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Autore: __f__r__a__    22/07/2017    0 recensioni
L'emozione che si fa spazio tra le riflessioni. Il cuore che si agita tra le costole. Il raggio di luce nascosto, soffocato dall'oscurità. L'introspezione. La crescita di un'anima. Il rovello interiore. L'evoluzione di un pensiero, resa simbolicamente da sottili analogie. E' questo ciò che vuol rappresentare l'unione dei "racconti" che riporterò nei prossimi giorni su questo sito, i quali non dovranno essere considerati come i capitoli di una stessa storia, ma come tanti piccoli tasselli di un puzzle in ordine sparso, volti all'analisi e alla comprensione delle problematiche della società contemporanea.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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~ Liberi di amare~   Incontri impossibili pt.2 (2015)
 
“Stacco la spina.                                                                                                                                                                     Questa volta scappo via.
Già.
Questa volta lo faccio. Ho bisogno di un po’ d’ aria.
L’ho detto, per cui se l’ho detto, lo faccio.
L’ho detto? Sì, l’ho appena scritto, no?
Penso che arrivi per tutti questo momento: nella vita, prima o poi, succede. Succede cosa?”

 
Tu… Beh tu eri diversa dalle altre. Tutti siamo diversi, gli uni dagli altri. Mi piaceva il tuo modo di essere diversa. Ci hai mai pensato? Siamo così complicati noi esseri umani. Siamo una combinazione di tante cose. Forse sogni,chissà…                                            Ho sempre provato un po’ di invidia nei confronti degli altri, per qualsiasi motivo, anche stupido, ma non per te. Semmai, curiosità.
Noi uomini ci fottiamo da soli, siamo delle fottute creature, delle fottutissime creature. L’ignoto ci impaurisce, ci innamoriamo per poco, perché nessun sentimento è definitivo, e le nostre passioni ci divorano, vogliamo sempre ciò che non possiamo avere. Perché dobbiamo essere puniti così? E’ a causa di quale crimine commesso in esistenze passate? E poi… Siamo così fragili! Potremmo morire di qualsiasi cosa, se solo lo volessimo: niente ci uccide come i nostri stessi pensieri.                                                                     Non ci accontentiamo mai, vorremmo avere tutto, vorremo essere noi stessi ma giuro, non esiste un giorno, non uno solo, in cui non desideriamo essere diversi da noi stessi, anche solo per toglierci lo sfizio di provare a essere un altro.
Esistere.
Esistere è quello che desideriamo tutti.                                                       E questo non ci basta, noi vogliamo essere felici, e lo sapete perché?                         Perché non potremmo mai esserlo. Noi uomini siamo dotati di molta fantasia, inventiamo tante belle parole, come ad esempio: felicità, libertà, verità, eternità …Con tanto di accento sulla ‘A’, solo perché ci piace enfatizzare: ci fa provare quel brivido che ci serve. Quando stiamo male invece l’ unica cosa che desideriamo è scomparire, non morire, ma proprio scomparire, scomparire per non apparire mai più, nemmeno in un altro posto.
Semplicemente non esistere.
Dici che è un paradosso? Non c’è vita dove non subentra contraddizione.                     Ognuno ha il suo modo di essere Sé ed è questo che ci rende tutti diversi, ognuno ha quelle proprie caratteristiche che non potranno mai essere né vendute né comprate. Insomma, non so se mi spiego, forse è un po’ contorto … Ma per farla breve ognuno di noi ha qualcosa che nessun altro potrà mai avere. Ecco perché li invidio, li odio, in fondo in fondo, un po’ tutti … Ma non te. Giuro, non ti ho mai odiata, nemmeno per un attimo!                                   Sentirsi inferiori agli altri? La storia di una vita, la mia vita. Se tutti noi ci volessimo più bene e passassimo più tempo ad amare ed apprezzare i difetti degli altri invece di odiare e invidiare le doti altrui, questo problema non ci sarebbe e il mondo sarebbe migliore. Il punto è: come si fa ad amare gli altri? Come si fa ad amare se stessi?  Che siamo tutti un perfetto disastro, un pastrocchio improponibile, un miscuglio di tanti colori inesatti eppure bellissimi, casuali e per questo imprevedibili.
 Quella di poter capire o intuire o prevedere qualcosa non è altro che un’apparente consolazione, necessaria per ignorare la consapevolezza, che inevitabilmente tutti abbiamo, che potenzialmente si può conoscere tutto e tutti, ma nessuno sa in realtà assolutamente niente rispetto alle infinite combinazioni che crea la vita, il destino, il caso (?) Rispetto alle interminabili sfaccettature dei sentimenti e di ciò che ne scaturisce, delle capacità umane. Cos’è che sfugge alle capacità umane? Non so, sicuramente tutto e niente, ma tra questo tutto e niente a me sfuggi tu.                   
Mi sei sempre sfuggita.                                                                       Eppure se si scava bene, c’è sempre qualcosa scritto nel nostro codice, anche una singola lettera, nascosta in fondo alla nostra anima che ci accomuna a un altro, nonostante le infinite diversità che ci distinguono. Mi piaceva il tuo modo di essere diversa da me. Mi piaceva il modo in cui riuscivo a vederti ‘simile’ a me.

