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Autore: Il_Genio_del_Male    26/07/2017    11 recensioni
Una splendida villa sulle colline venete, tredici personaggi in cerca d'autore e un cadavere in biblioteca.
[Giallo!AU]
Genere: Parodia, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
- Questa storia fa parte della serie 'Quei fagiani maledetti'
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Avvertenza: la ficcyna che segue è piuttosto lunga (per i miei standard) e pertanto, pur avendola ricontrollata, è probabile che mi siano sfuggiti parecchi errori di battitura. Nell’attesa di recuperare i neuroni persi durante la stesura, vi prego di essere clementi o -alternativamente- di segnalarmi le sviste.
Grazie in anticipo e buona lettura (si spera)!

 

 

 

 

 

Prologo

 

 

Dal sito internet del quotidiano Il Gazzettino dei Colli, 15/08/2017.

Tragedia in Veneto: misterioso assassinio, caccia al colpevole.
___________________________________________________

Arrivato il via libera dal GIP per l’inizio delle indagini. Ad occuparsene, due degli ospiti che al momento del delitto si trovavano nella villa dove Kai, celebre ballerino e idolo dei giovanissimi, ha perso la vita la notte scorsa.

 

PROVINCIA DI PADOVA – Potrebbe essere l’incipit di un vecchio giallo alla Agatha Christie, se la storia fosse frutto di una fantasia letteraria. Tuttavia la realtà supera spesso la fantasia: la vittima è niente meno che Kai, orgoglio nazionale della danza e dello spettacolo. Il giovane ballerino, ventuno anni ancora da compiere, si trovava ospite nella villa di Yifenzio Wu, noto multimilionario e filantropo residente nella nostra bella terra. Fonti attendibili rivelano che il corpo è stato ritrovato quest’oggi all’alba. Il poveretto sarebbe stato ucciso da un colpo fatale alla testa. L’arma del delitto parrebbe un oggetto contundente come un trofeo o un soprammobile massiccio.
Per una tragica o -a seconda dei punti di vista- consona fatalità, tra gli ospiti del signor Wu erano presenti anche un vice questore aggiunto, la dottoressa Vincisguerra, e un medico legale, tale dottor Pacco. Ritenuti da subito testimoni oculari di inestimabile valore, hanno ricevuto dal PM Stella l’incarico di condurre le indagini preliminari. Nel numero di domani forniremo tutti gli aggiornamenti del caso.

 

 

I

 

 

Quarantotto ore prima.

Marta Vincisguerra, funzionaria di polizia di neanche trent’anni, si sventolò il volto congestionato con un ventaglio sivigliano nel vano tentativo di ottenere un poco di refrigerio. Il clima afoso della pianura padana, che lei conosceva bene essendoci nata e cresciuta, la opprimeva. Nonostante indossasse un vestitino estivo e la spessa chioma ramata fosse raccolta in un raffazzonato chignon, la giovane sbuffava come un mantice e prometteva il suo metaforico regno in cambio una doccia ghiacciata nella neve finlandese. Tra una lamentela e l’altra fissava in cagnesco l’uomo alto, bruno e dal fascino elfico che le camminava accanto.

“Dai Martina, ancora cento metri e siamo arrivati” provò a rincuorarla egli con occhi ridenti. “La villa è sulla destra. Ti piacerà, vedrai”.

“Come minimo dovrà lasciarmi a bocca aperta, dopo tutto il fastidio per arrivarci” borbottò lei in risposta, trascinandosi dietro un pesante trolley. Il sentiero che stavano percorrendo, visibilmente in salita, era pittoresco e circondato da alberi frondosi che però, a causa della mancanza d’aria, restavano immobili. Marta amava la natura tanto quanto odiava sudare. Va da sé che non era una patita dello sport, benché avesse la tempra di un mulo da soma. “Proprio furbo, il tuo amico, a scegliere di comprare una villa a cui non si può arrivare nemmeno in bicicletta! Tanto valeva abitare sul cucuzzolo di una montagna”.

Yeollo Pacco si lasciò scappare una risatina al commento della ragazza. In effetti tutto si poteva dire di Yifenzio, meno che fosse un animale da festa. Non lo sorprendeva che avesse eletto una casa in collina e mezza nascosta dalla boscaglia a sua abitazione prediletta, data l’indole un po’ ombrosa e solitaria che lo aveva sempre caratterizzato. A lasciarlo segretamente perplesso, in verità, era stato l’invito -rivolto a lui e alla sua “incantevole amica”- di trascorrere il weekend a Villa Wu. Yifenzio al telefono era stato alquanto vago sul motivo che lo aveva spinto a formulare tale offerta, ma Yeollo era riuscito a carpirgli qualche altra informazione. Non sarebbero stati gli unici ospiti, a quanto pareva. Si trattava di gente ricca e importante: imprenditori, vip, addirittura un modello. Cosa avessero a che spartire con loro due, un anatomopatologo e una dirigente statale, davvero non se lo sapeva spiegare.

“E poi scusami, ancora non ho capito perché abbia incluso me nell’invito” tornò alla carica Marta. “Sei tu il suo ex. Io nemmeno lo conoscevo di nome prima che me ne parlassi”.

“Yifenzio è un uomo riservato. Non ama sbandierare ai quattro venti i suoi milioni” disse, arrestandosi di fronte ad una cancellata in pietra da cui si snodava un muro protettivo che racchiudeva diversi ettari di terreno. “Poiché in passato gli ho parlato spesso di te, deve essersi incuriosito. Forse pensa che stiamo insieme” suonò il citofono.

“Ma come, non lo sa che sei devoto esclusivamente al cetriolo?” scherzò lei, il ventaglio di nuovo in funzione.

“Non credere. Qualche patata l’ho assaggiata, da pischello” le strizzò l’occhio, divertito.

“Nooo! E lo vengo a sapere solo adesso?” esclamò lei, deliziata dalla succulenta notizia. Tuttavia la sua ilarità scemò quando, appena il cancello si aprì con uno scatto automatizzato, vide comparire di fronte a sé uno scenario quasi da fiaba. Una palazzina in stile Liberty a tre piani, più una torretta abitabile che poteva fungere da osservatorio o da serra, si stagliava elegante e misteriosa circondata da alberi altissimi, che garantivano una frescura perenne. Un fregio dipinto con motivi di fiori correva lungo il cornicione sotto il tetto, contrastando in modo squisito con il rosso dei mattoncini che rivestivano le pareti esterne. Le finestre erano lunghe e strette; un meraviglioso bovindo interamente in vetro, sui toni del verde affumicato e riccamente decorato alle estremità, occupava un lato di quello che (lo si intuiva anche al di fuori) era il salotto principale. Un giardino all’inglese dotato di vasca per i pesci in ciottoli, fontane consumate dal muschio con le sembianze di putti vezzosi, un tempietto di ispirazione greca, cespugli di rose selvatiche, vecchie panchine in ferro battuto e un gazebo di gusto giapponese costruito su uno stagno ricolmo di orchidee completava l’idillio.

“Oh Gesù” sospirò Marta, in deliquio. “Mi rimangio tutto quello che ho detto sulla scomodità di accesso a questo paradiso, e sul suo fortunato padrone. Che invidia!” guardò di qua e di là, attenta a non perdersi nemmeno il più piccolo particolare.

“Sapevo che l’avesti amata” Yeollo prese sotto braccio l’amica e si incamminarono insieme verso la scalinata di accesso. “Sono sicuro che anche Yifenzio ti farà una buona impressione. Pensa che”, aggiunse invitante, “nella parte posteriore del parco c’è persino un labirinto di bosso”.

“No! Originale del Seicento?” Marta era dimentica del caldo, ormai. Sprizzava un puro stupore infantile da tutti i pori. Dimostrava molto meno dei suoi ventisei anni.

“Originale del Seicento” rise sotto i baffi il dottore.

“Sai, Yeollo? Il tuo amico mi sta già immensamente simpatico” decretò. “Spero però che nella mia stanza ci sia un ventilatore. Sarebbe un peccato schiattare di caldo in una casa tanto bella” ponderò corrucciata.

“Potresti sempre accamparti in giardino”.

“Ehi, non è affatto una cattiva idea”.

Il portone d’ingresso si spalancò senza che nessuno dei due avesse bussato. Ad attenderli sull’uscio, in posa quasi militaresca, stava un giovane di notevole prestanza. Aveva capelli scuri, un naso tanto fine che pareva disegnato, occhi a mandorla del colore dei semi di lino. Indossava una livrea impeccabile che lo qualificava senza dubbio come il maggiordomo.

“Buongiorno dottoressa Vincisguerra, buongiorno dottor Pacco” li salutò abbozzando un inchino regale. “Benvenuti a Villa Wu. Entrate, prego. Il padrone di casa non vede l’ora di ricevervi”.

Il ragazzo, “chiamatemi pure Luano”, li invitò ad affidargli i loro bagagli, che avrebbe provveduto a sistemare nelle rispettive camere. Chiese poi se desiderassero darsi una rinfrescata. Marta recuperò il proprio beauty case e si infilò in bagno per truccare leggermente quel viso pallido come un cencio lavato che si ritrovava, sentendosi quasi presentabile. Luano infine li scortò nello studio del suo datore di lavoro e, prima che fossero entrati nella stanza, si congedò con il passo felpato di un gatto.

Seduto dietro ad una scrivania in legno di ciliegio, un pc di ultima generazione e una lampada verde modello Churchill che Marta scommise fosse originale, ecco finalmente materializzarsi il tanto decantato Yifenzio Wu. Yeollo non aveva esagerato descrivendone la bellezza. I suoi lineamenti, che rivelavano una chiara origine orientale, si adattavano senza sforzo ad una capigliatura biondo miele e a occhi di un blu talmente profondo da sembrare neri. Si alzò in piedi non appena vide gli ospiti entrare, cosicché Marta poté stimarne la statura considerevole e il fisico naturalmente armonico, non forgiato da sport eccessivi né da diete iperproteiche. Se la villa l’aveva lasciata di stucco, il proprietario le fece cadere la mascella a terra –seguita dalle ovaie. Santa miseria, pensò frastornata mentre lo osservava salutare e abbracciare Yeollo, è possibile essere ricchi sfondati e sfacciatamente fighi senza pagare un dazio al Caso?

“Dottoressa Vincisguerra, che piacere conoscerla” si sentì rivolgere la parola da Yifenzio in persona. Si schiarì la voce per darsi un contegno.

“Il piacere è mio, signor Wu” strinse la mano che l’altro le porgeva. “Yeollo mi ha parlato molto bene di lei e della sua villa, anche se devo ammettere che non mi aspettavo fosse così spettacolare”.

“Diamoci del tu, ti prego. Gli amici di Yeollo sono amici miei” sorrise affascinante. “Ne devo dedurre che la casa è di tuo gradimento?”

“E’ un eufemismo. La adoro” ricambiò il sorriso. “Deve essere un incanto viverci”.

“Ammetto di sì, benché ritenga che con un tocco femminile acquisirebbe un calore che tuttora manca… Ma perdonatemi, sono un pessimo ospite. Accomodatevi” indicò loro due poltrone in stile Regimental posizionate davanti alla scrivania. “Gradite qualcosa da bere?”

Marta e Yeollo si scambiarono un’occhiata. “Un tè freddo, se c’è” disse lei. “Per me dell’acqua frizzante” fu la richiesta di lui. Le bevande arrivarono poco dopo, servite da Luano su un vassoio di vero argento, accompagnate da qualche stuzzichino e un bicchiere di succo di mela per Yifenzio.

