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Autore: Eleonora Bonora    24/07/2017    0 recensioni
Estratto dalla storia
«E' davvero questo il modo in cui vuoi rendere fiero tuo padre?»
«No, tu non capisci: non ho altra scelta.»
«Tu non sei così e lo sai bene.»
«Lui è mio padre, è mio dovere rispettare le sue scelte.»
«Caleb, lui è malato.»
La fissò, guardava i suoi occhi chiari e cercava le cose giuste da dire. Ma scelse la codardia e scappò.
«No, ascoltami: dimentica. Dimentica tutto quello che ti ho detto. Non avresti dovuto sapere nulla.»
Genere: Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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Era dicembre e la neve cadeva leggera sulle strade di New York, tingendole di bianco. Un colore che sarebbe durato poco, dato il continuo via vai di macchine che in tutta la notte non cessò mai di esserci. Persino adesso, alle sei e mezza del mattino, un uomo camminerebbe più velocemente di quanto farebbe una macchina immersa in questo traffico.

Il cielo non aveva un preciso colore, era più un misto fra grigio, bianco e azzurro. Assomigliava vagamente agli occhi di Bonnie, che al momento stava percorrendo le grandi vie di quella città. Adorava quel periodo dell'anno, perché camminare al mattino, prima di raggiungere la New York University, vedendo quell'incantevole e rilassante paesaggio era confortevole. Non dava peso alle auto né al chiasso che queste facevano. Erano solo lei e la bianca neve.

La sua era ormai un'abitudine: si svegliava sempre troppo presto e si ritrovava a far colazione sempre nello stesso bar. Quello dietro l'angolo della via che portava alla NYU. La prima volta vi si fermò perché comprando un panino da un venditore ambulante, non si preoccupò di controllare che cosa ci fosse all'interno e si ritrovò con la bocca in fiamme. Aveva un disperato bisogno di acqua e il primo bar che vide fu proprio quello. Non si fece problemi a giudicarlo esteticamente, perché, vedendolo così, in una differente situazione, non ci sarebbe mai entrata. L'insegna di legno, posta sopra la porta, dava modo di leggere Luke's, ma visto da lontano si sarebbe benissimo potuto pensare che fosse una falegnameria o perché no, anche un vecchio locale abbandonato. I vetri oscurati non davano modo di vedere all'interno, per questo Bonnie amava sedersi vicino al vetro. Gli altri non vedevano lei ma lei poteva vedere loro.

Entrando dalla porta verde scuro, percorse il piccolo locale sempre buio, nonostante le luci che si trovavano sulle pareti grigie. Passò tra i tavoli quadrati in legno e qualche volta sbatté la gamba nelle sedie di ferro. Finalmente raggiunse il suo tavolo al fondo del locale, quello che aveva una sola sedia ed era in un angolo tra la parete e il vetro che si affacciava sulla strada.

«Cosa ti porto?» chiese la cameriera sulla cinquantina.

Bonnie la trovava molto simpatica e ormai ci aveva fatto l'abitudine: la vedeva ogni mattina. Stessi indumenti neri abbinati al grembiule bianco, stessi capelli ricci e biondi raccolti.

«Un cappuccino» rispose la ragazza con la sua voce armoniosa.

Si tolse il pesante cappotto nero e lo appoggiò al retro della sedia, insieme al suo zaino grigio. Quando la cameriera le portò la sua ordinazione decise di pagare subito, per evitare che, come l'ultima volta, uscisse e tornasse indietro rendendosi conto di non aver pagato. Fortunatamente ormai era una cliente fissa e non si sarebbero fatti problemi se avesse consegnato il denaro il giorno seguente.

Prese la tazza bianca fra le mani e se la portò alla bocca. Nel momento in cui bevve un sorso sentì un piacevole calore invaderle il corpo congelato a causa delle basse temperature all'esterno. Passò una buona mezz'ora ad alternare lo sguardo fra le bianche strade e la sua tazza che a poco a poco si svuotava.

