Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Carme93    23/07/2017    0 recensioni
Anno 2021.
I Dodici della Profezia si preparano ad adempiere al loro destino, mentre la comunità magica piomba nel caos; ma è il tempo anche di affrontare i problemi e le discriminazioni sociali ignorate per secoli. E ancora una volta toccherà ai ragazzi far aprire gli occhi agli adulti. Ragazzi che a loro volta sono alle prese con i problemi tipici dell'adolescenza e della crescita.
Inoltre si ritroveranno a interagire anche con studenti stranieri e quindi con civiltà e realtà completamente diverse dalla loro. Questo li aiuterà a crescere, ma anche a trovare una soluzione per i loro problemi.
Questa fan fiction è la continuazione de "La maledizione del Torneo Tremaghi" e de "L'ombra del passato", la loro lettura non è obbligatoria ma consigliata.
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Nuova generazione di streghe e maghi | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione, Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo sesto

Dura lex, sed lex
 
«Frank, tesoro, devo cambiare Aurora… continuerete a giocare pomeriggio».
Il ragazzino sorrise e annuì. «Lasciamo le costruzioni qui, però. Stavamo costruendo un castello» disse indicando il tappeto della cucina, su cui fino a qualche momento prima giocava con la sorellina di un anno.
«Come volete» assentì sua madre Hannah prendendo in braccio la sua ultima nata. «Vai a chiamare papà nel frattempo. Tra poco mangiamo e lui ha sempre le mani piene zeppe di terra».
«Sì, ok» disse Frank uscendo fuori in giardino. Suo padre si era costruito una piccola serra o meglio più che altro si trattava di un minuscolo capanno degli attrezzi reso alla meno in meglio adatto a ospitare delle piante. A lui dispiaceva perché sapeva quanto al padre sarebbe piaciuta una vera e propria serra, ma la casa era troppo piccola e ancor di più lo era il giardino. Entrò nella serra e sorrise nel vedere il padre al lavoro. Le sue mani rinvasavano con sicurezza e delicatezza un bulbo.
«Ciao» quasi sussurrò per non disturbarlo.
«Ciao, Frankie. Tutto ok? Il pranzo è pronto?».
«Sì, mamma mi ha chiesto di venire a chiamarti».
Suo padre, Neville, batté le mani per togliersi un po’ di terra e disse: «Allora, sbrighiamoci. Quando Alice ha fame, diventa insopportabile». Frank non sorrise, perché si rese conto di aver finalmente l’opportunità di parlare con lui a quattr’occhi, senza sorelle o cugini. «Che c’è?» gli domandò Neville cogliendo il suo sguardo pensieroso.
«Senti… so che non sono affari miei… ma perché tu e mamma avete litigato qualche settimana fa?».
Il sorriso bonario sparì dal volto di Neville. «Mi dispiace, abbiamo perso un po’ il controllo quella sera… ecco, vedi… abbiamo litigato perché vorrei che mamma rinunciasse alla gestione del Paiolo Magico...».
Il ragazzino ne rimase sorpreso: era l’ultima cosa che si aspettava di sentire. «Perché?».
«Nonostante il Ministero abbia provveduto a mettere delle protezioni… io ho paura… è un luogo frequentato… potrebbe entrare chiunque… potrebbe essere preso di mira dai Neomangiamorte…» rispose Neville affranto e turbato. «Non sarei mai tranquillo… soprattutto durante l’anno scolastico… poi dovrebbe portare con sé anche la bambina e non voglio…».
«E come siete rimasti?» domandò Frank. Di solito quando i genitori litigavano facevano pace abbastanza velocemente, questa volta, però, più che risolvere il problema, causa della discussione, avevano tentato di far finta che non fosse successo nulla. O almeno questa era l’impressione che aveva avuto lui.
«Tocca a lei decidere, non a me. Le ho detto che potrebbe venire anche a Hogwarts con noi, tanto nonna Augusta se la caverebbe benissimo da sola… tua mamma ha anche il diploma da medimaga per cui potrebbe occuparsi dell’infermeria… mi ha promesso che ci penserà…».
«E Peter?».
«Peter aveva un contratto annuale e gli è servito come tirocinio».
«Quindi non litigavate per colpa nostra?» mormorò Frank sollevato.
«Colpa vostra? Perché hai pensato una cosa del genere?».
Augusta sarebbe stata la risposta sincera, ma non era da lui mettere nei guai le sorelle, quindi si limitò a dire: «Beh non eravate molto contenti dei nostri risultati scolastici… soprattutto mamma…».
