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Autore: Signorina Granger    23/07/2017    9 recensioni
INTERATTIVA || Conclusa
E’ passato così tanto tempo dalle Guerre che ormai Lord Voldemort e Tom Riddle sono nomi che si trovano solo negli archivi del Ministero, della Gazzetta del Profeta o nei libri della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Le distinzioni tra Purosangue e non sono finalmente cessate, ormai quelle famiglie che si davano tanta importanza per la purezza della loro stirpe non esistono quasi più nell’universo magico inglese.
I maghi hanno forse finalmente iniziato a guardare i Babbani con maggiore interesse, qualcuno ha persino pensato di unire scienza e magia, dando così vita alla Dollhouse, un’associazione segreta nascosta dietro ad una facciata di esperimenti, che seleziona giovani maghi e combinando le due forze ne resetta le menti: dimenticano chi sono, il loro nome, il loro passato. La loro personalità viene cancellata e reimpostata perché siano al completo servizio dell’associazione: sono solo bambole in mano a dei burattinai, addestrati e pronti ad eseguire qualsiasi ordine.
A qualunque prezzo.
- La storia prende ispirazione dalla serie “Dollhouse”
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo 11: Foxtrot

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Con un colpo di talloni piuttosto deciso intimò al cavallo dal mantello color sauro ciliegia di accelerare, stringendo la presa sulle redini di cuoio.
Le mani iniziavano quasi a fargli male e la schiena, dopo diversi minuti passati tenendola protesa in avanti, gli si era leggermente indolenzita… Probabilmente rallentare l’andatura del cavallo fino ad andare al trotto sarebbe stato un sollievo, ma in quel momento Cecil Krueger non aveva nessuna intenzione di rallentare: farlo avrebbe voluto dire perdere.
E non aveva nessuna voglia di perdere quella corsa, non quando il suo avversario era suo fratello Dominic.
 
Cecil era solo un bambino di nove anni, ma aveva imparato a cavalcare prima di imparare a leggere correttamente e l’equitazione era presto diventata motivo di serrata competizione con il fratello maggiore, come un po’ qualunque altra cosa.
Erano entrambi cresciuti con i cavalli, nel maniero di famiglia ce n’erano a bizzeffe, ed entrambi amavano correre per il parco della residenza fino ai vigneti, sfidandosi in gare sempre più decise.
 
Probabilmente se sua madre l’avesse visto cavalcare in quel modo lo avrebbe preso per un orecchio, sostenendo che fosse troppo pericoloso… ma in quel momento a Cecil non importava altro che vincere, probabilmente.
 
“Andiamo Sundance… ci siamo quasi.”
 
Cecil accarezzò il collo del cavallo, luccicante sotto il sole e madido di sudore, quasi scusandosi con l’amato animale per quanto lo stesse facendo stancare.
 
Un sorriso però increspò le labbra del piccolo mago quando la distesa di viti si presentò finalmente ai suoi occhi e lo stallone aumentò la rapidità e la lunghezza delle falcate, probabilmente intuendo che la fine dell’estenuante corsa era vicina alla fine.
 
Il rumore del galoppo della giumenta del fratello era molto vicino, di certo Dominic e Lady erano poco dietro di loro.
 
Sembrava, tuttavia, che quel giorno la vittoria pendesse dalla parte del fratello minore, che sorrise con sincera gioia quando raggiunse il “traguardo” appena prima del fratello.
 
“Mi dispiace Dom, questa volta ho vinto io. Bravissimo Sundance.”
Cecil mollò la presa sulle redini mentre il cavallo si fermava, sporgendosi in avanti per cingere il lungo collo dell’animale con le braccia. Il cavallo si limitò a scuotere leggermente il capo, facendo oscillare la luccicante criniera nera mentre Dominic si fermava accanto a loro, dando una pacca sul collo dell’ansante cavalla bianca.
 
“Pazienza, sarà per la prossima volta piccoletto… Non ci facciamo battere facilmente, vero Lady? Torniamo indietro, la mamma ci starà già cercando a destra e a sinistra.”
 
Dominic fece un cenno al fratellino, suggerendogli di avviarsi al passo mentre il bambino si passava una mano dai capelli rossicci, scostandoseli dalla fronte sudata.
 
“Sono felice di averti battuto Dom, dopotutto stai per tornare ad Hogwarts… confesso che mi annoierò senza nessuno da battere.”
“Nessuno da cercare di battere, Cecil. Per una volta che hai vinto tu evita di cantare troppo.”
 
Il Corvonero rivolse un sorrisetto al fratellino, allungando una mano per spettinargli i capelli, facendolo sbuffare leggermente.
 
In relata Cecil non aveva mai disdegnato la solitudine, gli piaceva stare da solo, ma farlo per tutte quelle settimane non era particolarmente piacevole… e alla sua partenza per Hogwarts mancavano ancora due lunghissimi anni. In quella grande residenza nella campagna vicino ad Oxford non c’era troppa compagnia per un bambino, e anche se non l’avrebbe mai ammesso quando non c’era suo fratello gli mancava, dopo qualche settimana.
 
“DOMINIC! CECIL! Quante volte vi ho detto di avvertirmi quando prendete i cavalli! Guarda come li avete fatti sudare, scommetto che avete corso come forsennati come al solito.”
 
I due non erano nemmeno scesi da cavallo quando si trovarono la madre davanti, lo sguardo visibilmente seccato mentre li guardava con le mani sui fianchi:
 
“Scusa mamma…”
Di fronte alle parole quasi recitate dai due figli la donna sospirò, roteando gli occhi con lieve esasperazione:
“Filate a lavarvi, farò portare i cavalli nei box. Cecil, dopo il thè suoni qualcosa per me?”
 
Quando il figlio minore le passo accanto la donna gli sfiorò i capelli rossicci con le dita, guardandolo con affetto mentre il bambino annuì:
“Certo mamma.”
Prima di dileguarsi Cecil rivolse al fratello maggiore un’occhiata quasi trionfante, ben lieto di avere almeno qualcosa dove brillava più di lui: la musica.
 
*


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“Signora, è qui. Come ha richiesto ieri.”
 
Cecily smise di scrutare le tac ai cervelli dei suoi “Attivi” dallo schermo del computer per rivolgere la sua attenzione al telefono, allungando una mano per premere uno dei pulsanti:
 
“Falla salire.”
Si alzò dalla sedia girevole di pelle dallo schienale alto prima di ottenere una risposta, sistemandosi distrattamente il colletto alla Peter Pan nero della camicetta che indossava mentre si appoggiava alla scrivania, in attesa.
Non l’aveva mai vista, anche se sapeva da sempre della sua esistenza… chissà com’era.
 