I tre iniziarono a conversare del più e del meno. Marta venne a sapere che Yeollo e il padrone di casa si conoscevano dai tempi dell’università. Yifenzio aveva studiato Chimica, e poco prima della laurea era stato assunto come ricercatore in una grossa azienda farmaceutica. Grazie a quel lavoro era riuscito a scoprire una molecola sconosciuta, ribattezzata EXO, che poteva essere impiegata con successo e senza bisogno di sperimentazione animale in alcuni farmaci salvavita. L’aveva brevettata, e da quel momento in poi non aveva più avuto bisogno di lavorare. Incassato il denaro, però, lo aveva subito reinvestito fino a decuplicarne il valore. Grato alla sorte, successivamente aveva avuto cura di istituire borse di studio, finanziare progetti di ricerca, devolvere grosse cifre a cause umanitarie e ambientali.
Un playboy ricco da far schifo e benefattore, rifletté causticamente Marta. Dov’era l’imbroglio? Rispose con garbo alle domande che Yifenzio le rivolse riguardo al suo lavoro, ma si dimostrò circospetta e distaccata. C’era qualcosa in quell’uomo che non le ispirava fiducia, si rese conto. Quella parvenza di perfezione doveva pure presentare una crepa da qualche parte. Yeollo, forse accortosi del suo repentino mutamento d’umore, decise di cambiare argomento.

“Allora, amico mio, a me puoi dirlo: qual buon vento ci porta qui? Mi hai detto che non siamo gli unici ospiti per il weekend. Hai intenzione di dare una festa?”

Yifenzio, un istante prima garrulo e pieno di charme, ammutolì. Sul suo volto si disegnò una smorfia contrariata, quasi ostile. Sospirò.

“Perdonami, ho per caso detto qualcosa di indelicato?” si affrettò a chiedere l’altro. Marta, intanto, studiava le reazioni di entrambi gli uomini.

“No, anzi, scusatemi voi per non essere stato chiaro riguardo alle mie motivazioni” Yifenzio assunse un’espressione meditabonda. “Ho invitato altre nove persone a raggiungermi per i prossimi due giorni. Sono tutti miei conoscenti e amici. Potrei raccontarvi che l’ho fatto perché mi sento solo o per festeggiare il Ferragosto insieme a gente di mio gradimento, ma la verità è un’altra. Voi due, in particolare, siete qui per un una ragione ben precisa; una sorta di esperimento. Tra queste altre nove persone -uno è un bambino, quindi diciamo otto- c’è qualcuno di cui non mi fido granché. Temo che, riunendole nella mia casa, possa succedere qualcosa di spiacevole” sollevò lo sguardo, fissando alternativamente Marta e Yeollo. “Il mio timore è che si stia per verificare un omicidio. E solo voi potete scongiurarlo”.

 

 

II

 

 

“Mi sembra di essere finita in una puntata di Jessica Fletcher” mugugnò Marta, armeggiando con la chiusura lampo del tubino che avrebbe indossato per il cocktail serale. Gli ospiti misteriosi sarebbero arrivati a momenti. “La prospettiva di passare un tranquillo weekend in una villa di campagna guastata dalla presenza della iellatissima Jessica che, manco a dirlo, assiste ad un omicidio e deve risolverlo, magari rischiando pure la vita. Ci manca solo che ci sediamo a tavola in tredici, così il primo che si alzerà sarà la vittima designata”.

Yeollo ridacchiò e corse in aiuto dell’amica. “Là, cerniera domata” si compiacque del proprio lavoro. “Non me la sento di darti torto, comunque. Sembra la trama di un romanzo giallo di serie B”.

“E il tuo amichetto, scusa? Oltre ad essere lo stereotipo incarnato del Ken di Barbie, che razza di idea gli è venuta in mente? Che cazzo, se sai che tra le tue conoscenze c’è un tipo poco raccomandabile non lo attiri in casa tua” si girò e squadrò con attenzione il look dell’amico. “Bella camicia. Il bianco ti dona” decretò infine.

“Grazie, tesoro. Anche tu non stai affatto male” le aggiustò un ricciolo ribelle dietro l’orecchio. “Il verde è il tuo colore”.

“Al momento questo è l’ultimo dei miei pensieri” si accigliò lei. “Tu lo conosci da molto tempo: onestamente, credi che Yifenzio sia stato sincero con noi? O potrebbe esserci dell’altro sotto, come uno scherzo di cattivo gusto?”

“Così, a istinto, mi viene da risponderti che Yifenzio non è uno che si diverte a giocare tiri mancini agli altri. Escluderei lo scherzo, non è nelle sue corde. Inoltre mi è parso mortalmente serio… preoccupato, ecco. Può darsi che le sue siano solo paranoie” si strinse nelle spalle. “Però boh. Se quanto ci ha raccontato è vero, è comprensibile che si sia rivolto a noi; abbiamo una certa dimestichezza con il crimine”.

Marta concluse la propria mise agguantando una pochette abbinata al vestito, in cui infilò il cellulare e un burrocacao stick. “Mi auguro che tu abbia ragione, vecchio mio. C’è qualcosa che non mi convince in lui”.

Yeollo la occhieggiò malizioso. “Martina cara, tu non ti fidi mai degli uomini che ti piacciono”.

“Bugia! Di te mi fido ciecamente” protestò.

“Ma non ti piaccio in quel senso”.

Ponderò l’affermazione inclinando lievemente la testa. “In effetti no, anche se sei un bel tronco di pino”.

“Come volevasi dimostrare” le rivolse un sorrisetto sbarazzino. Poi, porgendole il braccio, “Vogliamo recarci nel salone, mademoiselle?”

Marta lo mandò a quel paese senza acrimonia.

 

 

Diverse ore più tardi, Marta e Yeollo si accasciarono privi di grazia su uno dei numerosi punti d’appoggio che costellavano il salone. Tra chaise longue in cuoio morbidissimo, ottomane in velluto dai riflessi cangianti, divani ricoperti di chintz e poltroncine in stile Luigi XV, c’era l’imbarazzo della scelta. La vista del parco che si godeva dal bovindo era, come prevedibile, romantica e suggestiva. La luce morente del sole filtrava dalle vetrate colorate donando al pavimento marmoreo una sfumatura torbida, da fondale marino. I lampadari erano originali del primo Novecento, così come il mobile su cui troneggiava un moderno televisore a ottantaquattro pollici ed il lungo tavolo in legno su cui faceva bella mostra di sé un buffet degno della corte papale. Appunto quel cibo, abbondante e sopraffino, era stato il punto cardine della serata. Con grande sollievo di Marta e Yeollo non erano stati costretti a partecipare ad una cena a lume di candela, tovaglie di finissimo batista e uno spocchioso cameriere che ti guardava male se non sapevi quali posate usare per i frutti di mare. Luano incuteva lo stesso un po’ di soggezione con le sue formalità e il contegno di un maggiordomo di gran classe, ma chiunque avrebbe ammesso che era una gioia per gli occhi osservarlo muoversi fluido e pieno di premure per i commensali.

Non che fosse l’unico, tra i presenti, ad essere guardabile. Come se il padrone di casa non fosse stato abbastanza avvenente, in poco tempo la sala si era riempita di persone mediamente favolose. Yifenzio aveva presentato Marta e Yeollo ai nuovi arrivati, che li avevano accolti affabili e curiosi. Una donna sulla trentina con il volto di una Madonna, di nome Suha, era risultata essere sposata con Do Chionsù, l’industriale siciliano noto in tutta Italia per le sue conserve di pomodoro e che si sospettava fosse colluso con Cosa Nostra. Li accompagnava il figlioletto decenne, Yiscing, un bambino molto dolce che entrò subito in confidenza con Yeollo e domandò a Marta, candido e spavaldo insieme, di diventare sua moglie. Un’altra coppia era formata da Bechiòn e Minsocca, rispettivamente impresario di pompe funebri (“La nostra è un’attività di famiglia che va avanti dal 1818, ci conoscono anche all’estero” si era vantato l’uomo) e amabile maestra elementare, di proporzioni minute ma perfette. Dopo di loro era toccato ad un intrigante esemplare di sesso maschile -“Zio Tao, piacere” aveva sussurrato timidamente- alto e fisicato, che di mestiere faceva, non a caso, il modello di biancheria intima; femminile, però. Era un Angelo di Victoria’s Secret. Il suo accompagnatore, che lo tallonava a mo’ di mastino, si chiamava Giongdè. Un tipo alquanto spiritoso, dotato di una voce carezzevole e occhi dal taglio felino che causarono un sussulto al cuore di Yeollo. Infine loro, le star della combriccola. Persino Marta ne conosceva i nomi.
Erano due ballerini, che i fan avevano ribattezzato SeKai unendone in crasi i nomi: Sehunno e Kai. Il primo era un poco più alto dell’altro, e innegabilmente aveva un corpo degno di essere chiamato tale. A Marta la sua faccia non ispirava alcunché, ma c’era gente che lo trovava carino da morire. Era invece Kai, a parer suo, il vero spettacolo. Tutto in lui era flessuoso e sensuale, eppure fresco e innocente. Camminava con la disinvoltura di chi è cosciente del proprio potere sugli altri, ma gli occhi esprimevano una sensibilità speciale, una fragilità in grado di stupire l’interlocutore sufficientemente attento da coglierla. Marta si era sentita un po’ pedofila ad apprezzare la bellezza di un ragazzo più giovane, ma che poteva farci? Anche Yeollo, del resto, aveva faticato a staccargli gli occhi di dosso.

La serata, fino ad ora, era andata bene. Erano state scambiate chiacchiere futili su vari argomenti: il sistema scolastico italiano, la difficoltà di assumere una brava tata, le prodezze dei politici, la polemica sui vaccini, la canzone di Rovazzi e Gianni Morandi, gli inciuci di Donald Trump con la Russia, gli animali domestici di ciascuna coppia. Yifenzio aveva dato prova di essere un ottimo ospite, offrendo calici di champagne alle signore e sigari ai gentiluomini. Al piccolo Yiscing aveva regalato un blocco di carta e un lussuoso kit di pennarelli. Il bambino lo aveva fissato a lungo come se fosse Babbo Natale arrivato in anticipo, e con molta meno pancia. Luano si era occupato di gestire il sottofondo musicale -jazz fusion, musica classica, pop accattivante- e di sparecchiare la tavola via via che il cibo sui vassoi veniva consumato. Giunti al momento del dessert, Marta e Yeollo si ritirarono in disparte per tentare di digerire la cena e scambiarsi le loro impressioni. 

“Non so te, ma io con tutti questi figoni mi sento un wc a pedali” esordì lei. “E inoltre mi sono gonfiata come un palloncino, guarda che roba” si indicò il ventre.

“Che assurdità” la rimproverò Yeollo. “Sei tutto eccetto che gonfia e brutta, e lo sai. Yifenzio ha sbirciato nella tua direzione tutto il tempo. Piuttosto, cosa dovrei dire io? Non esiste competizione con un modello di Victoria’s Secret, figurarsi con Kai!”

“Oh certo, povero te: sei solo alto quanto una pertica, hai le spalle larghe, un sorriso da sballo e gli occhioni da Bambi. Chi mai ti si piglierà, triste e patetico come sei?” sghignazzò Marta.