Neville si accigliò. «Perché parli al plurale? Il discorso valeva per Alice, non per te… Alice ci sta facendo disperare… e comunque, non vedo perché avremmo dovuto litigare per questo motivo… io e la mamma siamo perfettamente d’accordo sulla questione: tua sorella deve iniziare a comportarsi meglio e a studiare di più».
Frank glissò sull’ultimo punto e disse: «Mamma si è arrabbiata anche con me… sono calato in Astronomia… e pensa che non mi sia impegnato abbastanza… ed è vero, no?» borbottò, ripensando al periodo in cui aveva creduto di poter seguire le lezioni di Storia della Magia del settimo anno, trascurando le altre materie.
«Mamma ci tiene molto che abbiate dei buoni risultati scolastici, lei era un’ottima studentessa… comunque no, non lo penso… so che ti sei impegnato al massimo e soprattutto conosco la professoressa Campbell… So, che ha la tendenza a prendere di mira gli studenti, specialmente Grifondoro e Tassorosso…» replicò Neville arruffandogli i capelli.
«Domani ci sarà il primo incontro del gruppo. Mi è arrivato il messaggio» lo informò Frank.
«Sì, Harry mi ha scritto. Ti accompagnerò a Villa Shafiq domani mattina».
«Grazie».
Rientrarono in casa insieme, ma anziché andare in bagno a lavarsi le mani, Frank si fiondò nella cameretta delle sorelle. Come sperava vi trovò Alice intenta a scarabocchiare una pergamena.
«Non credo che quei disegnini rispondano alle domande di Lupin».
«Che diavolo vuoi? Non ho fame, l’ho già detto a mamma» borbottò la tredicenne senza smettere di scarabocchiare.
«Volevo dirti che ho parlato con papà… mi ha detto che lui e la mamma hanno litigato perché non ritiene sicuro che lei torni a lavorare al Paiolo Magico».
«Cosa? Non hanno litigato per colpa mia?» sbottò Alice guardandolo.
«No, gliel’ho chiesto per sicurezza».
«Quindi Augusta ha mentito! Ci aveva detto di aver origliato e che stavano litigando per colpa mia!» quasi strillò Alice.
«Già, ci ha mentito… dovremmo capire perché l’ha fatto…». Ma Alice non lo stava più ascoltando.
«Questa me la paga!» disse a denti stretti correndo fuori dalla stanza.
«Alice, che intenzioni hai?» chiese Frank, ma non ebbe risposta. Rimase fermo per qualche secondo, poi sentì delle urla provenire dal piano di sotto e si affrettò a scendere anche lui. «Oh, cavolo!» mormorò appena giunto in cucina.
La madre teneva tra le braccia Augusta in lacrime e Alice la fissava truce a braccia incrociate.
«Che succede?» chiese Neville, arrivando alle sue spalle e poggiando una mano sulla sua spalla, poiché si era fermato sull’ultimo gradino bloccando il passaggio.
«Alice ha tirato un pugno ad Augusta» replicò furiosa Hannah.


*


Brian asciugò l’ultimo piatto e si buttò sul divano a peso morto. Era distrutto. Per giunta oltre le solite faccende in casa e suo padre ancora convalescente, si era aggiunto il processo a Konrad Ralphs. Era stato costretto a prendervi parte insieme al suo amico Connor Mils, un Grifondoro che abitava nel suo stesso quartiere, in quanto entrambi erano testimoni oculari. Sperava di non dover ripetere mai più un’esperienza del genere. L’ansia e il nervosismo di quella mattina non l’avevano ancora abbondonato.
«Dovresti andare a letto».
La voce del padre lo fece sobbalzare, ma non si mosse dal divano limitandosi ad alzare gli occhi su di lui. «Tra poco vado» rispose.
Gregory Carter portava ancora il braccio appeso al collo, ma ormai la ferita stava guarendo e presto gli avrebbero tolto i punti.
«Adesso. Non ti posso portare in braccio, se ti addormenti» disse accennando al braccio fasciato.
«Potresti sempre usare la magia» borbottò Brian, senza la minima intenzione di muoversi dal divano. Era troppo comodo e le scale troppo faticose. Percepì il divano abbassarsi: il padre si era seduto. Sentiva i sul sguardo addosso, così aprì gli occhi. Conosceva quell’espressione, significava: Pensi davvero di fare di testa tua? Di solito a quel punto obbediva, ma quella sera si sentiva troppo stanco.