Sentendo bussare alla porta la donna si ridestò, invitando chiunque ci fosse dall’altra parte ad entrare. Un attimo dopo Cecily si ritrovò a sorridere, rivolgendo un cenno del capo quasi impercettibile all’uomo che le stava davanti per poi rivolgersi completamente alla bambina bionda ferma sulla soglia della stanza, i grandi occhi chiarissimi fissi su di lei.
 
“Ciao tesoro, io sono Cecily… vieni dentro. Vuoi una tazza di thè?”
La bambina annuì senza dire nulla, facendo vagare lo sguardo nella stanza mentre Cecily continuava a sorriderle, osservandola attentamente per cercare qualche tratto familiare.
 
“Siediti.”
La bambina, che fino a quel momento aveva continuato a stringere l’orlo del suo abitino turchese, si avvicinò ad una delle sedie e ci si arrampicò, osservando con curiosità la scrivania di vetro della donna.
 
Cecily sedette accanto a lei prima di far comparire un vassoio pieno di biscotti, due tazze e una teiera fumante… gli occhi cerulei della bambina si illuminarono vedendo i dolcetti, sorridendole:
 
“Posso prenderne uno?”
“Ma certo Diana… tutti quelli che vuoi.
 
Cecily sorrise, guardando la bambina prendere un biscotto mentre allungava la mano pallida e perfettamente curata, sfiorando con le dita affusolate una delle due ciocche bionde che era stata lasciata fuori dalle due trecce di Diana.
 
Forse non gli somigliava poi molto… eccetto gli occhi, certo, quelli erano indubbiamente quelli di Alpha. Anche se avevano sicuramente un modo di guardare il mondo molto diverso.
 
*

 
Cecil appallottolò la lettera della madre con irritazione, sbuffando prima di abbandonarsi allo schienale della sedia.
Era arrivato ad Hogwarts da un paio di mesi e si era sempre impegnato tantissimo, ma era stato malauguratamente Smistato nella stessa Casa di suo fratello. Il suo peggior incubo, in pratica.
 
Dell stesso sesso, con pochi anni di differenza: metterli a confronto era venuto quasi naturale ai loro genitori, spingendoli a cercare sempre la competizione tra loro. Eppure Dominic, per quando Cecil si stesse sforzando, continuava ad apparire più brillante di lui a scuola. E essere nella stessa Casa, quella dei “cervelloni” tra l’altro, non l’aveva sicuramente aiutato.
I suoi genitori si aspettavano tanto da lui, e voleva davvero essere all’altezza delle loro aspettative, all’altezza di suo fratello.
Sua madre non gli faceva mai pensare niente, si complimentava con lui per i risultati ottenuti… però lo sapeva, che tutti reputavano Dominic più brillante. E poi sua madre era sempre stata molto legata al figlio maggiore, caratterialmente molto simile a lei.
 
Gli voleva bene, ma cominciava a mal sopportare quella situazione. L’unica materia in cui sembrava eccellere paurosamente, più di suo fratello, era Pozioni… motivo per cui aveva già iniziato ad amare quella matteria, dedicandocisi assiduamente.
 
“Ciao. Cosa fai?”
“Niente.”
Cecil si strinse nelle spalle, abbassando lo sgaurdo sui suoi libri mentre Keller, sorridendogli, si avvicinava per prendere posto accanto a lui:
 
“Posso studiare qui con te?”
“Va bene.”
Cecil abbozzò un lieve sorriso alla domanda della compagna, che ricambiò mentre tirava fuori calamaio, piume e pergamena.
“Già che ci siamo mi dai una mano in Pozioni, piccolo genietto?”
“Certo, volentieri.”
“Allora ne approfitto anche io, mi viene il bruciore di stomaco al solo pensiero del tema che dobbiamo scrivere.”
 
Kate, comparsa quasi dal nulla nella Sala Comune, prese posto a sua volta accanto a Cecil, che continuò a sorridere e si dimenticò momentaneamente di suo fratello e della sua famiglia: era sempre stato abbastanza introverso, un po’ solitario a volte, non aveva mai avuto grandi amici prima di andare a scuola… eppure si stava affezionando davvero velocemente a quelle due ragazzine, entrambe molto più socievoli di lui.
Era sempre stato piuttosto restio a cambiare opinione su qualcuno dopo quella che era la “prima impressione”, e Keller e Kate non l’avevano affatto deluso dopo averle conosciute la prima sera, al Banchetto di Benvenuto.
 
 
*

 
“Che cosa stai cucinando?”
 
Alla domanda di Foxtrot Rose si strinse nelle spalle, limitandosi a sospirare:
“Non lo so nemmeno io, mi sono svegliata e mi sono subito messa ai fornelli… sto facendo praticamente di tutto.”
“Sei un po’, giù, Rosie… ha a che fare con Hooland? Perché stamattina non ha nemmeno voluto vedere le repliche di Beautiful che ha perso ieri sera, direi che la facendo è un po’ grave.”
 
“Fox, dicendomi che sta male non mi aiuti per niente!”
“Ma io non voglio aiutarti infatti, voglio convincerti ad andare da lui e dirgli che lo ricambi, cosa che sanno anche i muri della Casa.”
“Tu e Isla ora fate comunella? Mi fa piacere, ma lasciate me fuori. Tieni un po’ di torta, sei troppo magro.”
 
La Tassorosso servì una fetta – un quarto – di torta al cioccolato al ragazzo, con tanto di panna e sciroppo al cioccolato sopra, facendolo sorridere allegramente:
 
“Grazie Rosie… Dopo ti va di fare un giro a cavallo con me? Magari ti schiarisci un po’ le idee.”
“Ok.”
 
Rose annuì, sorridendo all’idea mentre Foxtrot sedeva su uno degli sgabelli, iniziando a sbafarsi una dlele torte che la ragazza aveva sfornato da quando si era svegliata. Stava per chiedere se ci fosse anche un po’ di succo da abbinarci quando Isla comparve accanto a lui, guardandolo con la fronte aggrottata e parlando a bassa voce:
 
“Ma che cavolo stai facendo?”
“Colazione, ti unici a me?”
“Ma non dovevi far ragionare Rosie?”
“Tranquilla, l’ho invitata ad una passeggiata a cavallo strategica…”
 
“Finitela, voi due! Non avrei dovuto permettere ad Hooland di iniziarvi a tutte quelle serie piene di intrighi che guarda… State diventando delle comari.”

 
*

 
Stava lì, fermo sull’orlo del precipizio, il mare sotto di lui. L’acqua gelida, fredda sicuramente almeno quanto l’aria che lo stava facendo rabbrividire, s’infrangeva con violenza sulla roccia e lui non riusciva a distogliere lo sguardo, malgrado avrebbe voluto, farlo.
 
Non sapeva nemmeno perché, ma non riusciva a muoversi… praticamente paralizzato dal terrore, non riusciva a voltarsi e correre via come avrebbe voluto fare.
Perché era lì, poi? Lui odiava l’altezza. Specialmente quando si trattava di burroni o precipizi di quel genere.
 
