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Autore: Lupe M Reyes    22/07/2017    5 recensioni
A Blair piace fare i turni di notte alla biblioteca dell'Arca. Fino alla sera in cui il Cancelliere Jaha non si presenta alla sua porta... Per impedirgli di inviare sulla Terra John Murphy, Blair cede al ricatto e contribuisce al progetto sui Cento. Ma l'incontro con Bellamy Blake cambierà ogni equilibrio. Fino al giorno in cui non diventerà lei stessa la persona numero 101 a raggiungere la Terra.
[Arco temporale: prima stagione]
Personaggi principali: Blair (personaggio nuovo), Murphy, Bellamy, Raven, Clarke, Jaha
Personaggi secondari: Finn, Octavia, Kane, Abby, Sinclair, Jasper, Monty
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, John Murphy, Raven Reyes
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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BELLAMY
 
“Oh, John Murphy, che Dio maledica il giorno in cui ho cominciato a volerti bene!”
Butto in terra i quaderni e gli lancio dietro la penna. Mi lascio cadere all’indietro e allungo la schiena sul pavimento.
Sono sei ore che sto lavorando al progetto sui Cento e non ho cavato un ragno da un buco. Un libro da un buco. Mi fa male il sedere per tutto il tempo che ho passato rannicchiata. Mi domando come abbia fatto il mio entusiasmo iniziale ad esaurirsi tanto in fretta. Forse, semplicemente, mi sono resa conto che mi ero sbagliata. Che non ce la farò mai.
Guardo la teca di fronte a me. I libri mi fissano, al di là del vetro.
Chi sono io per giudicare se Salinger ha diritto all’immortalità e Simone de Beauvoir no? E poi io sono una pippa con la letteratura orientale. Non salviamo nessun orientale perché a scuola ho scelto a caso il corso di Letteratura africana invece di Letteratura cinese e poi non l’ho mai più approfondita?
Come diavolo può aver pensato Jaha che potessi essere la persona giusta per questo lavoro? Ho diciannove anni! Diciannove!
“…per me, in questo caso più che mai, la segretezza è più importante di un lavoro ben fatto.”,
aveva detto.  
Ma nemmeno la mia condizione di persona ricattabile giustifica la loro decisione. Dev’esserci qualcos’altro sotto e decido che lo scoprirò. Anche se non stasera.
Stasera si sceglie.
 
Sono partita dai venticinque libri fondamentali. Venticinque. Mi sento male al solo pensiero di quella cifra idiota. Ho scritto i numeri in colonna sul foglio, ho preso la matita e lì sono rimasta.
Per la prima volta da quanto questa storia è cominciata, il suono del campanello non mi agghiaccia, ma mi salva.
 
Corro all’ingresso e accendo la telecamera.
È il fratello di Octavia Blake, la guardia. Era ora che si facesse vivo.
Non dico nulla, non attivo il suo microfono, lo faccio entrare.
 
Stanotte è in borghese. Sì, decisamente viene dal mio settore. Il quattro è il solo posto dove si possa andare in giro in questo stato senza essere presi a parolacce dai vicini.
Sull’Arca l’aspetto esteriore è la cosa più importante, dopo il cibo e le droghe sintetiche. Buona parte della nostra economia gira attorno a Centri Estetici e sartorie. Ripeto, non c’è molto da fare sull’Arca, quindi c’è molto da essere – e vieni giudicato prima di tutto in base a questo. Anche nel settore quattro, per quanto ci vantiamo di essere i meno superficiali della base spaziale; la verità è che siamo quelli che se lo possono permettere di meno. Io e Bellamy Blake rientriamo nel cliché e stasera è evidente più che mai.
Lui porta una felpa grigia con un cappuccio e dei pantaloni inguardabili. Scarpe da ginnastica inguardabili.
Io indosso una salopette mezza strappata (non ad arte, per l’usura) da cui sbuca una maglia gigantesca (non oversize appositamente scelta, è di John), ho maniche e calzoni risvoltati e gli stivali da trekking ai piedi. Gli stivali da trekking sono la cosa più stupida che si può  possedere su una navicella spaziale quindi John si era sentito in dovere di regalarmeli – e, parallelamente, di rivendere al mercato nero le altre scarpe che avevo – in modo che non potessi esimermi dall’indossarli. Se non adorassi quel ragazzo, lo odierei.
 