Si scambiarono un sorriso che era la sintesi della loro amicizia, complice e cameratesca. “Veniamo alle cose importanti” Yeollo tornò serio. “Hai notato qualcosa di strano, che possa dare adito a sospetti?”

Lei ci pensò su. “Per esserne sicura dovrei conoscere questa gente, mentre di loro purtroppo non so nulla. Di primo acchito direi che non me la contano giusta i SeKai. Mi sembra che le mani di Sehunno stiano vicine al culo di Kai in modo un po’ sospetto. Secondo me gatta ci cova”.

“Concordo, si lanciano di quegli sguardi da mandare a fuoco l’intero edificio. C’è parecchia intesa tra loro” annuì.

“Anche l’allegra famigliola mi ha lasciata un po’ perplessa. Non Yiscing, che è adorabile, quanto i genitori. Ci hai fatto caso? Sia Chionsù che la moglie guardavano in continuazione Kai. Forse sono suoi fan, benché mi sembrino alquanto cresciutelli per apprezzare quel genere di ballo, però non mi hanno convinta. Mi vieto di pensare che potessero guardarlo con desiderio” scosse la testa. “Non entrambi, almeno, sarebbe improbabile. Invece, se così fosse, orrore! Io mi farei mille pare mentali se coltivassi pensieri impuri su uno sbarbatello, per quanto carino; ma loro sono più vicini ai quaranta che ai trent'anni, sarebbe inquietante” rabbrividì.

“Che bacchettona” la prese affettuosamente in giro Yeollo. “Mai sentito parlare dei toy boy?”

“Bacchettona o meno, starei male se un adolescente mi venisse dietro” fu la categorica risposta. “E tu, rilevato niente di anomalo?”

“E’ difficile stabilirlo, e inoltre non sono uno sbirro come te. Mi viene in mente solo una cosuccia, un particolare da nulla che però mi ha colpito” Marta lo esortò ad andare avanti. “Prima, quando stavamo parlando del Russia Gate che sta investendo Trump, Minsocca mi è parsa insolitamente interessata all’argomento. E’ sicuramente una donna informata, che legge e ascolta i tg, tuttavia mi è sembrato incongruente con il suo lavoro, non so spiegartelo. Partecipava alla discussione con animazione, come se le stesse particolarmente a cuore”.

“Magari è appassionata di politica estera” ipotizzò Marta.

“Credo tu abbia ragione. Lo ripeto, non sono uno sbirro, non ho acume investigativo”.

“E lo dici a me, che sono entrata in polizia perché ho vinto il concorso da dirigente? Ho meno esperienza sul campo di un semplice agente”.

Dovettero rimandare la discussione perché, in quell’istante, arrivò Luano in sala reggendo un sontuoso cabaret di pasticcini e delizie iperglicemiche.

“Pancia mia fatti capanna!” Yeollo si avviò a passo di trotto verso il buffet. Marta, che vantava l’appetito robusto di un carrettiere, dimenticò il suo presunto gonfiore e imitò l’amico.

 

 

Era ormai tardi quando il padrone di casa dichiarò di essere stanco morto e i suoi ospiti, vuoi per cortesia e vuoi perché sinceri, manifestarono la volontà di ritirarsi nelle rispettive stanze. Nel giro di un’ora tutte le luci della casa vennero spente. Tuttavia, nell’oscurità della notte, ombre fugaci prendevano vita e si muovevano furtive negli angoli più bui e remoti.

 

 

“Ehi”.

“Non riesci a dormire?”

“Mi ci vorrebbe una botta in testa”.

“Idem. Che si fa?”

“Tu cosa proponi?”

“Un torneo di strip poker?”

Risata. “Vada per il poker, ma senza lo strip”.

 

 

“Come la prenderà?”

“Nessuno può prevederlo, amore mio”.

“Non sei di alcun aiuto. Perché non sei in ansia quanto me? Perché non sei preoccupato? Sembra quasi che non te ne freghi nulla”.

“Abbassa la voce o sveglierai tutti! Sbagli a giudicarmi, amore: la tua ansia è la mia. Credi davvero che non mi importi? E’ del nostro passato, del nostro futuro che si tratta. Abbiamo atteso questo momento così a lungo… guarda, mi tremano le mani dall’agitazione”.

“Scusami, tesoro. Vorrei tanto che fosse già domani, non ce la faccio più a mantenere il segreto”.

“Domani arriverà presto. Adesso dormi”.

 

 

“Bravo, scappa! Solo questo sei buono a fare, scappare e portarmi a letto. Una conversazione tra adulti proprio non riesci a sostenerla, eh?”

“Ah, quindi adesso sarei io il vigliacco? Non prendermi per il culo. Sappiamo bene entrambi che non è così. Se solo ammettessi le tue mancanze, una volta tanto-”

“Le mie mancanze? Ma ti senti quando parli? Sei tu, sì tu, che travisi tutto quello che faccio e dico. Quando ti metterai in testa che non ti tradisco, cazzo? Non ti ho mai tradito, né ci ho mai pensato. Ti amo. E’ così difficile da capire?”

“E chi mi assicura che sarà sempre così? Hai tutto quello che serve perché le persone ti muoiano dietro, hai talento, bellezza, fama. Ti stancherai di me. Non vado bene per te, non sono abbastanza-”

“Basta, ti prego. Basta. Non posso stare a sentirti sragionare in tal modo. Non sei lucido. Ne parleremo domani, va bene? Cerca di dormire”.

“Dove vai?”

“In biblioteca, ho bisogno di un leggere qualcosa. Prenditi un sonnifero e riposa, per l’amor del cielo”.

 

 

Una figura si aggirava circospetta per i corridoi. Non aveva bisogno di una fonte di luce per orientarsi, giacché l’oscurità era il suo habitat naturale. Nell’oscurità avrebbe agito e ne sarebbe uscita vincitrice. Le tenebre l’avrebbero protetta, riparata. E lei avrebbe trionfato.
Vide la sua preda lasciare la propria stanza e la seguì al piano inferiore. Piano, senza fretta. Ne spiò i movimenti, la studiò mentre accendeva la luce e si guardava attorno, indecisa sul da farsi. Infine, quando le diede le spalle, l’ombra recepì il segnale. Ora o mai più. In un attimo le fu dietro. Scagliò il trofeo che aveva in precedenza sottratto dallo studio del padrone di casa, e con un colpo spietato lo calò sulla nuca della preda. Muori, pensò l’ombra. Muori, infame. Udì le ossa del cranio spezzarsi sotto il peso dell’arma e il sangue gorgogliare fuori dalla ferita. Lasciò cadere a terra il trofeo; non era un problema, aveva indossato i guanti. Vide stramazzare al suolo la sua preda, la vittima. Giustizia era fatta.
Con lo stesso silenzio con cui era arrivata, l’ombra scappò via.

 

 

III

 

 

A rinvenire il cadavere, il mattino seguente, fu Luano. Le sue grida svegliarono chiunque nel raggio di un chilometro. Erano solo le sei, ma gli ospiti di villa Wu scattarono tutti sull’attenti e, sebbene non conoscessero il motivo di quel trambusto, si precipitarono nella direzione da cui provenivano le urla, ovvero in biblioteca. Trovarono il maggiordomo in preda all’isteria che fissava atterrito un corpo maschile in boxer e canottiera riverso a terra. Del sangue rappreso aveva macchiato, forse irreversibilmente, lo splendido tappeto persiano che tappezzava il pavimento. Il volto non si vedeva, giacché lo sventurato era caduto prono. La ferita, che Yeollo individuò sulla parte più alta dell’osso occipitale, era uno squarcio osceno. Il suo istinto di medico lo spinse ad avvicinarsi per primo. Si chinò sul malcapitato e ne tastò il polso per assicurarne il decesso. Dopodiché, con struggente delicatezza, lo voltò. Fu allora che l’identità della vittima divenne certa: era Kai, splendido anche nella morte.
Marta ne rimase fortemente scossa. Era ingiusto andarsene così giovani, e in maniera tanto cruenta. Nondimeno si calò nei suoi panni di vice questore aggiunto e studiò le reazioni dei presenti. Sulle facce di ognuno si era dipinta un’espressione disorientata talmente genuina che, per un solo folle istante, la donna ipotizzò un suicidio o un tragico incidente. Ma non vi erano spigoli, in biblioteca, macchiati di sangue che giustificassero quell’idea. Gli scaffali delle librerie erano troppo alti, il ripiano del camino troppo basso. Il suo sguardo si posò infine su un trofeo, rotolato in un angolo. Raffigurava un omino stilizzato che brandiva una mazza da golf, la targa illeggibile perché lorda di sangue. Si trattava di un omicidio, dunque. Proprio ciò che Yifenzio Wu temeva. Avanzò di un passo.

“Portate via il bambino” ordinò atona. “Allontanatevi tutti, per cortesia. Questa è la scena di un delitto”.

Un fremito di paura serpeggiò nella stanza. Yiscing scoppiò a piangere. Suha, ripresasi dallo shock, prese per mano il figlioletto e lo condusse via. Venne imitata dai più; solo il padrone di casa rimase dov’era.

“Signor Wu, la prego di andarsene”.

Lui batté le palpebre, gli occhi colmi di orrore. “Non riesco a crederci. Sospettavo che qualcosa di terribile sarebbe successo, ma speravo di sbagliarmi. E’ terribile, io non-” la voce si spezzò.

“Yifenzio, raggiungi gli altri” disse Chanyeol, reggendo tra le braccia il corpo senza vita di Kai. Raramente Marta lo aveva visto così provato prima di un’autopsia.

“Signor Wu, mi permetta di accompagnarla fuori” lo afferrò per un gomito e lo spinse in corridoio senza un briciolo di gentilezza. “Chiami la polizia e si assicuri che nessuno esca di casa. Nessuno, ha capito?”

L’uomo parve toccato dal comportamento ostile di lei. “Marta, credevo che tra noi si stesse instaurando una bella amicizia-”

“Non c’è nessun noi, Wu. Lei mi ha convocata qui come vice questore aggiunto, ed è questo ciò che sono. Da adesso in poi si rivolga a me con il titolo di dottoressa Vincisguerra, grazie. Si assicuri che nessuno si allontani dalla villa. Siete tutti sospettati di omicidio, lei compreso” gli chiuse la porta in faccia a brutto muso.

Yeollo, che non aveva perso tempo, le fece cenno di avvicinarsi. “Ferita alla testa provocata da un oggetto contundente: il trofeo laggiù è un ottimo candidato. Ora stimata del decesso, tra l’una e le due del mattino. Il corpo non è ancora del tutto rigido, senti, è tiepido”. Marta sfiorò la pelle del ragazzo e dovette convenire con il collega. Fu grata alla sorte beffarda di averle affiancato una persona in gamba e affidabile come il dottor Pacco. “C’è dell’altro?” domandò.

Gli fu mostrato il polso sinistro del ballerino, dove campeggiava un ghirigoro sinuoso racchiuso da un cuore. Si chinò per scrutare il tatuaggio. “Sembra una biscia”.

“Quella, oppure una lettera. Potrebbe trattarsi di una S”. Si guardarono in silenzio. “E poi ho notato un altro dettaglio rilevante. E’ meglio che te lo mostri prima che arrivino i rinforzi”.

Marta ascoltò attentamente.

