: lei non si fida! È della vecchia scuola e non si fida di ciò che non proviene interamente dalla Madrepatria.»
«Ma non è vero!» Mishima prese tempo portando frettolosamente la tazza alle labbra. «Alla partenza, l’ufficiale di macchina aveva avanzato delle riserve, su questo viaggio - in forma privata, beninteso!» sottolineò il capitano
Il suo secondo annuì: «E adesso lei si sta chiedendo, giustamente, se non avesse ragione lui, dopo tutto. È comprensibile, comandante.»
«Quella luce …»
«Troppo vicina, concordo. Non può averci raggiunto in soli tre minuti, e l’eventualità che la loro rotta incrociasse per caso la nostra in quel preciso momento non è credibile.»
«Quindi lei ritiene che ci stessero seguendo?»
«Impossibile affermarlo con certezza. Se così fosse, però, significherebbe che qualcuno è al corrente della nostra esistenza, della nostra missione e nei minimi dettagli, per giunta.»
«Una spia?»
«Lo trova così strano? Gli Alleati possiedono un ottimo servizio informazioni.»
«Ma nessuno sapeva di questo progetto! Tutte le comunicazioni sono avvenute a mezzo lettera, consegnate a mano!»
«Qualcuno deve avere intercettato uno o più corrieri.»
«Impossibile! Avevano tutti l’ordine di suicidarsi dopo aver distrutto i carteggi al primo segno di pericolo!»
«Le missive erano numerate, ovviamente …»
«E non ne manca nessuna.»
Il primo ufficiale fissò a lungo il fondo della sua tazza, in silenzio: «Un bel dilemma! E se gli inglesi avessero sviluppato delle apparecchiature di cui i tedeschi non sono a conoscenza?»
«Se così fosse, tutto questo sarebbe completamente inutile: avremmo fallito già in partenza.» fu l’amara conclusione del capitano, prima di lasciare il quadrato per tornare in plancia.

«É certo che l’abbiano vista?»
«Certissimo! Si sono immersi immediatamente.»
«Sospettano qualcosa, secondo lei?»
«Ovviamente! Mishima non è uno sprovveduto.»
«Concordo. Ritiene che porterà a termine la missione?»
«Direi di sì. Oltretutto, con lo sprone che gli abbiamo appena fornito, sono quasi sicuro che faranno di tutto per riuscire al meglio. C’è la possibilità che spremano tutte le potenzialità del sottomarino, solo per assicurarsi di tornare sani e salvi per intraprendere la missione principale.»
«Triste, ma vero. In un certo senso, mi spiace che debba andare così; d’altra parte, i nostri ordini provengono direttamente dalla cima della piramide, chi siamo noi per opporci?»
«Parole sagge, signore. Vuole rientrare?»
«Lei cosa mi consiglia, capitano?»
A quella domanda, l’uomo sorrise: «Dobbiamo considerare due possibili linee di sviluppo: la prima, tornare alla base, in attesa dell’I-403; in alternativa, possiamo continuare a seguirli e pungolarli per qualche altro giorno. Certo, in questo secondo caso, corriamo il loro stesso rischio di venire intercettati dalla Home Fleet
«Se funziona il loro sistema di mascheramento …»
«A maggior ragione dovrebbe funzionare il nostro. In ultima analisi, si tratterebbe di un esperimento scientifico.»
«Non sia così cinico capitano! Stiamo parlando dei nostri alleati!»
«Se mi permette, signore, il mio unico alleato è la Kriegsmarine!»
«D’accordo, d’accordo! Come desidera, capitano. Non si arrabbi, la prego.»
«Non sono arrabbiato, signore: ho solo espresso le mie convinzioni.» Dignitoso, composto, professionale. «Posso chiederle cosa ha deciso, ammiraglio? Devo impartire l’ordine di rientro?»
L’ammiraglio Freisehen sospirò, sorseggiò il caffè, annuì fra sé un paio di volte: «No, capitano. Sono vecchio, ma non sono ancora diventato un pusillanime. Proseguiremo l’inseguimento: ho intenzione di dare un’altra occhiata a Scapa Flow, prima di morire!»
Sorridendo, il capitano scattò sull’attenti: «Jawohl, mein herr!»

«E con questa sono tre!» Il capitano di vascello Mishima ripiegò con uno colpo secco le impugnature del periscopio principale, poi si volse verso il suo secondo. «Ho distinto chiaramente la sciabolata di un faro oscurato, quindici chilometri a dritta di prua.» Si tolse il berretto dell’uniforme da fatica, un po’ per tergersi la fronte con il fazzoletto, un po’per farsi vento. «Che ne pensa?» Non c’era scopo alcuno a tenere la questione segreta: a causa di un’indisposizione, alcuni giorni prima il comandante era stato sostituito dal suo secondo, che aveva nominato temporaneamente il navigatore suo aiutante; era stato quest’ultimo, durante una delle emersioni periodiche, ad avvistare nella bruma del mare a nord-ovest delle isole Orkney la sagoma sfocata di quello che poteva unicamente essere un vascello. Non era stato possibile identificarlo – nebbia, pioggia e un forte moto ondoso, uniti alla notevole distanza, lo avevano impedito – ma era parso a tutti i presenti in plancia che quel battello fosse lì per loro. Suggestione? Forse, comunque era meglio essere ancora più prudenti: si trovavano a metà percorso e fino ad allora era andato tutto piuttosto bene. Mishima doveva darne loro atto: quando si impegnavano in qualcosa, i tecnici tedeschi avevano del miracoloso! Il sistema di propulsione, ad esempio: motori elettrici ad alta efficienza, serviti da quattro turboalternatori alimentati da T-Stoff e metanolo, con sistemi di recupero termico tali da garantire lo sfruttamento di ogni singola caloria disponibile. L’anidride carbonica derivante dalla combustione non veniva scaricata, bensì riutilizzata come fluido refrigerante nell’impianto di condizionamento del sottomarino; certo, non garantiva il massimo dell’efficienza termica, ma era pur sempre un netto miglioramento rispetto a quando il suo vascello ne era completamente sprovvisto!
E comunque, c’era pur sempre la flebile possibilità che quei tre misteriosi avvistamenti fossero effettivamente delle semplici coincidenze …
Il suo secondo sembrava essere di quel parere: «Con tutto il rispetto, capitano, ho riflettuto a lungo sulla questione: ritengo che sia molto improbabile che qualcuno ci abbia rilevati e si sia limitato a seguirci; se si fosse trattato degli inglesi, ci avrebbero dato la caccia sin dal primo giorno, per affondarci o per catturarci, a seconda delle opportunità che si fossero presentate. Questo discorso mi sembra ancora più valido nell’ipotesi di una spia tra le file dei nostri alleati.»
«Se avessero saputo della nostra esistenza ci avrebbero rincorso, secondo lei.» Mishima bevve un sorso dalla tazza che aveva poggiato sul tavolo cartografico.
«Esattamente, signore! Poiché siamo ancora a galla, se mi consente il termine, questo significa che non sanno della nostra presenza nelle loro acque e che non ci hanno intercettato.»
«Sinora.» precisò il comandante.
«Concesso. Sinora. Però, vede, signore, dove ci porta questa linea di pensiero?»
Mishima annuì, lo sguardo fisso sulla parte restante della loro rotta, tracciata accuratamente in rosso sulla carta nautica. «Coincidenze: un peschereccio o una barca da diporto imprudente al largo dell’Irlanda; solo i sacri kami sanno cosa, mentre doppiavamo le Orkney; e ora, un battello di linea, forse una lancia o un traghetto, che naviga tra le isole. Coincidenze. Incredibili, se vogliamo, ma soltanto coincidenze.» Mishima finì il suo the, prima di impartire i nuovi ordini. «Navigatore! Cambiamo rotta: dirigere direttamente a sud, verso la Manica.»