Forse era solo l’ennesimo gioco, l’ennesima sfida con suo fratello?
 
Cecil rabbrividì, guardando giù e sentendo la nausea aumentare, insieme alla testa che gli girava leggermente… faticava a restare in equilibrio, aveva la tremenda sensazione che di lì a poco sarebbe caduto, precipitando da quell’altezza.
Chiuse gli occhi per non guardare, ma così facendo la testa finì solamente col girargli di più, facendo aumentare la sensazione di essere sul punto di perdere l’equilibrio e cadere.
Deglutendo a fatica aprì gli occhi, cercando di fare un passo indietro senza però riuscirci: maledette vertigini, maledetta acrofobia… era completamente bloccato.
 
Stava precipitando verso l’acqua gelida quando finalmente si svegliò, spalancando gli occhi e tirando un considerevole sospiro di sollievo quando si rese conto che era nel suo letto, nel suo Dormitorio, ad Hogwarts.
Si alzò a sedere e tirò le tende blu notte del baldacchino per poter guardare fuori dalla finestra, osservando il cielo buio dove spiccavano la Luna quasi piena e un mare di stelle: il castello era piuttosto isolato, non c’erano luci artificiali o inquinità, vedere i corpi celesti di notte non era affatto difficoltoso.
 
Cecil, facendo attenzione a non fare rumore per evitare di svegliare i compagni di stanza, scivolò giù dal letto per avvicinarsi alla finestra, osservando il cielo. La notte gli era sempre piaciuta tantissimo, spesso era uno dei pochi entusiasti delle lezioni notturne di Astronomia solo per quel motivo.
 
La pace, la tranquillità, la solitudine che gli trasmetteva… a volte era bello fermarsi e concentrarsi solo su ciò che stava nel cielo buio, senza più preoccuparsi di niente.

 
*
 

Si svegliò a causa della luce che filtrava attraverso la finestra, aprendo pigramente gli occhi e socchiudendoli subito, cercando di farli abituare alla luce.
Sistemò meglio la testa sul cuscino mentre chiudeva nuovamente gli occhi, dicendosi che poteva sempre restare a letto altri cinque minuti… Solo allora, acquistata un po’ di lucidità, si rese conto che il suo braccio era appoggiato su qualcosa, o meglio qualcuno, accanto a lui.
 
Carter aprì gli occhi verdi di scatto, catalizzando la sua attenzione sulla ragazza stesa sul letto accanto a lui, ancora profondamente addormentata. Carter esitò, ricordandosi improvvisamente di cosa fosse successo la sera precedente prima di sollevare lentamente il braccio dalla vita di Juliet, temendo di svegliarla con quel movimento.
Si mise a sedere sul materasso con cautela prima di alzarsi, lanciando un’occhiata alla sveglia: le 8:30? Da quando lui dormiva fino alle 8:30?
Lanciò un’ultima occhiata alla ragazza prima di uscire dalla camera, aprendo lentamente la porta prima di uscire dalla stanza quasi furtivamente.
 
 
Si era appena chiuso la porta della stanza alle spalle, stava per raggiungere le scale e scendere al pian terreno per la colazione ma si bloccò, esitando di fronte a ciò che vide: Carter Halon stava uscendo dalla camera di Juliet. Di prima mattina.
 
Esitò, seguendo il ragazzo con lo sguardo mentre Carter tornava nella sua stanza, probabilmente per vestirsi.
Gli occhi di Quebec si spostarono poi sulla porta ormai chiusa della camera di Juliet, ripensando a quando, solo qualche giorno prima, si era ritrovato a cercare di dividere Carter e Nicholas. Aveva chiesto spiegazioni a quest’ultimo, in Infermeria, ma lui era rimasto sul vago, limitandosi a sostenere che “aveva a che fare con Juliet”.
 
Quindi c’era qualcosa tra di loro?
Non che fossero affari suoi, certo… ma gli dava comunque da pensare.
Quebec esitò, quasi sperando di vere Juliet uscire dalla sua camera per poterle chiedere spiegazioni, ma poi si diede mentalmente dell’idiota, ricordandosi che no, non erano assolutamente affari suoi.
Juliet poteva fare quello che voleva con il suo Giardino. Certo, erano amici, ma non doveva certo dargli spiegazioni.
 
L’Attivo si avviò verso le scale dicendosi di non pensarci più, ma si fermò nuovamente sentendosi chiamare… ed ebbe un tuffo al cuore quando vide un sorridente e rilassato Nicholas camminare verso di lui.
 
“Ciao… stai andando a fare colazione? Vengo con te. Perché quella faccia? Dormito male?”
Di fronte alla domanda di Nicholas Quebec si limitò a sbuffare, borbottando che aveva dormito benissimo e che la sua faccia non aveva niente che non andasse.
 
“Non saprei, hai l’aria un po’ strana… avanti, che è successo? Spero nulla di grave… sei stato male ieri notte?”
“No, no, ho dormito benissimo. Ho solo visto Carter uscire dalla stanza di Juliet poco fa, tutto qui, non so nemmeno perché te lo sto dicen-“
“Carter uscito da dove? Scusa, ci vediamo di sotto, mi sono ricordato di aver lasciato una cosa in camera.”
 
Nell’arco di pochi secondi Nicholas si era voltato per attraversare il corridoio a ritroso quasi a passo di marcia, mentre Quebec continuò dritto per la sua strada senza nemmeno fermarsi, tenendo le mani sprofondare nelle tasche mentre parlava con tono neutro, quasi annoiato:
 
“Ok, ma cercate di essere civili, voglio iniziare la giornata facendo colazione, non dovendo farvi da badante.”
 

 
*

 
Teneva gli occhi fissi sulla lunga fila di tasti lucidi bianchissimi, continuando a suonare e cercando di ignorare le voci dei suoi genitori, che non facevano altro che complimentarsi con suo fratello.
Erano tornati a casa da pochi giorni, Dominic si era appena diplomato con praticamente il massimo dei voti.
 
Cecil sbuffò leggermente, continuando a suonare per cercare di non sentire quelle voci, ma gli risultò comunque impossibile. L’anno seguente sarebbe stato, per lui, quello dei G.U.F.O. e sicuramente tutti si aspettavano che ottenesse gli stessi risultati di Dominic, incluso lui: non aveva nessuna voglia di ottenere voti inferiori rispetto al fratello.
 
Si chiese come sarebbero andati i suoi M.A.G.O., tre anni dopo i suoi genitori lo avrebbero lodato allo stesso modo? Sicuramente si sarebbe impegnato moltissimo perché ciò accadesse.
L’unica nota positiva era che suo fratello si era finalmente diplomato, non avrebbe più dovuto sentire ogni singolo giorno il peso del confronto con lui… indubbiamente sarebbe successo durante le vacanze, ma per qualche settimana all’anno poteva benissimo sopportarlo.
 
