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Autore: heliodor    21/07/2017    3 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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L'isola

La porta si aprì e Wena fece capolino oltre la soglia. Joyce non la vedeva da giorni. Non le era stato concesso di lasciare la cabina ma aveva tenuto il conto del tempo passato.
"Siamo arrivati" disse la strega.
La nave era ormeggiata a un minuscolo molo di legno. Il pontile cui era collegato correva lungo un tratto di costa dall'aspetto brullo.
A ridosso del porto sorgeva un piccolo villaggio di pescatori, formato da baracche dalle facciate dai colori sgargianti. Il sale aveva consumato la vernice, ma erano ancora visibili i disegni tracciati dai marinai. Pesci, piovre e animali che non aveva mai visto prima, tutti mescolati insieme. Il legno era marcio e tutto sembrava abbandonato da anni.
Wena la guidò in coperta, dove i marinai stavano legando le vele.
Mentre veniva calata una passerella per collegare la nave con il molo arrivò anche Oren.
"Vostra altezza" disse vedendola.
"Ti ho forse ordinato di parlare?" chiese Wena con tono minaccioso.
Oren la fissò con aria di sfida.
Lei sollevò la mano e gli rivolse un ghigno.
Scortati da Wena e una mezza dozzina di stregoni, Joyce e Oren vennero spinti giù dalla passerella e poi sul molo. Le assi scricchiolarono sotto il loro peso.
"Benvenuta a Vanoria" disse Wena guidando il gruppo verso le case. "L'ultimo avamposto civile prima del mare delle nebbie."
Dunque era lì che si trovavano.
Joyce aveva letto molte storie riguardo il mare delle nebbie. Nei romanzi d'avventura era dalle mitiche terre oltre di esso che arrivavano i maghi cattivi o le creature più pericolose, come i draghi.
Oltre il continente maggiore si estendeva una massa d'acqua che non era stata mai esplorata. Qualcuno diceva che oltre il mare delle nebbie c'era un intero continente inesplorato. Altri sostenevano che vi fosse solo altro mare. Alcuni credevano che alla fine del mare vi fosse il confine del mondo, oltre il quale nessuna nave poteva spingersi.
"Ti sei addormentata?" Wena la spinse con modi spicci. "Dobbiamo raggiungere la fortezza prima che faccia buio."
"Fortezza?"
Wena indicò un punto in alto.
Una montagna a forma di cono dominava l'isola. Lungo i suoi fianchi si scorgevano delle strutture simili a torri. Erano nere e luccicavano sotto la luce del sole.
Joyce non aveva mai visto niente di simile. Non era mai stata così lontana da Valonde e tutto le sembrava strano e misterioso.
C'era una carrozza che li attendeva fuori dal villaggio. Lei e Oren furono invitati a salire. Quattro stregoni presero posto insieme a loro.
Wena montò in sella a un cavallo insieme ad altri due stregoni. "Andiamo" ordinò.
Il corteo si mise in marcia.
C'era un'unica strada che saliva lungo il fianco della montagna con numerose svolte e curve a gomito.
Ci vollero due ore per completare la scalata. La carrozza e i cavalieri si fermarono di fronte a una delle torri.
Vista da vicino era ancora più strana. Piuttosto che eretta usando delle pietre, sembrava emergere dal terreno come se vi fosse cresciuta. Il materiale di cui era fatta era lucido come vetro.
"Siamo arrivati. Scendete" ordinò Wena.
Joyce era stanca dei suoi modi sgarbati. Lei e Oren si stavano comportando bene, anche se erano stati portati su quell'isola contro la loro volontà. "Non vi consento questo tono" disse alla strega.
Wena la fissò per un istante, poi reclinò la testa all'indietro ed esplose in una fragorosa risata. "Questa ragazza mi farà morire" disse rivolta agli stregoni presenti. "Chi credi di essere?"
Joyce arrossì. "Sono la principessa di Valonde."
"È solo un titolo. Sei nata principessa, ma non te lo sei guadagnato. Una volta re e principi lo diventavano grazie al potere. Hai sentito le storie sull'inizio del mondo?"
Joyce le aveva lette, ma non voleva risponderle. Si limitò a fissarla.