Data l'ora che s'era fatta, fu costretta ad uscire da quel suo piccolo angolo di paradiso per dirigersi verso l'istituto in cui avrebbe dovuto trascorrere ancora quattro anni. Non le dispiaceva come tipo di ambiente: era moderno e inoltre all'interno era presente una grande libreria nella quale trascorreva le sue ore buche. Aveva molti amici e amava tenerseli sempre accanto perché talvolta doveva spegnere la mente e divertirsi un poco, senza dover pensare ai problemi che la circondavano. Neppure nella sua casa si respirava un'aria di tranquillità, siccome c'era sempre molta tensione tra i due genitori a causa del lavoro di suo padre, o meglio, del vecchio lavoro dato che la fabbrica aveva chiuso lasciando a casa i dipendenti senza un minimo preavviso. Ma di questo Bonnie non si voleva preoccupare, infatti viveva la sua vita come ogni suo amico, al pomeriggio aveva il turno in una libreria vicino casa sua e i soldi che guadagnava erano sufficienti per pagarsi gli studi, ma non abbastanza per permettersi un appartamento. Ogni tanto dormiva a casa di Luce, una delle sue migliori amiche.

Passò la sua ultima ora a fissare il professore che con enfasi spiegava qualche argomento di matematica che quella mattina la sua mente proprio non riusciva a capire.

Decise di aspettare un po' prima di uscire dall'università e si diresse verso la sua amata biblioteca: c'era ogni sorta di libro all'interno. Salutò educatamente la bionda bibliotecaria che, come al solito, sedeva sulla sua comoda sedia nera leggendo un libro che, a parer della ragazza, era sempre lo stesso. Aveva l'aria molto vecchia ma non era ancora riuscita a capire di che libro si trattasse. Un giorno o l'altro glielo avrebbe chiesto.

Andò in fondo alla grande stanza e si sedette sulla prima sedia che trovò libera. Quell'angolo della biblioteca era dedicato alle persone che amavano leggere in tranquillità. E Bonnie era una di quelle. A prima vista poteva sembrare una ragazza molto chiusa, a causa delle sue abitudini, ma semplicemente le piaceva avere i suoi spazi e dedicare alcuni momenti della giornata a se stessa. Il sabato sera era solita uscire con i suoi amici e talvolta rientrare a casa molto tardi. Ma i suoi genitori non se ne accorgevano nemmeno.

In un batter d'occhio si fece subito tardi. Bonnie posò velocemente il libro sullo scaffale, non curandosi se fosse quello il posto giusto ed uscì raggiungendo a gran velocità la biblioteca in cui lavorava. Arrivò venti minuti in ritardo e entrando incontrò la bibliotecaria mora, ovvero il suo capo. La metteva sempre in soggezione: aveva un'aria molto seria, i capelli sempre raccolti, mai uno fuori posto. portava dei piccoli occhiali rettangolari chiari che contrastavano con la sua pelle scura. Aveva sempre una postura diritta, come se nessuno potesse essere superiore a lei.

«Grazie per essere andata al posto mio» le disse la donna.

A cosa si riferisce? Pensò Bonnie. Decise che fosse meglio assecondarla nonostante non sapesse di cosa stesse parlando.

«Non si preoccupi, nessun disturbo» rispose cercando di essere il più convincente possibile. Sperava di aver usato bene le parole. Vanno bene per qualsiasi situazione del genere. Si ripeté più volte.

«Dovrei darti un aumento: lavori qui da molto tempo e sei molto efficiente. Prenderò in considerazione la cosa. Ora ti lascio lavorare» fece per andarsene ma si voltò un ultima volta verso Bonnie. Il cuore cessò di batterle per un secondo. La signora Brooks odiava i ritardi, ma ancor di più odiava che le si raccontassero bugie. E se la sua fosse stata solo una tattica per vedere se Bonnie le avesse detto la verità? «ricordati di parlare a bassa voce: alle persone non piace essere disturbate mentre sono concentrate a leggere»

Buttò fuori tutta l'aria che aveva trattenuto e promise alla signora di fare come le era stato chiesto.

Quando raggiunse la sua postazione nel reparto dei libri classici, sobbalzò per un'improvvisa voce che si fece sentire alle sue spalle.

«Prego bionda!»