«Non posso dormire qui?» mormorò, richiudendo gli occhi: non riusciva a sfidarlo guardandolo.
«Il tuo letto è molto più comodo. Muoviti».
«Ma è molto più lontano…».
«Brian, accidenti! A letto, adesso!» disse Gregory alzando lievemente il tono della voce. «Non mi fare urlare, se si sveglia Sophie è un problema!».
Il ragazzino si alzò senza discutere, avendo colto un certo nervosismo dietro le parole del padre. «Però non è giusto» borbottò mentre si avviava verso le scale. «Sophie ha fatto un macello per non andare a letto e tu non l’hai rimproverata». Una parte di sé sapeva che si stava rendendo stupido, l’altra era realmente irritata perché il padre le passava tutte a sua sorella.
«Non essere ridicolo» borbottò Gregory. «Tua sorella è piccola».
«Ha sei anni» borbottò infastidito.
«Mettiti il pigiama, tra poco vengo a darti la buonanotte» replicò Gregory ignorando le sue parole.
Brian, arrabbiato, fece come gli era stato detto. Dopo aver messo il pigiama si avvicinò alla scrivania sperando che rileggere le domande di Difesa, a cui aveva risposto quella mattina, lo avrebbe distratto da brutti pensieri. La pergamena, però, era stata scarabocchiata tutta con vari colori. Per non parlare del tema di Storia della Magia! Era stato ritagliato tutto sui lati! Prese entrambi e si diresse come un furia nella camera del padre.
«Guarda!» strillò. «Osi dire ancora che è solo una bambina!?».
«Abbassa la voce!» sbottò Gregory, colto dal figlio mentre tentava di indossare una maglietta a maniche corte stinta e larga. «Che problema c’è se ti ha preso qualche vecchia pergamena per giocare?».
Brian dovette trattenersi per non mettersi a urlare e far arrabbiare sul serio il padre, ma qualche lacrima di rabbia gli sfuggì ugualmente. «Non sono delle vecchie pergamene!» sibilò con voce acquosa. «Erano i miei compiti di Difesa e di Storia della Magia!». Tirò su con il naso, mentre il padre prendeva le pergamene per osservarle.
«Penso che Maxi potrebbe capire» cercò di scherzare.
«Non che non capirebbe!» replicò irritato Brian, mal sopportando che il padre scherzasse anche su quello.
«Allora non ti rimane altro che ricopiare entrambi… Anche se domani potresti sempre chiedere a Maxi…». Gregory tentò di sorridere, ma il ragazzino non lo ricambiò.
«Non è giusto che faccia così!» si lamentò.
«La prossima volta stai più attento, invece! Riponile dove lei non arriva…» disse Gregory sempre più esasperato dalla conversazione.
«È la mia stanza!» s’impuntò Brian, ma poi colse l’occhiata del padre e sbuffando se ne ritornò in camera. Gettò i compiti sulla scrivani e poi si buttò sul letto, nascondendo il volto nel cuscino. Non era giusto che vincesse sempre Sophie! Non era più così piccola! A malapena ricambiò la buonanotte del padre; la mattina dopo non avrebbe saputo dire a che ora si fosse addormentato, ma si sarebbe sentito uno straccio.


*


«Grazie per avermi dato il permesso di tenere gli incontri del gruppo qui a casa» disse Emmanuel Shafiq. È un ragazzino di quattordici anni, abbastanza alto per la sua età e alquanto muscoloso grazie al Quidditch. Piaceva molto alle ragazze. Solitamente, però, a Scuola frequentava solo i suoi compagni Serpeverde, così come a casa in quegli anni aveva invitato solo loro. Scoprire di essere coinvolto in una Profezia insieme ad altri undici ragazzi, l’aveva sorpreso molto; ma dopo l’uccisione dei nonni aveva tutta l’intenzione di combattere.
«Sai che i tuoi amici sono sempre i benvenuti» replicò suo padre. Darnell Shafiq era un giudice del Wizengamot ed Emmanuel lo ammirava molto.
«Oggi, però, piove. Per te va bene se ci mettiamo in biblioteca? Penso che il professore possa mettere degli incantesimi di protezione sugli scaffali».
«Mi sembra una buona idea» acconsentì Darnell. «Prima che arrivino i tuoi compagni e il professor Williams, c’è qualcosa che ti preoccupa? Magari c’è qualcosa che non hai detto a me e alla mamma e hai paura che ce lo dica il professore?» domandò con un sorriso bonario.
«Non che io sappia» rispose sinceramente, sostenendo lo sguardo del padre.