"Una volta, quando il figlio di due stregoni nasceva senza il dono, veniva abbandonato nei boschi affinché gli elfi cattivi se lo portassero via. È un peccato che questa legge non sia più in vigore."
"Io sono..."
"Tu sei solo un peso, principessa di Valonde. Sei un problema, una vergogna per tuo padre che ti tiene sempre al castello per non mostrarti in pubblico. Sei una moneta di scambio per ottenere un'alleanza. E sei un'esca."
Un'esca? Si chiese Joyce.
"Sei molte cose, ma nessuna di queste ti da il diritto di sentirti superiore a noi."
Ma chi era questa strega? E che razza di discorsi faceva? Le sembrava di sentire Lindisa, la strana ragazza che aveva accompagnato Galef a palazzo.
"E ora andiamo di sotto."
La torre era cava. All'interno vi era una scala scavata nella roccia che affondava nel fianco della montagna. Due stregoni la sorvegliavano.
Joyce e Oren seguirono Wena giù per le scale. Mano a mano che scendevano la luce diminuiva e il calore aumentava.
Le torce allineate lungo le pareti scavate nella roccia fornivano una luce appena sufficiente a impedire che ruzzolassero.
Le scale terminarono all'improvviso. Si trovavano in una sala circolare scavata nella roccia viva.
Chi aveva scavato quel posto? Si chiese Joyce.
"Da questa parte."
Joyce inciampò in un ostacolo e cadde. Riuscì ad attutire la caduta con le mani.
Oren cercò di aiutarla, ma lo stregone accanto a lui lo trattenne per un braccio.
"Che ti prende?" domandò Wena. "Non ti reggi in piedi?"
"Ho le gambe intorpidite" si lamentò Joyce.
Wena fece spallucce. "Troppo tempo passato nella cabina. Breca, aiutala. Non voglio stare qui tutta la giornata."
Una delle streghe che li accompagnava aiutò Joyce a sollevarsi e la sostenne per il resto del tragitto.
Sotto la montagna qualcuno aveva scavato dei cunicoli e delle sale. Alcune di queste erano state chiuse con delle porte dall'aspetto massiccio. Una di esse venne aperta e Joyce invitata a entrarvi senza tanti complimenti.
La sua situazione non era tanto diversa dalla nave.
"Tu stai qui buona" disse Wena.
"Dove portate Oren?"
"A fare un giro. Tranquilla, non gli facciamo niente" disse la strega sorridendo.
Joyce sentì l'irritazione salire.
Wena chiuse la porta.
Joyce udì due scatti provenire dalla serratura e poi passi che si allontanavano.
Sospirò e diede un'occhiata alla sua cella. Le pareti erano di solida roccia e non c'erano finestre che dessero sull'esterno. L'unica uscita era la porta ben chiusa dall'esterno.
Era più spaziosa della cabina. C'era un letto vero invece di una branda, con lenzuola pulite e persino dei cuscini. In un angolo c'era un baule e vicino a una delle pareti era stato sistemato uno scrittoio dotato di specchio.
Joyce appoggiò la borsa sullo scrittoio e diede un'occhiata all'immagine nello specchio. Aveva i capelli arruffati e il vestito era sgualcito, ma era ancora lei. Ed era tutta intera. Dopo quello che aveva passato era già tanto.
Però sapeva che il peggio doveva ancora venire.
Sei un'esca.
Le parole di Wena risuonarono nella sua mente.
Se lei era un'esca quale animale stavano cercando di catturare?
 
Poche ore dopo il loro arrivo venne un inserviente a portarle del cibo. Non uno stregone, ma un semplice ragazzo che poteva avere l'età di Oren. Appoggiò il vassoio sullo scrittoio e fece per andarsene.
"Aspetta" disse Joyce. "Chi sei?"
Il ragazzo esitò. "Non ho il permesso di parlare."
"Non puoi parlare con me?"
"Non posso parlare con nessuno."
Joyce stava per fargli un'altra domanda, quando la porta si aprì e apparve uno stregone. "Hai finito, Adrien? Quanto ci vuole a servire quella zuppa?"
Adrien chinò la testa e uscì dalla stanza.
Lo stregone richiuse dopo averle gettato una rapida occhiata.
Rimasta sola, Joyce rifletté su quello che aveva visto. Non erano tutti stregoni gli abitanti dell'isola. E quelle case viste al molo stavano a indicare che qualcuno abitava in quel posto. Forse Adrien era uno degli abitanti?