«Signore! Rotta verso sud, signore. Inizio virata tra due minuti.»
Mishima rivolse uno sguardo interrogativo al suo secondo: «Puntando a sud, eviteremo gran parte del traffico costiero, ridurremo i rischi e potremo testare a piena velocità il nostro sottomarino. Ha qualche obiezione?»
«Nessuna di rilievo, capitano. Solo, mi chiedo se sia saggio spingere i motori al massimo: non sappiamo se i sistemi di riduzione del rumore siano pienamente efficaci. Non sappiamo neppure se, in condizioni operative, siano in grado di funzionare così come viene descritto nei manuali!»
«Proprio per questo dobbiamo provarci: potremmo essere di nuovo noi a spiegare qualcosa ai nostri alleati. Riesce ad immaginarsi la soddisfazione che ne ricaveremmo?»

Razzi. Proiettili non guidati. Armi pesanti, almeno nella concezione comune agli ambiti militari. La fisica sottesa al loro utilizzo è sostanzialmente semplice, pura azione e reazione; quello che ne rende complicata la realizzazione sono le difficoltà tecnologiche che si incontrano quando si vuole che i nostri razzi colpiscano il bersaglio a distanze paragonabili a quelle raggiungibili da un buon pezzo di artiglieria tradizionale: ci si accorge, allora, che è necessario stabilizzare in qualche modo la traiettoria del proietto; si cominciano a fare i conti con il rapporto massa/combustibile; si cozza contro l’indisponibilità di leghe adatte a resistere al calore; ci si rompe la testa per trovare la geometria ottimale delle camere di combustione.
Costruire un razzo capace di trasportare il proprio carico bellico con sufficiente precisione è un’arte, sempre che non si segua la dottrina sovietica del bombardamento tattico campale, dove centinaia di semplici tubi autopropulsi martellano il nemico a qualche chilometro di distanza, in un’efficace ripetizione del fuoco preparatorio delle campagne del ‘15-’18.
Noi puntavamo ad altro. Noi volevamo l’opera d’arte.
Il bunker cinque era la sezione con il maggior livello di sicurezza della base: solo i più alti livelli di comando potevano accedervi, mentre il personale addetto ci viveva in pianta stabile; sotto svariati metri di cemento rinforzato e roccia, un piccolo distaccamento di Peenemunde portava avanti i preparativi essenziali per l’operazione Seeblitz.
«Come andiamo, professore?» Freisehen strinse la mano all’ometto basso e atticciato che era venuto ad accoglierlo al posto di blocco.
«Benissimo, ammiraglio! Siamo praticamente pronti: un paio di giorni per i controlli finali, poi potremo completare l’integrazione delle testate speciali con il resto del sistema; a quel punto, non resterà che caricarle a bordo del sottomarino e metterle in mare.» Il professore tolse di tasca la cipolla d’oro eredità di famiglia: «Vista l’ora, posso offrirle qualcosa al nostro circolo, ammiraglio? Si discute meglio sprofondati in una comoda poltrona sorseggiando del buon vino!»
«Lei sa come ingraziarsi le persone, professor Hilmann! Prego, faccia strada.» invitò cortesemente l’ufficiale.
Percorsero il tunnel principale chiacchierando del più e del meno: Freisehen si interessava delle minuzie quotidiane di quel microcosmo sepolto, le piccole beghe tra il personale, le soddisfazioni per una lode meritata, i successi, lo sconforto per un esperimento fallito dopo giorni di attesa e preparazione; Hilmann pendeva dalle sue labbra, avido di notizie sul mondo esterno, su quello che l’ammiraglio vedeva, sentiva e faceva nelle sue periodiche visite d’ispezione ai settori decentrati della base; soprattutto, era interessato ai particolari delle rare licenze che l’ufficiale, vedovo, trascorreva con la famiglia in patria.
«E così il suo primogenito ha fatto carriera nella Luftwaffe! L’avrà considerato un tradimento!»
«Friedrich ha sempre avuto la passione del volo ed è un ragazzo con la testa sulle spalle: è più felice così, come tenente pilota, che come capitano di vascello su di un incrociatore e, se devo essere completamente sincero, a me sta bene così.»
Hilmann sorrise: «Lei è una persona per bene, ammiraglio! Sarebbe stato un grande insegnante, secondo me.»
«Lungi da me! Non sopporto i mocciosi!»
«Ma davvero! E allora perché ne ha sfornati cinque? Eh?»
Freisehen nascose il proprio imbarazzo nel bicchiere di borgogna che aveva ordinato: «Non si comanda all’amore, Hilmann!» fu la debole replica.
Il professore si sfregò le mani compiaciuto: «Oh! Adesso sì che ci intendiamo! Com’è andata l’ultima licenza? Si è innamorato, questa volta?»
«Lei è terribile, Karl! Dovrei farla fucilare per insubordinazione!» protestò l’ammiraglio «Ora che ci penso, potrei anche farlo, visto che mi ha confermato che siamo pronti …» lo punzecchiò, prima di assaggiare il filetto. «Ottimo! Credo che vi ruberò il cuoco, uno di questi giorni!»
Hilmann lo osservò mangiare, senza perdere un atomo della sua compostezza: «Ammiraglio, lei sta cercando di glissare! E va bene! Per questa volta lasciamo perdere, e godiamoci il pranzo. Però » puntualizzò con la forchetta alzata «la prossima volta non sarò così clemente!»
Arrivati al caffè – vero caffè, riservato agli alti ufficiali e ai dirigenti – il professor Hilmann passò a relazionare il suo ospite riguardo all’andamento dei lavori: «Come le dicevo prima di pranzo, siamo a buon punto: i ceppi sono pronti, già immagazzinati nei loro vasi Dewar; stando ai test di laboratorio, credo che otterremo una percentuale di successo pari all’ottanta, ottantacinque percento.»
Freisehen si accigliò: «Speravo in qualcosa d meglio, dopo tutti questi anni di preparazione!»
Hilmann si lasciò sfuggire un sospiro: conosceva l’ammiraglio da una vita ed era diventato un esperto del suo modo di ragionare: «Ammiraglio, siamo sinceri: so che il Comando si aspetta sempre la perfezione assoluta; purtroppo, però, tale perfezione non esiste e non può essere perseguita, se non nei sogni dei visionari. Lasci che le porti un esempio.» si affrettò a continuare, vedendo che l’altro accennava ad interloquire: «Tutti noi vorremmo che le nostre automobili – o i suoi sottomarini, quanto a questo – viaggiassero velocissimi consumando una frazione del combustibile che invece consumano …»
«Questo è impossibile! Le leggi della termodinamica lo impediscono!»
Hilmann annuì, compiaciuto: «Esatto! E i motori endotermici sono semplici, una bazzecola, in confronto ai sistemi con cui noi stiamo per interferire: vede anche lei che le stime che le ho fornito in realtà sono eccellenti.»
Freisehen considerò la questione per qualche minuto, sorseggiando la bevanda calda e aromatica: era uno cui piaceva moltissimo il caffè forte e amaro e quello che stava assaporando era quasi perfetto. Posata la tazzina, intrecciò le mani dietro la nuca, rilassandosi contro lo schienale della sedia: «Lei mi sta parlando di aree che non riusciremo a coprire, di testate che potrebbero guastarsi, di imprevisti …»
«Di resistenze di cui non siamo a conoscenza, o meglio, di cui non possiamo fisicamente essere a conoscenza: noi non siamo laggiù, ammiraglio, e i nostri agenti sul posto hanno già fatto tutto quanto era in loro potere per fornirci le necessarie informazioni e spianarci la strada!»
«Potremmo avere fortuna!»