«E allora? Ti vedo un po’ pensieroso negli ultimi giorni e non credo sia solo per la Profezia… Sei sempre un po’ distratto…».
«Non riesco a non pensare alla conversazione tra te e lo zio Abraham dell’altra sera» ammise Emmanuel.
Darnell s’incupì. «Capisco. Mi dispiace, non me ne sono reso conto. Ma se ti preoccupa tanto, perché non me ne hai parlato subito?».
Emmanuel si strinse nelle spalle, solitamente i genitori lo rimproveravano se utilizzava quel linguaggio non verbale in quanto non lo trovavano molto fine, ma in questo caso, come spesso quando erano da soli, suo padre lasciò correre. «Non sapevo da dove iniziare».
«Papà, avrei bisogno di parlarti era troppo difficile?» chiese quasi retoricamente Darnell. «Che cos’è che ti ha colpito della conversazione?».
«Quando avete parlato di me… lo zio ha detto che vi aspettate che trovi una ragazza degna del nostro cognome e ti ha detto anche che mi vede come tuo erede nel Wizengamot» mormorò Emmanuel.
«Non vedo quale sia il problema» commentò Darnell.
«Vedi, io… io non credo di voler fare il giudice...» confessò.
«No? Quando eri piccolo dicevi il contrario» replicò suo padre, ma sembrava perfettamente tranquillo. Il che, però, non era particolarmente indicativo in quanto era un abile occlumante.
«Sì, ma ultimamente sto pensando ad altro…».
«Capisco. Però, Emmanuel, vorrei che tu comprendessi che io e lo zio chiacchieravamo e basta… Sei troppo piccolo ancora…».
«Mi piacerebbe fare il medimago» ammise ormai che c’era.
«Io e la mamma ne saremmo molto orgogliosi» disse Darnell sorridendo di nuovo.
«Sul serio? Anche se non seguo le tue orme?».
«Un medimago è molto più utile» assentì suo padre, facendolo rilassare.
«C’è un’altra cosa» mormorò rapidamente, vedendo che il padre stava riponendo le sue carte.
«Sono tutt’orecchi».
«Esiste una legge che vieti ai genitori di cambiare i figli di Scuola se loro non vogliono?».
Darnell si accigliò. «No, se i figli in questione sono minorenni devono sottostare alla volontà dei genitori; se sono maggiorenni, naturalmente, possono decidere per sé. Perché me lo chiedi?».
«Sai, una mia amica abita in Romania, ma viene a Scuola qui perché il padre è inglese. Ora, però, a causa dei Neomangiamorte, la madre vuole far spostare lei e i suoi fratelli in un’altra Scuola… forse Beauxbatons… Loro non vogliono, però».
«Purtroppo l’unica loro possibilità è quella di convincere i genitori. Dopotutto Hogwarts è meno pericolosa di molti altri posti» commentò Darnell, poi notando la sua palese delusione, domandò: «Perché ci tieni tanto? Chi è quest’amica?».
«Fabiana Weasley. Te ne avevo parlato a Natale, perché l’avevo invitata a fare i compiti con me… I suoi, però, non le hanno dato il permesso…».
«Non è che questa ragazzina ti piace?».
Emmanuel arrossì violentemente e scosse la testa istintivamente prima di ammettere la verità: «Sì».
Darnell ridacchiò: «Allora tua mamma aveva ragione! Ne sarà contenta. Ama avere ragione».
«Ragione su cosa?» chiese Emmanuel imbarazzatissimo.
«Che hai la testa fra le nuvole perché sei innamorato».
S’è possibile il ragazzino arrossì ancora di più, mentre il padre continuava a ridacchiare. La madre li trovò così.
«Tutto a posto?» chiese.
«Sì, cara. Poi ti spiego» rispose Darnell dandole un bacio a fior di labbra.
«Il professor Williams è arrivato e anche qualcuno dei tuoi compagni».
«Andiamo» disse Darnell mettendo una mano sulla spalla del figlio.
Emmanuel seguì i genitori in salotto.
La madre aveva già fatto accomodare il suo professore di Difesa contro le Arti Oscure, Maximillian Williams; tra gli altri presenti riconobbe Harry Potter, il Capo del Dipartimento Auror, insieme ai figli James e Albus; Ronald Weasley, il vice Capitano degli Auror, accanto a lui, praticamente stravaccata sul divano, la figlia Rose; Gabriel Fenwick, sotto vice Capitano sempre degli Auror, con la figlia Dorcas.