Non lo avrebbe saputo fino alla sua prossima visita.
Decise di restarsene buona e in silenzio fino al giorno successivo. Doveva pensare a cosa fare e come farlo. Il rischio di essere scoperta era troppo grande. Un solo errore e per lei era finita.
Ma non era sempre così da quando aveva iniziato a praticare la magia contro natura? Non correva il rischio di essere scoperta e giustiziata ogni volta che recitava una di quelle formule?
Però quella volta era diverso.
Sei un'esca.
Non riusciva a trovare niente di buono nell'essere un'esca. Le esche erano le prime a venire divorate durante la pesca. Lei non voleva essere divorata, soprattutto non per la gioia di quell'insopportabile strega.
Decise che avrebbe agito la sera del giorno successivo, dopo che Adrien fosse venuto a portarle la cena.
Attese che l'ora si avvicinasse, ripassando alcune formule. Doveva tenersi in esercizio se non voleva dimenticarle.
Adrien venne puntuale portandole il vassoio con un piatto fumante appoggiato sopra. Stavolta non disse una parola.
Joyce notò che aveva un occhio cerchiato di viola.
"Ti hanno picchiato?"
Adrien non rispose e si avviò alla porta.
Lo stregone del giorno prima chiuse la porta in malo modo. Mentre si allontanavano sentì la rabbia montare dentro di lei.
Suo padre aveva sempre detto che gli stregoni non dovevano abusare dei loro poteri.
"Il dono non ci viene dato per opprimere chi è nato senza poteri, ma per difendere i più deboli e gli innocenti."
Ripeteva questa lezione ai quattro figli e spesso Joyce era presente, anche se ancora bambina. Ricordava che allora Bryce l'abbracciava stretta, come se volesse proteggerla.
Le mancava Bryce. Il suo ricordo le provocava una fitta dolorosa al ventre. E le mancavano sua madre e Galef, che di tutti i suoi fratelli era stato sempre il più protettivo nei suoi confronti.
E le mancava Vyncent. Chissà se era tornato a Londolin come aveva promesso di fare quando aveva lasciato Valonde dopo aver saputo dell'accordo fatto da suo padre.
Se fosse stata capace di raggiungere una nave in partenza quella sera, ora forse sarebbe con lui e non in quel guaio...
Fece passare due ore prima di agire. Era un tempo ragionevole. Dopo la cena la maggior parte degli stregoni sarebbe andata a dormire e ci sarebbe stata meno possibilità di incontrare qualcuno che se ne andava in giro.
Prese dal baule un vestito blu e verde e lo indossò, quindi usò la trasfigurazione per diventare Sibyl. Infine divenne invisibile.
Ormai quei gesti le stavano diventando familiari.
Recitò la formula del richiamo.
La cella sparì e si ritrovò sulle scale, nel punto esatto dove il giorno prima aveva finto di cadere. Era stata costretta ad agire in fretta per non insospettire Wena e gli altri stregoni. Per fortuna nessuno aveva notato il marchio che aveva impresso sopra le scale sussurrando a fior di labbra la formula giusta.
Come si era aspettata il corridoio scavato nella roccia era vuoto a quell'ora. La fortezza era silenziosa.
Il giorno prima aveva memorizzato il percorso fino alla sua cella, perciò non le fu difficile ritrovare il corridoio giusto dopo cinque o sei svolte.
Nessuno era di guardia fuori dalla porta.
La cosa non la stupì. In fondo lei era solo la piccola e indifesa Joyce, nata senza poteri in una famiglia di stregoni.
Non c'era niente da temere da lei, potevano lasciarla chiusa nella sua stanza e andarsene a dormire.
Joyce non sapeva se sentirsi infuriata o sollevata per essere sempre sottovalutata. Finché poteva sfruttare a proprio vantaggio quella cosa avrebbe fatto credere questo a Wena e i suoi stregoni.
La porta era chiusa e non c'era modo di aprirla. Forse un dardo magico avrebbe distrutto la serratura, ma il rumore avrebbe messo in allarme gli stregoni.
Il compendio magico di Lacey non conteneva una formula per scassinare le serrature, quindi doveva trovare la chiave.