Era Zoe, la ragazza che lavorava ogni giorno con lei. Si vedevano solo nelle pause, perché lei era addetta al reparto dei romanzi storici. Era davvero una bella ragazza, non ci fu mai una volta in cui la vide con i capelli raccolti: era solita portare i suoi lunghi capelli neri sempre sciolti, ogni tanto se li portava tutti da un lato pettinandoli delicatamente con le dita delle mani.

«Grazie» era più una domanda che una risposta.

Zoe rise e si spiegò meglio «Ho detto io alla cornacchia che eri andata a casa di Mark per dirgli che il tempo per restituire il libro stava scadendo. Avresti dovuto vederla, era già su tutte le furie per il tuo ritardo e appena le ho detto questa innocente bugia, si è iniziata a lamentare dicendo che io dovrei imparare da te e bla bla bla» roteò gli occhi poi squittì allegra «ora ringraziami!»

«Grazie» rise.

«Questa sera vieni a mangiare una pizza con me? Ci saranno anche dei miei amici che sono impazienti di conoscerti. Gli parlo sempre di te: sei la mia unica amica al di fuori della scuola» domandò la ragazza dai capelli neri speranzosa.

Bonnie sembrò pensarci su un attimo poi accettò sorridendo. Le chiese l'indirizzo e, come se Zoe se lo fosse ripetuto a memoria un centinaio di volte, glielo disse. Mentre questa parlava, la ragazza non poté fare a meno di pensare che sembrasse un navigatore.

«Va bene, ci sarò» confermò la bionda.

Dei libri caddero a terra e il rumore le fece sobbalzare. Entrambe, quasi fossero coordinate, si portarono una mano sul petto e sentirono i battiti del loro cuore essere insolitamente veloci.

«Scusate» una voce maschile fece dirigere i loro sguardi verso sinistra, dove un ragazzo dai capelli neri era chinato intento a raccogliere i libri sparsi sul pavimento.

«Oh non ti preoccupare, ci pensiamo noi. E' il nostro lavoro e dato che non abbiamo mai niente da fare, non c'è problema. E' una tale noia qui!» si lamentò Zoe.

«Va bene, scusate ancora» disse il ragazzo rivolgendo finalmente lo sguardo verso le due ragazze. Aveva degli occhi stupendi: sembrava di star guardando del ghiaccio formatosi sulla superficie di un laghetto di montagna. Portò velocemente gli occhi su Bonnie poi si voltò e sparì dalla loro vista.

«Potevi lasciar finire a lui, tanto ormai aveva iniziato!»

«Oh zitta! Non potevo lasciare che ti guardasse il culo ancora per molto! In qualche modo dovevo pur mandarlo via!» Zoe parlò come se tutto questo fosse evidente.

«Cosa? Ma non è vero!» Bonnie alzò la voce e qualche persona la guardò in cagnesco per poi tornare a leggere il proprio libro.

«Zitta» la rimproverò «e comunque sì, è vero! Ora mettiamo a posto questi libri prima che la cornacchia torni»

Le ragazze si misero subito al lavoro e quando anche l'ultimo libro fu stato riposto sullo scaffale corretto, si erano già fatte le sette di sera. Fecero uscire le ultime tre persone rimaste a leggere non curandosi del tempo che passava. Si diressero velocemente ognuna verso casa sua per prepararsi alla cena fra amici che quella sera si sarebbe dovuta tenere.

Alle otto, Bonnie era già vestita e truccata, salutò i suoi genitori con un semplice «Ciao io esco» e infine diede un bacio veloce sulla fronte al suo fratellino.

Uscita di casa le sembrò di ricordarsi il percorso indicatole da Zoe, ma per sicurezza preferì impostare il navigatore sul telefono. Non prese la macchina, perché la distanza segnata era di soli settecento metri. Iniziò a camminare per le strade buie, illuminate solamente qua e la da qualche lampione dalla luce flebile.

Amava il buio, in qualche modo riusciva a sentirsi più libera senza troppe luci. Aveva smesso di nevicare e ora la neve caduta sul marciapiede cercava in tutti i modi di entrarle negli stivali marrone scuro che erano troppo bassi per la quantità di neve caduta.

