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Autore: Vago    21/07/2017    4 recensioni
Libro Terzo.
Il Demone è stato sconfitto, gli dei non possono più scegliere Templi o Araldi tra i mortali.
Le ultime memorie della Prima Era, giunta al suo tramonto con la Guerra degli Elementi, sono scomparse, soffocate da un secolo di eventi. I Templi divennero Eroi per gli anni a venire.
La Seconda Era è crollata con la caduta del Demone e la divisione delle Terre. Gli Araldi agirono nell'ombra per il bene dei popoli.
La Terza Era si è quindi innalzata, un'era senza l'intervento divino, dove della magia rimangono solo racconti e sporadiche apparizioni spontanee e i mortali divengono nemici per sè stessi.
Le ombre delle Ere passate incombono ancora sul mondo, strascichi degli eventi che furono, nati dall'intreccio degli eventi e dei destini dei mortali che incontrarono chi al fato non era legato.
I figli, nati là dove gli immortali lasciarono buchi nella Trama del Reale, combatteranno per cercare un destino che sembra non vederli.
Una maschera che cerca vendetta.
Un potere che cerca assoluzione.
Un essere che cerca di tornare sè stesso.
Tutti e tre si muoveranno assieme come un immenso orditoio per sanare la tela bucata da coloro che non avevano il diritto di toccarla.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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Ecco, lo sta facendo di nuovo. La Trama si sta di nuovo concentrando su di me.
Onestamente, non capisco nemmeno perché abbia deciso di farlo ora. Dopotutto, non ho in programma di fare niente di incredibilmente interessante.
Eccola lì, intanto, la metà orientale delle Terre.
Fa schifo esattamente come me la ricordavo.

Nella grotta che guardava al mare, il sole fece splendere la figura in oro che ne adornava le pareti.
Il falco atterrò poco oltre l’apertura d’ingresso.
Non appena le sue zampe da rapace toccarono il terreno, lasciarono il posto alle scarpe eleganti dell’elfo tatuato, che si permise pochi passi all’interno dell’enorme sala.
Si fermò poi rigido quando, davanti ai suoi piedi, le bianche ossa di uno scheletro vennero oscurate dalla sua ombra.
L’elfo si chinò lentamente su quei resti, sollevando il cranio da terra per portarlo all’altezza dei suoi occhi, facendosi cadere come apposta una ciocca di capelli bianchi davanti agli occhi, come per farla risaltare ancor di più sui capelli color pece che gli adornavano la testa.
- È incredibile come vent’anni possano cambiare qualcosa. – la voce dell’elfo dalla lunga giacca rimbombò tra le pareti di pietra assediate dalle centinaia di tele di ragno che si erano andate sovrapponendosi negli anni – Nessuno, visti i tuoi resti, potrebbe riconoscere la ragazza che sei stata. Nessuno, eccetto chi ti ha conosciuta. Presto, però io sarò l’ultimo superstite della Seconda Era, così come lo sono già ora della Prima e del vecchio mondo. –
La mano dell’uomo si alzò al di sopra della sua testa, facendo sì che gli ultimi raggi della sera potessero illuminare le vuote cavità del teschio.

Pietra.
Ormai non sei altro che mera pietra.
Voi mortali siete così privi di significato che mi fate ridere, vivete con l’unica certezza che diverrete concime, almeno finché non sarete nemmeno più quello.

La mano tornò a calare verso il pavimento.
- Nonostante tutto, però, mi intrigate. Siete parte degli eventi, motori degli avvenimenti e pedine gli uni degli altri. Non riuscirò mai a capirvi. –
Il cranio tornò a toccare il suolo, ritornando nella sua posizione originaria. L’elfo, quindi, si rialzò voltandosi verso l’apertura dalla quale i suoi occhi potevano cadere sulle onde che, più in basso, cozzavano le une con le altre.
- Buon riposo, Seila. –
I vestiti si fecero piume, mentre i corpo dell’individuo si rimpiccioliva per assumere la forma del rapace che era entrato in quella sala poco tempo prima.
Pochi battiti d’ali furono sufficienti per permettergli di uscire all’aria aperta e fargli sorvolare le basse vette rimaste integre.

Ho ancora una tappa obbligata nel mio viaggio, prima di tornare da Loro.
Non rinuncerei a quest’occasione per nulla al mondo.

