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Autore: RLandH    26/07/2017    1 recensioni
Da capitolo II:
[...]“E quindi hai pensato che abbandonarmi era meglio?” domandò irascibile lei, “Tesoro, nasciamo, viviamo e moriamo soli. Non è mia abitudine aiutare i mortali, mai, neanche i miei figli. Neanche quelli divini, se per questo” aveva detto con un tono infastidito, continuando a limarsi le unghia.[...]
Da capitolo IX:
[...]Era il figlio al prodigo, aveva bisogno di quel padre a cui aveva voltato le spalle, per uno stupidissimo corvo che non avrebbe potuto fare nulla contro un gigantesco uomo alto venti piedi. Le sentì brucianti le lacrime sulle guance.[...]
July vorrebbe aspettare la fine in pace, Carter si sente perso come mai è stato, Heather è in cerca di qualcosa e Bernie di quella sbagliata.
Se si è cosa si mangia: Arvery è una bella persona; Alabaster, lui è quello furbo. Marlon è un anima innocente e Grace è un mostro dal cuore d’oro.
E quando gli Dei decidono di invocare l'aiuto di quegli stessi figli dannati a cui non hanno mai rivolto lo sguardo, non c'è da stupirsi se il mondo intero va rotoli ...
Buona lettura,
Genere: Angst, Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, Dei Minori, Le Cacciatrici, Mostri, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Violenza
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Eccomi tornata! Come sempre in ritardo e chiedo scusa perché questo capitolo nulla porta se non qualche risposta per qualcuno e qualche domandata su qualcun altro. Comunque sia: NUOVO NARRATORE. Ne avevamo bisogno? Probabilmente no, ma era un personaggio che era in caldo da un po’ di tempo, quindi …
Vorrei chiedere scusa per come descrivo gli ambienti perché faccio schifo, in particolare a descrivere un Atollo come quello di Johnston (che si trova nel bel mezzo del pacifico).
Come sempre non ho una beta :c
Comunque sia ringrazio chiunque legga, un bacio.
The Road so Far (Quello che sicuramente avete dimenticato): Dopo la battaglia di Manhattan Bellatrix è scomparsa. Nonostante sua sorella Bernie l’abbia cercata con una certa intensità non è mai riuscita a trovarla fin chè giunta a Nuova Cartagine, bevute le acque infernali e riuscita ad entrare in contatto con sua sorella. Bells era prigioniera, legata su un altare, alla merce di una tale Ify, che non sembrava essere armata di tranquille intenzioni.
Jeha, cacciatrice di Artemide, in compagnia della sua compagna Champ, uccide il risorto Aiace e raggiunte da uno strano dio. Che Jeha conosce e “venera” da tempo, le informa che ciò che loro due stanno cercando è sulla Luna. Letteralmente.


                                                                                      

Il Crepuscolo degli Idoli


Quando bisogna progettare un viaggio: assicurati che la meta non sia un posto di morte e devastazione
 

 
Bellatrix I
 
La lama di Ifigenia si era piantata nel centro del suo stomaco. “Accogli questo mio sacrificio, o Dea” aveva invocato la donna, lasciando l’impugnatura d’osso ed alzando le mani al cielo.
Bellatrix aveva guardato con orrore la lama argentea scomparire nel ventre scuro del suo corpo e rivoli rossi ribollire come lava. Aveva provato a parlare ma il sangue le era arrivato fino alla lingua.
Così alla fine moriva?
Era contenta di esser riuscita a rivedere Bernie … anche se solo per un momento … anche se non era stata veramente lì.
Me la so cavare, certo come no.
Be, nonostante la sua impudenza, alla fine gli dei le avevano fatto un dono, no?
Non era stato un pugno quello che aveva colpito il suo naso, ma era stato ugualmente doloroso e tangibile. Era stata costretta ad una torsione del suo viso che l’aveva portata a deconcentrarsi, qualcosa che in uno scontro non poteva concedersi. Aveva voltato cattiva gli occhi verso il suo avversario, ma prima che potesse metabolizzare da dove sarebbe arrivato il prossimo colpo aveva sentito l’aria nella sua gola farsi di fiamma. Bruciava tutto. Non riusciva a respirare.