Il Corvonero continuò a suonare, pensando a come le vacanze fossero appena cominciate ma da una parte sentisse già la mancanza di Hogwarts e dei suoi amici.
Voleva bene alla sua famiglia, ma a volte era un po’ dura averci a che fare.
 
“Ad Hogwarts non puoi suonare per diversi mesi, eppure sei sempre bravissimo. Come ci riesci?”
Il ragazzo smise bruscamente di suonare sentendo la voce di sua madre che, alle sue spalle, era in piedi e gli stava accarezzando dolcemente i capelli. Cecil alzò lo sguardo per incontrare il suo, sorridendole appena:
 
“Sai, suono comunque un po’ anche a scuola.”
“C’è un pianoforte?”
“No, ma vedi… c’è una stanza. Dove puoi trovare tutto quello che vuoi, la chiamiamo “Stanza delle Necessità”. Quando voglio un pianoforte vado lì, e suono.”
“A volte ascolto i racconti tuoi, di Dominic e di vostro padre e penso a quanto mi sarebbe piaciuto andare ad Hogwarts, dev’essere un posto meraviglioso.”
“Lo è.”
 
Sua madre sedette accanto a lui e Cecil le sorrise, felice di parlare con la donna dopo tutte quelle settimane di separazione.
 
“Un po’ vi invidio, ma disgraziatamente sono, come ci chiamate voi, solo una semplice Babbana.”
“Non lo sei, altrimenti papà non ti avrebbe sposata… E credimi, nella nostra società non è cosa da poco quando un Purosangue sposa una Babbana. Sei molto speciale, invece.”
“Oh, che tenero, il mio bambino dolce…”
 
Sorridendo la donna lo abbracciò, mentre Cecil invece sbuffò, arrossendo leggermente:
 
“Mamma smettila, non sono un bambino!”
“Si invece, sarai sempre il mio dolce Cecil. Non dimenticarlo mai.”
 
La madre gli diede un lieve bacio sulla tempia e Cecil non si divincolò dalla sua stretta, abbracciandola a sua volta e annuendo.
 
Nessuno dei due poteva immaginare che tre anni dopo a quell’ora nessuno dei due avrebbe più ricordato l’altro.

 
*
 

“Halon! Che cavolo ci facevi nella camera di mia…”
 
Nicholas s’interruppe mentre faceva praticamente irruzione nella camera del collega, che si voltò verso di lui senza battere ciglio, continuando ad abbottonarsi la camicia con noncuranza:
 
“Io fossi in te non finirei la frase.”
“E infatti mi sono interrotto, simpaticone. Ma hai capito cosa intendo, quindi rispondi!”
 
“Non dare in escandescenza Bennet, mi sono addormentato in camera sua perché ieri notte non stava molto bene. Credo che dei ricordi le stiano tornando in testa.”
 
“Davvero? Fantastico!”
 
Nicholas non riuscì a non sorridere, gioendo all’idea che la sorellina potesse finalmente ricordarsi di lui. Carter invece gli rivolse un’occhiata in tralice, quasi a volergli ricordare che non era tutto così semplice:
 
“La fa soffrire, Nicholas.”
“Lo so, vorrei che non fosse così… ma permettimi di essere felice se lei è sulla strada di ricordarsi di me, non hai idea di cosa voglia dire vivere sotto il suo stesso tetto senza potermi avvicinare.”
 
“Immagino che non sia semplice per te, ma evita di forzarla… se deve ricordare tutto lo farà da sola.”
“Sbaglio o tu non sei molto entusiasta all’idea?”
 
Nicholas inarcò un sopracciglio, osservandolo con lieve scetticismo mentre Carter gli si avvicinava per superarlo e uscire dalla stanza:
 
“Lei è affar tuo, io no, non ti devo dare spiegazioni Bennet.”
 
Prima di dare a Nicholas il tempo di dire qualcosa Carter uscì dalla sua camera, lasciando il biondo solo prima di imitarlo.

 
*

 
“Si sono seduti vicini, che carini.”
Keller sorrise in direzione della sua migliore amica e di Seth Redclaw, che avevano effettivamente occupato lo stesso banco nell’aula di Trasfigurazione.
Cecil, che stava sistemando sul ripiano di legno le sue cose, si voltò verso l’amica come a volerle chiedere di chi stesse parlando, ottenendo un cenno da parte della Corvonero:
 
“Intendo Seth e Kate. IO lo dico da due anni che le fa il filo, ma Kate è testarda come un mulo e ha negato per un sacco di tempo. Hai sentito della sua famiglia?”
“Sì, una vera e propria tragedia… rabbrividisco al solo pensiero di come si debba sentire ora.”
 
Cecil inclinò le labbra sottili in una lieve smorfia, non volendo nemmeno pensare all’eventualità di perdere tutta la sua famiglia.
 
“Sì, beh… magari ci penserà la nostra Katie a consolarlo. Insomma guardalo, siamo tornati da due giorni ed è la prima volta in cui lo vedo sorridere.”
Keller sorrise, quasi gongolando mentre Cecil le rivolse un’occhiata divertita, sorridendo a sua volta:
“Keller, Kate non ti aveva detto di non impicciarti sull’argomento, quest’anno?”
“Sì, dettagli insignificanti.”

 
*
 

“Ah, bene, sei sveglio! Coraggio, andiamo.”
 
Foxtrot sorrise e trotterellò verso Hooland, chino sulla sua scrivania, che però si limitò a borbottare qualcosa di poco comprensibile.
“Avanti, andiamo a fare una bella passeggiata a cavallo… sono sicuro che ti solleverà il morale.”
 
“Grazie, ma non mi va.”
“Sì invece, tu adori i cavalli. Che stai facendo, a proposito?”
 
Foxtrot si sporse leggermente per sbirciare quello che l’amico stava facendo, sbuffando sonoramente quando lo vide tenere in mano la sua adorata macchina fotografica e sfogliare con aria malinconica delle vecchie foto.
 
“Hool, smettila di guardare foto di Rose, andiamo!”
“Ma se la incontro che cosa dovrei dirle? “Rosie, facciamo così, dimentica quello che ho fatto ieri sera e torniamo amici come prima?” Sono stanco di essere solo suo amico, Fox.”
“Posso capirlo, ma sono sicuro che tutto si risolverà… magari l’hai solo presa in contropiede, non dimenticare che Rose è molto timida.”
 