Guardo il giovane di fronte a me e per la prima volta lo vedo davvero. Un po’ perché stanotte non sono strafatta di adrenalina, un po’ perché stanotte non ho abbassato le luci, nel tentativo di tenermi sveglia.
Sì, avevo ragione: lentiggini. E occhi piccoli, rotondi, scuri. Capelli neri. Nascosti sotto il cappello, al nostro primo incontro non li avevo notati. Forse non li portava nemmeno così spettinati. Sono mossi, quasi ricci. La tentazione di infilarci le dita in mezzo mi coglie alla sprovvista, disorientandomi per un attimo. Lui si tira su le maniche della felpa, scoprendo le braccia. Socchiudo le labbra per reazione spontanea.
Lui non mi da il tempo di notare altro, perché inizia a muoversi e a parlare, costringendomi a seguirlo. Si avvia verso l’ufficio con lunghe falcate da militare, manco fosse il suo posto di lavoro.
“Dunque, se vogliamo riuscire a fare qualcosa, dobbiamo farlo in fretta. Kane ti ha dato quattordici giorni per terminare il lavoro e altri due perché loro potessero revisionarlo e caricarlo sui bracciali. Il sedicesimo giorno, i Cento vengono spediti sulla Terra.”
Il riassunto è esatto, perciò non dico nulla, limitandomi a cercare di tenere il passo.
“Vuol dire che noi abbiamo tredici giorni, da stasera dodici, per riuscire nell’impresa.”
Mi fermo in mezzo al salone ma lui mi ignora e prosegue, lasciandomi indietro.
“Quale impresa?”
“Impedire il lancio.”,
risponde, senza nemmeno voltare la testa indietro.
Mi prendo qualche altro istante di sconcerto prima di inseguirlo. È già in fondo alla sala, pronto ad entrare nell’ufficio.
“Cos’hai detto?”
“Ho detto: impedire il lancio.”
Entra in ufficio e finalmente si ferma. La mia frenata in ritardo rischia di farmi ribaltare addosso alla sua schiena. Incespico. Lui si volta.
“Ci stai?”
“Ma certo che no. Com’è che ti chiami, tu?”
Lui guarda al di là della mia testa, alla teca. Si è portato le mani sui fianchi e gonfia il petto per inspirare. Lasciando uscire l’aria dal naso, non può esimersi dal raschiarsi la gola, tanto per sottolineare con maggiore enfasi il fastidio che gli da la mia risposta.
“Bellamy.”,
sbuffa.
Io annuisco.
“Bellamy. Io sono Blair.”
“Lo so chi sei.”
“Perché stasera sei così nervoso?”
“Non saprei. Octavia che sta per essere spedita a crepare? La nostra base spaziale che implode su se stessa? La fine del genere umano?”
Mi sembra di sentir risuonare il tono sarcastico di John in quella reazione e nonostante tutto mi sfugge un sorriso, che mi affretto a rivolgere al pavimento. Lui se ne accorge comunque.
“Che c’è?”
“Niente. Senti, prima io credo che dovremmo analizzare cosa…”
“Non gli lascio mandare mia sorella a morire sulla Terra senza fare niente.”
Ha scandito una parola alla volta. Sgrana gli occhi e inclina il busto verso di me. Sarebbe minaccioso non fosse che il suo viso è una maschera di dolore, non di rabbia.
Mi lascio commuovere. La sua ansia per la sorella fa da specchio alla mia per John. Anzi, è la prima volta che qualcuno mi mostra da fuori cosa significhi essere nella mia posizione.
Ecco come ti trasforma i lineamenti la più totale, cocente impotenza, quando è mischiata alla paura, e strangolata dall’amore. Bellamy si riflette in me.
Vorrei avvicinarmi ma siamo già a pochi centimetri.
“Se tua sorella rimane qui non so se le cose andranno meglio. Hai sentito cos’ha detto la Griffin sull’Arca…”
“Tu le credi?”
“Sì che le credo.”
Lui sbuffa di nuovo.
“Ok, ammettiamo che sia vero. Devono per forza mandarci mia sorella?”
“Non è certo che mandino proprio tua sorella.”
“Sì invece. Guarda.”
Torna dritto con la schiena, lontano da me. Lo guardo frugarsi nelle tasche dei pantaloni cargo ed estrarne un foglio spiegazzato. Me lo porge.
“Cos’è?”
“L’elenco dei detenuti minorenni dell’Arca.”
Resto a bocca aperta. Mi affretto a prendere il foglio, a distenderlo.
“Tutti?”
“Tutti.”
I miei occhi scorrono rapidi lungo la colonna finché non incontrano il nome di John.
“Come l’hai avuto?”
“Non sono informazioni riservate. E io sono una guardia.”
Ho il naso attaccato al foglio.
“Sono più di cento, te l’avevo detto.”
“Non molti di più. Resteranno sull’Arca solo in ventinove.”
Viene di fianco a me e tira con gentilezza un lembo del foglio, per metterlo tra di noi. Lo teniamo ai due lati. Con la mano libera, indica qualche nome sparso.
“Credo resteranno i rampolli del settore due e qualche ragazzino imparentato con membri del Governo, come questo… Quest’altro, sicuramente… Vedi?”
“No, dobbiamo eliminarli sulla base dell’età. Non invieranno bambini.”
“Dici?”
Punto l’indice al centro della colonna.
“Charlotte Wilkes, 12 anni. Credi la manderebbero sulla Terra?”
“Vorrei avere la fiducia che hai tu in Kane e Jaha.”
“Non ho fiducia in loro, ma nel buonsenso.”
“Il buonsenso da ragione a me, Blair Foer. Comunque Octavia è tra i più grandi e non appartiene a nessuna famiglia importante, quindi è poco ma sicuro che salirà sulla navicella.”
Restiamo in contemplazione della lista senza dire nulla per un po’, nella quiete della biblioteca.
Rischio di sentire il rumore delle sue rotelle che girano a vuoto, se mi concentro. Questo ragazzo non avrà pace finché la sorella non sarà al sicuro, è evidente. Non mi fossero bastate le sue parole, il tono da capitano pirata con cui le ha pronunciate, la tensione leggibile sui muscoli del viso e delle braccia, ci avrebbe pensato questo minuto di silenzio, così carico di energia da rendere l’aria intorno a noi più densa, materiale.
Mi accorgo all’improvviso di quanto caldo sia il suo braccio attaccato al mio e che sento la stoffa dei suoi pantaloni strofinarsi sulla tuta.
“Qual è il tuo?”,
mi domanda, svegliandomi dalla trance.
Metto il dito su John Murphy. Il mio John Murphy.
 