 

 

La notizia si sparse a macchia d’olio tra i piani alti. Il questore di Padova telefonò mentre il cadavere veniva trasportato, avvolto in un sacco nero, dai portantini verso l’ambulanza parcheggiata a valle. Poi fu il turno del PM Stella, un giudice con la fama di essere un uomo coscienzioso e retto. Marta riassunse rapidamente i fatti per come, presumibilmente, si erano svolti. Aggiunse che con lei c’era un bravissimo medico legale, grazie al quale si era riusciti a stabilire la causa del decesso, e che nessuno degli ospiti aveva osato trasgredire all’ordine di confinarsi in casa.

“Mi congratulo, dottoressa. Come ben sa, da domani i giornali ne parleranno: è un delitto inspiegabile e crudele, verificatosi nella villa di uno degli uomini più facoltosi del nord Italia. La vittima era un idolo delle masse e tra i presunti sospetti vi figurano altri personaggi di spicco. Il Ministro sta facendo pressioni a me e al questore Alemagna affinché le indagini procedano nel modo più celere e discreto possibile”.

A Marta non piacque granché quel discorso. “Dove vuole andare a parare?”

“Data la vostra presenza sul luogo del delitto e alle competenze professionali di cui disponete, lei e il suo collega siete indubbiamente i più adatti a condurre le indagini preliminari. Inoltre siete i soli al di sopra di ogni sospetto”.

“Crede davvero che sia la scelta più appropriata?” ribatté scettica.

“Di sicuro è la più comoda. Mi dispiace passarle questa patata bollente, dottoressa Vincisguerra. Ciò che il Ministro chiede, il Ministro ottiene. Ho piena fiducia in lei e nel dottor Pacco. Si rivolga a me per qualsiasi cosa, sarò lieto di esservi utile. Buona giornata” e pose fine alla telefonata.

“Buona giornata un cazzo” sbottò lei. Raggiunse Yeollo, impegnato in uno scambio di opinioni con il fotografo della Scientifica, e lo prese sottobraccio. “Rogne in vista, caro collega. Il GIP ci ha assegnato il caso. E lascia che ti informi: anche solo un minimo errore potrebbe costarci la carriera. Al Ministero scalpitano, vogliono risultati entro breve. Stella è stato molto eloquente al riguardo”.

“Sarà un weekend indimenticabile” fu la risposta, corredata da una smorfietta cinica, del medico legale.

 

 

Giacché trasferire tutti gli ospiti nella stazione di polizia più vicina avrebbe richiesto troppo tempo e arrecato loro ulteriori disagi, gli improvvisati detective dovettero arrangiarsi con quanto avevano a disposizione. Fatta sigillare la biblioteca, decisero di convertire lo studio di Yifenzio in sala degli interrogatori.

“I suoi affari possono aspettare” Marta freddò le proteste dell’uomo. “Forse non ha ancora metabolizzato quanto è accaduto, ma nella sua bella casa si è appena verificato un omicidio. Evento che lei aveva in qualche modo previsto, tra l’altro” lo squadrò sospettosa.

“E che magari, se lei avesse svolto il suo lavoro di investigatrice, si sarebbe potuto evitare” ribatté a tono lui. “Non mi deluda, dottoressa: sono certo che lei non sia il tipo da ricorrere a volgari insinuazioni senza alcuna prova. Se deve rivolgermi delle domande, è pregata di convocarmi formalmente. Conosco i miei diritti” aggiunse prima di andarsene con passo battagliero.

“Che stronzo” sibilò la Vincisguerra.

“Però ha ragione, Marta. C’è scappato il morto, come lui temeva, e noi non siamo riusciti ad evitarlo” cercò di farla ragionare Yeollo.

“E in che modo avremmo potuto? Avesse fornito delle informazioni rilevanti sugli ospiti, ci avesse confidato su chi di loro nutriva dei sospetti! Ci ha lasciati brancolare nel buio, Yeol. Pensava che fossimo dotati di palla di vetro e specializzazione in telepatia? Che io sappia non hanno ancora aperto una scuola per X-Men. Inoltre, converrai con me che nessuna delle anomalie rilevate ieri sera faceva presagire una simile tragedia” concluse tamburellando una penna sul ripiano liscio e lucido della scrivania.

“Mi dispiace per quel povero ragazzo” Yeollo chinò la testa, come se la compassione per una vita interrotta anzitempo gli pesasse sulle spalle. “Dovrei esserci abituato, disseziono cadaveri da anni ormai, eppure ci soffro sempre” ammise, gli occhi lucidi.

“Questo dimostra che sei una persona empatica, tesoro. E’ una qualità preziosa” gli posò una mano sulle sue in segno di conforto. “Detesto dovertelo chiedere, ma… faresti entrare il primo indiziato?”

 

 

Il quesito chiave degli interrogatori fu uno: “Dove si trovava ieri, tra l’una e le due di notte?”
Minsocca dichiarò, supportata dalla testimonianza di Bechiòn, di trovarsi nella piscina coperta insieme al fidanzato. “Nessuno dei due aveva sonno e ci era venuta una gran voglia di fare un bagno” cinguettò la maestrina. Né lei né Bechiòn avevano sentito o visto alcunché che potesse contribuire alle indagini, purtroppo. Conoscevano Kai solo di fama. I coniugi Do affermarono di aver trascorso la notte nella loro stanza, a dormire. Il figlio aveva confermato la loro versione: mamma e papà lo avevano messo a letto verso la mezzanotte e non si erano mossi di lì. Luano, con indosso un paio di occhiali che incuriosirono Marta, disse di avere il sonno pesante e di non avere udito rumori strani o di una colluttazione. Yifenzio, recuperati i modi squisiti, rispose che aveva trascorso la notte nell’osservatorio astronomico situato nella torretta.

“Fin lassù?” Marta inarcò un sopracciglio. Yeollo, sedutole accanto, si schiarì la voce.

“Fin lassù, esatto. Mi capita talvolta di soffrire di insonnia. In quelle occasioni, invece di girarmi e rigirarmi nel letto, preferisco trascorrere la nottata ammirando le stelle. Da qui si vedono bene, la villa è circondata dalla natura e non ci sono lampioni che producono inquinamento luminoso. In caso sopraggiunga il sonno, mi accampo su un comodo divano letto che ho fatto sistemare lì apposta”.

“Verificheremo. E mi dica, signor Wu: perché ha riunito queste persone in casa sua? Cosa temeva che accadesse, in realtà?”

Yifenzio sospirò. “Sarò sincero con lei, dottoressa. Mai avrei immaginato che ad andarci di mezzo fosse il povero Gionghin-”

“Gionghin?”

“Era il vero nome di Kai. Le dicevo, mai avrei immaginato che la sorte potesse accanirsi con tale brutalità sul poveretto. Abbandonato alla nascita dai genitori, allevato in un orfanotrofio dove ne ha passate di tutti i colori, la danza come sua unica via di fuga da una vita triste e senza possibilità” si incupì. “No davvero, quel ragazzo aveva già pagato un conto salatissimo. Lo stimavo molto; è uno dei tanti giovani bisognosi e pieni di talento che ho aiutato grazie alle mie fondazioni” lo disse senza vanagloria. “Temevo di essere io l’obiettivo dell’assassino”.

“Un’idea del perché? Ex mogli vendicative, figli mai riconosciuti, soci rancorosi, dipendenti licenziati senza giusta causa…” elencò Marta.

“Niente di tutto ciò. Vede, mia madre aveva origini russe” spiegò passandosi una mano tra i capelli. “Papà la conobbe durante un viaggio a San Pietroburgo. Lei faceva la hostess, ma i suoi genitori erano ex spie del KGB, morti in circostanze misteriose. Mio padre la portò a vivere a Taiwan, dove sono nato io. La nostra felicità non durò a lungo: il giorno del mio diciottesimo compleanno, mamma fu investita da un’auto pirata. La polizia indagò a fondo sulla questione ma non rintracciò mai il guidatore. La targa della macchina era falsa, l’auto stessa risultava rubata ad un cittadino estraneo ai fatti. Come i nonni prima di lei, lo spettro della Grande Madre Russia mi aveva sottratto una persona cara” il dolore gli calò sul volto simile ad un velo. “Decisi che ne volevo sapere di più. Ingaggiai un investigatore privato, distribuii svariate migliaia di dollari in mazzette a funzionari corruttibili affinché ficcassero il naso in vecchi archivi. La risposta alle mie domande arrivò sotto forma di un fascicolo riguardante mia nonna, Irina Lizanjka Sokolova. Sembra che, quando era in missione sotto copertura come infiltrata nella CIA, riuscì a rubare una formula chimica di inestimabile importanza. I problemi sopraggiunsero quando lei, invece di trasmetterla ai suoi datori di lavoro, la tenne per sé. Probabilmente intendeva rivenderla alla concorrenza e ricavarci un mucchio di soldi. Non ne ebbe il tempo, però. Poco dopo, lei e il marito si ritrovarono coinvolti in una rapina”.

“Bevi dell’acqua, Yifenzio” Yeollo gli allungò una bottiglia e un bicchiere. L’altro accolse con piacere quell’occasione per interrompere il discorso e riprendere fiato.

“Grazie. Sembrava una rapina come le altre. I nonni erano in coda allo sportello, dovevano fare un versamento. I rapinatori entrarono con le armi puntate e presero in ostaggio tutti, clienti e lavoratori. Incassarono i soldi. La polizia tardava ad arrivare; avrebbero potuto tagliare la corda e scappare con la refurtiva. Invece, prima di fuggire, senza alcun motivo spararono a due persone”.

“I suoi nonni” concluse per lui Marta. “Mi sta dicendo che la sua vita è in pericolo a causa di quella formula?”

“Sì e no, dottoressa. Nell’ambiente criminale si sparse la voce che la formula fosse ancora in possesso della mia famiglia. Onde evitare altre morti precoci, mio padre ed io abbandonammo il Paese e venimmo a vivere qui, sotto falso nome, nella villa che lui stesso aveva ereditato da un cugino di secondo grado. Da allora non abbiamo avuto più problemi. Papà è morto tre anni fa di un comunissimo infarto. Pensavo ormai di essere al sicuro dai fantasmi del mio passato, eppure… Vede, degli informatori mi hanno rivelato che a quanto pare quella formula è ancora di notevole interesse, sia per il KGB che per la CIA”.

“Peccato che lei non ce l’abbia” lo incalzò.

“Se così non fosse, non avrei remore a restituirla ai legittimi proprietari. Quella è gente pericolosa. Non ho voluto sposarmi né avere figli proprio per la paura che qualcuno li usasse contro di me”.

“Capisco. Però, mi permetta di insistere sulla questione. Perché temeva che uno degli ospiti fosse interessato ad eliminarla? I suoi informatori le hanno fatto dei nomi? Sa chi potrebbe attentare alla sua vita?”

“Nessuno di loro mi ha saputo fornire informazioni precise. Si parla di questa persona con un nome in codice, Led, che in cirillico significa ghiaccio. Non si è sicuri nemmeno del sesso. Si sa solo che è un mercenario privo di scrupoli e moralità. Tuttavia, circola voce che Led sia sulle mie tracce, che mi abbia individuato e che si sia insinuato nella mia cerchia di amicizie. Ecco perché pensavo di essere io l’oggetto di un possibile attacco. Volevo spingere Led a gettare la maschera”.

“E rischiare di rimetterci la pelle? Ottima mossa, signor Wu. Simili stratagemmi funzionano nei film e nei libri, non nella vita reale”.