Da lì in poi iniziava la parte sconosciuta della fortezza e non poteva correre il rischio di perdersi. Si avviò lungo il corridoio.
C'erano stanze scavate nella roccia a intervalli regolari ed erano tutte vuote. Quella zona sembrava disabitata.
Ogni tanto incrociava una sala occupata da barili e casse allineate contro le pareti.
Erano dei magazzini?
Anche gli stregoni avevano bisogno di mangiare e bere.
Procedendo trovò delle stanze chiuse da robuste porte di legno. Vi passò accanto senza osare bussare. Non voleva correre il rischio di dare l'allarme. C'era la possibilità che dietro una di esse vi fosse Oren, ma per ora doveva aspettare.
Mano a mano che avanzava capì che la fortezza aveva uno schema molto semplice. Si trattava di un lungo anello scavato nella roccia che curvava verso sinistra. A intervalli di cinquanta o cento passi c'erano sale laterali sia a destra che a sinistra.
Solo una volta si imbatté in scale che portavano verso l'alto.
Un livello superiore?
L'avrebbe esplorato in seguito, nel caso fosse stato necessario.
Qualcosa attirò la sua attenzione.
Una figura stava uscendo da una sala laterale. Lo riconobbe subito: era Adrien.
Il ragazzo chiuse la porta a chiave e si avviò lungo il corridoio.
Joyce lo seguì cercando di non fare rumore. Il ragazzo non si voltò nemmeno una volta.
Arrivato a una porta tirò fuori una chiave e la infilò nella serratura, facendola scattare. Quindi entrò nella stanza senza richiudere.
Joyce ne approfittò per avvicinarsi e gettare un'occhiata all'interno.
Era un magazzino come quelli che aveva visto venendo lì, ma le casse erano più grandi e recavano dei simboli disegnati sopra i lati, una sorta di cerchio inscritto in un triangolo.
Non aveva mai visto quel simbolo in vita sua.
Il ragazzo stava sistemando qualcosa su una mensola.
Joyce decise di agire.
Divenne visibile e chiuse la porta.
Adrien, allarmato, si voltò di scatto. I suoi occhi incontrarono quelli di Joyce, ma lui poteva vedere solo il viso di Sibyl.
"Non fare rumore" disse Joyce facendogli cenno di tacere.
"Chi sei?" domandò Adrien.
"Un'amica."
"Della strega?"
"Se ti riferisci a Wena, no. Non sono sua amica."
Adrien sembrò rilassarsi. "Che cosa vuoi?"
Joyce doveva agire con calma. "Chi ti ha ridotto l'occhio così?"
Adrien fissò il pavimento.
"A me lo puoi dire."
"Ho parlato con la prigioniera."
"Solo per questo?"
Adrien annuì.
Joyce sentì montare la rabbia. "Ci sei solo tu, qui?"
"No, c'è la gente del villaggio. Ci hanno chiusi nella fortezza quando sono arrivati gli stregoni."
"Perché?"
"La strega dice che è per la nostra sicurezza. Ma non ci dicono niente, a parte di stare zitti e ubbidire."
Erano esche anche loro? Se così aveva il dovere di fare qualcosa anche per gli abitanti del villaggio.
"Adrien" disse scegliendo con cura le parole. "Ho paura che la fortezza non sia affatto sicura per te e la tua gente. Mi serve il tuo aiuto." Doveva scoprire quali erano i piani di Wena.
Adrien sembrò pensarci sopra. "Che devo fare?"
"La chiave che hai usato per entrare qui apre anche le celle?"
"No, quella ce l'ha Voada. Questa apre solo la porta dei magazzini."
Voada era lo stregone che lo aveva accompagnato? "È lui che ti ha fatto l'occhio nero?"
Adrien annuì.
"Mi occuperò io di lui" disse Joyce. "Sai dove dorme?"
"Tutti gli stregoni stanno al piano di sopra, ma io non ci posso andare."
Io sì, pensò Joyce. "Ora ascolta bene quello che ti dico." Spiegò ad Adrien cosa doveva fare.
Quando ebbe finito gli disse di aspettare cinque minuti prima di uscire dal magazzino. Appena nel corridoio Joyce si rese invisibile e andò alle scale. "E ora andiamo a trovare Voada" disse a bassa voce.

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