Era una mano inconsistente, di una leggera aurea violacea rarefatta, quella che si stava stringendo sul suo collo. Magia.
“Sei troppo impulsiva e distratta” aveva soffiato con un certo sdegno il suo avversario. Lui aveva abbassato la mano che rifulgeva di rune splendenti e lei aveva potuto sentire la presa mancare.  Era caduta per terra, con le mani sulla sua gola, respirava a fatica, ma con una certa urgenza e prepotenza. Poi aveva sollevato gli occhi per incrociare il verde veleno dello sguardo di Alabaster. “Così ti farai uccidere e farai uccidere tua sorella” aveva impartito quello, chinandosi per allungare una mano verso di lei, che aveva afferrato con una certa incertezza, poi si era lasciata aiutare per tirarsi su.
“Non posso farci nulla. Sento questa irrefrenabile energia che mi dice di agire” si era giustificata lei con una risata, mentre passava le mani sulle spalle di Alabaster.
Erano definite e le sue braccia accoglievano un leggero accenno di muscoli. Peccato si preoccupasse molto di più nell’arte della magia che nella lotta. “Allora morirai, Bells” aveva detto lugubre lui.
“Duelliamo con la spada figlio di Ecate, concedimi la vendetta” aveva risposto melliflua.
Aveva ripreso a respirare con una fatica immensa, ma aveva aperto gli occhi, aveva ancora il favore del ferro in bocca. Aveva allungato la mano, trovandola sciolta dalle catene ed aveva sfiorato con le dita il ventre, lì dove Ifigenia aveva piantato la lama, e non aveva trovato nulla, neanche un graffio. In verità non aveva neanche trovato l’orlo della sua maglietta, ma solo una lunga veste.
“Ti sei svegliata, portatrice di guerra” l’aveva presa in giro una voce. SI era voltata di scatto per incrociare Ifigenia con lo sguardo, seduta al suo fianco che sferruzzava.
Aveva cercato di ritrarsi ed era caduta giù dal letto, finendo per portarsi dietro anche le lenzuola bianche.
“Tu mi hai accoltellata!” la frase di Bells era uscita fuori senza alcun controllo. Aveva sollevato la veste che indossava – non era sua! – notando che oltre le mutande – almeno quelle erano sue – sul ventre scuro neanche una sottile linea della cicatrice. Aveva fatto saettare lo sguardo verso la donna che senza remore continuava a sferruzzare. Gli occhi di Ifigenia apparivano molto più umani di quanto fossero stati prima, mentre la pugnalava.  “Non posso negarlo” aveva confermato la donna, mentre continuava a far girare il filo dei ferri argentei con movimenti sinuosi, “Ma non ti ho ucciso” l’aveva rassicurata quella.
Come? Perché?
Erano ruotate nella mente di Bells, aveva messo una mano sul suo orecchio, trovando il pendente a forma di spada, aveva ancora la sua arma! Aveva cercato di tirarsi su ma appena aveva disteso le gambe le aveva sentite fatte di gelatina, sarebbe caduta se un’altra donna non l’avesse afferrata per la vita.
Capelli biondi come fili d’oro, era un’altra di quelle pazze donne che l’avevano catturata quando era giunta lì. “Signora, cosa dobbiamo fare?” aveva domandato ad Ifigenia, continuando a tenere Bells per la vita.
“Noora, falla accomodare a letto” aveva risposto Ifigenia, circumnavigando il letto, dopo aver abbandonato i ferri, e facendola accomodare di nuovo sul mobilio.
Le aveva messo le mani sulle guance, le sue dita erano bollenti come il fuoco, “Sembri sana, ma non lo sei, non del tutto” le aveva detto Ifigenia.