“Me ne rammarico molto, Ma- dottoressa. Un’altra persona ci è andata di mezzo, e non riesco ad impedirmi di credere che al suo posto avrei dovuto esserci io” dichiarò, contrito e addolorato.

“Ha mire suicide, per caso?” non risparmiò il sarcasmo nella sua voce.

“Non intendevo in quel senso” la guardò allibito. “Ma avrebbe una sua logica, no? L’assassino potrebbe aver commesso un errore, uccidendo Gionghin al mio posto”.

Marta e Yeollo si scambiarono un’occhiata. Era un’ipotesi, in effetti.

 

 

IV

 

 

Interrogati in rapida sequenza, Giongdè e Zio Tao comunicarono con la massima tranquillità al vice questore aggiunto che la notte precedente avevano approfittato del silenzio in cui era avvolta la casa per sgattaiolare in salone e razziare la riserva di liquori del signor Wu.

“Ricordo di aver guardato l’orologio, ad un certo punto. Era l’una e quaranta. Non saprei dirle da quanto ci trovavamo lì a gozzovigliare, ma le assicuro che Zio Tao non si è allontanato da me per tutto il tempo” ammiccò il fotografo.

“Conoscevo Kai, ci era capitato di partecipare a qualche campagna pubblicitaria insieme” ammise Zio Tao. “Era un tipo a posto. Mi sfugge perché qualcuno gli volesse fare del male. Io e Giongdè abbiamo bevuto un po’ e forse, ma dico forse, potremmo esserci lasciati andare a un certo tipo di effusioni” arrossì. “Non ho avvertito nulla di strano in casa, c’era un tale silenzio. Però, a pensarci bene, credo ci fosse qualcuno in giardino. Chi fosse non lo so, ma ho visto passare un’ombra. Ne sono certo. Potevano essere le due, minuto più minuto meno”.

 

 

Infine toccò a Sehunno, visibilmente provato dal dolore. Marta ci andò giù piano con lui perché, se le sue supposizioni avevano un fondamento, quel poveraccio stava vivendo un lutto vero e proprio. Tuttavia, stravolti com’erano lei e Yeollo dopo una giornata trascorsa a raccogliere testimonianze, decise di non perdere tempo in convenevoli.

“Gionghin aveva tatuata sul polso una lettera. L’iniziale del suo nome, signor Oh?”

“Lei- lei conosce il vero nome di Kai?”

“L’ho scoperto di recente. Risponda alla mia domanda, grazie”.

Sehunno restò in silenzio alcuni istanti. Poi, con le lacrime che sgorgavano copiose dagli occhi, si slacciò un polsino della camicia e mostrò la G, racchiusa da un cuore, disegnata sul proprio polso. Yeollo distolse lo sguardo, pudico di fronte a uno strazio così intenso.

“Mi dispiace per la sua perdita. Beva un sorso d’acqua, se le serve” Marta spinse un bicchiere di plastica verso il ragazzo.

“Nulla servirà a riportarlo indietro” singhiozzò lui. “Era l’amore della mia vita. Gli avrei chiesto di sposarmi a Natale, avevo- avevo già comprato l’anello” e diede libero sfogo al pianto.

“Non oso immaginare come si senta in questo momento” disse lei, avvertendo un groppo in gola. “Però sono costretta a chiederglielo. Dove si trovava ieri, tra l’una e le due di notte?”

“Mi scusi, dottoressa. Mi scusi” articolò tra le lacrime. Yeollo gli offrì un pacchetto di fazzolettini, che accettò grato. Si soffiò il naso. “Tra l’una e le due, vediamo- dovevo essere in giardino. Gionghin è sceso in biblioteca che era l’una meno un quarto circa. Sapevo che sarebbe stato via un po’, avevamo battibeccato e avevamo entrambi bisogno di sbollire la rabbia. Ho provato ad addormentarmi ma non mi riusciva, perciò ho deciso di fare due passi nel parco. Non è stata una grande idea. Tra la vegetazione così fitta e il cielo senza luna, ho vagato alla cieca per un bel po’. Ho creduto persino di essermi perso. Fortuna che avevo lo smartphone con me”.

Yeollo prendeva appunti freneticamente. Marta aggrottò la fronte. “Lei potrebbe essere l’ultima persona che ha visto Gionghin vivo, Sehunno. Che ore erano quando è tornato nella sua stanza? Ha controllato se il suo fidanzato fosse andato a letto nel frattempo?”

“Credo le due e qualche minuto, non ricordo con precisione” emise un singulto. “Era più o meno quell’ora quando sono passato davanti al bovindo del salone, scorgendo due sagome attraverso la vetrata. Mi è parso che si stessero baciando. E una volta tornato in stanza non ho pensato di cercare Gionghin. Sapevo per esperienza che era meglio tentare la riconciliazione il mattino seguente. Solo che non ne ho avuto l’occasione” si sciolse nuovamente in lacrime.

“Perché avevate litigato?”

“Nulla di grave. Le solite incomprensioni tra innamorati, sa” si adombrò. “Gionghin era molto bello, come sicuramente avrà potuto notare. Io ero pazzo di lui, però non ero sicuro dei suoi sentimenti per me. Avevo il timore che potesse tradirmi da un momento all’altro; non perché fosse nella sua natura essere infedele, ma perché non mi ritenevo degno di lui. Mi rimproverava spesso per questa mia insicurezza, diceva che non avevo nulla di cui preoccuparmi” cedette di schianto. “Avrei preferito di gran lunga un paio di corna, se avessi potuto salvargli la vita. Qualsiasi cosa sarebbe stata accettabile, dottoressa. Era l’amore della mia vita” le rivolse uno sguardo vitreo e disperato. “Scopra chi è stato, la prego. Scopra chi mi ha portato via Gionghin e lo lasci marcire in galera”.

 

 

Frastornati, Marta e Yeollo decretarono che si erano meritati una doppia dose del whisky color ambra che Yifenzio conservava in un uno stipetto. Lo centellinarono nei tumbler e lo mandarono giù a piccoli sorsi, gioendo del potere rinvigorente dei superalcolici.

“Giornatina tosta” commentò Yeollo.

“Devastante. Mi è passato l’appetito, ti dirò. Stasera salto la cena e mi fiondo in camera a dormire”.

“Niente strip poker, allora”.

A Marta scappò una risatina. “Non le concederò mai lo strip, dottor Pacco”.

“Alzo le mani, allora. Che non mi si dica che non ci ho provato fino alla fine” sorrise scherzoso. “Mangiare un po’ ti farebbe bene. Mi sembri sciupata…”

“Sarebbe il colmo! Mesi e mesi che inizio una dieta senza portarla a termine, ed ecco che in un weekend perdo tutti i chili di troppo”.

Sentirono bussare alla porta. “Avanti” disse Yeollo. Con sorpresa di entrambi gli inquirenti, Suha si infilò svelta nello studio e si richiuse la porta alle spalle.

“Perdonate l’intrusione” si scusò. “Durante la convocazione di stamattina né io né mio marito abbiamo trovato il coraggio di rivelarvi un particolare, invero molto delicato, che potrebbe aiutarvi a far luce sul motivo della nostra presenza a Villa Wu. Non è nostra intenzione ostacolare la giustizia, perciò se avete qualche minuto da dedicarmi, ecco, vorrei-”

“Si figuri, nessun disturbo. Si accomodi” Marta si lisciò il davanti della blusa e in un attimo rientrò nei panni di vice questore aggiunto. “Gradisce qualcosa da bere, signora Do?”

Suha declinò l’offerta con un grazioso cenno della testa. “La ringrazio, ma è meglio che mi tolga questo peso dal cuore il prima possibile. Quello che sto per rivelarvi è un segreto che Chionsù ed io abbiamo serbato per oltre vent’anni e a cui, ahimè invano, confidavamo di porre fine proprio oggi. Il diretto interessato è venuto a mancare, sicché…” puntò i suoi incantevoli occhi scuri in quelli di Marta. “La verità, dottoressa, è che Gionghin era mio figlio”.

Sull’orlo delle lacrime e tuttavia molto composta, la donna procedette con il suo racconto sotto gli sguardi attoniti di Marta e Yeollo. Lei e Chionsù si amavano da ragazzini contro il volere delle rispettive famiglie. Mal tollerando che la loro storia fosse così osteggiata, i novelli Romeo e Giulietta avevano provato a fuggire insieme. L’esito di un tale sprezzo del buonsenso era stata una gravidanza inattesa, seguita dalla separazione coatta dei due giovani. A Suha non era stato concesso di abortire, giacché discendeva da una stirpe di bigotti di raro fanatismo; aveva partorito a soli sedici anni. Dopodiché i genitori le avevano sottratto il nascituro senza che lei, stordita dall’anestesia, potesse ribellarsi. Dapprima le avevano detto che il bimbo era nato morto, ma lei non aveva mai accettato di crederci. Così, divenuta maggiorenne, aveva ripreso i contatti con Chionsù e la fuga, quella volta, era andata a buon fine. Si erano trasferiti a centinaia di chilometri dalla Sicilia, si erano sposati e insieme avevano creato la ditta Do&Co. Qualche tempo più tardi, in occasione della nascita di Yiscing, la vecchia ferita si era riaperta e i coniugi si erano promessi di fare luce sulla vicenda. Le ricerche si erano protratte più del dovuto, costando loro non pochi soldi. Ma alla fine, circa un mese prima della tragedia, avevano ricevuto la conferma definitiva. Kai, il ballerino più in voga del momento, era il figlioletto perduto tanti anni prima.

“Presumo non sia per una pura casualità che il signor Wu abbia invitato qui voi e Gionghin questo weekend” l’anticipò Marta.

“In effetti no. Yifenzio è un caro amico di mio marito. Appena è venuto a sapere quale fosse il legame che ci univa si è subito offerto di combinare l’incontro. Conosceva Gionghin, sa?”

“Lo so, lo so. Me ne ha accennato” Marta imprecò dentro di sé. Il Tony Stark da strapazzo non si era scomodato a renderla partecipe di quel piccolo particolare.

“Scusatemi ancora se vi ho arrecato disturbo” Suha si alzò e chinò il capo in segno di contrizione. Le mani le tremavano. Il contegno mantenuto fino ad allora minacciava di incrinarsi pericolosamente.

Yeollo, da perfetto galantuomo, si precipitò ad aprirle la porta. “Non lo dica neppure per scherzo” sussurrò con il suo vocione da gigante buono.

“Le porgo le mie più sincere condoglianze, signora Do”. Marta provò una pena sconfinata per quella donna bella, ben vestita in seta blu oltremare e con il cuore irrimediabilmente spezzato. Perdere un figlio doveva essere una delle peggiori atrocità che un essere umano potesse sopportare. Ma perderlo una seconda volta… Rabbrividì. Senza nemmeno guardarlo, sapeva che Yeollo era desolato quanto lei.

 

 

V

 

 

L’indomani arrivò in un battito di ciglia. Quando i primi raggi rosati dell’alba si affacciarono timidamente dall’orizzonte, però, constatarono delusi che qualcuno era stato più mattiniero di loro. Alzatisi da un’oretta almeno, infatti, il dottor Pacco e la collega Vincisguerra si trovavano nella stanza di lei, spaparanzati sul letto matrimoniale invaso di carte, post-it e pennarelli. Yeollo sembrava avesse infilato le dita nella corrente, Marta pareva reduce da un letargo di mesi. Nonostante il loro aspetto poco promettente, però, erano sveglissimi e con i neuroni che lavoravano a mille.