Il falco si posò nuovamente poco meno di una decina di minuti dopo, ai piedi delle poche colline che dividevano la Piana Infinita dalla catena montuosa dal quale arrivava.
Poco distante, un bosco cresceva indisturbato, cercando di rubare terreno alla desolazione che lo circondava.
Le piume scomparvero nuovamente. Questa volta, però non comparve la lunga giacca scura, né l’elfo che doveva riempirla.
Uno spettro nero poggiò i suoi piedi sul terreno coperto solo in parte da una bassa erba coriacea. Attorno al suo corpo aleggiava una densa nube scura, quasi catramosa, attraverso la quale si potevano riconoscere chiaramente solo i due occhi splendenti della creatura e una bocca, un taglio altrettanto lucente flesso in un ghignò quasi compiaciuto.
- Spero che non ti sia sentito troppo solo, in questi anni. –
Davanti a lui, una formazione nera svettava dal terreno. Centinaia di sottili filamenti neri si intrecciavano come i rami di un albero attorno a un grigio scheletro dagli arti troppo lunghi, cercando di rappresentare, con scarso successo, una forma antropomorfa.
- Oh, non ti preoccupare se non puoi rispondermi. Non mi offenderò. Ti sei divertito, tutto questo tempo? Tu, qui, da solo, con i vermi e le mosche che si insinuavano nella carte di quel corpo in cui ti eri inserito. Prima i tessuti molli, poi la pelle e i muscoli. Sarà stata una lunga attesa, aspettare che ogni singolo brandello di questa carne mortale ti scivolasse via di dosso. –
Il ghigno dello spettro si fece più largo, mentre i suoi passi lo portarono a girare attorno allo scheletro, come uno squalo attorno alla sua preda.
- Guardati, oh grande Follia. L’immortalità non è poi così bella, dopotutto, vero? Specialmente ora, che l’unico corpo che puoi permetterti è pietra su pietra. Magari, alla fine del mondo, verrò a farti compagnia per assistere allo spettacolo, tanto sarai qui per aspettarmi, no? –
L’intreccio di rigidi fili neri parve fremere, facendo assestare le ossa incastrate dentro quella gabbia.
- Lo prenderò per un “Certo, mio buon amico”. Ma non è per invitarti ad uscire che sono qui. Sai che quella ferita che mi hai inferto non era niente male? Certo, se non fosse stata in alcun modo rimarginabile sarebbe stata molto più problematica, ma già così fa la sua porca figura. –
La gabbia di filamenti vibrò di nuovo.
- Come? Non lo sapevi? Purtroppo sì, sto guarendo. La prossima volta dovresti impegnarti un po’ di più. E già che ci sei, prendi qualche lezione di scherma, il primo ad essere stato ferito, dopotutto, sei stato tu. –
Il reticolo vibrò ancora, facendo cadere a terra la sabbia e la polvere che gli si erano sedimentate sopra negli anni.
Lo spettro gli diede le spalle, guardando il cielo sopra le colline che si innalzavano a nord.

Mi deve aver visto.
Scontato, visti i sensi che ha sviluppato.
Sarebbe una bella rimpatriata, ma, al momento, trovo più interessanti i morti o i presunti tali.
I vivi, specialmente quelli nella sua condizione, non mi ispirano molto il dialogo, adesso.
Devo sbrigarmi ad andarmene.

- Non dovresti agitarti così tanto, Follia. Sarebbe un peccato se quel meraviglioso sistema circolatorio pietrificato andasse in frantumi. Vedrò di venirti a trovare ancora, mi raccomando, fatti trovare con il tuo abito migliore. –
Lo spettro fece una decina di passi veloci verso ovest, verso i monti che impedivano alla vista di raggiungere il mare.
Il fumo denso che avvolgeva quel corpo nero divenne ancor più solido, dividendosi in decine di piume color pece destinate a coprire le carni che si stavano rimpicciolendo.
Un corvo si levò in volo, puntando rapido verso l’altra porzione delle Terre.

Un imponente rapace atterrò sulle zampe posteriori, artigliando il terreno.
Le grandi ali bronzee si richiusero lungo il corpo slanciato, mentre gli occhi scuri pattugliavano i dintorni.
Nulla si muoveva attorno all’intrico di filamenti pietrificati.
La creatura fece qualche passo, spazzando la terra sabbiosa con la coda piumata che gli si apriva alle spalle.
Quando fu certo che non ci fosse nessuna anima viva nei dintorni e che i suoi occhi gli avevano giocato un brutto scherzo, tornò a spiegare le ali al vento, sbattendole un paio di volte per sollevare la sua mole da terra e tronare nel suo ruolo di pattuglia nei cieli sopra quella pianura.



Angolo dell'Autore:
Dopo due settimane di silenzio, rieccomi qui.
Ho un paio di cose da dire.
La prima riguarda il formato di questo capitolo, l'editor di EFP sta facendo i capricci e mi sto ritrovando a usare altre vie che non so se daranno lo stesso risultato di formattazione. In ogni caso, se mai dovesse uscire qualcosa di diverso dal resto, vedrò di sistemarlo il prima possibile.
La seconda è, per fortuna, una buona nuova. I prossimi capitoli saranno più lunghi, corposi e... sanguinolenti, direi. Troverò anche lo spazio per spiegare qualcosina che, finora, è rimasto in sospeso.
Grazie a tutti voi per seguirmi, grazie a Oldkey e la ragazza imperfetta per le loro meravigliose recensioni e, gente, alla prossima settimana.
Vago
   
 
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