Salutò il professore dopo il padre e si accorse della presenza di Brian Carter, che in un primo momento non ha aveva visto. D’altronde Brian era il più piccolo del gruppo. Non aveva confidenza con nessuno di loro e sperò che gli altri arrivassero presto. Ascoltò distrattamente i discorsi degli adulti. A quanto pare era stata denunciata la scomparsa di alcune ragazze purosangue.
«Secondo voi dovremmo preoccuparci?» chiese Albus con espressione concentrata. James li stava ignorando e seguiva attentamente il discorso degli adulti.
«Certo che no!» replicò con sicumera Rose. «Peggio per i Purosangue, no?».
Emmanuel tossì per ricordare alla ragazza la sua presenza. Dorcas, Albus e Brian assunsero un’aria imbarazzata, ma Rose non sembrò minimamente toccata. Si sporse in avanti verso il ragazzino e sussurrò: «Sposati una Mezzosangue così sarai più puro».
Naturalmente l’ultima frase era sensata solo per lei, ma per fortuna l’arrivo di Neville e Frank distrasse i ragazzi e sollevò Emmanuel dalla responsabilità di dare una qualunque risposta.
«Buongiorno a tutti! Scusate il ritardo» esordì Neville.
Frank si unì agli altri dopo i consueti convenevoli.
«Hai una faccia!» esclamò Albus.
«Augusta ha fatto uno scherzo ad Alice stanotte e hanno svegliato tutti» borbottò Frank, trattenendo a stento uno sbadiglio.
Albus, Rose e Dorcas risero, ma si bloccarono all’istante quando videro che l’amico non si univa a loro.
«Non stavi scherzando?» chiese Albus.
«Da quando Augusta fa scherzi? Ho sempre pensato che tua madre avesse messo le corna a tuo padre con mio zio Percy» commentò Rose.
«Rose!?» la richiamarono Albus e Dorcas. Emmanuel non riuscì a trattenere delle risatine. Brian li fissava perplesso, come se non sapesse se ridere o meno: insomma Neville era un suo insegnante; mentre Frank sembrava più interessato a trovare un letto su cui coricarsi.
«No, sono serissimo. Ieri prima di pranzo Alice ha tirato un pugno ad Augusta e lei si è vendicata riempiendole il letto di ragni finti. Alice ha avuto un attacco di panico in piena regola… Mamma e papà sono ancora furiosi» raccontò Frank stancamente.
«Ciao!» disse una Roxi sorridente, appena giunta con il padre.
«Allora siete riusciti a svegliare zio George?» chiese divertita Rose.
«Mamma ha usato l’aguamenti» disse Roxi alzando gli occhi al cielo, mentre i cugini, immaginando la zia Angelina all’opera, scoppiavano a ridere. «Frankie, sei con noi?».
Il ragazzino mormorò qualcosa di poco intellegibile, suscitando altre risatine. Al gruppetto poco dopo si aggiunse Virginia Wilson.
«Questa casa è bellissima» disse Rose, guardandosi intorno. «Hai pure una piscina?».
«Sì. Grazie» rispose laconico Emmanuel.
«E perché non mi hai mai invitato?».
La sua domanda suscitò diversi sbuffi. «Mmm noi non siamo mai stati amici» rispose Emmanuel perplesso.
«Vuoi dire che io non sono una bella ragazza?» lo incalzò Rose alzandosi. Erano alti allo stesso modo, ma la ragazza era brava ad assumere un’aria minacciosa.
«S-sì certo. Non mi permetterei mai di dire il contrario» rispose il ragazzo visibilmente a disagio.
«Allora perché non mi hai mai invitata? Voi maschi non guardate sempre a quelle più grandi? E non ci provate in ogni modo?».
«Suvvia, Rosie. Le buone maniere!».
«Oh, Malfoy sei tu… per un attimo ho pensato a mia madre…» replicò Rose, ma subito dopo lo abbracciò. «Mi sei mancato, scemo».
«Sei scorpdipendente. Ammettilo…».
«Mi correggo: sei superscemo» disse Rose sciogliendo l’abbraccio.
«Sei mancata anche a me» concesse Scorpius con un sorriso.
Albus toccò con delicatezza il braccio a Dorcas e le fece cenno di allontanarsi dagli altri.
«Hai una brutta cera. Come ti senti?» le domandò gentilmente.
«Ieri hanno condannato Jesse. A cinque anni di carcere».
Albus non sapeva che cosa dire, così le accarezzò la mano.
«Vorrei dirti che si sistemerà tutto, ma non ne ho idea…».