“Dell’acqua di …” aveva provato a boccheggiare Bells, “Lo so” l’aveva rassicurata Ifigenia, carezzandole il viso, “Noora!” aveva impartito alla donna dai capelli biondi. Quella aveva lasciato la sua vita ed aveva provveduto ad eseguire il muto ordine di Ifigenia.
“Non dovevi uccidermi, Serena Joy*?” aveva sussurrato Bells, sentiva il corpo debole da non riuscire a mantenere neanche la schiena dritta. Era stata accompagnata nella posizione supina da Ifigenia. “Ma io l’ho fatto” l’aveva rassicurata la donna, se così poteva essere considerato. Aveva passato una mano tra i capelli corvini di Bells, “Come vuole la tradizione” aveva continuato.
Bells non riusciva a comprendere, “Cos…” aveva provato a chiedere.
“La dea Artemide ti ha salvato” aveva bisbigliato Ifigenia.
Sii fedele ed ella sarà fedele.
 
“Ci uccideranno” aveva pianto Bernie, con le mani chiuse sulle cosce strette e gli occhi lucidi come spettri. Bells aveva ascoltato il singhiozzare di sua sorella, con mera indifferenza. I suoi occhi erano cupi come ombre nere, piantonati nei loro due carcerieri. Non erano esseri umani, Bells non poteva affermarlo con assoluta certezza, ma le sembrava così palese che non lo fossero. Quello più brutto, Dig, aveva la faccia butterata, gli occhi famelici ed i denti aguzzi. Era più grosso, più cattivo e decisamente più stupido. Arvey era il problema. Sembrava più umano, ma anche più sveglio, intelligente e letale.
“Non lo faranno” aveva detto lapidaria Bells, “O lo avrebbero già fatto” aveva aggiunto.
Gli avevano visti banchettare con la carne di uomini, probabilmente erano stati loro ad aver ucciso i bulletti del quartiere. Dig aveva ampiamento fatto notare quanto era stuzzicante il loro odore, ma Arvey lo aveva fermato, ‘Sono troppo secche’ aveva affermato. Ma era palese che le stessero conservando per qualcos’altro. Il che cosa spaventava a Bells.
Bernie era preoccupato potessero ucciderla in quel momento, che non avrebbero più rivisto papà. Ma no, Bells sapeva che qualcosa di peggio gli stava aspettando.
Arvey si era voltato verso di loro, aveva le labbra piene sporche di rosso, anche la dentatura da squalo era macchiata di vermiglio. Non aveva una brutta forma, aveva i capelli sabbiosi e gli occhi blu, se fosse stato un po’ più smilzo, un po’ più mansueto, un po’ più umano.
“Sta notte fuggiremo” aveva impartito a sua sorella. Bernie aveva tirato su con il naso, sconvolta.

Bells si era svegliata ancora, sempre stesa sul letto, sentendo dolore il braccio sinistro, quello che anni prima Arvey le aveva spezzato dopo la – fallita – rocambolesca fuga sua e di sua sorella.
Questa volta non aveva fatto nessun gesto inconsueto, spiando solamente la stanza in cerca di Ifigenia e l’altra ragazza.
Non c’era nessuno.
“Resta Calma Bells, sei sana e salva” aveva sussurrato, tirandosi su con i gomiti, indossava un abito di tela crema che le arrivava oltre le ginocchia, con uno scollo tondo che scopriva appena le clavicole e sbracciato.
Aveva fatto saettare anche questa volta la mano fino al suo orecchio, dove pendeva il gioiello con la forma di una spada. Probabilmente non avevano più intenzioni bellicose. Nonostante le avessero organizzato davvero un pessimo Party di Benvenuto. L’avevano catturata, incatenata ad un altare e sacrificata. Ma era ancora viva. Ed aveva una missione.
Aveva scosso la coperta ed aveva lasciato pendere le gambe dal letto, aveva tirato su l’orlo della gonna ed aveva cercato sul ventre ancora una volta qualsiasi segno del sacrificio. Però ancora una volta aveva trovato solo nuda e sana pelle.