Foxtrot prese la macchina fotografica dalle mani dell’amico, rimettendola sulla scrivania e invitandolo nuovamente ad alzarsi.
Benché adorasse effettivamente cavalcare probabilmente Hooland avrebbe preferito restare chiuso in camera a guardare la tv, lavorare al computer o anche solo leggere i suoi fumetti. Ma Foxtrot aveva tutta l’aria di volerlo trascinare fuori e il Tassorosso finì col seguirlo, vagamente preoccupato dall’aria allegra dell’amico:
 
“Perché sorridi così?”
“Beh, perché adoro andare a cavallo, che domande… vuoi fare colazione?”
“Neanche per idea, Rose starà sicuramente cucinando e non voglio incontrarla!”
“Passerai la vita ad evitarla ora? Sai, credo che sarà un po’ difficile visto che vivete sotto lo stesso tetto…”
“Dettagli, Fox, dettagli. Coraggio, andiamo adesso.”
 
*

 
Sorridendo, Cecil si ritrovò ad applaudire insieme a tutti i compagni di Casa quando Kate segnò, portando altri dieci punti a Corvonero.
Anche lui aveva giocato a Quidditch per circa un anno, ma poi si era detto che non era propriamente fatto per stare a cavallo di un manico di scopa a diversi metri di altezza… no, non era decisamente il suo sport preferito. Ma non mancava mai alle partite dove giocava la sua Casa, anche solo per fare il tifo per le sue migliori amiche.
 
E poi l’immancabile cronaca di Ginevra Morrison rendeva tutto terribilmente comico, probabilmente molti studenti andavano alle partite solo per sentire la sua voce prendere per i fondelli metà dei giocatori in campo.
In effetti sembrava che la Grifondoro si divertisse particolarmente a deridere i Serpeverde, fatta ovviamente eccezione per il suo migliore amico Logan.
 
Quando la ragazza citò Nick Bennet, il fratello maggiore di Kate, Cecil non riuscì a non ridacchiare, perfettamente consapevole che il ragazzo avesse attirato molta attenzione femminile quando era ad Hogwarts.
 
“Posso chiederti perché hai smesso di giocare?”
Il Corvonero si voltò, trovandosi con lieve sorpresa accanto a Seth Redclaw.
 Dopo essersi chiesto, per un istante, come fosse arrivato accanto a lui Cecil si strinse nelle spalle, abbozzando un sorriso:
 
“Non faceva per me, credo. Triste da dire, ma Keller e Kate se la cavano molto meglio di me.”
“Sì… Kate è brava.”
 
Seth annuì impercettibilmente, spostando gli occhi sul campo per guardare brevemente la Cacciatrice.
Cecil invece continuò ad osservare il Grifondoro, esitando per un attimo prima di parlare:
 
“Ti piace, non è così?”
“Sì, ma ho paura che io per lei sia solo un amico…”
“Stai per chiedermi se ne so qualcosa? Dovresti chiedere a Keller, parlano spesso di te.”
 
“Davvero?”
Il sorriso di Seth si allargò e una nota quasi gioiosa illuminò gli occhi del ragazzo, facendo quasi sorridere il Corvonero di riflesso, che annuì prima di ripotare lo sguardo sulla partita in corso:
 
“Sì. Ma comunque vadano le cose sarò previdente e te lo dico subito. Mi piaci molto Seth, del resto piaci a tutti, credo anche a Kate… ma se la fai soffrire ti ritroverai con Nick Bennet pronto a spezzarti il collo e me ad aiutarlo. Intesi?”
 
 
*
 
 
No, no e poi NO! Io non ci salgo! Non lo faccio! Non dovevo venire.”
“Ma Isla, sei la mia Guardiana, ti devi assicurare che non mi accada nulla di male…”
Me ne frego altamente! E poi sappiamo benissimo che non ti succederà niente, sai andare a cavallo alla perfezione.”
 
Isla sbuffò, incrociando le braccia al petto mentre era in piedi di fronte al suo Attivo e accanto ad un cavallo dal mantello sauro fin troppo alto per l’opinione della ragazza. E poi senza i suoi amati tacchi ai piedi si sentiva ancora più piccola.
 
Foxtrot invece sorrise, tenendo tra le mani le redini del cavallo e un frustino:
 
“Grazie. Ma vedrai, non è difficile, non ti succederà niente… sono animali splendidi.”
“Sì, sono senza dubbio molto belli, ma preferisco guardarli da QUI. Con i piedi per terra.”
“Andiamo, mi devi dare una mano… Hooland stava per uccidermi quando siamo usciti e si è reso conto che c’era anche Rosie, sono un vero e proprio genio del male.”
 
Un genio del male che mangia i pancake al cioccolato come i bambini. Mi piacerebbe assistere alla scena Fox, ma IO NON CI SALGO. E se cado?!”
“Non cadi, basta avere un minimo di equilibrio. E tu adori fare sport, no? Hai fatto danza per anni, ergo hai equilibrio. E Tiffany è buonissima. Strano che tu non sappia cavalcare, sai? Ti ci vedrei proprio, perfettina come sei… allora piccola yankee, monti all’inglese o all’americana?”
 
Il sorriso di Foxtrot non cavillò, nemmeno di fronte all’espressione scettica della ragazza, come a volergli chiedere quale fosse la differenza:
“Beh, nella monta all’americana si usa la sella con il pomello, non si utilizza il frustino ma solo le redini… e non ci sono regole precise da seguire, sali e vai. Quella all’inglese invece ha la sella così, senza il pomello, si usa il frustino e se si è minorenni anche il cap… la monta inglese è regole, eleganza e precisione. Sarai anche una piccola yankee ma ti ci vedo più sulla seconda, l’immagine di te con cappello da cow-boy, camperos, camicia a quadri e lazo è esilarante…”
 
Il ragazzo ridacchiò mentre invece Isla rimase serissima, a braccia conserte mentre lo guardava con un sopracciglio inarcato, quasi a volergli chiedere quando avesse intenzione di finire.
 
“Ok, ok… coraggio Isla, chiunque deve almeno provare ad andare a cavallo! In sella!”
“ASPETTA, FOX, CON CALMA… METTIMI GIU’!”
 
Isla si ritrovò, con orrore, sulla sella di pelle nell’arco di pochi secondi visto che il ragazzo l’aveva presa per i fianchi e sollevata senza neanche darle il tempo di pensare.
“Oddio, ma è altissimo… se cado e mi rompo una gamba come faccio? Non posso infortunarmi a vita, io adoro fare sport!”
“Rilassati, il peggio che può succedere è cadere insieme al cavallo con lui che ti cade sopra e ti schiaccia gli arti… ma non succederà, non preoccuparti. Coraggio, piedi nelle staffe e tieni le redini.”
 
Foxtrot sorrise, osservando la ragazza con lieve divertimento: era forse la prima volta in cui vedeva Isla Robertson in difficoltà… di sicuro avrebbe ricordato quel momento per molto tempo.
 