 
Per quanto potesse essere insicura, timida, introversa… Si era sempre fatta valere e non era mai fuggita davanti a nulla. Sì, perché era coraggiosa e se è per questo lo è ancora e non smetterà mai di esserlo. Nonostante tutto, lei riesce ancora a sognare e non potete avere idea di quanta forza sia necessaria per farlo. Questo ho voluto specificarlo affinché nessuno possa mai fraintendere il suo gesto: non è scappata da una decisione, lei sa che scappando non si risolve mai nulla. Non si può superare un malessere che nasce da dentro rifugiandosi altrove.
Lei, semplicemente, ha deciso di andarsene.
Solo per un po’ però, anzi per pochissimo, per poi tornare.
E non voglio nemmeno che voi fraintendiate me: questa non è una storia triste. Non mi sento di definirla nemmeno ‘felice’, perché io alla felicità non ci credo, ‘umana’ è l’aggettivo che la dipinge meglio. A dire il vero, questa forse non è neanche una storia.                     
 Lei non ha mai giudicato gli altri. Non voglio idealizzarla ma davvero penso che non l’ abbia mai fatto. Forse raramente. “Non capisco neanche me stessa, come potrei capire gli altri?” Eppure lo faceva: lei capiva gli altri, o per lo meno ci provava. Adesso era arrivato il momento di capire se stessa. Succede che questo momento arriva, come quando un quadro cade, tanto per citare Alessandro Baricco:
A me m'ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran. Non c'é una ragione. Perché proprio in quell'istante? Non si sa. Fran. Cos'é che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più? C'ha un'anima, anche lui, poveretto? Prende delle decisioni? Ne ha discusso a lungo col quadro, erano incerti sul da farsi, ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un'ora, un minuto, un istante, è quello, fran. O lo sapevano già dall'inizio, i due, era già tutto combinato, guarda io mollo tutto tra sette anni, per me va bene, okay allora intesi per il 13 maggio, okay, verso le sei, facciamo sei meno un quarto, d'accordo, allora buonanotte, 'notte. Sette anni dopo, 13 maggio, sei meno un quarto, fran. Non si capisce.
È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi che è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio. Quando, in mezzo all'Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse: "A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave".
Ci rimasi secco.”