Dove erano i suoi vestiti e soprattutto le sue scarpe? Si era chiesta, ma arresa a non trovarli, si era messa in piedi ed aveva spiato fuori dalla finestra.
Era piuttosto vivace, si rendeva conto Bells, quel luogo, considerando che per il pubblico era un’isola disabitata e contaminata. Forse aveva preso troppo sottogamba il suo compito, aveva pensato soltanto d doversi nascondere dal governo e non da altro.
Questo non era importate, era viva ed era ad Atollo Johnston. Esattamente dove doveva essere; doveva solo capire solo come uscire da qualunque-posto-fosse e trovare chi era venuta a cercare.
L’ambiente era particolare aveva studiato un po’ la conformazione degli atolli, ma la verità era che quello di Johnston era interamente coperto da cemento e calcestruzzo. Vi avevano costruito una base militare, per compiere certi determinati esperimenti.
Bells non aveva difficoltà ad indovinare di trovarsi nell’ala medica della base principale.
Aveva tirato su le imposte della finestra e si era seduta sul davanzale, era al terzo piano se si fosse lanciata come persona normale sicuramente si sarebbe rotta qualcosa. La sua ambrosia era stata requisita insieme ai suoi vestiti. “Su, Bellatrix, sei sopravvissuta a cose peggiori” aveva mugugnato, tipo la guerra aveva pensato, ma aveva mugugnato: “Tipo Maya ai fornelli”.  Aveva bisogno di fermare l’ansia, e i brutti ricordi, almeno con sé stessa.
Aveva tolto le lenzuola, coperte e coprimaterasso dal letto, gli avrebbe legati insieme e si sarebbe calata dalla finestra.
“Te ne vai già?” aveva domandato Ifigenia, cogliendola di soprassalto. Bells aveva ruotato il capo, trovando la donna posata sullo stipite della porta, indossava un abito simile al suo, una lunga veste stretta al busto, lunga fino alle ginocchia e con uno scollo tondo, la differenza era che Ifigenia vestiva di oro lucido. Aveva anche una collana d’orata con delle gemme lucenti, roba da vera principessa achea, probabilmente.
Però era scalza. “Le scarpe qui non piacciono eh?” l’aveva presa in giro Bells, lasciando perdere il suo lavoro di taglio e cucito, “Ne vuoi un paio, potrei fartele avere” le aveva proposto Ifigenia, non raccogliendo affatto la sua provocazione. Non sembrava somigliare per nulla alla folle sacerdotessa che l’aveva accoltellata.
“Lo sai che questo posto è praticamente radioattivo?” aveva chiesto retorica Bells, mentre si toccava con nonchalance l’orecchio dove portava la spada, non aveva fatto in tempo la prima volta, non si sarebbe fatta cogliere due volte impreparata. “Credi a tutto quello che il governo dice?” l’aveva allora stuzzicata di rimando la donna, con un sorriso mesto. “Senti Ify, patti chiari e amicizia lunga, cosa vuoi dai me?” aveva chiesto con un po’ di acidume Bells, Ifigenia aveva ridacchiato un po’, “Sei tu che sei venuta a casa mia, un posto che è proibito da leggi del mondo mortale e divino” aveva gracchiato di rimando la donna.
Colpita e affondata.
“Cerco un dio” aveva risposto mogia Bells. Sembrava assurdo dirlo ma era venuta in un dannato Atollo in mezzo al mare, proibito da ogni legge, perché aveva saputo fosse lì. Non si poteva raccontare quanto avesse faticato per arrivarci.
Ifigenia aveva annuito, “Su forza, vieni a prendere il caffè con noi” l’aveva invitata alla fine.
L’ordine di sacerdotesse – Bells presumeva fossero quello – vestiva in maniera del tutto uguale, se non in differenti sfumature di pastello delle vesti (Nessuna di loro era ingioiellata, però). Erano quasi spaventose raccolte tutte intorno ad una lunga tavolata di legno che mangiucchiavano biscotti e bevevano tè e caffè, ridacchiando come un gruppo di donne al club del libro. “I sacrifici umani arrivano prima o dopo il brunch?” aveva chiesto sarcastica Bells ad Ifigenia, che l’aveva guardata per un momento, “Di solito avvengono di prima mattina, ci piace cominciare la giornata con la giusta dose di adrenalina” le aveva risposto, strizzandole un occhio.