“Ce l’hai ancora il numero di telefono di quel tizio che ti sei scopato a Capodanno, il giornalista?” chiese lei tentando di decifrare un foglio scarabocchiato con geroglifici illeggibili.  

“Ma chi, Asdrubale Cicciarella?” mugugnò lui stropicciandosi gli occhi.

“Esatto, il Ciccia. Si occupa di gossip, moda e stronzate simili, se non erro. Telefonagli più tardi, ok? Mi serve che verifichi questa informazione” gli passò un post-it rosa.

“A cosa stai pensando? Credi che potrebbe costituire una pista?” chiese leggendo il biglietto.

“Qualsiasi minchiata potrebbe costituirne una, messi male come siamo. Non abbiamo indizi in nostro possesso, non uno straccio di movente valido” sbadigliò, imitata dall’amico. “Insomma, è domenica e domani il Ministro esigerà la nostra testa se non troveremo il colpevole. Tanto vale formulare le ipotesi più assurde, purché ci forniscano uno straccio di idea”.

“Ci sarebbe il movente passionale. La gelosia ne ha mandati tanti al Creatore”.

“Sì, ma non mi convince. Il dolore del ragazzo mi è sembrato autentico” storse il naso Marta.

“Anche a me. Però non si sa mai” sfogliò le carte. “E se Yifenzio avesse ragione? Se l’assassino volesse uccidere lui e non Gionghin?”

“Non possiamo escludere questa possibilità a priori” alzò gli occhi al cielo. “Organizziamoci così: tu cerchi di capire se Gionghin potesse aver pestato i piedi a qualcuno dei sospettati, io batto la pista della spia venuta dal freddo. Chiamo una collega della DIGOS, mi deve un favore”.

“Ricevuto, capo. Faccio una doccia e mi metto al lavoro. Ci riaggiorniamo dopo colazione?” domandò Yeollo, una mano già sulla porta.

“Adoro quando mi leggi nel pensiero” gli mandò un bacio in punta di dita e tornò a studiare le sudate carte. Avevano meno di ventiquattro ore a disposizione. Sospirò e digitò un numero sul cellulare; ogni secondo era prezioso.

 

 

Installatisi di nuovo nello studio, due ore e tre quarti dopo, il dinamico duo era impegnato a confrontare i frutti delle ricerche effettuate.

“Quindi la storia della spia non era una balla melodrammatica” sottolineò enfaticamente Yeollo. “Yifenzio non ci ha mentito”.

“Buon per lui. La mia collega dovrebbe richiamarmi tra mezzora per confermare il nome. Diversi Paesi sono sulle tracce di Led, confrontando i dati e gli identikit con quello che sappiamo dei deliziosi ospiti del tuo amichetto Yifenzio dovrebbe saltar fuori qualcosa” si strinse nelle spalle. “Quanto alla tua indagine parallela, hai scoperto qualcosa?”

“Eccome! Ti interesserà sapere che-” il resto della frase vene interrotto da un vivace toc-toc alla porta. “Chi è?” abbaiò.

Un visetto angelico appartenente ad un bambino altrettanto angelico fece capolino. “E’ permesso?”

“Yiscing? Tesoro, va tutto bene?” la Vincisguerra gli andò incontro. “Ti sei perso?”

“Ho un segreto importantissimissimo da svelarvi” sussurrò.

“Addirittura” gli diede corda la ragazza.

“Sì, top secret. Posso entrare?”

“Magari più tardi, cucciolo” cercò di liquidarlo Yeollo. “I grandi hanno bisogno di un po’ di tempo per discutere, è urgente e-”

“Riguarda l’omicidio” annunciò con aria solenne, lasciando i due con un palmo di naso. “Allora entro, eh” disse approfittando del loro sbalordimento per sgusciare dentro allo studio. “Wow, che bella stanza” Marta si accorse che la piccola peste reggeva sottobraccio la scatola di un vecchio tavolo da gioco, Cluedo.

“Yiscing, adesso non abbiamo tempo per giocare con te. Possiamo rimandare tutto a stasera?”

“E chi ha parlato di giocare? Vi ho portato questo”, batté la mano sulla scatola, “per aiutarvi con l’indagine. E poi so qualcosa che dovete assolutamente sapere anche voi, altrimenti non catturerete mai il cattivo”.

Marta mandò a quel paese la propria razionalità. “Come vuoi tu, scricciolo. Però possiamo concederti”, diede un’occhiata veloce all’orologio da polso, “solo dieci minuti. Se quanto stai per dirci ci interesserà, avrai altri dieci minuti per spiegarti meglio. In caso contrario, tornerai dai tuoi genitori senza fare capricci. Ci stai?” e gli tese una mano. Yeollo, stimolato da una gomitata nelle costole della collega, la imitò.

“Ci sto” Yiscing sancì l’accordo ricambiando le loro strette di mano con un palmo fresco e leggermente sudato. Senza ulteriori indugi, aprì Cluedo e dispose sul pavimento la cartina planimetrica di Tudor Hall, la villa che era l’ambientazione del gioco.

Lo svolgimento era macchinoso ma semplice, Marta lo ricordava perché da ragazzina ci aveva giocato svariate volte con le amiche di scuola. La trama prevedeva che il giovane dottor Black, dopo aver festeggiato il compleanno in compagnia di figuri dal passato più o meno ambiguo, venisse assassinato misteriosamente da uno degli invitati. Stava quindi ai giocatori, che impersonavano ognuno un personaggio della storia (escluso, va da sé, il caro estinto), indagare e scoprire chi, in quale stanza del maniero e con quale arma avesse commesso il delitto. Il primo che formulava l’accusa esatta vinceva la partita.

“Cluedo è il mio gioco preferito” esordì Yiscing. “Me lo porto sempre dietro, anche in vacanza. Trovo sempre qualcuno che ci vuole giocare. Ebbene, proprio ieri sera stavo osservando la cartina. Mamma e papà erano tanto tristi che non me la sono sentita di chiedergli di unirsi a me, perciò mi sono detto: e se scoprissi il colpevole come in Cluedo, così saranno super fieri di me e potremo tornare a casa nostra? Così ho analizzato la scena del crimine” indicò il tabellone. “Alcune stanze non servivano, perciò le ho sostituite”.

Marta e Yeollo si inginocchiarono per studiare meglio l’opera del bambino. L’osservatorio, la piscina e il soggiorno erano occupati da pedine di colori diversi. Un’altra stava fuori dal perimetro della casa. Sopra alla sala home-theatre, alla Spa, alla terrazza e all’ingresso erano appiccicate delle etichette: ‘camera mia, di mami e papi’, ‘biblioteca’, ‘camera dottoressa carina’, ‘camera dottore alto’. Anche su queste erano posizionate altrettante pedine. Marta iniziò a mostrarsi interessata.

“Hai la nostra attenzione, credo” mugugno di assenso da parte del collega. “Continua”.

“Okkei. Per primi ho escluso voi due perché siete una specie di poliziotti, no?, e i poliziotti stanno sempre dalla parte del bene” sorrise orgoglioso Yiscing. “Ed eccovi qua, ognuno nella sua stanza” disse riferendosi alle pedine. “Poi ho escluso mamma e papà, perché ci ho dormito assieme e non sono mai usciti. Lo so perché mi sveglio di continuo e me ne sarei accorto. Ovviamente anche io sono innocente” precisò, con una tale serietà che agli adulti scappò da ridere. “Kai, poverino, era in biblioteca” disse abbattuto.

“Questo lo sappiamo anche noi, piccolo” Yeollo gli diede un buffetto sulla guancia. “Spiegaci secondo quale criterio hai disposto le altre pedine”.

“Si tratta di un segreto top secret. Se i miei lo sapessero si arrabbierebbero un sacco. Promettete di non dirglielo?”

“Promesso”. Marta annuì. “Giurin giurello”.

“D’accordo. Dunque, vi ho già detto che ho il sonno leggero? Bene. Quella notte -la notte dell’omicidio- non stavo dormendo. Mamma e papà mi avevano tenuto sveglio con le loro chiacchiere fino a tardissimo, e se io non mi addormento entro una certa ora poi non ci riesco più. Mi annoiavo a stare a letto senza fare niente, per cui ho pensato: e se esplorassi la villa al buio? A me piacciono un sacco i thriller e i film horror, e inoltre questa casa sembra proprio Tudor Hall. Così sono scivolato pian piano fuori dalla camera e, in punta i piedi per non farmi scoprire, ho iniziato dall’ultimo piano”.

“Sei salito fin su nella torretta?”

“Oh sì! E’ bellissima. Per poco però non mi sono fregato da solo, perché pensavo che a quell’ora non ci fosse nessuno e invece c’era il signor Yifenzio che russava su un divano”.

“Molto interessante” lo incoraggiò Marta. “Prendi appunti, Yeollo”.

“Ai suoi ordini, mia signora”.

“Simpaticone. Prosegui pure, Yiscing. Dopo sei sceso al pianoterra, immagino”.

“Esatto. In biblioteca c’era una luce accesa, ma non mi ci sono avvicinato perché non volevo essere sgridato. E’ per colpa mia che Kai è morto? Avrei potuto salvarlo?” chiese lui, ad un tratto allarmato.

“No, cucciolo. Anzi, avresti rischiato brutto anche tu se ti fossi intromesso” lo rassicurò Yeollo. “Chi altro hai visto?”

“Beh, nel salotto grande dove avevamo cenato c’erano due ragazzi che si baciavano e sembravano un po’ brilli. Uno dei due era quello che sfila in passerella, l’altro quello che lo fotografa. Infine sono andato in piscina, quella coperta. Volevo farmi un tuffo senza dirlo a nessuno, ma ho rinunciato perché c’era già qualcuno”.

“Ah sì, e chi?”

“La maestrina e il suo fidanzato. Credo stessero facendo sesso” bisbigliò con l’aria di un cospiratore.

“Ehm”, avvampò Yeollo, “perché? Cioè, non sei troppo piccolo per conoscere certe cose?” Marta ridacchiò.

“Piccolo sì, ma non scemo. Lei diceva le stesse frasi che la mamma grida quando fa sesso con papà: ‘Ancora, di più, più forte!’ E poi erano nudi. Di certo non stavano giocando a briscola” puntualizzò Yiscing, mentre Yeollo rischiava il collasso e Marta reprimeva un attacco acuto di ridarella. “Comunque, dato che mi stava venendo sonno e non c’era altro che mi incuriosisse, sono risalito in camera. Prima però sono andato in bagno perché mi scappava, e dalla finestra ho visto l’amico di Kai, Sehunno, che passeggiava in giardino”.

“E bravo Yiscing” la Vincisguerra lo scrutò benevola e orgogliosa. “Le tue informazioni si sono rivelate utilissime. Ti prometto che ne faremo un buon uso. Resta però un’ultima domanda, forse la più importante. Ti ricordi che ore erano quando sei sgattaiolato via e quando sei tornato in camera?”

Il bambino ricambiò lo sguardo, fermo e sicuro. “Ma certo, signorina. In totale, sono stato a zonzo dall’una alle due di notte”.