“Ok… ma se mi faccio male ti uccido.”
“Rilassati, se Rose cavalca puoi farlo anche tu.”   Foxtrot si strinse nelle spalle prima di rivolgere un cenno proprio a Rose, che fino a quel momento aveva seguito la scena in silenzio e aspettando che Isla fosse in groppa per montare a sua volta.
Isla stava quasi per dirsi che il ragazzo aveva ragione quando vide la sua amica camminare con nonchalance verso il suo cavallo e, con tutta la naturalezza del mondo, mettere le mani sulle redini e salire in groppa con un movimento fluido, senza nemmeno aver bisogno di qualcuno ad aiutarla.
 
“Ma come accidenti ha fatto a salire così in fretta?”
“Tutta pratica, la sua famiglia ha un maneggio. Tieni bene le redini, ok?”
 
Foxtrot diede una pacca sul collo del cavallo mentre Isla, sbuffando, si rigirava le redini di cuoio tra le mani:
“Sì, le tengo, ma ho la sensazione che tra poco partirà al galoppo e io farò una pessima fine… Non mi sento stabile.”
Foxtrot roteò gli occhi prima di salire a sua volta sul cavallo dietro ad Isla, ridendo quando la ragazza gli disse che così sarebbero caduti in due.
 
“No, non cadiamo… rilassati Isla, ti tengo. Su, andiamo al passo per cominciare.”        Foxtrot appoggiò il petto contro la schiena della ragazza, prendendo le redini con una mano mentre con un braccio le cingeva la vita. Diede un lieve colpo di talloni e il cavallo iniziò a camminare, mentre Isla continuava a ripetersi mentalmente che fosse stata una pessima idea… anche perché era così vicina a Foxtrot da poterne sentire il respiro e il battito cardiaco, arrossendo leggermente.
 
“Visto, non è così tremendo… Anche se Rose e Hool evitano accuratamente di parlarsi o di guardarsi, maledizione.”
“Cosa c’è genio del male, il tuo piano non va come avevi sperato?”
“Zitta Isla, o parto al galoppo e non ti tengo più.”
 
Foxtrot fece scivolare leggermente il braccio dalla vita della ragazza, che però lo afferrò prontamente prima di voltarsi verso di lui, lanciandogli un’occhiata eloquente:
 
“Non osare lasciarmi andare, chiaro?”
“Tranquilla, scherzavo, non lo farei mai piccola yankee.”
 
Foxtrot sorrise mentre, accanto ai due, Rose procedeva al passo accarezzando leggermente il collo del cavallo, rivolgendo di tanto in tanto qualche occhiata malinconica in direzione di Hooland. Le dispiaceva così tanto vederlo evitare di parlarle o di guardarla che moriva dalla voglia di scivolare dalla sella e andare ad abbracciarlo.
Però non riusciva a farlo, e si diede ancora una volta della stupida per questo.

 
*

 
Aveva già caricato il suo baule, eppure continuava a fare avanti e indietro per la stazione cercando Kate e Keller: possibile che non riuscisse a trovarle? L’ultima volta in cui aveva visto Kate era stato quando aveva cercato di dividere Hooland Magnus, Julian Jones e Jason Craig… poi era sparita, l’aveva persa di vista. Così come Keller.
 
Stava per andare da Seth e chiedere se lui avesse notizie della sua ragazza ma venne fermato da una voce che non aveva mai sentito:
“Cecil Krueger?”
Il Corvonero si voltò, trovandosi davanti ad un uomo che effettivamente non conosceva, dai capelli neri, gli occhi chiarissimi e alto leggermente più di lui.
 
“Sì. Ci conosciamo?”
“No. Ma la persona per cui lavoro conosce lei… Sta cercando le sue amiche? Presto le raggiungerà.”
 
Cecil lo guardò con crescente confusione avvicinarglisi, ma il suo interlocutore gli aveva appena preso un braccio quando il ragazzo perse i sensi.

 
*

 
Dopo essere tornati in prossimità della Casa Isla era scesa da cavallo con un sorriso stampato sulle labbra, un po’ per il sollievo di non essere caduta e di avere di nuovo i piedi per terra e un po’ perché, anche se non l’aveva ammesso davanti a Foxtrot, infondo si era divertita.
 
Tuttavia dopo quella passeggiata sulla spiaggia puzzava paurosamente di cavallo ed era corsa a farsi una doccia per poi scendere al pian terreno con tutta l’intenzione di fare uno spuntino… ma ad attenderla aveva trovato una lettera. L’aveva preso certa che fosse della sua famiglia, ma leggendo il nome del mittente le si era quasi formato un gruppo in gola.
 
Quando finì di leggere la lettera la ragazza sospirò leggermente, ripiegandola distrattamente mentre pensava a quelle parole… quasi sobbalzò, in effetti, quando sentì una voce:
 
“Ti scrive la tua famiglia?”
Voltandosi l’americana si ritrovò davanti a Foxtrot, che si era seduto su uno dei tavolini disseminati nella sala da pranzo con una bottiglia di Burrobirra in mano, gli occhi castani carichi di curiosità mentre la guardavano e i capelli rossicci umidi e leggermente spettinati.
 
Pensando che essere tanto attraenti sarebbe dovuto essere vietato per legge Isla si affrettò a distogliere lo sguardo, scuotendo il capo e riportando gli occhi castani sulla lettera, infilando la pergamena nella sua busta prima di parlare.
 
“No. E’ il mio… ex ragazzo.”
“Hai un ex ragazzo?”
Il tono e l’espressione confusi dell’Attivo portò la ragazza a voltarsi nuovamente verso di lui, guardandolo con cipiglio scettico:
 
“Sì Fox. Perché, sono troppo ripugnante o antipatica per aver avuto un ragazzo?”
“No. Non volevo dire questo… solo che non te l’ho mai sentito nominare. E’ americano?”
“Sì, l’ho conosciuto a scuola. Ma ci siamo lasciati prima che io venissi qui… io l’ho lasciato, in effetti.”
 
“E allora perché ti scrive?”
“Quando torno in America per salutare la mia famiglia spesso mi chiede di vederci. Credo di averlo fatto soffrire parecchio e che speri che prima o poi le cose torneranno come prima.”
 
Isla si strinse nelle spalle mentre prendeva posto di fronte al ragazzo, che la guardava con attenzione:
 
“E ha ragione?”
“Per quanto mi riguarda, no.”
 
Isla scosse il capo mentre giocherellava con una ciocca di capelli castani e teneva gli occhi fissi sul tavolo, non notando così il sorriso che era comparso sul volto del ragazzo fino a poco prima quasi teso.
 
“Ciao.”
Entrambi quasi sobbalzarono nel sentire una terza voce, decisamente sconosciuta e insolita visto il contesto in cui si trovavano.
Per un attimo Isla pensò di averla immaginata, ma voltandosi si ritrovò proprio con una bambina piccola in piedi accanto a lei, i capelli biondi, un sorriso sul volto e gli occhi più azzurri che avesse mai visto fissi su di lei.
 