Il caffè era buono, i pasticcini decisamente no, ma aveva avuto la buona creanza di mangiarli lo stesso, una volta gli era stato detto che accettato il cibo di qualcuno si entrava nel diritto degli ospiti. E non si poteva essere uccisi o sventura a chi aveva mancato la promessa. Sperava valesse anche per loro.
“Noi siamo le sacerdotesse di Artemide, al servizio del Re Toante, signore della Tauride e di Johnston” aveva cominciato a spiegare Ifigenia, senza che Bells le chiedesse effettivamente qualcosa. Ma era una cosa gradita comunque, dunque non la interruppe. “Le regole che dobbiamo seguire sono semplici: chiunque giunga ai nostri lidi dovrà essere sacrificato alla dea” aveva ripreso a spiegare neanche fosse una voce di Wikipedia. “Di sicuro non finirete su Cortesie per gli ospiti” l’aveva interrotta Bells, guadagnandoci un’occhiataccia da tutta la tavolata.
Ifigenia aveva preso un sorso di caffè, “Non piaceva neanche a me, questa cosa, ma se non fosse stato per la dea Artemide, io sarei stata morta. Onoravo un debito e la signora stessa mi aveva lasciato da Toante. Così ho eseguito il mio compito – onestamente ripensandoci ora mi rendo conto perché Artemide mi avesse portato lì.
Comunque sia quando arrivò mio fratello Oreste le cose divennero un tantino difficili per me.” Aveva interrotto la narrazione per prendere del caffè.
Bells aveva immaginato Bernie nella stessa posizione in cui era stata lei tempo prima, legata all’altare pronta ed essere immolata.
“Io non ne fui capace. Oreste fu il primo che salvammo. Artemide ci aiutò, la signora ha sempre compreso il valore di un vero sacrificio, un estraneo che approdava sull’isola non lo era. Un sacrificio è qualcosa di cui privandoti ti spezzi il cuore. Come mio padre, la dea è inoltre molto buona” aveva ripreso Ifigenia. Bells aveva deciso di tenersi per se il fatto che suo padre avrebbe mandato al Tartaro la guerra di Troia e qualsiasi altra cosa piuttosto che piantare un coltello nel petto suo o di Bernie.
“Allora ci accordammo” aveva spiegato Ifigenia, “La dea Britomarte** costruì per noi la Rete che trattenesse la anime” si era interrotta perché una delle sue compagne aveva fatto un commento: “Dice che l’idea la avuta da una vecchia accattona marina***, ma che lo ha fatto meglio”. Ifigenia l’aveva zittita con un movimento gentile della mano.
“Peschiamo anime con una rete e le ributtiamo in mare si può dire. A Toante in effetti non importa credo, non si è mai neanche accorto dell’inganno” aveva spiegato placida. “Quindi io sono stata … ehm, morta?” aveva domandato Bells con un certo nervosismo, “Si, io, Portatrice di Guerra, ti ho uccisa e la Rete ha impedito alla tua anima di raggiungere l’orco” aveva spiegato placida la sacerdotessa.
“Quindi in questo posto la gente è tipo immortale?” aveva domandato abbastanza confusa Bellatrix, qualcuno aveva ridacchiato. “La Rete funziona solo sui sacrifici” aveva spiegato una donna, era Noora, “E neanche su tutti” aveva squittito un’altra sacerdotessa, indossava una tunica turchese ed aveva la pelle colore del caffè.
Oh fantastico, sarei potuta morire per davvero, aveva pensato Bells.
Ifigenia aveva posato la sua tazza di caffè, era ormai vuota, “La Rete in qualche modo non raccoglie tutti, credo si attenga a certi principi o forse alla volontà delle due dea che hanno progettato il sistema” aveva spiegato la sacerdotessa.