John Murphy, 17 anni, settore quattro – Aggressione a pubblico ufficiale
 
Bellamy ripiega il foglio e se lo ricaccia in tasca.
“Io dico che possiamo salvarli.”,
afferma con un tono che non ammette repliche.
La replica arriva lo stesso:
“Io dico che non sappiamo se tenerli sull’Arca sia salvarli.”
Lui si è allontanato ancora, ora è accanto alla scrivania di Doug e io al centro della stanza. Si appoggia a braccia conserte sul ripiano del tavolo. Mi scruta, guardingo, in attesa che io mi spieghi.
“Ragiona: perché tanta ansia nel farmi selezionare i libri? Non sono affatto sicuri che l’Arca sopravviverà abbastanza da salvarci tutti. Se i Cento fossero davvero soltanto una prima colonia, non avrebbero bisogno dei romanzi. L’Arca non è la salvezza. Forse la Terra lo è.”
Bellamy non cambia né posizione né espressione.
“Ragiona tu: se fosse meglio scendere sulla Terra, ci metterebbero loro i piedi per primi.”
Mi disturba la sua lontananza di adesso tanto quanto la sua vicinanza di poco fa.
Per reazione, incrocio anche io le braccia al petto.
“Non so cosa pensare, non abbiamo abbastanza elementi per capire.”
Chiudo gli occhi, per cercare nel buio uno spiraglio di lucidità, un’illuminazione.
Scuoto ancora la testa, con la fronte abbassata verso il pavimento dove fino a mezz’ora fa mi stavo disperando alla ricerca dei miei venticinque titoli fondamentali. 
“Non posso trovare una soluzione senza i dati.”,
dico, sollevando le braccia con i palmi al soffitto, stringendomi nelle spalle.
Quando torno a rivolgermi a Bellamy, scopro che mi stava già guardando.
“Cosa facciamo se non sappiamo cos’è meglio fare?”,
gli chiedo, sincera, sentendomi completamente persa e del tutto in balia degli eventi, del caso, delle altre persone.
Bellamy si stacca dalla scrivania e mi raggiunge. Non mi tocca.
“Li salviamo dal pericolo più imminente. Se se ne presenterà un altro domani, li salveremo anche da quello. Intanto, tiriamoli fuori dai Cento.”
Il conforto che provo nel sentire le sue parole mi scioglie. Sento la stretta allo stomaco disfarsi, i polmoni allargarsi.
Questa è una soluzione sensata e funzionale e pratica e perfetta. Dio, grazie per aver messo quest’uomo intelligente sulla mia strada. Nella mia biblioteca.
Tiro un lunghissimo sospiro di sollievo, che lo fa ridere. Forse sono stata troppo espressiva. Lui mi guarda in sottecchi, di nuovo con il busto inclinato per portare il viso alla mia altezza, e le guance gli si stirano sugli zigomi alti, le fossette appaiono tra le lentiggini e gli occhi gli si stringono di piacere. Ha un bel sorriso, ampio, che gli trasforma completamente il viso.
Bellamy Blake, com’è possibile che non ci siamo mai incontrati prima? Mi saresti tornato così utile negli ultimi sei mesi. Mi avrebbe fatto comodo un tipo come te, che mi da ordini che mi fanno venire voglia di obbedire, che riesce ad essere tanto garbato quanto brusco, che usa il cervello come si deve e che quando ti sorride mi fa sentire al caldo.
Lui mi riporta al presente quando, accorgendosi di pestarlo, raccoglie un mio quaderno da terra.
Se lo porta vicino al viso e lo vedo sillabare le parole che ho scritto mentre scorre i miei appunti.
All’improvviso volta il quaderno, mettendo la pagina che stava leggendo a mio favore, con una faccia indecifrabile.
“È così che si lavora?”
Metto a fuoco la pagina incriminata e ho un mancamento.
 
