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Autore: corvonero83    23/07/2017    3 recensioni
Volevo dare un passato ad Alfie Solomons, che adoro, dargli una storia d'amore. Ho approfittato di quello che succede all'inizio della terza stagione. Spero piaccia e sia coerente con il racconto della serie.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Violenza
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quello che sognavi ti fa ridere
da quando sai che non lo puoi più avere
ma l'odio è un carburante nobile
e hai scoperto che non è così male
tradirsi con rispetto
perchè vivere è reale
ma vivere così
non somiglia a morire?

(Afterhours-Tutto fa un po’ male)

 

 

Grace Burges Shelby era morta.

La notizia lo lasciò muto per almeno un’ora.

A mente fredda avrebbe dovuto gioirne, avrebbe potuto trarne vantaggio. Thomas Shelby ora era debole.

Ma voleva davvero approfittarne?

Lui, Alfie Solomons, lo sapeva cosa voleva dire avere a che fare con un cuore ferito, devastato. E sapeva che non ci si poteva rialzare da terra facilmente e che se ci si riusciva si continuava a sputare sangue ogni maledetto, fottuto giorno della propria vita.

Avrebbe dovuto approfittarne, vero. Sabini lo avrebbe fatto. Quel porco di un italiano.

Ma lui non era un porco. Non era un mostro. Quel mostro che tutti credevano. Quel mostro che dimostrava di essere e in cui lo avevano voluto trasformare.

Thomas Shelby gli stava simpatico, si ritrovava in lui, nella sua voglia di espandersi, di allargare il suo impero di provincia fino alla City, la città che fondamentalmente li rifiutava. Avere potere di vita e di morte su persone che non li avrebbero mai accettati come connazionali.

Nonostante fossero nati e cresciuti su suolo inglese.

Nonostante parlassero inglese.

Nonostante la Somme o le Ardenne.

Loro due erano infetti. Sangue ebreo e zingaro li contaminavano senza avere opportunità di rimediare. Per questo trovava Thomas Shelby simpatico. E un po’ lo ammirava.

Ma ora…

La perdita di una persona cara, soprattutto se si trattava della donna amata, l’unica, ti lasciava una cicatrice profonda. La notte, senza averla vicino, senza il suo calore, il suo odore, ci si ritrovava a boccheggiare, quasi come se si stesse per annegare.

Lui, Alfie Solomons, lo sapeva bene.

Lui aveva provato quella sensazione di morte apparente, di perdita e vuoto e con il tempo l’aveva trasformata in rabbia ed odio.

Mary…

Doveva scrivergli un bigliettino di condoglianze? Doveva proporgli un incontro?

Mary…

La gamba iniziò a fargli male. Maledetta pallottola. Maledetta guerra. Mascherava quel suo incedere incerto come un male dovuto alla sciatica. In realtà era stata la guerra. Lui era stato in guerra, con un altro nome ma ci era stato. Nessuno però lo sapeva.

Prese dal taschino il cipollotto d’oro che suo nonno gli aveva lasciato in eredità. Lo aprì ma non ne lesse l’ora. Alzò il quadrante e dietro di esso trovò quello che cercava. Il ritratto di una donna. Il bianco e nero non permetteva di rendere giustizia al verde limpido dei suoi occhi. Lui quel verde lo portava tatuato sulla pelle.

Mary…

Solomons aveva amato una sola volta nella sua vita. In quell’amore diede tutto se stesso, fino ad esaurirsi. Fino a che non glielo strapparono dalle mani.

Mary-Ann era una Sabini. Una bastarda riconosciuta Sabini, avuta dal fratello di Darby Sabini con una puttana di alto borgo rimasta uccisa subito dopo il parto. O ammazzata da loro dopo il parto, così pensava Mary-Ann. Per non subire ricatti o problemi futuri.

Era più giovane di lui di dieci anni ma lo aveva ammaliato subito la prima volta che la vide e la sentì cantare durante una cena a casa dell’italiano.

Agli inizi della sua carriera criminale Alfie aveva accettato di lavorare per Sabini. Prima della guerra doveva ancora espandersi e trovare la sua strada.

Fanculo. Pensò.

Ogni volta che gli veniva in mente Mary era uno strazio. E lui non poteva permettersi debolezze. Grugnì, come faceva sempre quando era indeciso sul da farsi. Dare o no un segnale a Shelby?

Lui e Mary si erano amati per un anno intero, sempre in segreto.

Poi era arrivato l’ordine dall’Italia: la ragazza doveva andare in sposa ad un certo Comencini.

Alfie era già pronto a sfidare il rivale, toglierlo di mezzo senza pietà, facendo sparire il cadavere. Ma Mary lo batté sul tempo.

Era rimasta incinta. A diciassette anni, incinta di un ebreo che doveva ancora confermare tutto il suo potere.

Ma lui voleva quel bambino, voleva averla vicino. Voleva quella famiglia che gli era stata portata via dai Russi.