Bells aveva sollevato la tazza di caffè che aveva davanti, “Allora: lode alla dea Artemide” aveva detto.
Sii fedele ed ella sarà fedele.

Ifigenia le aveva restituito i suoi vestiti. Non le dispiacevano gli abitini a campana dai colori pastello e la moda hippy di andare scalza, ma si sentiva molto più a suo aggio con i pantaloni militari e gli anfibi al ginocchio. Sfortunatamente la sua maglietta con Darth Vader in stile ‘Zio Sam vuole te’ era andata a rovinarsi orribilmente durante il sacrificio e così un po’ delusa Bells si era ritrovata costretta ad indossare una canotta bianca sui cui era stato cucito, con le paillettes rosa, sono un’orsetta.
“Non ti ho chiesto come tu sapessi la mia identità?” aveva chiesto Bells, mentre prendeva il termos che Ifigenia le aveva allungato, poi lo aveva sistemato nella sua borsa assieme a l’ambra e tutto il resto. “Quando fui salvata dal sacrificio di mio padre, la dea Artemide mi concesse un po’ del suo potere. Sono immortale, come le sue cacciatrici, benchè io non lo sia” aveva spiegato Ifigenia, “In più di due mila anni si fanno tante conoscenze interessanti” aveva squittito con un certo divertimento. Qualcuno l’aveva avvertita, aveva realizzato Bells.
Pensava di sapere anche chi, in effetti.
“È tu come sapevi che ero io?” l’aveva stuzzicata Ifigenia, lei annui, mentre chiudeva la borsa, “Quando ho scoperto che il mio target era qui, sono stata informata” aveva spiegato. In verità era stata avvertita, ma quando in passato Alabaster le aveva detto che fosse troppo impulsiva non aveva di certo torto. Aveva sentito l’avvertimento da un orecchio e le era uscito dall’altro – completamente.
“Ti aiuterò a cercare Theos” aveva stabilito Ifigenia. “Non voglio neanche sapere come fai a sapere come fai a sapere chi cerco” aveva bisbigliato Bellatrix, indossando lo zaino e guardandola. La sacerdotessa le aveva sorriso, “È l’unico dio che abita qui, Portatrice di guerra” aveva spiegato di rimando, con un sorriso mesto.
“Guarda che puoi chiamarmi Bells” aveva replicato la figlia di Nyx.
Ifigenia aveva raccolto i capelli riccioluti e neri in una coda di cavallo, al posto della sua bella veste con la gonna a giro, indossava dei pantaloni da corsa ed una maglietta tristemente coordinata a quella di Bells. Sfoggiava sempre la sua collana preziosa e non aveva comunque le scarpe. “Mi sapresti spiegare perchè un dio, dovrebbe vivere qui?” aveva domandato Bells, osservando come Ifigenia si muoveva lungo la pista di atterraggio della base militare.
“Per più di una ragione” aveva risposto Ifigenia con una certa gentilezza, “La prima è che essendo un posto interdetto a buona parte della popolazione dei due mondi: poteva starsene in pace” aveva cominciato a spiegare. Ifigenia certe volte sembrava davvero parlasse come una voce di Wikipedia. “La seconda è che egli è molto devoto ad Artemide. Di norma la dea favorisce le donne, ma nel corso dei secoli non ha disdegnato tal volta di dare favore agli uomini. Theos è un cacciatore di degno rispetto” aveva ripreso. “Il terzo motivo è che egli è molto legato ai sacrifici, ma questa è la sua storia e non è mio diritto raccontarla; fidati hanno raccontato la mia storia in così tanti modi diversi che so quanto sia irritante” aveva spiegato Ifigenia.
“La mia non la ha raccontata nessuno” aveva ridacchiato Bellatrix.