«Sono arrivati Jack e Jonathan. Dobbiamo iniziare» li chiamò Roxi.
«Senti». Dorcas trattenne Albus. «I tuoi si sono arrabbiati molto?».
«Abbastanza» ammise il ragazzo, mentre si avvicinavano agli altri. I genitori si stavano congedando. «Non ho mai deluso così tanto mio padre».
«Io devo andare al Ministero» disse Darnell Shafiq. «Mi raccomando, Emmanuel».
«Certo, papà. Ci vediamo più tardi» replicò Emmanuel, poi si rivolse a Williams. «Professore, visto che piove, potremmo metterci in biblioteca se per lei va bene».
«Naturalmente» rispose Williams tranquillo.
Emmanuel li guidò lungo i corridoi della villa. Era enorme.
«Ecco, accomodatevi» disse spostandosi di lato per farli passare avanti.
«Grazie» disse Frank, mentre Roxi quasi lo trascinava dentro.
«È davvero bella!» commentò ammirato Albus, guardandosi intorno. Gli scaffali erano di legno, molto probabilmente pregiato anche se non era in grado di riconoscerlo, lucidi e stracolmi di libri che sembravano molto antichi. In fondo alla biblioteca, dove Emmanuel li condusse, vi era un ampio caminetto spento, dopotutto quell’anno l’estate si stava rivelando abbastanza calda per i loro standard; di fronte ad esso vi erano due poltrone e un tavolino, di un legno lievemente più scuro rispetto agli scaffali. Sotto i loro piedi un ampio tappeto copriva quasi tutta quella zona.
«Sedetevi sul tappeto» disse Williams.
I ragazzi obbedirono, mentre l’uomo si appoggiò al bracciolo della poltrona.
«Ho un déjà-vu» ridacchiò a bassa voce Roxi. Frank mugugnò, sapendo perfettamente che si stava riferendo alla lezione sui mollicci dell’anno precedente, ma lui preferiva di gran lunga non ricordare.
«Il damerino non si siede sull’altra poltrona?» chiese ironico Jack Fletcher.
Ecco Frank aveva sperato per un attimo che almeno in quel caso nessuno avrebbe fatto battute stupide riguardo al fatto che il professore stava seduto comodo e loro a terra. Insomma, come non detto.
Emmanuel non sembrò apprezzare il commento, ma d’altronde apparteneva a Serpeverde e non a Grifondoro, che di solito reagivano in modo impulsivo. Fortunatamente, almeno in questo caso, il ragazzino ignorò la provocazione.
«Jack, mi mancava il tuo sarcasmo fuori luogo» disse Williams accigliato.
«Davvero professore?».
«No» rispose secco l’insegnante. «Se avete terminato con le considerazioni stupide, procediamo. Sapete perché siete qui: dovete allenarvi perché siete i Prescelti della Profezia e quindi un bersaglio dei Neomangiamorte».
«Potrebbe usare un termine che non sia prescelto?» chiese James. «Sa, la gente cerca già troppo somiglianze con nostro padre» aggiunse indicando se e il fratello.
«E come vorresti che vi chiamassi?» domandò perplesso Williams.
«Non ci chiami… noi siamo un gruppo per forza…» borbottò Jack.
«Sempre il solito asociale» ribatté James.
«Per essere sociale, dovrei stare con gente come te?».
«Dateci un taglio» li redarguì Williams. «Siamo qui per lavorare, non per assistere ai vostri battibecchi!».
Virginia alzò la mano per attirare l’attenzione su di sé, qualcuno ridacchiò in sottofondo borbottando Ma non siamo in classe, ma Williams li ignorò e le fece cenno di parlare.
«Ho riflettuto molto e credo che le rune devono avere qualche potere particolare che ci sarà utile».
«E quale sarebbe?» chiese Jack sempre con tono ironico.
«Pensi, che questo potere sia legato alla virtù?» domandò, invece, Jonathan.
«Può darsi. Professore, sa se esiste qualche libro di magia celtica?».
«Sicuramente. A Hogwarts deve essercene qualcuno antico» rispose Williams pensieroso.
«Anche qui, ma dovrei cercare con calma» intervenne Emmanuel. «Dopo possiamo dare un’occhiata, se vuoi».
«Sì, grazie» disse Virginia.
«Bene, credo sia il caso di riepilogare rune e virtù. A te l’onore, Albus».