Era il Natale del 1913.

Ma quando si presentò da Darby per la proposta di matrimonio quel figlio di puttana gli rise in faccia.

Feccia, lo aveva chiamato, feccia con cui aveva dovuto condividere la scuola e qualche affare. Nient’altro. Mai e poi mai avrebbe permesso al suo sangue di mescolarsi con quello di un ebreo puzzolente e vigliacco.

Alfie dovette mordersi la lingua fino a farla sanguinare per evitare di spaccare la faccia a quel bastardo.

Non la vide più per tre mesi. Solo piccoli messaggi dai quali seppe che l’avevano fatta abortire e che a luglio sarebbe dovuta partire per l’Italia.

Alla notizia dell’aborto, della perdita di quel bambino che era suo si trasformò in una belva. In poco tempo ottenne il potere su Cadmen Town e soffiò molti affari agli italiani, iniziando una lenta e inesorabile strage di quella razza maledetta. Voleva portare via Mary da quella famiglia, darle il suo cognome. Salvarla.

Ma Mary-Ann lo aveva ancora battuto sul tempo. A giugno ci fu l’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando d’ Austria e dopo poco tempo sul continente scoppiò la grande guerra. In caso di entrata in guerra della Gran Bretagna, lui da maschio adulto sarebbe dovuto partire come volontario. Ma non voleva che il suo nome fosse associato all’esercito britannico e partì con il suo vero nome.

Mary comparve nel suo studio a luglio. Il matrimonio era stato rimandato e lei stava facendo un corso da infermiera di nascosto. Sarebbe partita come infermiera, voleva riparare al male che la sua famiglia aveva seminato sia in Inghilterra che in Italia.

Era dimagrita ma sempre fiera, nel suo portamento e nella luce di suoi occhi. Lui rimase senza fiato. Lui cercò di dissuaderla, di convincerla a scappare con lui. La voleva, la desiderava e la prese sulla scrivania, perdendosi nel verde dei suoi occhi ad ogni affondo e imprimendosi in testa il suo sapore, l’odore della sua pelle.

Ti amo e non amerò nessuna come te.

L’unica volta in cui pronunciò quelle parole maledette. Malefiche. Alfie non le disse mai più.

Anche io ti amo, ma voglio partire e credimi per quanto io non possa vivere senza di te spero di non incontrarti in Francia.

Non la vide più, la mattina era sparita. Imbarcata sulla nave che l’avrebbe portata in Normandia.

Quando l’orrore della guerra era finito per tutti, lui tornò a casa con un proiettile nella gamba. Non poteva essere estratto, avrebbe rischiato la gamba, dissero i medici o molto più semplicemente voleva tenersi un ricordo di quell’orrore che gli aveva fottuto metà cervello. Dopo la guerra Alfie Solomons non era più lo stesso.

In Francia aveva cercato Mary ma non l’aveva mai trovata.

La ritrovò a Londra, nel suo ufficio di Cadmen Town, in una decina di lettere che Mary gli aveva scritto mentre erano in guerra. Lettere in cui gli raccontava delle sue giornate passate a ricucire uomini e dare loro affetto in punto di morte. Ogni giorno ringraziava non si sa bene quale dio per il fatto che in quei volti non trovasse mai il suo.

Tra le lettere però c’era un telegramma, lo si informava della morte della capo-infermiera Mary-Ann Sabini causata dallo soppio di una mina. La ragazza aveva lasciato quell’ inidirizzo in caso di morte.

Da quelle lettere Alfie capì che più di una volta si erano sfiorati in mezzo a quell’orrore di corpi mutilati e straziati. Ma il destino non aveva voluto per loro un ultimo incontro.

Rimase chiuso in ufficio tre mesi. Facendosi del male, urlando e piangendo finché non capì che lui aveva uno scopo: distruggere i Sabini.

Mr. Shelby devi essere forte, devi ingoiare tutto il tuo dolore e alzare la testa prima che ti colpiscano. Solo rabbia ed odio, nessuno ricordo. I ricordi ti rendevano debole.

Avrebbe voluto dire questo a Thomas Shelby.

Lui aveva fatto così e ripreso il comando aveva continuato la sua guerra contro Darby Sabini, perché lo aveva promesso a Mary-Ann; quell’ultima notte lei gli aveva fatto promettere di sterminare la sua famiglia. Non un Sabini doveva continuare a vivere perché loro avevano ucciso il loro bambino. Lei voleva vendetta.

E lui gliela avrebbe data.

Partendo dall’Italia e arrivando alle rive del Tamigi, prendendo in giro Darby, giocando con lui come fa il gatto con il topo.

Prese un foglio e con la sua grafia decisa scrisse un messaggio al capo dei Peaky Blinders di Birmingham:

 

Mr Shelby,

vorrei spezzassimo ancora il pane assieme per risollevarla dal dolore di una perdita importante.

Il suo amico

 

                     Alfie Solomons

  
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