 
Jeha III

“Quindi sulla Luna come ci arriviamo?” aveva domandato Champ, prendendo una grossa sorsata di coca cola dalla cannuccia. Jeha l’aveva guardata con un certo sdegno, continuando a giocherellare con la moneta di argento con la civetta di Atena. Il loro simpatico dio-di-quartiere invece stava giocando con le parole crociate. Aveva guardato il dio. “Non ci possiamo arrivare sulla luna” aveva detto chiaramente quello, mentre segnava delle lettere con una matita su Olympus Magazine. Le due cacciatrici non avevano distolto lo sguardo, “Sentite: io sono un dio minore, molto minore, cioè così minore che è un miracolo che non mi sia disciolto. Non ho idea di come arrivare sulla luna” aveva detto un po’ frustrato, passandosi le mani sui capelli castani.
“Ma sei un dio” si era lagnata comunque Champ, aggrottando le sopracciglia spesse. Quasi la divinità non si fosse lamentato fino quel momento di quella cosa. “Non sono onnisciente” aveva replicato quello. “Ma poi perché la Luna?” aveva indagato invece Jeha, il nume non si era degnato di molte spiegazioni neanche in quel caso.
Non poteva lamentarsi di lui in fin dei conti, la verità era che se in quel momento era viva era perché, si Artemide l’aveva salvata, ma anche lui, letteralmente. Aveva spento le fiamme che l’avrebbero arsa. “Dovete immaginare la luna come un grosso ufficio degli oggetti smarriti” aveva spiegato il dio. Champ aveva schiuso le labbra, “Astolfo e Roland!” aveva gracchiato. “Non sei una rozza inglese ignorante, Alyson, brava!” aveva tuonato il dio; “Bess ci teneva alla cultura” aveva ghignato Champ.
Erano oltre cinquecento anni che lei e la figlia di Efesto combattevano fianco a fianco, erano un duo micidiale. Ma ormai Jeha era esasperata da tutte le cose che Bess aveva voluto nel passato.
Un po’ non riusciva neanche a scenderle che a distanza di così tanto tempo Champ fosse legata a qualcuno che aveva lasciato quel mondo molto tempo fa. Non era corretto dire così doveva ammettere: Jeha stessa sentiva la mancanza dei suoi amici: il Bastardo e Gilles – nonostante tutte le nefandezze di quest’ultimo. Il problema di Champ era che dopo oltre mezzo millennio ella era ancora innamorata della sua amica Bess.
Artemide non questionava molto la cosa, fintanto che Champ si fosse astenuta dall’amare fisicamente – o platonicamente qualcuno di vivo – poteva anche rimanere legata sentimentalmente ad una donna morta. Inoltre la figlia di Efesto era entrata nelle cacciatrici quando Bess era ancora in vita. Aveva rinunciato all’amore e Jeha voleva solo che lo superasse.
Forse era egoista.
“Si, si” aveva commentato il dio, “Me la ricordo la tua Bess” aveva detto un po’ piccato. Alla fine Bess non si era mai maritata con alcun uomo, sebbene di pretendenti ne avesse avuto a bizzeffe – ma no, non era stato per Champ.
Alyson sorrise in una maniera infantile. Le ricordava Emmie in quei momenti, quando parlava di quanto fantastica fosse Jo, all’inizio, prima di capire quanto l’amassero.
Un po’ le invidiava Jeha, certo erano due vecchie rugose testuggini, ma erano felici.
Emmie era stata un mentore ed una sorella maggiore per lei, Jeha forse non le avrebbe mai perdonato di averla lasciata.

“A quanto pare quello che cercate è nel grosso divino ufficio degli oggetti smarriti. La luna” aveva spiegato il dio.
Jeha aveva guardato il cielo, era terso, forse avrebbe piovuto. “Sappiamo se la NASA abbia progettato un lancio per i prossimi giorni?” aveva chiesto retorica, posando il capo tra le mani. Era esausta e la cosa la lasciava profondamente disgustata, lei che non aveva mai, neanche per un momento, lasciato perdere.  Sotto il fango, la pioggia e mezza di sangue, Jeha aveva avanzato e lottato.