«Oppure sfortuna: non c’è modo di saperlo. Le stime sono tutto quanto possiamo avere, sino al momento della verità.» Hilmann giocherellò con la tazzina, prima di mettere in tavola la questione che lo interessava: «Sono già tornati?»
«Dovrebbero entrare in rada con l’alta marea di domani notte: lungo la costa della Scozia, hanno pensato bene di cambiare rotta e lanciarsi a piena velocità verso la base. Se hanno rispettato la tabella di marcia, a quest’ora staranno attendendo il momento propizio appoggiati sul fondo, come quando sono arrivati dal Giappone.»
«Mi levi una curiosità, ammiraglio: come avete fatto a superarli? Lei è rientrato da una settimana, a quanto mi risulta.» Freisehen si accese una sigaretta, aspirando il fumo e lasciandolo uscire dalle narici: «Diciamo che il mezzo a mia disposizione era più prestante di quello affidato ai nostri onorevoli alleati. Diciamo anche che ho ordinato al suo comandante di tirargli il collo, senza badare troppo al comfort mio e dell’equipaggio.» L’ammiraglio sorrise tra sé: «É stata proprio una bella galoppata! Abbiamo pure forzato la base della Flotta!» concluse ammiccando, ringiovanito di vent’anni almeno.
Hilmann lo fissò, stupefatto: «Siete penetrati nella baia di Scapa Flow?! E non vi hanno intercettato? Ma allora i nostri accorgimenti funzionano! Funzionano davvero! È fantastico, ammiraglio!»
Freisehen era visibilmente compiaciuto: «In effetti oggi sono qui anche per questo motivo: vorrei, se possibile, complimentarmi con tutto il vostro staff per la piena riuscita della crociera di prova.»
«Certamente! Vedrò di organizzare la cosa, mi dia soltanto il tempo di avvertire tutti i capi dipartimento!» Hilmann consultò l’orologio: «Spiacente, ma ora devo lasciarla, ammiraglio: la mia pausa è terminata e devo supervisionare personalmente le operazioni di assemblaggio. Le farò sapere entro oggi quando potrà tenere il suo discorso.»
Strinse la mano all’ospite, prima di fare dietrofront ed allontanarsi nelle profondità del bunker.
Freisehen sorrise tra sé, scolò un ultimo bicchiere di vino, poi fece cenno all’ordinanza perché gli portasse un telefono.
«Sono Freisehen. Qualche novità dal porto?» chiese, appena ottenuta la linea.
«Nessuna signore: la ricognizione non riporta alcuna attività sospetta nell’area. Le comunicazioni radio intercettate dal nostro servizio informazioni confermano che gli inglesi sono convinti di avere decifrato il codice di Enigma
L’ammiraglio annuì: «Lo hanno decifrato: altrimenti come potremmo utilizzarlo nell’ambito della nostra strategia?»
«Signore, non dovremmo avvertire l’Alto Comando?»
«Perché qualche avido politicante ci rovini l’operazione all’ultimo minuto? Salperemo tra meno di cinque giorni, capitano!»
«Ha ragione, ammiraglio; chiedo scusa.»
«Ho parlato con Hilmann: conferma che i preparativi sono completati, devono solamente predisporre le testate, poi potremo imbarcare i razzi sulla Die Forelle e rifornirla. Quanto crede che ci vorrà?»
«Una giornata piena per la verifica e la messa a punto delle apparecchiature, mezza giornata per il rifornimento e un’altra mezza giornata per completare e verificare il carico.»
«Ottimo! Affido a lei le operazioni: si assicuri che il capitano Mishima e il suo equipaggio vengano trattati bene e possano riposare in maniera adeguata, al loro rientro. Io mi recherò ad ispezionare lo scalo principale, tra una mezz’ora: in caso di necessità, potrà contattarmi laggiù.»
«Sissignore, ammiraglio. Buon lavoro, signore.»
«Anche a lei capitano. La saluto.»

Lo scalo principale sorgeva ad un paio di chilometri dalla base, protetto da un costone di roccia a picco sull’oceano. Gli ufficiali del genio avevano brillantemente sfruttato delle grotte naturali, congiungendole tra di loro, per poi ampliarle e fortificarle, inondandone una parte per ottenere un ampio bacino in cui far attraccare e manovrare con comodità naviglio di medio tonnellaggio; nato per ospitare in tutta sicurezza parte dei mezzi destinati all’abortita operazione Seelöwe, era diventato il perfetto quartier generale del Reparto Speciale affidato a Freisehen; lì erano stati testati i banchi prova della maggior parte delle tecnologie sviluppate per la missione. Per l’ammiraglio era un po’ come tornare a casa ogni volta che vi si recava in visita.
E come ogni altra volta, il caposcalo era perso chissà dove nelle profondità del complesso …
«È mai possibile che quell’uomo sia sempre da qualche altra parte quando lo cerco?»
Il sottufficiale che aveva accolto l’ammiraglio all’ingresso si concesse un sorriso: «Non lo fa apposta, signore; lei sa che tipo di persona è: niente può funzionare a dovere se non lo supervisiona e verifica personalmente almeno una dozzina di volte!»
«Umff! Sarò io a supervisionare lui, se non si presenta tra massimo dieci minuti! Sapeva che stavo arrivando!»
«Come tutte le volte, ammiraglio. Credo che sia più forte di lui …»
«D’accordo, d’accordo! Mi arrendo: mi accompagni in sala operativa, per favore, e lo faccia cercare!»
«Sissignore! Come desidera. Prego, mi segua.»
Uno stretto corridoio dalle pareti lisce, il pavimento rivestito di materiale antiscivolo contro la perenne umidità che stillava dalla volta di roccia, collegava la sezione A – ospitante la guardiola d’ingresso, il corpo di guardia e la sala d’attesa – con il resto del complesso: in quel punto, il genio militare aveva stabilito che fosse più conveniente scavare ed armare una simile tana per topi, piuttosto che impelagarsi in lunghe e complesse prospezioni; il risultato, pur se peccava dal punto di vista estetico, era decisamente efficace da quello tattico e della sicurezza: sotto il comando di Freisehen, erano state svolte diverse esercitazioni per prendere il complesso sotterraneo, sfruttando ogni possibile mezzo, compresa l’artiglieria pesante e i gas.
I commandos che erano riusciti ad avanzare di più avevano percorso la metà di quel bugigattolo asfittico, prima di ritrovarsi bloccati, senza alcun riparo sotto il tiro delle mitragliatrici appostate all’estremità opposta; farlo saltare sarebbe stato inutile, dato che lo scalo aveva molteplici sbocchi nascosti sull’oceano, che oltretutto garantivano un’ottima ventilazione a difesa contro gli agenti chimici. Il fatto che gli attacanti conoscessero a menadito la pianta del complesso non aveva fatto che avvalorare la tesi iniziale: un nemico che avesse tentato l’assalto senza essere in possesso delle loro informazioni non avrebbe avuto alcuna speranza di vittoria. L’ammiraglio si sentiva vagamente fiero di avere ottenuto il comando di una simile fortezza, anche se mai l’avrebbe dato a vedere: «Com’è lavorare in permanenza in miniera?»
Il sottufficiale scrollò le spalle «Oh, vede, dopo un poco ci si fa l’abitudine, signore.» rispose, quasi senza voltarsi. «Comunque, a parte questo tratto, non credo che il paragone sia tanto calzante: le grotte sono davvero ampie e da alcune feritoie filtra la luce del sole, se siamo fortunati, per cui …»
«Capisco. In effetti credo che abbia ragione. A quando la prossima licenza?»
«Se non ci sono variazioni dell’ultima ora … » e qui rivolse al superiore un’occhiata che voleva essere eloquente e inquisitiva al tempo stesso «dovrei potermi godere qualche giorno a casa tra una settimana, signore.»