Quando lei, d’un tratto, capì se stessa e gli gridò: “Baciami!”
Ci rimase secco.
Il vento, a forza di prenderla a schiaffi, asciugò la lacrima che le era sfuggita dall’occhio destro, l’unica lacrima, caduta così, quasi senza motivo, come quando un quadro decide di cadere. Forse si sentiva troppo sola in quell’ occhio così grande, così profondo, così infinito… Allora aveva deciso di buttarsi. E giù! Via per sempre. Era arrivato il momento anche per lei! Facendo pressione sulle cosce si alzò e cominciò a pedale con forza, sfrecciando via veloce con quella sua bicicletta verde e arancio. E così, come stavo dicendo, il vento prosciugò quella lacrima. A parte tutto, con quel caldo, era davvero piacevole: quella sensazione di inarrestabilità. Era incredibile, non penso esistano parole adatte a chiarire meglio questo concetto, avete presente un wormhole? Di certo lei in un wormhole non c’era mai stata ma avrebbe giurato che a correre via veloce con una bicicletta ci si sente come quando si è inghiottiti da un wormhole. Ovviamente non parlo di buchi di vermi ma del ponte di Einstein: una “scorciatoia” da un punto dell’universo a un altro.
Poi si ferma.
Bum.
Di colpo finisce tutto. Quando si arriva a destinazione quella magia svanisce. Tu credi alla magia?                                                        
Mise il primo piede a terra e poi anche l’altro, si tolse le scarpe buone e le accantonò lì, per terra, vicino i secchioni della spazzatura, insieme alla bicicletta. Guardò davanti a sé e per un attimo si sentì smarrita: fece un passo, poi un altro, poi un altro ancora, lentamente ma senza fermarsi, fino a che arrivò a riva, quel breve tratto che separa la terra dalle acque. A vederla, in quel momento, nessuno avrebbe pensato che quel gesto fosse premeditato. Peccato solo che quel cielo fosse rosa e che lì non ci fosse nessuno, assolutamente nessuno. Non ancora.                                      
Si tolse prima i pantaloni, poi gli slip, poi la maglia e ciò che le rimaneva della biancheria, lanciò i suoi vestiti su uno scoglio e continuò a camminare.                                                                                          
Un gesto apparentemente insignificante ma così poco conforme alla sua natura, tanto che se qualcuno fosse stato lì, qualcuno che la conoscesse, non l’ avrebbe di certo riconosciuta: si era spogliata proprio di tutto, dei vestiti, dei comportamenti, dei pensieri, del passato, della sua stessa vita. E chi l’ avrebbe mai riconosciuta? Forse uno sì, e fin dal primo istante, senza indugi né dubbi o incertezze. Perché per certe cose non esiste via di mezzo: o sono nere o sono bianche e non c’è spazio per il grigio o altre sfumature. Una persona se la conosci, la conosci e la riconosci sempre, comunque e ovunque, in pochi istanti, anche al di fuori di casa sua, al di fuori delle sue abitudini, senza stupirti mai delle sue parole, delle sue azioni… E senza smettere mai di stupirti. Ci scappa il paradosso? L’amore non vive se non è contorto. Ed è qui l’ inganno, è qui che resti fregato, quando ti accorgi che quella persona non può stupirti più eppure continua a farlo. Non esiste vita senza contraddizione. E cos’è l’ amore se non conoscenza intima e perfetta dell’anima di un uomo? A noi uomini puoi toglierci di tutto infatti, come quando lei togliendosi i vestiti si è liberata di ogni cosa, compreso il passato e  le transizioni poste dal tempo. Siamo fatti a strati, e puoi provare a sfilarli uno a uno come se fossero vestiti e poi lo sai che resta?

L’ anima.
Che cos’è l’ amore se non vita? E l’amore si nutre di ingiustizie e paradossi, sempre. Perché l’ amore è dubbio e l’ho detto già prima: la verità se l’è inventata un giorno un illuso.                                      
Quindi lui la vide. E vide lei, non una sconosciuta.                                 
Quando uscì dall’acqua, vide le goccioline scivolare veloci lungo il proprio corpo, partendo dai lunghi capelli biondo cenere tesi sulle curve del proprio corpo magro e slanciato, passando per la schiena e contemporaneamente sulla pancia, oltrepassando l’ ombelico, mentre alcune scorrevano già sulle ginocchia per arrivare ai piedi. Che impressione faceva a vederli così bianchi quei piedi, e pensò per la prima volta e solo adesso qualcosa: “Menomale che non ho uno specchio, a guardarmi così in queste condizioni… Forse mi spaventerei. Non penso che il mascara e la matita nera siano stati così cortesi da scendere fino a terra insieme alle goccioline”, come se fosse tornata in sé. Ci preoccupiamo sempre del nostro ‘strato’ più esterno… Noi:                      
 poveri uomini!                                                                                             
Qualcuno che non la conoscesse, a vederla in quel momento, avrebbe sicuramente pensato che avesse i capelli lisci. O forse, come è più logico ammettere: a vedere quella scena un uomo non si sarebbe di certo preoccupato della forma che avrebbero assunto i suoi capelli una volta asciutti, era così bella.                                                                            
Era per dire che lui riconobbe immediatamente in quella massa bagnata e dritta i suoi capelli. Se lo sentì dentro. 
Certe cose uno se le sente.                                                                                    
In ogni caso, tanto per puntualizzare ed essere precisi, noi uomini non siamo fatti per la logica, siamo fatti per tante cose, chissà… Per sognare forse, ma per la logica proprio no. O forse, è solo che la logica non fa per me.