 

 

VI

 

 

Quella sera stessa gli inquirenti convocarono una riunione straordinaria in biblioteca. L’annuncio causò un certo sconcerto nei presenti: come, proprio sulla scena del crimine? E perché? Comunque, volenti o nolenti, alle nove in punto si trovavano tutti lì, chi in piedi e chi seduto sulle poche poltrone da lettura. La dottoressa Vincisguerra e il dottor Pacco furono gli ultimi ad arrivare. L’uomo, senza dare nell’occhio, si premunì di chiudere la porta a chiave.

“Buonasera, gentili ospiti. Grazie per esservi mostrati tanto collaborativi” Marta avanzò ad ampie falcate fino al centro della sala. “Siete stati riuniti in tutta fretta, e me ne scuso, perché il mio collega ed io abbiamo una notizia da darvi che, lo speriamo, vi arrecherà grande diletto” sfoggiò uno scintillante sorriso a trentadue denti, affatto rassicurante. “Il colpevole dell’orrendo gesto che ha messo fine alla vita di una delle più luminose promesse della danza contemporanea ha finalmente un nome”.

La sua affermazione venne accolta con mormorii di stupore e sollievo. Suha e Chionsù si cambiarono uno sguardo speranzoso. Sehunno, i cui occhi e il naso arrossati segnalavano una discreta quantità di tempo spesa a piangere l’amante, si mise sull’attenti. Luano, impettito in un angolo, si pulì le lenti degli occhiali. Minsocca sbadigliò, Zio Tao accavallò le gambe esibendo un glorioso stacco di coscia rivestito di jeans che Yeollo non mancò di apprezzare. Yiscing, pieno di trepidazione, drizzò le antenne. Bechiòn studiò lo stato delle proprie unghie, mentre Giongdè si stiracchiò come un gatto. Fu Yifenzio, particolarmente appetibile in pantaloni coloniali di lino e camicia, a porre la domanda da un milione di euro.

“Chi è stato?”

Il sorriso della Vincisguerra si allargò. “E’ curioso che sia lei a chiederlo, e non i legittimi genitori di Gionghin” il silenzio calò gelido. “Signori Do, non siate timidi. Non desiderate che il vostro figlio perduto abbia la giustizia che merita?”

“Mamma, non capisco” proruppe Yiscing, agitato. “Ho un fratello? Perché lo scopro soltanto adesso? Era Kai?”

“Sta’ buono, piccolo” Chionsù cercò di calmarlo. “Non possiamo rischiare che ti venga un attacco d’asma”.

“Ma vostro figlio deve pur venire a conoscenza della verità. Kai, ovvero Gionghin, era tuo fratello maggiore” disse Marta rivolta al bambino. “Abbiamo effettuato delle analisi comparative con un campione di saliva della mamma, e c’è una corrispondenza. Tuttavia, mi domando…” si finse pensierosa. “E se Gionghin non fosse il figlio biologico di suo marito, signora Do?”

“Cosa- come osa insinuare una simile menzogna?” balbettò Suha, spettralmente pallida.

“La vostra è davvero una bella storia d’amore, sa. Le famiglie che vi contrastavano, la fuga mancata, la gravidanza, l’ingiustizia subita. State ancora insieme, più uniti che mai, nonostante quello che avete passato. Siete una coppia invidiabile. E tuttavia, vedete, Gionghin da qualcuno è stato pur ammazzato. Ma chi poteva volere morto un giovane tanto dolce e mite, talentuoso, che apparentemente non aveva nemici?” si concesse una pausa drammatica, d’effetto. “E se il suo nemico peggiore si fosse celato proprio nello stesso nucleo famigliare che sembrava impaziente di accoglierlo? Ad esempio lei, signora. Ipotizziamo che, all’epoca dell’amore con Chionsù, la sua fedeltà fosse stata messa a dura prova da un altro uomo; un flirt, magari, oppure qualcosa di più grave come una violenza da parte di un parente. Gionghin le assomigliava moltissimo, ma del presunto padre non aveva ereditato alcunché”.

“Non ha senso! Non è vero, non ho mai tradito Chionsù, queste sono solo accuse infamanti” strepitò la donna prima di scoppiare in lacrime. Yiscing sembrava sul punto di imitarla. Chionsù era schiumante di rabbia.

Marta non se ne curò. “E mettiamo anche che lei, gentile signora, avesse paura che la verità sulla paternità di Gionghin venisse a galla: che il figlio rintracciato con grande premura e un notevole dispendio di denaro venisse diseredato da suo marito, che le fosse vietato frequentarlo in futuro. Avrebbe significato privare il secondogenito di un fratello amorevole, e lei avrebbe nuovamente perduto Gionghin. Era una prospettiva troppo dura da accettare, non è così? Non poteva permettere a nessuno di portarle via sua figlio. Piuttosto lo avrebbe fatto lei, con le sue stesse mani” concluse in tono compassionevole.

“Può dire addio alla sua brillante carriera, dottoressa Vincisguerra” ringhiò Chionsù, tenendo tra le braccia moglie e figlio, entrambi sconvolti. “Fosse l’ultima cosa che faccio, lei non eserciterà mai più, mi sente, mai più!”

“La mia collega non è un avvocato, signor Do. Sui funzionari statali, assunti a tempo indeterminato con regolare concorso e giuramento verso la patria, lei non ha alcun potere” si intromise Yeollo scuro in volto. “Benché sia innegabile che lei vanti amicizie molto in alto e molto influenti. Suppongo non sia difficile per lei assumere un sicario che si sporchi le mani al posto suo, o sbaglio? Chi ci assicura che non sia stato lei, piuttosto, ad eliminare Gionghin? Aveva scoperto l’infedeltà di sua moglie, vero? Voleva fargliela pagare?” lo accusò duramente.

“La scomoda realtà è che non siete i soli, tra i presenti, ad avere un movente” intervenne a sorpresa Marta. Sbigottimento generale. “Ad esempio lei, Sehunno. Non ha fatto mistero della gelosia che nutriva nei confronti del suo amante. Temeva che potesse lasciarlo da un momento all’altro, ma dubito che lei avrebbe tollerato una tale opzione” fissò dritto negli occhi il ballerino. “Lei soffre moltissimo, è evidente a chiunque. Eppure mi domando se non ci sia una dose di senso di colpa dietro alle sue lacrime, e rimpianto per aver tolto la vita alla persona che amava con tutto il cuore”.

Sehunno scosse la testa, disperato, annichilito. “No, no, no, no, no. Mai l’avrei fatto, mai” mormorò debolmente.

“E se la gelosia è sempre un buon movente per un omicidio, lo stesso vale per l’invidia” Yeollo spostò la propria attenzione su Zio Tao. “Un uccellino mi ha riferito che lei e Gionghin eravate in lizza per il ruolo di testimonial ufficiale di una prestigiosa griffe e che lei, dato per favorito, è stato scartato senza una spiegazione proprio in favore di Gionghin. Immagino che non abbia esultato all’idea di trascorrere un intero weekend in compagnia del rivale che le aveva soffiato il contratto del secolo da sotto il naso. Tuttavia ha fatto buon viso a cattivo gioco. Perché, Zio Tao? Aveva forse in mente di vendicarsi? Magari con l’aiuto del suo compagno?” puntò il dito contro Giongdè.

“Ma che assurdità!” protestò fieramente il modello. “Non ce l’avevo con Gionghin, bensì con quell’incompetente del mio manager che fino all’ultimo mi ha illuso che avessi una possibilità. Non avrei dovuto presentarmi alle selezioni e basta, sin dal principio. E poi, non avevo motivo di lamentarmi perché prima di arrivare qui ho firmato per un ingaggio strepitoso. Il mondo della moda è spietato e variabile: un giorno ti prendono, quello dopo ti scartano per una sciocchezza” strinse a sé il fidanzato. “Insinuare che Giongdè possa macchiarsi di un simile delitto è semplicemente inconcepibile. Non ammazzerebbe una mosca, figurarsi un essere umano”.

“Oh, amore” fu la replica zuccherosa.

Marta si fermò davanti a Yifenzio. “Nemmeno il padrone di casa è immune al sospetto. La memorabile storia che ha raccontato a me e al dottor Pacco, appassionante come un’avventura di James Bond, sebbene documentata e attendibile potrebbe essere stata sfruttata come specchietto per le allodole. Una spia sovietica infiltratasi in casa sua allo scopo di ucciderlo e impossessarsi di una formula di cui si ignora l’attuale proprietario? Intrigante, ma poco probabile. Se avesse usato questa ipotetica minaccia per distrarci da ciò che invece intendeva nascondere, ovvero la sua attrazione per il bellissimo Gionghin, di cui era stato il benefattore in gioventù?”

Yifenzio la guardò come se l’avesse schiaffeggiato. “La sua turbolenta vita amorosa è nota a tutti i tabloid, signor Wu” proseguì lei. “Non gode della reputazione di un santarellino. In passato ha dimostrato buon gusto”, sbirciò di sottecchi Yeollo, “e il suo protégée era un capolavoro di estetica. Nulla mi vieta di pensare che lei abbia tentato un approccio, che qualcosa sia andato storto e lei, in preda all’ira, lo abbia punito per averlo respinto”.

“Marta, sul serio pensi questo di me?” la pregò con voce supplice.

“Non conta ciò che penso io, ma ciò che è vero” replicò seccamente.

“Qualcosa di vero nella storia del mio vecchio amico c’è, però” prese parola Yeollo. “Tra di voi si nasconde una spia che gli addetti ai lavori conoscono come Led. Non è stato facile incrociare i dati, le testimonianze e le intercettazioni raccolte dai servizi segreti di mezzo mondo occidentale, ma finalmente abbiamo un volto ad assegnare allo pseudonimo. E’ il momento di calare la maschera. Sei in trappola… Minsocca”.

L’interpellata trasalì e divenne di tutti i colori. Lanciò uno sguardo alla porta, pronta a scattare verso la libertà. “Inutile provarci, mia cara” la canzonò Yeollo. “La porta è stata chiusa a chiave, che ho messo al sicuro. Gli agenti della DIGOS sono stati allertati, tra qualche minuto arriveranno qui”.

“Non potete accusarmi, non- non ho ucciso io quel maledetto ballerino!” strepitò la donna mentre Marta provvedeva a legarle i polsi con un cordone sottratto alle tende in velluto del salone.

“Lo sappiamo” annuì il vice questore aggiunto. “Tuttavia, mi duole ricordarti che sul tuo capo pende una sostanziosa taglia e che contro di te sono stati emessi tanti di quei mandati di cattura da parte di altrettanti Stati, europei e non, che non ci serve un omicidio per spedirti in galera a vita. Le tue mani sono già sporche del sangue di troppi innocenti. Quanto al tuo promesso sposo, beh, neppure lui ci ha raccontato tutta la verità” tornò a sorridere. “Bechiòn, lei mentiva sapendo di mentire quando, giusto due sere fa, ha millantato di fronte alla sottoscritta di possedere un impero delle pompe funebri. Risulta che lei ha contratto grossi debiti con diversi istituti di credito, nonché dei loschi figuri che lascerò a lei gestire. Tira aria di maretta nel campo delle sepolture! Cosa c’è di meglio, per risollevare le sorti, di una straordinaria pubblicità gratuita? Un defunto illustre, ad esempio? Una celebrità morta in circostanze poco chiare, degna di un rompicapo alla Hercule Poirot, cui offrire -molto appropriatamente- un funerale da sceicco? Tutti i vip avrebbero fatto a gara per richiedere i servigi della sua impresa, dopo. Era un’occasione ghiotta, da cogliere al volo”.