«Città o campagna?» chiese Freisehen, ignorando la curiosità dell’altro.
«Foresta! Sono nato vicino a Monaco.»
«Bei posti! Ci sono stato una decina di anni fa, in villeggiatura. Adoro passeggiare.»
«Allora le auguro di poterci tornare presto, ammiraglio: sono luoghi perfetti per vagabondare nei boschi!» Fermatosi davanti ad una porta anonima, bussò, attese risposta, si fece di lato, aprendola per l’ufficiale: «Ecco a lei, ammiraglio! Buon lavoro e grazie per la cortesia dimostratami!» salutò, in perfetto stile militare, prima di allontanarsi per tornare alle proprie incombenze.
L’ufficio del caposcalo era angusto quanto l’uomo era colossale: alto più di due metri, corpulento in modo rivoltante, si distingueva per la grazia quasi magica con la quale si muoveva, un vero e proprio ballerino; la sua stretta di mano, come l’ammiraglio ricordò troppo tardi, era peggio di quella di una morsa: «Bentornato tra i troll, ammiraglio!» lo accolse con il suo solito tono scherzoso, sgombrandogli personalmente una sedia da chili di dossier e scartafacci vari. «Anche stavolta ce l’avrà con me perché non mi sono fatto trovare all’ingresso, secondo il protocollo, ma avevo le mie buone ragioni, sa?»
«E quali sarebbero state, queste ragioni?»
«Stavo dando gli ultimi ritocchi alla sua bella, ammiraglio!»
«Vuole dire che …?»
Il caposcalo annuì, sorridendo: «L’avete un po’ strapazzata, con la vostra gita in alto mare, ma nulla di grave, in fondo, così che mi è bastato dare una spolveratina qua e là.»
«Il carico?»
«Al novanta per cento, ammiraglio: mano a mano che attrezzature e rifornimenti vengono stivati, eseguiamo una verifica completa di tutti gli impianti e dei sottosistemi connessi; sino ad ora, non abbiamo riscontrato anomalie tali da pregiudicare l’esito della missione.»
Freisehen annuì: «Però qualcosa avete trovato.» commentò piatto: sapeva che il caposcalo era pignolo all’inverosimile, quando si trattava di lavoro.
L’altro sbuffò teatralmente, poi sorrise :«Ammiraglio, sia sincero: ha mai incontrato un meccanismo complesso che non abbia qualche piccola magagna, qua e là? E questo» sottolineò strizzando un poco le palpebre, «non è soltanto complesso, come lei sa benissimo!»
«É che … Insomma, l’operazione Seeblitz potrebbe capovolgere le sorti della guerra!»
«Questo è vero, potenzialmente; se però non ci lascia svolgere il nostro lavoro con la dovuta cura, potrebbe non tradursi mai in realtà, se capisce ciò che intendo.»
«Ha ragione. Mi scusi se le ho fatto pressione.»
«Non ha nulla di cui scusarsi: ogni padre diventa un poco ansioso, qualche giorno prima del parto …»
«Analogia calzante. Ora, parlando da un punto di vista professionale, lei crede che riusciremo a forzare il Passaggio navigando in immersione?»
«Ammiraglio, per farcela, avrete di sicuro l’autonomia necessaria – abbiamo progettato quel macinino apposta! I problemi potrebbero derivare dai fondali: non conosciamo quella rotta e i nostri infiltrati hanno ottenuto ben poco.» concluse, picchiettando con l’indice sul fascio di carte nautiche che giacevano accuratamente ripiegate di fronte a lui sulla scrivania. «Del resto, non si poteva pretendere di più, senza effettuare una campagna di misurazioni dirette con l’ecoscandaglio e noleggiare un rompighiaccio è una vera e propria impresa, di questi tempi!»
Freisehen accettò il bicchier d’acqua che il suo ospite, parlando, gli aveva offerto:«Sarebbe decisamente meno rischioso rasentare il Circolo Polare …»
Il caposcalo se ne uscì volontariamente in un versaccio: «Le ricordo che in questa stagione il Circolo è alquanto esteso, ammiraglio! Bordeggiare significherebbe fare la barba alla Groenlandia. Avrete considerato lo stretto di Magellano?»
«Con le eventuali basi d’appoggio in Sudamerica, certo; purtroppo sarebbe un viaggio troppo lungo e il tempo stringe.»
«Per cui immagino sia da scartare l’ipotesi di rendere la visita ai nostri eroici alleati orientali per partire dalle loro basi sul Pacifico.» Fece scrocchiare le grosse nocche, rimuginando: «Temo che abbia ragione lei, ammiraglio: abbiamo scartato tutte le possibili alternative. Dovrete sperare che quelle carte siano più precise di quanto sembrino!»
«Lei sa sempre come consolarmi, capo!»
«Fa parte dei miei doveri, ammiraglio. E adesso chi è che rompe le scatole?» borbottò sollevando il ricevitore del telefono; ascoltò brevemente, mugugnò un «Sì, è qui.» poi passò il ricevitore all’ammiraglio: «È per lei. Hilmann.»
«Deve essere per il discorso che ho deciso di rivolgere a tutti i capi reparto – lei compreso! – per ringraziarvi degli sforzi compiuti. Doveva confermarmi ora e luogo.» spiegò Freisehen. Ascoltò e rispose per qualche minuto, concordando alcune minuzie, prima di riappendere. «Tutto a posto. Possiamo continuare, capo.»
«Secondo me c’è poco altro da dire: il sottomarino sarà equipaggiato e pronto a partire entro due, massimo tre giorni; la rotta sembra essere stata decisa da fattori al di fuori del nostro controllo, per cui direi che non possiamo che fare buon viso a cattivo gioco, non crede?»
«Avrei preferito un po’ più di ottimismo, da parte sua, ma temo che dovrò accontentarmi. La vedrò alla cerimonia?»
«Solo per farle un piacere.» ribatté l’altro, poi, come per un ripensamento: «Avete già iniziato a spargere la voce?»
«La voce si è sparsa, certo. Ormai da almeno un paio di mesi.»
«A modo nostro?»
«Ovviamente! Che si crede?» rispose l’ammiraglio piccato.
«Non se la prenda! Chiedevo solo per essere sicuro: la pesca alla trota ha bisogno di un’esca adatta, come ben sa …»

Correnti che viaggiano ad alta velocità, ad alta quota: sfruttarle è da sempre il sogno nel cassetto di chi deve in un modo o nell’altro volare sopra gli oceani. È un problema antico: come superare enormi distanze con il minimo dello sforzo?