“…Ciao. Che cosa ci fai qui?”
“Una signora gentile mi ha portato qui e ho fatto colazione con lei. Come ti chiami?”
“Isla. E tu?”
“Diana.”   
 
Diana sorrise alla ragazza prima che Isla si rivolgesse a Foxtrot, rivolgendogli un’occhiata decisamente confusa: quella bambina aveva fatto colazione con una “signora gentile”, forse la DeWitt… quindi da quel momento aveva gironzolato per la casa? Come avevano fatto a non notarla?
E che cosa ci faceva una bambina lì dentro?
 
“Quanti anni hai?”
Foxtrot sorrise alla bambina, che ricambiò per poi sollevare una mano e mostrare un quattro con le dita quasi con aria orgogliosa.
“4. Posso fare merenda con voi? Ho tanta fame!”
 
Isla annuì prima di alzarsi, porgendo la mano alla bambina che subito la strinse:
“Certo. Ti presento la mia amica Rose, vieni.”
 
 
 
 
Cecily DeWitt aprì la porta del suo ufficio e, rendendosi conto che qualcuno mancava, sgranò gli occhi chiari con orrore, voltandosi subito per fulminare con lo sguardo i due uomini che la precedevano:
 
“Dov’è?”
“Ecco, veramente…”
“Vi siete fatti scappare una bambina di quattro anni? Trovatela immediatamente, mi assento per due e questo è il risultato. Riportatela qui prima che si sollevi un polverone, chiaro?”
 
 
Nel frattempo, al piano terra, tutte le ragazze della Squadra Alpha si erano radunate in cucina attorno a quell’adorabile bambina bionda che Isla aveva trovato in sala da pranzo.
Diana, che era seduta su uno degli sgabelli e faceva dondolare le gambe, sorrideva gioiosamente a tutti i presenti mentre davanti a lei Rose le aveva sistemato una ciotola che grondava gelato al cioccolato appena fatto.
“Tesoro, ne vuoi ancora?”
 
Rose sorrise dolcemente alla bambina, che annuì con un sorriso mentre Juliet, Isla, November e persino Erin erano sedute intorno a lei e praticamente le facevano le fusa.
 
“Sì, per favore. Cioccolato!”
“D’accordo.”
Rose sorrise, adoperandosi per preparare altro gelato mentre Foxtrot si avvicinava furtivamente alla macchina, cercando di scroccare del gelato a sua volta.
 
“Emh… ce n’è un po’ anche per me?”
“Giù le mani, avvoltoi, è per Diana, non per voi.”
 
Rose scoccò un’occhiata torva in direzione di Foxtrot, Nicholas e Quebec, facendoli protestare sonoramente mentre anche Echo faceva il suo ingresso, incuriosito da quella specie di “riunione fuori programma”:
“Come mai siete praticamente tutti qui? Oh… abbiamo un’ospite?”
 
Il ragazzo indugiò nel vedere Diana seduta insieme alle compagne, guadagnandosi un sorriso e un saluto allegro da parte della bambina.
 
“Diciamo di sì… ed è adorabile, anche se ancora non abbiamo capito cosa ci fa qui. Non possiamo tenerla come mascotte, vero?”
 
Erin, accarezzando la nuca della bimba, rivolse un’occhiata quasi speranzosa in direzione di Isla, mentre Echo si avvicinava a Rose sorridendo leggermente:
 
“Che cosa ti succede Erin, ti addolcisci anche tu di fronte ad una bambina?”
“Non rompere Echo… e poi hai visto quanto è tenera?”
 
Erin rivolse un sorriso alla bambina, che ricambiò prima di dirle che era bellissima.
“Ecco, ora la bambina si è guadagnata l’affetto a vita di Erin probabilmente.”  Echo abbozzò un sorrisetto prima di rivolgersi a Rose, che stava versando il gelato per Diana.
 
“C’è del gelato anche per me? Fa davvero caldo oggi.”
“Ma certo, tieni. Vuoi anche la panna?”
 
Rose rivolse un caldo sorriso al ragazzo, che rifiutò gentilmente mentre alle loro spalle Foxtrot sgranava gli occhi:
 
“Che storia è questa? Perché a lui sì e noi no? Rose, non ci piacciono questi favoritismi!”
“Per l’appunto, io sono il tuo Attivo e mi neghi il cibo, vergognati.”
 
“Fatela finita, di bambina in teoria qui ce n’è solo una.”
Isla fulminò i ragazzi con lo sguardo prima di rivolgersi di nuovo a Diana, sorridendole con gentilezza:
 
“Tesoro… che cosa ci fai qui? Non ti avevamo mai vista prima.”
“Mi hanno portata qui dei signori e ho parlato con la signora gentile bionda. Sono venuti a prendermi all’asilo stamattina. Posso la panna?”
 
November sorrise alla bimba prima di aggiungere una montagna di panna la gelato, mentre Erin e Isla si scambiavano un’occhiata scettica, pensando la medesima cosa: che cosa poteva volere Cecily da una bambina?
 
“Senti… sei mai venuta qui?”
“No. Ma qui ci lavora il mio papà, lo ha detto la signora.”
“Davvero? E come si chiama? Così ti portiamo da lui.”
“Joe.”      Diana sorrise con aria allegra mentre invece tutti i presenti si scambiavano occhiate perplesse, certi di non aver mai sentito di un “Joe” che lavorava per la DeWitt.
 
“Non credo di conoscerlo… me lo descrivi?”
Isla inarcò un sopracciglio, dicendosi che sicuramente la DeWitt aveva molti collaboratori che loro non conoscevano… ma sicuramente non era il caso che Diana girovagasse per la Casa, dovevano riportarla a casa sua.
 
“E’ alto, ha i capelli neri, gli occhi come i miei ed è molto bello.”
 
“Tuo padre si chiama Joe?”
 
Nicholas ruppe il silenzio che era andato a crearsi per qualche istante, avvicinandosi leggermente alla bambina, che gli sorrise e annuì.
“Sì. Tu lo conosci?”
“Forse lo conosciamo tutti… come ti chiami di cognome?”
 
Nicholas, osservando la bambina con attenzione, le pose quella domanda praticamente conoscendo già la risposta: dal canto suo non sapeva che il suo ex istruttore avesse avuto una figlia, ma si chiamava Joseph… e anche la descrizione fisica poteva benissimo combaciare.
 
Diana fece per rispondere ma si bloccò sentendo una voce che fece voltare tutti i presenti, una voce familiare a tutti:
 
Didi? Che cosa ci fai qui?”
“Papy!”
 
Diana scivolò giù dallo sgabello e corse verso il padre, che era fermo sulla soglia della cucina e la guardava con gli occhi sgranati con orrore.
 