“Falsità e bugie!” berciò l’uomo. “Vengo a sapere che la mia fidanzata è una spia russa incaricata di compiere chissà quali misfatti, e lei rincara la dose suggerendo un mio coinvolgimento con il sordido omicidio di un frocetto qualunque? Si vergogni, dottoressa. Non ha la minima creanza, quant’è vero Iddio”.

“Ripeti il ‘frocetto’ se hai coraggio!” Sehunno avrebbe senza dubbio afferrato Bechiòn per il collo se non fosse intervenuto Yeollo a fermarlo. Il nervosismo era palpabile in sala: chi singhiozzava, chi fulminava con lo sguardo gli inquirenti, chi si struggeva in silenzio. Nondimeno, un’accusa formale vera e propria non era ancora stata formulata. Era ora di concludere la partita.

“Vi chiedo scusa, signore e signori, per il brutto quarto d’ora che il mio collega ed io vi abbiamo fatto passare. Perdonaci, Yiscing” annunciò Marta, improvvisamente mansueta. “Comprendo e condivido il vostro sdegno, mi rammarico delle lacrime versate a causa delle nostre basse insinuazioni. I vostri alibi sono stati verificati grazie all’aiuto di un piccolo e intrepido aspirante detective. Siete tutti innocenti” accarezzò il volto di Yifenzio, che quasi svenne dall’emozione.

Un boato di sdegno misto a sconcerto, sollievo e incredulità si levò nella biblioteca. Il padrone di casa placò gli animi con un cenno autorevole della mano. “Lasciate terminare la dottoressa, per cortesia”.

Lei lo ringraziò sorridendogli. Un sorriso autentico, stavolta. “Dovete scusarci, ma questa farsa era l’unico modo per far uscire allo scoperto il colpevole. Il dottor Pacco ed io non avevamo altri assi nella manica, se non quello di fingere di sospettare di ciascuno di voi”.

“Ma se ha appena detto che siamo innocenti” frignò Suha.

“Lo siete, infatti. Tranne uno” Yeollo si esibì in una risatina inquietante. “Pardon, è che ho sempre sognato di dirlo e-” si interruppe esibendo i suoi migliori occhioni da cucciolo indifeso alla collega.

“A te l’onore, allora” acconsentì Marta.

Il medico legale si schiarì la voce e assunse un’aria teatrale. “Ebbene, dunque: l’assassino è il maggiordomo!”

 

 

VII

 

 

Nel tafferuglio che seguì, aggravato dall’irruzione della polizia, la confusione regnò sovrana. Yiscing si mise a strillare che voleva tornare a casa sua, possibilmente con il fratellone; Suha e Chionsù tentarono di calmarlo senza successo. Sehunno, recidivo, cercò di scagliarsi addosso a Luano e gonfiarlo di botte. Ci vollero due agenti per tenerlo fermo. Minsocca, dal canto suo, giurò che avrebbe fatto vedere i sorci verdi agli sbirri e che mai avrebbe confessato. Ciò, comunque, non le impedì di essere trascinata via in manette. Chi non reagì in alcun modo, né per difendersi né per azzardare la fuga, fu proprio il maggiordomo reo colpevole. Il quale, anzi, confessò seduta stante sotto gli sguardi attoniti dei presenti.

“Sono stato io, è vero. Ma credetemi, Gionghin non era il mio obiettivo. Si è trattato di un fatale errore”.

Proseguì descrivendo come fosse stata la forte miopia che lo affliggeva da anni a tradirlo. Si dava il caso, infatti, che Luano portasse le lenti a contatto per sopperire alle diottrie mancanti. Ma la notte dell’omicidio, giacché al momento di indossarle gli erano cadute di mano rompendosi ed essendo sprovvisto di un nuovo paio, pure con la vista sensibilmente peggiorata aveva deciso di portare a termine il compito che si era prefissato. Era un piano complesso, il suo. Rivelò di essersi fatto assumere dal signor Wu con il preciso scopo di avvicinarsi alla sua cerchia di amici intimi e conoscenti. L’uomo che desiderava uccidere rientrava in quel ristretto gruppo di persone; alla prima occasione utile avrebbe agito. Appostatosi in corridoio, nei pressi della stanza della vittima, ne aveva visto uscire un ragazzo alto e longilineo, dotato di una folta chioma scura che -complice il buio assoluto- gli era parso corrispondere. Lo aveva seguito fino in biblioteca, lo aveva sorpreso di spalle e colpito con un pesante trofeo. Solamente il giorno dopo, recuperato un paio di occhiali che per vanità non utilizzava mai, si era accorto del tragico errore. Era Gionghin il tipo cui aveva fracassato le cervella, e non Sehunno!

“Io?” urlò il diretto interessato. “Ma se nemmeno ti conosco, bastardo! Perché cazzo mi volevi uccidere?”

“Non conosci Luano, il virilissimo maggiordomo di Villa Wu. Ma un tempo conoscevi Luigino. Ricordi? Eravamo vicini di appartamento, in studentato. Tu eri una matricola, io stavo per laurearmi. Avevo una ragazza di cui ero innamoratissimo, che studiava per diventare maestra elementare-”

“Oh mio Dio” Sehunno realizzò all’improvviso. “Minsocca. Come ho fatto a non riconoscerla? Era una stronza già all’epoca. Tu però sei diverso, hai-?” indicò la faccia dell’ex Luigino.

“Mi sono sottoposto ad una plastica facciale, sì. Volevo essere sicuro che né quella vipera traditrice, né l’infame” il suo sguardo saettò su Bechiòn, “che me l’ha portata via e nemmeno tu, disgraziato il giorno in cui presentasti la mia ragazza a quel becchino, foste in condizione di riconoscermi. La mia vendetta doveva essere perfetta” bisbigliò esaltato. “Ma la sfiga si è messa in mezzo e a pagarne le conseguenze è stato un povero estraneo. Quale destino avverso!”

Yeollo e Marta soffocarono una risata. “Ha ragione a tirare in ballo la sfiga, in effetti. Ma il giudice si mostrerà  clemente nei confronti del suo disturbo mentale, non si preoccupi” disse lui.

“Clemente? Con l’assassino di mio figlio?” si inalberò Chionsù.

“Ehm, ecco, siamo costretti a rinnovarvi le nostre scuse” tossicchiò Marta. “Perché vedete, la realtà oggettiva differisce molto da quella fenomenica. Il che, tradotto in parole povere, significa che-”

“Lasci che siano i fatti a parlare, dottoressa Vincisguerra” la interruppe una voce proveniente dalla soglia. Dodici teste si girarono di scatto in quella direzione, e ciò che videro sbigottì tutti eccetto gli inquirenti.
Gionghin, niente meno che Gionghin in carne ed ossa avanzava verso di loro. A parte la testa fasciata e delle piccole ecchimosi sul viso, aveva un’ottima cera.

“Dio santissimo, tu- TU ERI MORTO” tremò Sehunno.

“Non proprio, amore mio. Ci sono andato vicino, però. Non fosse stato per il fulmineo intervento del dottor Pacco, non sarei qui a raccontarvelo” spalancò le braccia, in modo che il fidanzato potesse gettarvisi dentro. Infine si rivolse al terzetto più felice, terrorizzato e perplesso del mondo. “La dottoressa Vincisguerra mi ha tenuto informato degli sviluppi dell’indagine” guardò con amore prima Sehunno che gli piangeva avvinghiato al collo, poi la famiglia Do. “So chi siete. E se per voi non è eccessivo, vorrei tanto che mi deste un abbraccio”.

Chionsù, Suha e Yiscing non aspettavano altro. Gli corsero incontro travolgendo chiunque intralciasse loro il cammino, e fu così che un puzzle incompleto ritrovò il pezzo mancante.

 

 

“Mi congratulo con entrambi. Avete svolto un eccellente lavoro di squadra. Una bella promozione non ve la toglie nessuno” li elogiò il PM al telefono; Yeollo aveva impostato il vivavoce. “Il Ministro vorrà contattarvi per complimentarsi di persona. Non capita tutti i giorni che un vice questore e un medico legale risolvano, in un colpo solo, un caso di tentato omicidio e una sordida storia di spionaggio”.

“Troppo gentile” tubò Marta. “La maggior parte del merito va al dottor Pacco. Solo lui poteva constatare che il presunto morto era in realtà entrato in coma e che c’erano speranze di salvarlo”.

“Ma è stata tua, mia cara collega, l’idea di assecondare i piani dell’assassino e venire così a capo del mistero, nonché scongiurare un secondo attentato alla vita di una star internazionale” ribatté lui.

Però il PM Stella aveva ragione: erano stati maledettamente bravi.

Lunedì pomeriggio. Gli altri ospiti erano già partiti in mattinata, non prima di aver salutato Marta e Yeollo con la promessa di rivedersi presto per un brunch o un aperitivo. Yiscing, semplicemente, aveva abbracciato stretti stretti entrambi. Sehunno, Gionghin e i suoi genitori avevano espresso la loro immensa gratitudine con ogni vocabolo, figura retorica e verbo contenuti nel vocabolario.
Le valigie erano pronte, il taxi li aspettava ai piedi della collina, il posto di lavoro era salvo e per un paio di giorni tg e quotidiani avrebbero tessuto le lodi dei due improvvisati detective. Cos’altro volere di più?, pensò Marta ilare mentre si apprestava a raggiungere Yeollo in giardino.

“Dottoressa?” la voce di Yifenzio alle sue spalle la colse in contropiede. Si voltò di scatto. “Oddio mi scusi, non volevo spaventarla” l’uomo parve mortificato.

“Colpa mia, ero sovrappensiero” gli sorrise. “Yeollo ed io la stavamo cercando, ci tenevamo a salutarla prima di togliere il disturbo”.

“No, ma quale disturbo? Sarete sempre i benvenuti a Villa Wu” Yifenzio si mangiò le parole. Sembrava impacciato, ansioso. Marta ebbe un’epifania: al di là della fama di playboy e il fisico scultoreo, il milionario filantropo bello come il sole che non sapeva come congedarsi era un enorme, persino tenero, concentrato di timidezza.

“A presto, allora” si sporse a baciargli una guancia, poi l’altra. “Dovesse servirle il mio numero di telefono può chiedere a Yeollo”.

“A proposito, io non-” si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli in modo molto sexy e inconsapevole. Sbuffò per darsi coraggio. “Fanculo, io mi butto. Dottoressa, uscirebbe con me una di queste sere?”

Marta non ebbe esitazioni. “Solo se mi dai del tu” disse sorridendogli.

 

 

 

 

13000 parole. Ripeto, TREDICIMILA parole. E’ il record di una vita, per quanto mi riguarda. Mai scritto roba tanto corposa! Trattandosi però della mia ficcy numero 100 con gli EXO come protagonisti, direi che ne è valsa la pena. Mi sono divertita un mondo a idearla. Io per prima sono perfettamente consapevole che vi siano buchi di trama, un finale un po’ troppo frettoloso e poche descrizioni. E sì, mi sono persino data il ruolo della coprotagonista: non lo negherò. Yifenzio ed io siamo sposati, anche se lui non lo sa ancora.
Deliri MarySueschi a parte, questo è il mio incerto -ma pieno di entusiasmo- omaggio alle centinaia di romanzi gialli che hanno fatto la storia del thriller. Agatha Christie occuperà sempre un posticino speciale nel mio cuore. E anche Clò, che mi deve aver contagiata con la sua logorrea <3.

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