«Allora James ha sol che rappresenta la giustizia; io, invece, reid cioè la prudenza; Rose ha wird, simbolo, in questo caso, del coraggio; Brian ha bjarka, che rappresenta la temperanza; Frank tyr, cioè la mansuetudine; Scorpius ha perth, la magnificenza; Dorcas gyfu, la liberalità; Jonathan jera, la saggezza; Roxi ken, l’arte; Jack ur, la fortezza; Emmanuel laguz, la magnanimità; infine Virginia ha madr, cioè la sapienza».
«Molto bene» disse Williams. «Se non avete altro da aggiungere, credo che sia ora di iniziare». I ragazzi annuirono. «Conosco il livello di ognuno di voi, ma voglio cominciare dalle basi ugualmente. Per qualcuno di voi è indispensabile, altri magari si annoieranno ma non ho intenzione di ascoltare polemiche. Ora vi dividerò in coppie». Si alzò e li scrutò uno a uno. «James e Jack». I due ragazzi si rivolsero uno sguardo di sfida e si misero in posizione. «Rose ed Emmanuel».
«Perché devo stare con uno più piccolo?».
Williams la ignorò e continuò: «Scorpius e Virginia. Roxi e Jonathan. Albus e Dorcas. Frank e Brian».
I ragazzi, man mano che venivano chiamati, si erano alzati e posti uno di fronte all’altro. Williams continuò a osservarli: James e Jack erano sicuramente i più determinati; Rose era imbronciata ed Emmanuel era palesemente contrariato dalla reazione della ragazza; Scorpius appariva divertito e desideroso di iniziare, mentre Virginia era seria e tranquilla come sempre; Jonathan aveva lo sguardo distante e malinconico, al contrario di Roxi che saltellava sul posto impaziente di cominciare; Albus aveva la faccia di chi avrebbe voluto essere ben lontano da lì, mentre Dorcas teneva gli occhi bassi e aveva un’espressione tristissima; infine Frank e Brian erano visibilmente a disagio.
«Inizieremo dall’Incantesimo di Disarmo e quello Scudo. Una volta per ciascuno. Pronti?».
«Sta scherzando, vero?» esclamò Jack. «Questa è roba per bambini».
Il professore si accigliò. «Ho detto che non accetto proteste».
«Ma noi siamo del sesto anno!» intervenne James.
«Ed entrambi abbiamo preso E ai G.U.F.O., non può metterci a livello di questi bambini!» s’infervorò Jack.
«Dove li vedi i bambini, scusa?» sbottò Rose indignata. «Ho solo un anno in meno di voi!».
«Vi sentite così bravi? Bene» disse con un ghigno preoccupante l’insegnante. «James mettiti in coppia con Brian e Jack, tu mettiti con Frank».
«No!» strillò Jack. «Non ho intenzione di fare da baby sitter a nessuno!».
James sbuffò annoiato, ma neanche Brian e Frank erano particolarmente entusiasti.
«O fate come dico io o potete andarvene a casa. A voi la scelta» disse irritato Williams.
James fece spallucce e raggiunse Brian, Jack, invece, lanciò un’occhiataccia al professore e per un attimo pensò di andarsene sul serio; alla fine decise di obbedire.
«Professore, potrebbe lanciare un incantesimo di protezione sui libri?» chiese Emmanuel.
«Certamente». Williams agitò la bacchetta e mormorò qualche parola. «Ora, però, iniziate!».
 «Scusi, professore» intervenne Frank, per nulla desideroso di cominciare. «Ma fuori dalla Scuola non dovremmo usare la magia, no?».
Albus, Dorcas, Jonathan e Brian si accigliarono non avendoci pensato, Virginia fissò l’insegnante in attesa; gli altri sbuffarono poco interessati al problema.
«Evidentemente, ho l’autorizzazione per farvelo fare, non credi Frank?» replicò Williams. «Cominciate ad allenarvi, per favore» disse lievemente esasperato.


*

«Al! Al!» strillò Lily.
Albus, che si stava assopendo, sobbalzò e si voltò proprio mentre la sorellina spalancava la porta della stanza come un piccolo tornado.
«Ma che hai?» borbottò. Williams quella mattina li aveva fatti sfiancare ben bene. Ora poteva dire di saper usare perfettamente l’incantesimo di Disarmo e quello Scudo. Sai che allegria… Almeno era stato fortunato a essere messo in coppia con Dorcas. Probabilmente Frank in quel momento stava odiando di cuore Jack Fletcher, che l’aveva praticamente fatto a pezzi. E dovevano ancora iniziare con gli schiantesimi!
«Marcellus! I Neomangiamorte sono entrati in casa sua! Dobbiamo salvarlo!».