“ALPHA? Questo sì che è un colpo di scena…”   Nessuno rispose al mormorio di Erin, tutti troppo impegnati a guardare con evidente sorpresa il loro supervisore prendere la figlia in braccio.
 
“Amore, che cosa ci fai qui? Stamattina ti ho portata a scuola.”
“Sì, ma mi hanno portata qui e ho parlato con una signora gentile bionda… e poi ho incontrato loro.”
 
Sentendo “signora gentile bionda” l’ex Auror si sentì raggelare, dando un bacio sulla fronte della figlia prima di rivolgersi ai ragazzi ancora pressoché ammutoliti:
 
“Grazie per aver badato a lei. Ora ti riporto a casa, andiamo.”
“Ma mi stavo divertendo con loro!”
“Non mi interessa, non è posto per bambini questo.”
 
“Alpha ha una figlia? E si chiama Joe? Non ci credo…”
“In effetti mi chiedevo perché fosse l’unico a non vivere qui, ora si spiega.”
“Beh, in effetti alla descrizione “occhi come i miei, moro, alto e bello” dovevamo aspettarcelo… non ho mai visto occhi così azzurri.”
“Sarà, ma non riesco ad immaginarmelo con una figlia. Chissà quanti anni ha, poi!”
 
I mormorii delle ragazze vennero bruscamente interrotti dalla voce di Alpha, che rivolse al gruppetto un’ultima occhiata prima di girare sui tacchi e allontanarsi con la figlia in braccio:
 
“Ci vediamo stasera, quando torno vi devo parlare. E comunque, ho 33 anni.”
 

 
*

 
Quando la porta del suo ufficio si spalancò Cecily rivolse un sorriso piuttosto rilassato all’uomo che era appena entrato senza bussare, ignorando l’espressione decisamente poco felice di Alpha:
 
“Buonasera caro… Bisogno di qualcosa?”
“Che cosa ci faceva mia figlia qui?”
 
“L’hai trovata? Quegli idioti se la sono fatti scappare mentre ero a Londra. Rilassati, ho solo fatto due chiacchiere con lei… non l’avevo ancora conosciuta, dopotutto.”
 
Cecily sorrise, intrecciando le dita pallide mentre Alpha le si avvicinava, appoggiando le mani sulla scrivania e sporgendosi leggermente verso la donna, guardandola dritta negli occhi:
 
“Non devi avere a che fare con lei. Diana non avrà mai a che fare con tutto questo, mai. Stai lontana dalla mia bambina, Cecily.”
“Rilassati, non le ho fatto nulla… chiedilo a lei. E’ una bambina molto dolce, comunque, ha preso da sua madre?”
 
Il sorriso di Cecily non vacillò e l’uomo contorse la mascella, trattenendo l’impulso di afferrarle il viso e stritolarlo prima di parlare nuovamente:
 
“Perché l’hai fatta portare qui?”
“Lo hai scoperto per caso che era qui, ma in caso contrario te lo avrei comunque detto… non volevo certo rapire tua figlia o cose simili Alpha, volevo che tu sapessi che era qui. Giusto per farti capire che avrei qualcosa a cui aggrapparmi se dovessi giocarmi un brutto tiro. Non ho mai fatto i miei esprimenti su dei bambini, ma potrei sempre cominciare.”
 
Incapace di trattenersi Alpha allungò una mano, stringendo il volto della donna e avvicinandolo di più a lui con uno strattone, guardandola con gli occhi cerulei carichi di un odio che aveva celato per quasi tre anni:
 
“Non ti avvicinare a mia figlia, Cecily. Non azzardarti neanche.”
“Non lo farò, so essere davvero gentile e amorevole volendo… ma ripeto. Giocami un brutto tiro e perderai anche lei.”
 
Cecily non si scompose, non batté ciglio, non provò nemmeno a sottrarsi alla sua stretta. Fu lui a scostare la mano quasi come se si fosse scottato, facendo anche un passo indietro prima di girare sui tacchi e uscire dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle.
 
Solo una volta sola Cecily sollevò una mano, sfiorandosi leggermente il viso e facendo una lieve smorfia di dolore, causato dalla stretta fin troppo serrata di quelle dita.
Lanciò un’occhiata allo schermo collegato alle telecamere, guardando Alpha uscire dalla villa prima di Smaterializzarsi dopo aver oltrepassato i confini della barriera magica.
 
Sì, Diana era davvero una bambina adorabile… ma, come sempre, non si sarebbe fatta alcuno scrupolo.
Sapeva che Joseph Richardson era stato un Auror, sapeva che il Dipartimento cercava da tempo di incastrarla… non aveva le prove concrete, certo, ma non era difficile immaginare che Alpha stesse facendo da talpa. E in quel caso, ne avrebbe sicuramente pagato le conseguenze.
 

 
*
 
 
“Come mai quel faccino triste? Non ti dona molto.”
Rose rivolse un sorriso forzato in direzione di Foxtrot, che l’aveva appena raggiunta sulla terrazza con una vaschetta del suo tanto agognato gelato in mano.
 
“Sto pensando ad Hool… prima mi sono detta “vai a parlagli”, ma non ci sono riuscita. Forse sono solo una stupida senza carattere e spina dorsale.”
“Non lo sei Rosie… ci vuole carattere per andare a cavallo, dopotutto. Bisogna imporsi su un animale che è decisamente più forte di te e tu ci riesci. Non sei senza carattere, Rose Williams.”
 
“Grazie, ma non capisco perché non riesco a dirgli quello che provo… sai, non voglio perderlo. Forse ho paura che andrebbe male e di rovinare un rapporto che va avanti da anni.”
“Lo immagino, ma sai che cosa mi ha detto stamattina? Che è stanco di essere solo tuo amico. Mi ha detto che per un sacco di tempo non si è aperto con te perché sa che hai sofferto parecchio… se non è un segnale che tiene a te questo… Forse hai paura di stare male di nuovo, ma non credo che lui ti farebbe questo. Riflettici.”
 
Foxtrot sorrise alla ragazza, dandole una lieve pacca sulla spalla prima di allontanarsi e tornare all’interno della Casa ormai buia e quasi deserta. Rose lo seguì con lo sguardo e sorrise lievemente, non potendo fare a meno di pensare che per quanto fosse cambiato ci fosse ancora un po’ di Cecil dentro quel corpo.









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Angolo Autrice:

Com'era prevedibile il più quotato è risultato essere il nostro amato volpachiotto... e questa volta quasi tutte non ci avete preso, si tratta di Cecil e non di Echo, quindi complimenti a Victoria! 
Come sempre, vi metto i nomi per il seguito:

- Erin
- Hooland 
- Echo 


Vi auguro una buona Domenica, a presto!
Signorina Granger 
   
 
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