Uno potrebbe pensare di correre, oppure di far correre qualcun altro al posto suo, mentre se ne sta comodamente seduto su di un carro; i cavalli, però, dopo qualche tempo si stancano, hanno bisogno di acqua, cibo, riposo, non si può sfruttarli oltre un certo limite. Se il cavallo è meccanico, si può già pensare di attraversare un’intera nazione - addirittura un continente! – ammirando il panorama dal finestrino di un treno oppure di un’auto. Per solcare mari, laghi e vaste distese acquee in generale, le navi danno il loro solido contributo sin da quando un uomo si rese conto che il legno galleggia. Da ultimo, è venuto l’aeroplano, conquistando in breve tempo la scena mondiale quanto a velocità e possibilità di movimento: è indubbio che essere in grado di superare catene montuose, deserti e oceani, anche se con qualche difficoltà, conferisca un enorme vantaggio sugli altri mezzi di trasporto. Perché questa disquisizione? Semplice: durante le primissime, eroiche ascensioni in pallone che prelusero all’avvento dei bombardieri e dei caccia, ci si rese conto che, in realtà, ci si stava unicamente trasferendo da un mare ad un altro, mille volte meno denso e prevedibile. Anche qui c’erano correnti, gorghi, rapide che l’uomo accorto e volenteroso avrebbe potuto sfruttare a proprio vantaggio …

Il capitano Mishima stava sovrintendendo personalmente alla messa a punto del suo sottomarino. La cavalcata a tutta forza dalla Scozia alla base era stata estenuante, certo, ma mai nel corso della sua lunga carriera si era divertito così tanto: sentir gemere il metallo sotto la spinta congiunta delle due eliche, il fruscio di sottofondo generato dallo scorrere dell’acqua attorno allo scafo, musica per le sue orecchie e puro orgoglio assistere passivamente alla danza dei suoi sottoposti che gestivano e controllavano l’unità senza più bisogno di interpellarlo se non per le occasionali emergenze e le comunicazioni di routine. La nave si era comportata benissimo, entrando in porto in perfetto orario; nessuno si era accorto di loro, sebbene fossero passati ad un tiro di schioppo da un paio di cacciatorpediniere doppiando la foce del Tamigi. Ed ora, dopo cinque giorni di meritato, assoluto riposo, stavano per intraprendere la missione che avrebbe costituito il fulcro ed il coronamento delle loro carriere! C’era veramente di che essere orgogliosi! «Tenente! I rifornimenti?»
«Completati al novantacinque percento, signore. Saremo in grado di salpare l’ancora questa notte. La rotta è confermata, capitano?»
«Dritti attraverso l’Atlantico sino alla costa del Labrador, tenente. Si è procurato qualcosa di caldo da indossare?»
«Ho trovato una graziosa pelliccia allo spaccio della base: pensavo di portarla in dono a mia moglie, in patria, ma mi sa tanto che la collauderò prima io!»
Mishima sorrise, divertito: «Non sapevo che si fosse sposato.»
il tenente arrossì: «Una settimana prima di salpare, capitano. Devo ammettere che non ci ho ancora fatto l’abitudine …»
«Non se ne rammarichi troppo: avrà tutto il tempo, dopo che saremo tornati!»
«Vero! E magari farò anche in tempo a pentirmene!»
«Ora non esageri!»
«Scaramanzia, signore. Scaramanzia.»
«E così oltre che sposino è anche superstizioso …» lo canzonò Mishima in maniera bonaria.
«Quanti difetti, eh?» Il tenente rimase a fissare in silenzio la sagoma scura che affiorava per meno di un terzo nel bacino. Tentennava, c’era qualcosa che gli stava visibilmente a cuore, ma che non riusciva ad esprimere. Infine, preso coraggio, si avvicinò al superiore, sussurrando: «Capitano … lei sa dove si trova l’ammiraglio tedesco? Dopo che ci ha accolti al nostro ritorno, nessuno di noi lo ha più visto.»
Mishima fece correre lo sguardo sul molo, per sincerarsi del buon andamento delle operazioni, prima di rispondere: «A quanto mi è stato riferito, Freisehen e alcuni dei suoi collaboratori sono stati richiamati a Berlino.»
«Per caso qualcuno ci ha ripensato e intendono cancellare l’operazione?! Proprio adesso che stiamo per partire?!»
«No, no: sembra che vogliano discutere e mettere in chiaro alcuni dettagli, per essere certi dell’esito.»
«E noi dovremo attendere il loro ritorno? Mi sembra una gran perdita di tempo!»
«Noi non dipendiamo da Berlino: salperemo appena pronti, in nome dell’Imperatore!» rispose recisamente Mishima.

Rotta diretta attraverso l’Atlantico, fino al Labrador; da lì, avrebbero dovuto costeggiare fino a trovare un buon punto per mettere in opera il piano. Semplice. Efficace. Però …
«Ci sono ancora dietro?»
«Sì, capitano. Non so come, ma ci stanno incollati come francobolli!»
Mishima si passò una mano sugli occhi: non erano nemmeno a metà della traversata, dannazione! Come aveva fatto quel convoglio a scoprirli? Pura sfortuna, ecco come! Evidentemente, una delle vedette – una con la vista particolarmente buona, per di più! – doveva aver scorto la loro sagoma quando si erano portati a pochi metri dalla superficie a causa di una lieve avaria al timone di profondità. «Manovre d’evasione! Velocità massima per quindici minuti! Sala macchine! Rapporto!»
La voce dall’interfono suonò metallica: «Dobbiamo innestare direttamente le turbine, signore?»
«Qualche difficoltà in proposito, ingegnere?»
«Nessuna, signore. Però …»
«Però cosa?»
«Nulla, signore. Mi scusi. Procedo immediatamente!»
Mishima si rivolse al suo secondo: «Preparate la camera di lancio di poppa, in caso di necessità.»
«Ricevuto!»
«Sonar! Altre navi nella zona?»
«Nessuna, capitano: solo il convoglio.»
«Questo è davvero strano.»
«Posso chiederle perché, signore?»
«Un convoglio di rifornimenti che insegue e caccia un sottomarino sconosciuto?»
«Ha ragione! Normalmente passano l’incarico alla scorta, o alla più vicina squadra di pattuglia! Che sta succedendo?»
«Sonar, siamo sicuri di quell’identificazione?»
«Capitano, stando ai dati in nostro possesso, le tracce audio rilevate corrispondono a quelle di navi mercantili classe Liberty, signore.»
Dal navigatore giunse un avvertimento, ripetuto dall’interfono in tutto il sottomarino: «Attenzione! Accelerazione tra un minuto: aggrapparsi per evitare di cadere!»
Rimuginando un pensiero che gli era appena passato per la mente, Mishima strinse con forza il bordo del tavolo per carteggiare: «E se …» La spinta giunse proprio in quel momento: gli appositi riduttori installati a valle dell’ultimo stadio di turbina esclusero i motori elettrici dall’asse, trasmettendo la loro potenza direttamente alle eliche; per un’unità di quella mole, l’accelerazione fu piuttosto brusca, accompagnata come fu dal clangore di vari piccoli oggetti che non erano stati ancora assicurati lungo tutto lo scafo.
«Timoniere! Le manovre evasive?»
«In corso di attuazione, signore!»
Mishima osservò a lungo la paratia di poppa, cercando di interpretare correttamente il comportamento del suo avversario in superficie, di prevedere eventuali altri pericoli e/o sorprese. «Tenente! Esegua personalmente un controllo delle apparecchiature speciali stivate nell’hangar di prua e si assicuri che non abbiano subito danni.»
Il tenente scattò sull’attenti, infilando poi quasi di corsa il passaggio che conduceva al portello stagno interno: poco mancò che si spaccasse la testa contro la mastra del boccaporto, ricordandosi all’ultimo di chinarsi. Mishima sorrise brevemente, prima di tornare alle proprie elucubrazioni.

«Allora le informazioni passateci dagli inglesi erano esatte.»
«Signorsì, ammiraglio. Il nostro convoglio ha individuato un vascello in immersione sulla rotta prevista e lo ha inseguito finché ha potuto.»
«Che starebbe a significare …?»
«Fino a che quelli non hanno aperto del tutto la manetta e se la sono filata, signore. Secondo la stima del comandante del convoglio, filavano a più di venticinque nodi!»
«E senza fare rumore …»
«Esatto, signore: senza fare rumore. Preoccupante, non trova?»
«Più che preoccupante, direi terrificante. Se non sapessimo dove sono diretti, saremmo nella merda sino al collo!»
«Ma noi lo sappiamo ed abbiamo già approntato una serie di difese concentriche per intercettarli. Bisogna ammettere che il servizio segreto britannico ha davvero fatto il colpo grosso, ancora più grosso della decifrazione di Enigma!»
L’ammiraglio annuì, scuro in volto: «Sono sicuri del fatto che sia l’unico che possiedono?»