Quella sera aveva deciso di osare e scelse di indossare un vestito con gonna a ruota nero, abbinato a delle calze leggermente più scure della sua pelle sempre abbronzata. Aveva lasciato ricadere i suoi morbidi capelli biondi sulle spalle. Non aveva esagerato col trucco, non lo faceva mai. Sul suo viso era presente solo l'eyeliner nero in modo che i suoi occhi verdi, con qualche pagliuzza azzurra qua e la, risaltassero.

La neve sotto i suoi piedi faceva un piacevole rumore e voltandosi vide che i suoi stivali avevano lasciato le impronte. Se entro il mio ritorno non dovesse nevicare, riuscirei a tornare indietro seguendo le mie impronte. Pensò sorridendo. Il telefono le cadde dalle mani e s'affrettò a chinarsi per riprenderlo imprecando per il fatto dello schermo che si sarebbe completamente bagnato. Quando le sue mani ebbero quasi raggiunto il telefono sentì dei passi farsi vicini. In un secondo prese il cellulare, accese la torcia e la puntò a destra e a sinistra per cercare di capire di chi fossero i passi.

«Abbassa la torcia! Mi stai accecando!» una voce familiare la tranquillizzò all'istante.

«Zoe, mi hai spaventata!» buttò fuori in un sospiro.

«Scusa, ma non arrivavi più allora ho pensato di venirti incontro» si giustificò.

«Va bene, ora andiamo: sto congelando»

Raggiunsero l'elegante pizzeria e si sedettero a tavola. Bonnie si scusò più volte per il ritardo e presto si trovò a parlare con tutte le persone sedute a quel tavolo. Le sarebbe piaciuto incontrarle ancora e probabilmente l'avrebbe fatto. Si sentiva come se le conoscesse tutte da una vita, avevano quasi gli stessi interessi e trascorsero due ore piene a discutere su film e libri. Uscì fuori un dibattito riguardo alle coppie omosessuali e lei si ritrovò ad essere dalla parte di quelli pro all'omosessualità. Era un argomento che le stava molto a cuore e che avrebbe difeso ad ogni costo. Non le sarebbe mai passato per la testa di iniziare una relazione di questo tipo, ma rispettava pienamente le scelte delle persone e se con queste decisioni si sentivano felici, lei si trovava ad essere d'accordo con loro.

Un cameriere alto e dallo sguardo simpatico, portò il conto al tavolo e un ragazzo, quello seduto accanto a lei, si offrì di pagare anche la sua parte. Bonnie rifiutò due volte per educazione e infine accettò. Pessimo tentativo di approccio. Pensò sorridendo. Si salutarono tutti e quando fu mezzanotte, la bionda stava già dirigendosi verso casa. Il telefono le vibrò fra le mani e, guardando lo schermo, vide che si trattava di un messaggio di sua madre.

«Torna a casa, è tardi e non hai preso le chiavi con te. Non mi va di rimanere alzata ad aspettare e tanto meno di lasciare la porta aperta.»

Guardò nelle tasche del suo cappotto, frugò nella piccola borsa che s'era portata appresso ma non le trovò. Sbuffò e rispose alla mamma.

«Sto tornando, dovrei arrivare tra cinque o dieci minuti, non so. Ma sono comunque a buon punto della strada.»

Riprese a camminare più velocemente per cercare di raggiungere casa sua il prima possibile, ma il terreno scivoloso non le facilitava le cose. Poi, sentì nuovamente dei passi avvicinarsi a lei. Probabilmente se li stava immaginando: era proprio in quel puntò che sentì Zoe accostarsi alla sua figura. Rise ripensando a quanto si fosse spaventata.

Delle mani le presero la testa, qualcosa le si poggiò sulla faccia, aveva un odore dolciastro. Cercò di dimenarsi per scappare e allontanarsi il più possibile da lì, ma a poco a poco iniziò a sentirsi sempre più debole, fino a perdere completamente le forze. Cominciò a vedere tutto sfocato per poi non vedere più nulla. Delle braccia la sollevarono da terra e infine, non sentì più niente.

S/A
Fatemi sapere cosa ne pensate e se vale la pena continuare. Vi anticipo che tratterò tematiche forti più avanti e.. niente vorrei un parere sincero da parte vostra.

   
 
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