Ettore se ne stava abbastanza lontano da me perché io non riuscissi a distinguere i tratti del suo viso con chiarezza, eppure abbastanza vicino da togliermi ogni capacità di distinguere altro.
 
Scatto per riprendermi il quaderno e Bellamy se lo lascia portare via.
“Chi è Ettore?”
“Nessuno. Stavo ricopiando il testo di un libro che ho letto. Per la biblioteca.”
“Certo.”
Stringe le labbra e si rimette nella sua posa preferita, a braccia conserte. Nel cogliere il movimento dei muscoli asciutti del suo braccio, decido che anche la mia posa preferita.
“È la verità.”
“Ne sono sicuro. Era Catullo, no?”
Sono irritata. Non da lui, dalla mia stupidità. Beh, anche da lui.
“Senti, tornando alle cose importanti. Quando avrò finito il lavoro, posso chiedere di tenere sull’Arca anche Octavia, oltre a John. Non so quanto potere di trattativa ho…”
Bellamy mi interrompe, indicando qualcosa alle mie spalle.
“…soprattutto visti i tuoi progressi sul lavoro.”,
dice, mentre passandomi accanto mi scavalca.
Si dirige verso la teca.
Su uno dei pannelli di vetro ho attaccato con lo scotch i fogli con l’elenco dei venticinque numeri, pronti a ricevere i loro titoli abbinati. Linee vuote.
Bellamy li indica.
“Bloccata?”
Annuisco. Non ha senso mentire.
Sto per mettermi a spiegargli perché io non creda di essere la persona giusta per il lavoro, e che ho la sensazione ci sia qualcosa sotto l'idea di affidarlo a me, quando lui si china di nuovo verso il pavimento e recupera una matita abbandonata.
Si piega sul foglio e scrive.
“Cosa fai?”
“Il primo passo può essere il più difficile.”
In un attimo ha finito e mi invita ad avvicinarmi. Mentre cammino verso di lui, commenta:
Questo è uno dei fondamentali. E non si discute.”
Mi sporgo sulla prima riga di fianco al numero 1, finalmente riempita. Il dito di Bellamy è ancora appoggiato lì.
 
Omero, Iliade
 
“No, non si discute.”,
convengo, guardando il suo sorriso allargarsi tanto quanto il mio.
“Vedi? Hai già cominciato. Ora, un passo alla volta.”,
dice, porgendomi la matita.
“Te ne mancano solo quattromilanovantanove.”
Mi fa l’occhiolino e non trattengo una piccola risata, sfilandogli la matita dalle dita.
“Senti, come dici tu, torniamo alle cose importanti. Conosco qualcuno che può aiutarci.”
“Davvero?”
“Davvero. Ci vediamo al ponte di raccordo tra il settore quattro e il tre domani alle undici. Ci sarai?”
“Undici di mattina?”
“Sì. Avrò un’ora di pausa a quel punto della giornata, sfruttiamola.”
Annuisco.
Bellamy si aggiusta la felpa sulle spalle e si avvia fuori dall’ufficio, chiedendomi di aprirgli la porta principale dal pannello centrale. Uscendo, si raccomanda che io scelga tra le uniche due opzioni che possono essere utili al nostro piano d’azione: Adesso o dormi o dormi, dice.
“…Tanto non serve a niente quella lista. Non ce li manderemo, sulla Terra. E tu mi servi riposata.”,
continua, camminando all’indietro per potermi guardare. Lo ricambio, ostentando sicurezza, frenando l’agitazione che le sue parole mi mettono addosso.
Sto davvero per farlo? Ho davvero deciso di seguire questo sconosciuto fregandomene della legge, dell’isinto di sopravvivenza e di ogni cautela, pur di salvare John?
Non so se Bellamy mi legga veramente nel pensiero, ma di sicuro capta ogni cosa che mi succede sottopelle. Il suo sguardo attraversa la mia maschera di risolutezza e coglie i singoli brividi delle paure che mi possiedono. Allora prima di voltarsi e sparire nel salone, si congeda con un ultimo tentativo in extremis di farmi sorridere:
“Anche nell’Iliade c’è un Ettore, lo sapevi?”


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22/07/17
Capitolo lunghissimo rispetto agli altri, lo so! Spero non noioso :)
Grazie a tutti i lettori, come sempre. Grazie grazie grazie grazie.
A presto!,
LRM
   
 
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