«Sono mesi che il Comando Sommergibili della Kriegsmarine parla delle prove in mare di questa unità: sempre al singolare. C’è stato un prototipo più piccolo, per testare il sistema propulsivo, ma non si è mai allontanato troppo dalla sua base, nel Baltico. Qualcosa la preoccupa?»
«No, non proprio: stavo solo cercando di immaginare le grane che ci darebbe una flotta di unità come quella che stiamo cacciando e devo ammettere che mi vengono i brividi.»
«Non si preoccupi, ammiraglio: li cattureremo. O li affonderemo. Siamo pronti a riceverli.»

«Notizie dal fronte, capitano?» Seduto nella sua angusta cabina, Freisehen stava scorrendo dei dispacci, cercando di portarsi avanti con il lavoro ed al tempo stesso di contrastare la noia della traversata: in fin dei conti, lui non aveva un ruolo ufficiale, a bordo del sottomarino, almeno fino a quando non fossero riemersi nel bel mezzo del Pacifico.
«Sì, ammiraglio: sembra che le mollichine che abbiamo seminato abbiano dato buoni frutti.»
«Li hanno già trovati?!» Freisehen si alzò a mezzo dalla sedia per la sorpresa.
«Un convoglio civetta statunitense.» annuì l’altro «Giusto in mezzo all’Atlantico. A quanto pare, i nostri amici se la sono cavata egregiamente seminando gli inseguitori a tutta forza.»
«Segno che le nostre idee funzionano a dovere!»
«Vero. In un certo senso è confortante, non trova? In caso di bisogno, non dovremo preoccuparci di attivare delle apparecchiature non pienamente testate sul campo!»
«La notizia è certa?»
Il capitano si strinse nelle spalle: «Abbiamo intercettato le loro comunicazioni– così vicini alla costa, trasmettono addirittura in chiaro! – quindi, sì, direi che la notizia è certa, signore.»
L’ammiraglio tornò a sedersi alla scrivania: «Le sono di peso, vero, capitano?»
«Sinceramente, ammiraglio? No: trovo che la sua presenza a bordo, la sua volontà di essere presente al momento dell’attacco, giovi al morale dell’equipaggio. Conosco i miei uomini: se un ufficiale anziano come lei è disposto a rischiare tutto per il buon esito di un’operazione, ebbene, loro di certo non vogliono essere da meno!»
«Ufficiale anziano, eh?» lo punzecchiò Freisehen
«Nel senso dell’esperienza, signore…»
«Certo, certo. Lei è sprecato, come ufficiale di marina, sa? Avrebbe fatto una carriera folgorante, nella diplomazia.»
«Me l’avevano proposto, ma non ho saputo resistere al fascino della divisa.»
«Meriterebbe un giro di chiglia, per la sua impertinenza!»
«Ammiraglio, padronissimo! Come ufficiale più anziano e più alto in grado a bordo, la nave è sua.»
«Oggi il cuoco deve avere servito termiti, a pranzo!» Freisehen sorseggiò dell’acqua, poi spinse da parte i dispacci. «Passando ad argomenti più seri, come stiamo andando?» chiese, facendo cenno all’altro di accomodarsi sulla sua cuccetta.
«Ottimamente, direi. Siamo in rotta, e sino ad ora non abbiamo incontrato problemi di sorta: sembra proprio che lo scetticismo del caposcalo fosse mal riposto.»
«Ne ha parlato anche a lei?»
«Se non lo avesse fatto, lo avrei immediatamente deferito alla corte marziale! Se non erro, il comandante sono io e pertanto mia è la responsabilità e l’onere di assicurarmi delle condizioni in cui si deve svolgere la missione.»
«Con questa mentalità, lei diventerà un ottimo ammiraglio, capitano!» si complimentò Freisehen
«La ringrazio per la considerazione ma no, credo di preferire l’adrenalina del servizio attivo in mare.»
L’ammiraglio rise: «Ben detto! I rilevamenti?»
«Come concordato, emergiamo una volta ogni due giorni, poco dopo l’una; niente radar, niente sonar, se non passivo: navighiamo proprio come gli antichi, bussola e sestante. Per ora, tutto sta andando a meraviglia.»
«Prevede guai in futuro?»
«No, solo che domani, all’incirca, raggiungeremo le coste canadesi e ci infileremo nel canale, che dovremo percorrere praticamente tutto in immersione: potrebbe risultare stressante per l’equipaggio.»
«Abbiamo scorte e provviste a sufficienza?»
«Più che in abbondanza: con quello che c’è a bordo, potremmo completare altre tre traversate!»
«Allora suggerirei di dire al cuoco di largheggiare un po’ con le razioni, senza eccedere, ovviamente: quel tanto che basta a mantenere soddisfatti gli uomini. Che ne pensa?»
«Potrebbe funzionare. Se non altro, i nostri marinai non patiranno la fame.» Il capitano, soprappensiero, lisciò una minuscola piega sulla coperta: «Ammiraglio, quando saremo sull’obiettivo, quanto tempo avremo?»
«Prima che ci intercettino? Direi circa due ore.»
«Dall’emersione?»
«Dal primo colpo: ricordi che saremo al largo di coste scarsamente popolate. Crede di riuscire a portare a termine il tutto in questo lasso di tempo?»
L’altro sospirò: «Se tutto verrà organizzato a dovere per tempo, senza intoppi, sì.»
«È per questo che si preoccupa tanto dello stress dei prossimi giorni!»
«Basta una minima svista, ammiraglio!» rispose il capitano congedandosi per tornare in plancia.
Freisehen rimase seduto al suo posto, stranamente rilassato dopo molto tempo: qualcosa, chiamiamolo istinto, gli assicurava che la missione sarebbe stata un successo.

«Tenente! La posizione?»
«Siamo quasi sulle coordinate previste, capitano! Ancora una decina di chilometri!»
«Abbiamo ricevuto notizie dal comando? L’ammiraglio Freisehen ha risposto alle nostre chiamate?»
Il marconista scosse la testa, troppo occupato per distogliere gli occhi dal quadrante della radio: «Spiacente, signore! Il Comando Centrale riferisce che l’ammiraglio Freisehen è irreperibile.»
«COSA??» lo interruppe Mishima, furibondo: «Che significa che è irreperibile? Proprio adesso? Li richiami immediatamente e dica loro che esigo delle spiegazioni! Altrimenti …»
«Signore, mi scusi: stavo per spiegarle che l’ammiraglio Freisehen è stato vittima con la sua scorta di un raid alleato. Al momento è ricoverato in prognosi riservata in un ospedale militare.»
Mishima si sentì morire: se questa non era malasorte! «Qualche istruzione per noi?»
«Continuare con la missione, per l’onore e la gloria delle nostre due sacre Nazioni!»
Il capitano masticò amaro: «Giù l’antenna! Prepararsi per l’emersione! Tutti ai posti di combattimento!»
Al suono della sirena, tutto il sottomarino risuonò di passi concitati, vocio di persone che raggiungevano il proprio posto e di altre che si scansavano per permettere loro di farlo. Sopra a tutto, il ronzio sommesso dei servomeccanismi che preparavano la nave al suo momento più importante.
«Emersione tra due minuti, signore! Personale pronto nella vela e nell’hangar.»
Mishima annuì: «Tempo?»
«Ore una e venticinque, tempo di Greenwich!» rispose il tenente «Siamo emersi. Portelli aperti!»
Mishima stava già inerpicandosi per la scaletta che conduceva all’esterno: era una notte meravigliosa, piena di stelle che risaltavano nel cielo buio. Sotto di lui, verso prua, i marinai spingevano all’aperto la rampa di lancio, inchiavardandola al ponte, nel più rigoroso silenzio. «Stato dei serbatoi di lancio?»
