SONO
GIÀ LÌ CON TE
Le
sbarre si alzano
lentamente, la luce mi acceca, sento le grida euforiche della folla
aumentare
ad ogni mio passo.
Mi
inneggiano, urlano
il mio nome e mi venerano come se fossi il loro dio.
Ed
io non riesco ad
impedirmi di ricordare quando eri tu a gridare il mio nome, quando i
nostri
corpi erano fusi in uno,
-Siamo
lo scudo e la spada tu ed
io-
-Allora
io sono senz’altro la
spada-
Ridendo
mi schiaffeggi
-sei
un lurido porco!-
Sogghignando
ti lascio sfogare i
tuoi deboli pugni sul mio torace, prima di rovesciare le nostre
posizioni e
sovrastarti con la mia mole, tu smetti di ridere ed i tuoi occhi
indugiano
sulla mia bocca, cedo ancora una volta a quella meravigliosa tentazione
che è
baciarti
-sei
tu la spada, hai il potere di
uccidermi in ogni momento perché possiedi il mio cuore-
I
tuoi occhi si sgranano e si fanno
lucidi, e i tuoi baci più ardenti
Scuoto
la testa,
riportando l’attenzione al presente,
è
per questo che sono
qui oggi: darò loro il più grande spettacolo che
abbiano mai visto, come
resistere al fascino oscuro ed esaltante della morte?
Siamo
in mezzo al campo
di battaglia, nel cuore pulsante dell’anfiteatro Flavio, le
cui maestose mura
si ergono intorno a noi come una corona di pietra.
-Ciò
che facciamo in vita
riecheggia per l’eternità-
-un
eternità è tanto tempo-
-troppo
se non sei con me-
La
terra ha il colore
del sangue, non so quanti nemici ho ucciso, ma non scorderò
mai i loro volti
sfigurati dal terrore, le loro urla straziate prima di essere trafitti
dalla
mia spada. È così che sarò ricordato?
È
un bene che tu non
sia qui, saresti una distrazione troppo grande e
mi saresti fatale, inoltre non voglio che tu
mi veda così, non sopporterei di vedere la paura o
l’orrore nei tuoi bellissimi
occhi.
Per
quel che vale, io
non avrei mai voluto nemmeno impugnare un gladio, uccido per non essere
ucciso
a mia volta, è questa la legge del più forte, e
che muove ogni cosa.
Ora
immagino che ti
chiederai se siamo bestie o uomini: è così
sottile la differenza, amor mio!
Com’è
esile il filo
della nostra vita tra le mani delle perfide Parche;
se
il fato vorrà
punirmi per gli atti terribili che ho commesso, destinandomi
all’oscurità
dell’Ade, prego qualunque dio esista per godere ancora una
volta della luce del
tuo sorriso e per poterti stringere tra le mie braccia
un’ultima notte.
È
solo il ricordo dei
momenti vissuti con te che mi spinge ad andare avanti, a non arrendermi
e a non
soccombere alla paura e alla stanchezza.
Non
voglio morire ora
che mi hai dato una ragione per vivere.
Le
ferite bruciano e il
sole scotta sopra le nostre teste, non riesco a distinguere il mio
sangue da
quello dei miei avversari.
L’ultimo
uomo cade tra
la polvere.
La
folla esulta,
mi
accascio lentamente
a terra, solo la spada mi sorregge, sotto di me si mischiano terra,
sudore e
sangue,
sono
solo in mezzo
all’arena, la corona di pietra è troppo pesante
per le mie membra stanche,
cerco di rialzarmi, le gambe cedono.
L’oblio
mi coglie e il
buio mi circonda.
Non
sento più il
dolore, la stanchezza o la sete.
Il
vento mi accarezza
il viso, le spighe di grano mi solleticano le dita, tutto è
in fiore, l’alba si
confonde col tramonto, c’è una spiaggia
laggiù e uno stallone nero che corre
libero sul filo dell’acqua,
ma
tu non ci sei;
sono
questi i campi
Elisi?
È
questa la morte?
La
vita mi scorre
davanti agli occhi:
rivedo
la prima volta che ci siamo visti, quando
fosti gettata nella mia tenda in catene, un dono per
l’ennesima vittoria: una
giovane donna con la veste strappata, sporca di terra e sangue, con i
capelli
aggrovigliati in una massa informe e gli occhi di una dea vendicatrice,
pieni
di lacrime di umiliazione e rabbia, ti trovai bellissima;
i
primi tempi pensavo che tu mi avresti ucciso e non
ho mai avuto dubbi che sarebbe stata una morte atroce, poi notai che
con il
passare del tempo ti affezionasti a me, complice il fatto che non ti
costrinsi
mai a nulla, né ti maltrattai in nessuna occasione, e tu
sapevi bene che avevo
il potere di farlo; iniziammo a comunicare, tu diffidente e ringhiante
come una
randagia, io limitato dal mio maledetto orgoglio che mi ha impedito
così tante
volte di dirti ciò che realmente provavo per te;
prima
che noi abbattessimo le nostre mura di paure e
iniziassimo davvero a fidarci l’uno dell’altra
passarono due lunghi anni, lo
stesso tempo che mi bastò per perdere definitivamente la
testa per te;
la
prima volta che ci baciammo fu per gelosia,
perché ero stato appena comprato da una ricca matrona e tu,
proprio quando stavo
per oltrepassare la soglia della nostra tenda, mi torcesti il braccio e
con una
foga che mai avrei sospettato mi gettasti le braccia al collo e posasti
la tua
bocca sulla mia, quella notte non andai dalla matrona, rimasi con te e
attraverso di te riscoprii me stesso, tu fosti la mia seconda occasione.
E
se poi dovetti subire l’ira del padrone, non aveva
importanza, tutte quelle frustate sarebbero state solo altre cicatrici
che tu
avresti poi vezzeggiato con la morbidezza delle tue labbra e con la tua
timida
tenerezza.
Ed
è al pensiero di
tutte le cose che non ti ho mai detto che apro gli occhi e mi rialzo
faticosamente
con l’aiuto della mia arma. Non posso lasciarti.
Il
fragore degli
applausi cresce d’intensità, come una tempesta.
Tra
le urla del pubblico
e i petali dei fiori distinguo il verdetto finale,
l’imperatore ha deciso:
pollice
retto.
Sorrido
e il petto si
scalda di anticipazione. Sono già lì con te.
Un
giorno moriremo tu ed io, ma non oggi, non
ancora.