 
-Hai paura della velocità?
-No. Non so, forse un po’.
-Quando ero piccolo e andavo in auto con mio padre  e lui correva, mi sentivo libero.
-Davvero?
-Sì, ricordo quelle giornate in cui andava tutto storto. Poi salivo in auto con mio padre, che magari era lì ad aspettarmi dietro l’angolo. Preferiva percorrere strade isolate, in modo da poter sfiorare i duecento orari, o poco meno, quanto gli permetteva l’auto insomma… E ricordo il vento venirmi in faccia, anche se non c’erano spifferi. E ricordo il paesaggio che ci sfrecciava affianco, a destra e a sinistra, come se dovessimo venir inghiottiti dalla strada. E io mi sentivo libero, libero da ogni preoccupazione. Libero dalla vita, fino a quando la strada non finiva ed eravamo a casa e man mano ricompariva tutto… Ma stavo un po’ meglio. Non lo scorderò mai, mio padre.
Non smetteva mai di guardare la strada mentre parlava, svoltammo a sinistra in quella macchina bassa e aerodinamica, non sapevo dove mi stesse portando, ma che importa? Poi dissi quasi sottovoce:
-Come in un Wormhole…
-Cosa?
-Niente, lascia stare.
-Non l’ avevo detto mai a nessuno.
-E perché adesso lo hai detto a me?
-That the nights were mainly made for saying things that you can’t say tomorrow day.
-Ah! Perché in inglese?
-Boh, perché fa più figo.
Risi. Quando scendemmo dall’ auto mi accorsi di essere scalza, ma eravamo di nuovo a volare su della sabbia, per la prima volta feci caso a quanto fosse stranamente piacevole sentire i granellini di sabbia che avvolgono le dita dei piedi, quando ci si abitua. Era una spiaggietta strana, piccola, ai piedi di una montagna. Ed erano passate le tre di notte, penso. Eravamo seduti vicino, nascosti una pseudo-caverna bucata sul soffitto. Per arrivarci ci eravamo bagnati fino alle ginocchia. Ed ero lì, a guardare le stelle, con le spalle avvolte nel suo braccio sinistro. Era da tanto che non mi fermavo un attimo a guardare il cielo… Forse era questo quello che mi serviva: fermarmi un momento. E lo feci. Con lui. Non le avevo mai viste brillare così tanto, facevano dei bei riflessi sulle onde del mare. Non c’era la luna quella notte. Non ci dicemmo quasi nulla, per molto tempo non ci guardammo neanche. Non eravamo come due persone che non hanno più nulla da dirsi, al contrario eravamo come due persone che restano vicine, per ore, in silenzio, dicendosi un mucchio di cose.                                           –Tu sai tutto di me. Quello che non sai puoi immaginarlo. Adesso voglio sapere io tutto di te. Allora? Sbrigati, sono le quattro e trentasette, tra poco sorgerà il sole e la notte sarà finita.                                                                                     All’ improvviso uno scroscio. Cominciò a piovere forte. Com’era possibile? Il cielo era rosa la sera prima, lo sanno tutti che quando al tramonto il cielo è rosa ci sarà bel tempo la mattina dopo!                                                                
Scattai in piedi, gli presi la mano e gli gridai “Vieni!”.
-Piove!
-Corri!
Corremmo a lungo, sotto la pioggia, nell’acqua del mare. Corremmo come due idioti!
-La macchina è dall’altra parte!
-Lo so! Continua a correre!
-Per dove?
-Dovrei saperlo?
-Tu sei pazza!
-Grazie!
Non avrebbe mai potuto farmi un complimento migliore, i geni sono tutti pazzi. A volte credo sia meglio essere solo pazzi, senza essere geni.
Poi mi fermai, lui dietro di me ed avevamo il fiatone. In quel momento smise di piovere ed eravamo inzuppati dalla testa ai piedi. Urlò
-Spiegami perché l’hai fatto!
-E’ molto semplice: Volevo vedere com’eri con i capelli bagnati.
Era irresistibilmente sconcertato. Si voltò per guardare l’orizzonte. Ci stavamo ancora tenendo la mano, poi come se avesse fretta guardò me.
-Sbrigati! La luce! Sbrigati, dimmi qualcosa che non potrai dirmi con la luce!
Quasi non c’era tempo, ma le parole non sono necessarie ai sentimenti. Capii che ne bastava una. Ed era una parola nuova, una che non avevo mai detto.

 
Quando lei, d’un tratto, capì se stessa e gli gridò: “Baciami!”
Ci rimase secco.
Sì baciarono e furono liberi. Entrambi. Insieme.   
~Fine.
 
 
 
 
 
   
 
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