«Aria compressa, nominale; combustibile, nominale; batterie, nominale. Siamo pronti al suo ordine, capitano.»
Dal basso, un’ombra sventolò uno straccio, visibile a malapena, segno che tutto era stato fissato e controllato.
Mishima inalò a fondo, prima di impartire l’ordine nel portavoce: «Iniziare sequenza di lancio!»
Quindici secondi più tardi, un grosso pistone spinse il primo missile lungo la rampa, fino a farlo staccare dal sottomarino; raggiunta la velocità necessaria, le valvole del combustile si aprirono, spruzzandolo nella camera di combustione tubolare; una  scintilla e la miscela prese fuoco, accelerando e aspirando nuova aria dalla presa frontale. Con il caratteristico ronzio ad alta frequenza, il missile da crociera accelerò, le superfici di comando acquistarono portanza, mentre la bussola giroscopica allineava l’ordigno sulla rotta programmata. Tutto secondo i piani.
Mishima si volse verso il suo secondo: «E uno! Preparare il secondo colpo e …»
«Capitano! Guardi!»
Luci all’orizzonte, tutto intorno a loro, fuoco di artiglieria contraerea che cercava inutilmente di abbattere il missile.
«Ci hanno trovati?!» Per qualche istante, Mishima, incredulo, si sentì smarrito. Il suo secondo lo fissava impotente. «Qui è il comandante: procedere immediatamente al lancio degli altri due missili; ridurre i controlli pre-lancio a zero! Eseguire!»
Senza attendere risposta, lui e il secondo scesero in plancia, dove Mishima prese il microfono dell’interfono: «A tutto l’equipaggio: siamo stati circondati da forze ostili. Ho dato ordine di procedere con l’operazione. Terminato il lancio, ci immergeremo e daremo battaglia!»
Mentre parlava, un secondo e un terzo tonfo ovattati fecero vibrare lo scafo. Subito si udirono i passi dei marinai che correvano a sbloccare e gettare a mare la rampa, ormai inutile. Tre minuti più tardi, le spie che indicavano l’avvenuta chiusura di tutti i portelli erano in verde. «Immersione rapida! Sonar! Ci trovi un degno bersaglio!»
«Capitano! Potremmo …»
Mishima sapeva perfettamente cosa intendesse il suo secondo: «Ci hanno ritrovato, tenente! Come, non lo so, ma ci hanno ritrovato! Se rompessimo di nuovo il contatto, loro ci ritroverebbero. Ma se noi affondassimo alcune delle loro navi …»
Il secondo annuì con un inchino. «Considero un vero onore aver potuto servire sotto di lei, comandante. Buona fortuna!»
«Sala siluri! Tenersi pronti …» Il resto dell’ordine venne soffocato dal rimbombo delle granate e delle cariche di profondità, mentre il sottomarino veniva scosso dalle onde d’urto.

Qualcuno stava bussando alla sua porta; per la precisione, stavano bussando sulla cornice, la porta essendo costituita da una semplice tenda: «Ammiraglio?»
Freisehen si alzò a sedere, stropicciandosi gli occhi: «Capitano. Che ore sono? Che succede?»
«Il Die Forelle
Pausa.
«Lo hanno intercettato?»
«Al largo del New England, come da programma. Sono riusciti a lanciare tutti e tre i missili.»
«Ottimo! Sono riusciti a …»
«A disimpegnarsi? Non ci hanno neppure provato: li stavano aspettando, erano circondati.»
«Hanno dato battaglia?» Freisehen era sorpreso, anche se un po’ se lo aspettava, per quel poco che conosceva Mishima.
«Sono riusciti a far diventare idrofobi gli americani! Secondo le trasmissioni che abbiamo intercettato, hanno affondato un paio di incrociatori, prima di schiantarsi contro una corazzata a tutta forza.»
«Carichi di combustibile?! Un attacco suicida!»
Il capitano annuì brevemente: «Probabilmente hanno pensato che sarebbe stato più saggio affondare il sommergibile, per impedire al nemico di impadronirsene.»
«Lo sa?, un po’ mi dispiace: era una brava persona, un ottimo ufficiale.»
«Non lo conoscevo bene quanto lei, ammiraglio, però mi aveva fatto una buona impressione. Un tipo volitivo ed efficiente.»
«Saranno riusciti a distogliere l’attenzione da noi?»
«Direi! Con tutta la campagna che abbiamo montato, il semplice fatto che gli americani abbiano teso loro quel po’ po’ di trappola dimostra che ci sono caduti con tutte le brache, signore. Se poi riuscissero a recuperare i frammenti dei missili, non potrebbero pensare ad altro che ad un ardito, benché fallimentare, tentativo da parte nostra di attaccare il sacro suolo americano.»
Mentre discutevano, Freisehen si era alzato ed aveva indossato l’uniforme di fatica: «Il sonno mi ha fatto il giro: tanto vale che mi metta al lavoro.» fu la risposta all’occhiata interrogativa del capitano. «Situazione?»
«Tra due ore saremo fuori dallo stretto: dopo le osservazioni di rito, punteremo dritti verso sud. Dopodiché, non ci resterà che scegliere la latitudine che preferiamo per lanciare.»
«Stavo pensando, lei come farebbe?»
«Chiedo scusa, temo di non capire: come farei a fare cosa, signore?»
«A scegliere! Quali criteri seguirebbe per scegliere essendo ragionevolmente sicuro di conseguire gli obiettivi che ci siamo prefissati?»
Il capitano rifletté in silenzio per qualche minuto: «Abbiamo le carte tracciate dall’ufficio meteorologico; sappiamo che dobbiamo raggiungere una determinata quota per sfruttare le correnti e diffondere il carico.»
Freisehen puntualizzò i concetti picchiettando col dito sulla scrivania: «Vada avanti.» esortò.
«Io non sono un esperto, l’unico interesse che ho nella materia è di sapere se ci sarà o no burrasca lasciando il porto, però direi che per ottenere la massima dispersione, dovremmo orientarci verso una zona con sufficienti precipitazioni.»
«Mhhh. Anche perché …»
«Ha in mente qualcosa, ammiraglio?»
«In effetti, almeno una parte del nostro carico, una volta attecchito, avrà diffusione spontanea.»
Il capitano si batté una mano sulla fronte: «Ha ragione! Non ci avevo pensato! Ma in questo scenario, ha davvero importanza il punto di lancio?»
«Purtroppo sì, amico mio: la seconda metà del carico!»
Il capitano si lasciò sfuggire una smorfia: «Vero anche questo: quelle non si muovono di certo!»
«Per cui vede, dobbiamo assolutamente essere certi, se vogliamo avere successo in tempi ragionevolmente brevi.» Freisehen finì di aggiustare le mostrine sulle spalline e si diede un’occhiata allo specchio; soddisfatto, ordinò: «Quando riemergeremo, si metta in comunicazione con il nostro personale sul luogo e chieda un aggiornamento sulle previsioni, per favore.»
«Devo contattare qualcuno in particolare?»
L’ammiraglio scosse il capo: «Cerchi solo di ottenere un quadro abbastanza accurato. Ora, le andrebbe un caffè in quadrato? Magari corretto con un goccetto di grappa, in onore dei nostri eroici compagni caduti.»
«Con vero piacere, ammiraglio! Faccio strada.»