Albus scattò a sedere accorgendosi che Lily stava piangendo.
«Cosa?».
«Fa qualcosa, ti predo Al. Dice che la casa va a fuoco e non sa come uscirne. Con lui ci sono sua mamma e sua sorella! E sua mamma è una babbana».
Un basso suono melodioso si levò all’improvviso e i due fratelli si girarono verso Smile, la fenice di Albus, che svolazzò intorno alla testa di Lily.
«Ma certo! Smile, tu puoi salvare Marcellus!» esclamò Albus, saltando già dal letto.
«Marce abita poco fuori Londra» disse Lily concitata.
La fenice cantò brevemente, come a volerli incoraggiare, e sparì.
«Andrà tutto bene» sussurrò Albus abbracciando la sorellina. «Andiamo a chiamare papà via camino».
Il padre, purtroppo, non era in ufficio, ma fecero in modo che la segretaria chiamasse Adrian Wilson e l’uomo assicurò loro che sarebbe intervenuto immediatamente. Comunque non dovettero attendere molto per avere notizie. Poco dopo, infatti, Smile riapparve: aveva portato con sé Marcellus e i suoi famigliari. Accorsero anche i nonni, ma i tre, a parte lo shock plausibile e qualche bruciatura, sembravano star bene.
La mamma di Marcellus sembrava la più stravolta e singhiozzava completamente fuori di sé. La bambina, che Marcellus poi presentò come Claire, era altrettanto terrorizzata. Il ragazzino, invece, raccontò concitatamente quanto era accaduto.
«È stato mio nonno» mormorò affranto. «Se non avessi avuto lo speculum io…».
«Va tutto bene, adesso. Stai tranquillo» disse nonna Molly con un sorriso dolce. Aveva preparato immediatamente del tè caldo per tutti. Aveva sempre pensato che fosse la scelta migliore per sollevare il morale.
Quando Harry arrivò alla Tana in compagnia di Theodore Nott, erano tutti lievemente più tranquilli. Claire giocava con Felpato, il labrador nero che i tre fratelli Potter avevano ricevuto in regalo dai genitori l’anno prima, e la madre si era leggermente assopita su una poltrona. Marcellus non si era mosso minimamente dal divano per non perdere di vista nessuna delle due. Era molto turbato.
«Benedetto Merlino, state tutti bene!» esclamò palesemente sollevato Theodore Nott. Claire e la madre si gettarono tra le sue braccia, solo quando lo liberarono Marcellus fece altrettanto. «Sei stato bravo» gli sussurrò suo padre.
«L’importante è questo» mormorò Harry, che a sua volta aveva abbracciato i figli. «Se volete rimanere qui stanotte, per noi non è un problema».
«No, ti ringrazio Potter. I tuoi figli hanno salvato la mia famiglia e ve ne sono profondamente grato, ma preferisco chiedere ospitalità a Draco. Mi sentirò più a mio agio. E poi la situazione durerà un po’».
«La casa non si può sistemare con la magia?» chiese perplessa e preoccupata sua moglie.
«No, il fuoco non era normale, era maledetto».
«L’Ardemonio?» domandò Albus al padre, che annuì lievemente.
«Mi dispiace» sussurrò Theodore Nott, passandosi una mano sul volto.
Albus distolse lo sguardo dall’uomo: era assurdo che evitare tutte quelle sofferenze, evitare una guerra dipendesse da dodici ragazzini. Era assurdo e crudele.
 
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Sono tornata con un nuovo capitolo! Spero che vi piaccia, come potete vedere sono accadute un po’ di cose.
Chi ha letto anche La maledizione del Torneo Tremaghi, forse si sarà accorto che ho scambiato le rune e le virtù di Emmanuel e Jack, ma mi sono accorta che non andava bene l’associazione: la fortezza è la ferma e costante ricerca del bene anche nelle difficoltà. Emmanuel, come ho accennato in questo capitolo, appartiene a una famiglia ricca e purosangue, ma anche molto presente e ha vissuto un’infanzia, e ora sta vivendo un’adolescenza, serena e tranquilla; al contrario Jack, come ho spiegato anche nei capitoli precedenti, ha dovuto lottare fin da piccolo.
Sto cercando di approfondire un po’ tutti i Dodici della Profezia, ma non sempre riesco a dedicarli lo stesso spazio.
Se vi va fatemi sapere che cosa ne pensate ;-) Anche le critiche, purché costruttive, sono ben accette ;-)
Vi auguro una buona serata,
Carme93
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Carme93