PROLOGUE
Ero abituata ad essere invisibile. Beh, non invisibile nel vero senso della parola, invisibile nel senso di...sconosciuta, ignorata.
Beh sì, invisibile.
D'altra parte è normale sentirsi così quando si cresce accanto a Louis Livingstone. Il figlio modello. Brillante, bellissimo, stella del basket, buoni voti a scuola.
...Beh, diciamo che se la cavava.
Il 90% della gente quando veniva a sapere che eravamo gemelli reagiva sempre allo stesso modo: iniziava con un'espressione impassibile alla 'Mi stai prendendo per il culo?' per poi lasciare spazio alla consapevolezza che non si trattava di una menzogna, seguita dall'incredulità e infine dal disgusto.
L'altro 10% aveva il buon gusto di tenerselo per sè.
Già, bella vita.
Seduto alla mia destra, mio padre allungò il braccio davanti a me offrendo dei popcorn: «Volete, ragazze?»
Sam ovviamente ne prese una manciata, nonostante ne tenesse già sulle gambe un bidone pieno. Anche London fece rifornimento, mormorando: «No grazie, signor Livingstone. Sono a posto così.»
«Figurati.» rispose lui, senza neanche distogliere lo sguardo dalla partita di basket in corso. Dopo dieci anni, anche papà si era abituato alle stranezze di London.
Pensando che fosse arrivato il mio turno feci per prendere i popcorn, ma Robby Ray mi allontanò il bidoncino lasciandomi con la mano a mezz'aria.
Che vi avevo detto? Invisibile.
Sospirai scuotendo la testa, per poi tornare a osservare la partita. Eravamo sessantaquattro a sessantaquattro. La Cornwall, la mia scuola, contro la St. John's.
Spostai lo sguardo sul segnapunti elettronico notando che mancavano sedici secondi alla fine della partita, per poi tornare a guardare la palla.
Il numero quattro la passò a Louis, che cominciò a palleggiare diretto verso il canestro.
Tredici secondi.
Un ragazzo della squadra avversaria gli si piazzò davanti per bloccarlo, vietandogli di continuare e costringendolo a passare la palla alla sua sinistra. Quando Zane la prese al volo, giurai di aver sentito alla mia sinistra Sam che gridava: «Vai, tappo!»
Nel frattempo Louis aveva continuato la sua strada.
Otto secondi.
Papà era fuori di sè, mentre gridava insulti e agitava la mano facendo volare in giro tutti i popcorn. L'ultima volta che lo avevo visto in quello stato, aveva ricevuto una multa accompagnata dall'obbligo di restare per un periodo di tempo ad almeno 100 metri di distanza da una partita di basket della scuola. Mi chiesi se fosse il caso di intervenire, per poi decidere di lasciar perdere visto che non mi avrebbe cagata minimamente.
Mio fratello gridava agitando le braccia per aria convulsamente, e Zane, notando che era libero, gli passò il pallone da basket. Presa al volo la palla, Louis si girò verso il canestro.
London gridò: «Vai Louis, fai goal!»
Quattro secondi.
Lanciò.
La palla rimbalzò su un lato del ferro.
Tre secondi.
Rimbalzò sull'altro lato.
Due secondi.
Proprio nel momento in cui suonò la sirena che segnava la fine della partita, la palla entrò nel canestro e un boato si levò dalla folla.
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okay.
sono più di tre anni che non tocco efp.
dopo aver lasciato incompleta una fanfiction.
e ho appena pubblicato la prima storia senza gli One Direction.
e ora non so che scrivere.
prima di fare ulteriori figure, spero che la mia ennesima storia demenziale vi ispiri.
alla prossima. <3