Il tempismo, in un certo senso, è un’arte: ritardi insignificanti possono compromettere del tutto o in parte delle operazioni per altro pianificate in maniera ottimale. Il sottomarino che emerse all’una di una notte di luna nuova al largo dell’Oregon aveva fatto di tutto per trovarsi in quel punto preciso a quell’ora precisa. Non aveva nome, non ufficialmente, perché ufficialmente – cosa al limite dell’assurdo per uno Stato altamente burocratizzato come il Terzo Reich – non esisteva: il suo sviluppo, durato più di un decennio, non aveva lasciato tracce in alcun archivio, la sua costruzione era avvenuta nel più assoluto riserbo; un fantasma di colore nero opaco, le cui superfici accuratamente raccordate da poppa a prua ricordavano vagamente quelle di un gigantesco storione. Al suo confronto, il Die Forelle era rozzo, un dimostratore tecnologico poco maneggevole, funzionale unicamente allo scopo di fornire agli alti gradi civili e militari in patria una prova tangibile dei risultati ottenuti a fronte di spese di sviluppo astronomiche, sostenute con capitali privati a fondo perduto; il suo altro scopo, quello di fungere da diversivo per distogliere l’attenzione del nemico dal suo fratello maggiore, era di certo meno evidente, almeno agli occhi del Comando e degli alleati: una mossa strategica richiesta dalla complessità dell’operazione Seeblitz; una mossa politica resa necessaria dalla crescente ansietà degli alleati orientali, che cominciavano a sentire la pressione delle flotte statunitensi e pretendevano soluzioni e aiuti, anche se non in maniera esplicita: il Die Forelle, completata la sua sortita nell’Atlantico, avrebbe dovuto essere il capostipite di una nuova famiglia di unità ad alte prestazioni che avrebbero spazzato gli oceani Pacifico e Indiano da tutti gli avversari, in silenzio, senza alcun clamore …
Pericoloso. Troppo.
Per cui … Siamo addolorati, ma non è colpa nostra, se gli alleati sono riusciti ad intercettare e decifrare i nostri codici di trasmissione! Eventualità simili sono capitate, capitano e capiteranno in ogni guerra: in fondo, l’uomo è fallibile. Di nuovo, spiacenti, ma, considerata la contingenza della guerra, non possiamo permetterci altri esborsi, soprattutto di preziose materie prime. Non gradireste qualche ottimo caccia a razzo?
Trattative diplomatiche e recriminazioni a parte, la questione poteva essere tranquillamente archiviata da parte dell’equipaggio a bordo del fantasma: in quel momento, era qualcos’altro ad assorbire totalmente la loro attenzione. Dalla sommità della vela, il capitano e l’ammiraglio Freisehen osservavano i portelli ricavati in coperta a prua aprirsi silenziosamente, mentre a poppa marinai pesantemente vestiti con abiti invernali estraevano dall’elevatore le testate della prima salva di razzi ricoperte di brina. Con estrema cautela, a coppie, movimentarono gli otto corpi cilindrici lungo gli stretti passaggi ai lati della torretta, andando a fissarli ciascuno con tre bulloni al corpo del rispettivo impulsore; era difficile scorgere i loro movimenti alla sola luce delle stelle, ma avevano preferito lasciare spenti i fari di navigazione, anche se schermati. Un brusio, dei tonfi leggeri, poi la comunicazione attraverso il portavoce: «Sala lancio! Siamo pronti, signore: attendiamo il suo ordine.»
L’ammiraglio toccò lievemente il braccio del sottoposto e il capitano accostò la bocca al microfono: «Aprire i portelli di scarico! Bilanciare la spinta allagando i serbatoi ausiliari e le casse di compensazione! Lanciare appena pronti.» Rivolgendosi al superiore, gli porse degli occhiali affumicati: «Meglio non correre rischi, non crede?» commentò, mentre le rampe iniziavano a calare nei loro ripari blindati.
Tre minuti più tardi, un lieve tremore scosse lo scafo, mentre otto getti di gas sfiatavano in mare dalle fiancate; nel giro di pochi istanti, le scie luminose dei razzi salirono nel cielo notturno, punti luminosi che presto sparirono alla vista. Il capitano latrò nel microfono: «Rapporto!»
La voce che rispose dal basso era rilassata, venata di sollievo: «Lancio effettuato con successo, capitano! Stiamo seguendo il segnale del trasmettitore e sembra che tutto vada per il meglio: raggiungeranno a breve la quota prefissata e rilasceranno il carico come previsto.»
«Danni allo scafo?»
«Le squadre di manutenzione stanno ispezionando le rampe e i compartimenti adiacenti, ma per ora non hanno nulla da segnalare.»
«Quando saremo pronti per la seconda salva?»
«Dieci minuti, signore: il tempo di ricaricare le rampe dai depositi; venti se preferisce che effettuiamo un lavaggio delle rampe con acqua di mare, per precauzione.»
«Ammiraglio?»
«Procediamo senza fretta, capitano, ma con attenzione!»
«Avete sentito? Tenete costantemente monitorate le comunicazioni e voglio qualcuno al radar per tutta la durata dell’operazione!»
«Ricevuto!»
Un’ora e mezza più tardi, i portelli di prua e di poppa si chiusero, le stive svuotate del loro contenuto.
Il capitano diede un’ultima occhiata circolare alla coperta, prima di dare sfogo al proprio sollievo: «È fatta! Ammiraglio, posso chiederle una cosa?»
«Prego, chieda pure: in fondo se lo è meritato!»
«Come sapremo se l’operazione è andata a buon fine?»
«Dalla radio, dai cinegiornali, da quelli cartacei: mi creda, lo sapremo, eccome!»
«Ma, e se mantenessero il segreto?»
«Con tutto quello che abbiamo previsto accadrà?! Mi sembra ben poco probabile!»
Il capitano si strinse nelle spalle: «Immagino che abbia ragione lei. Torniamo in patria, ora?»
L’ammiraglio Freisehen osservò a lungo le acque calme dell’oceano: «Gradirei molto visitare il Cile, o l’Argentina, trovare una ragazza accomodante, riposarmi un po’, dopo tutti questi anni di tensione. Crede che all’equipaggio andrebbe di farmi compagnia?»
«Un esilio volontario?»
«Assolutamente no! Un’escursione di durata imprecisata!»
Il capitano rise, scendendo la scaletta: «Quand’è così, credo che ne saranno entusiasti, signore!»

Mesi dopo, nel Midwest, un allevatore osservava preoccupato alcuni capi di bestiame: svogliati, ruminavano erba con palpebre semichiuse, zoppicando ogni volta che muovevano un passo; anche da dove si trovava, poteva notare i grossi ascessi ai lati della bocca: li aveva isolati non appena se ne era accorto, ma a quanto pareva, non era servito a molto, perché il contagio sembrava essersi già diffuso a macchia d’olio, gli allevatori della zona non parlavano d’altro. Oltretutto, stava diventando difficile procurarsi il mangime, a causa della moria che aveva colpito mais, cotone e tabacco. Che diavolo stava succedendo?
Sembrava di essere tornati ai brutti tempi del ’29, maledizione!
Tossì: «Maledetta polvere!» imprecò, pulendosi le labbra dopo aver sputato.
«Papà! Corri, presto! Le galline!»
Suo figlio, tredici anni, arrivava di corsa dall’aia, mezzo miglio dai recinti: cosa diamine …
«Che centrano le galline, adesso? Non vedi che ho altro da fare?»
Sbuffando, piegato in due mentre cercava di riprendere fiato, il ragazzino cercò di spiegare: «Sono tutte mogie mogie, non razzolano quasi più. Mamma è preoccupata, dice che scottano, che sono ammalate: dice di andare a chiamare qualcuno, perché non vuole doverle abbattere tutte!»
L’uomo guardò stranito il figlio, le sue gote arrossate non soltanto dalla corsa, i suoi occhi lucidi.
Lucidi di febbre.
Un brivido di gelo lo costrinse ad aggrapparsi alla staccionata per non cadere.
Un brivido di febbre gli confermò che la piaga era tornata ... 
   
 
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