Champ era abbandonato il suo bicchiere, “Potrei costruirlo io un razzo” aveva detto, con un sorriso amichevole.
La bionda aveva spalancato gli occhi, “Davvero?” aveva chiesto illuminata, “Avrei bisogno di anger e di un sacco – ma davvero tanta – roba” aveva ammesso con un tono un po’ spento Champ, “Magari avrei necessità di qualche mio fratello o figlio di Ecate” aveva aggiunto, “Probabilmente dovremmo fare una capatina a Benselem” aveva terminato. Poi aveva delirato un po’ e Jeha aveva lasciato perdere i progetti ingegneristici di Champ.
Era quasi mezzo millennio che gli ascoltava.
“In realtà credo che la Luna sia un concetto molto figurato in questo caso” aveva ripreso a spiegare il dio, “Divino Imene” aveva allora parlato Jeha, “Deve esserci un modo per arrivarci” aveva detto, insomma se c’era giunto qualcuno ai tempi di Bess potevano raggiungerlo anche loro no?
“C’è in effetti, ma nessuno di essi vi riguarda” aveva spiegato, confondendo le due cacciatrici, “Non è necessario che arriviate sulla Luna. Qualunque cosa voglia la vostra minuscola signora” aveva berciato.
Champ aveva assottigliato gli occhi azzurri con un certo fastidio, nessuno poteva parlar male della loro signora, ma Jeha riconosceva che il Dio del Matrimonio non potesse ben tollerare la Dea della Caccia, viste le loro filosofie di vita e visione dei rapporti quasi opposte.
Eppure secondo Jeha non potevano esserci dei più simili, entrambi si prendevano cura delle giovani donne, venivano in aiuto dei più deboli e mai chiedevano nulla in cambio.
L’aveva salvata dal fuoco.
“Perché mi ha salvato”
“Perché sei buona e pura, non ti meritavi quello che tuo marito ti ha fatto”
“Ma io non sono sposata”, “Non ad un uomo certo. Ma a qualcosa di più grande”
“Non comprendo, mio signore”
“Comprenderai un giorno, Pulzella d’Orleans”
.

“Lo sai come sono fatto, no, Jeha?” aveva chiesto retorico Imene, “Ne approfitto sempre per fare del bene” aveva aggiunto.
Il dio si era sfilato dal taschino della sua giacca cachi un anello d’oro rosso che si era poi plasmato nel suo palmo in un grande piatto, della dimensione d’un viso umano, poi si era curvato per assumere l’aspetto di una liscia ciotola pregiata. “Alyson, se posso permettermi” aveva detto Imene e Champ aveva allungato la mano, aveva toccato appena con le dita il fondo della coppa, che queste si erano incendiate. Era un dono meraviglioso quello del fuoco, Efesto lo aveva concesso a pochi dei suoi figli.
Quando Champ aveva tirato via le dita, la fiamma era rimasta ad ardere nella coppa, come se stesse consumando una brace. Non vi era da stupirsi, Imene era sempre raffigurato con le fiamme, dell’amore? O del focolare come Estia?
Il fuoco aveva mutato, come un animale ed aveva preso diverse forme, erano donne: tre giovani. I loro visi erano fatti di fuoco aranciato e i loro capelli erano fiammelle scoppiettanti. Non distingueva alcuno dei loro colori, solo i dettagli dei visi. Una era acuminata ed appuntita come una lama, con un naso dritto ed un viso allungato, una aveva un viso largo, con un naso un po’ schiacciato e labbra piene – lei aveva qualcosa di incredibilmente familiare – e la terza era anonima, in un naso all’insù e in labbra sottili. Tutte giovani.
“A tutte e tre è stato affidato il compito di ritrovare ciò che voi state cercando. Una sola di loro raggiungerà la Luna” aveva spiegato Imene, “Perché così è stato deciso” aveva detto.
“Non posso dirvi se esse sono buone o perdute, se chi le ha incaricate è nobile d’animo o avido, o quanto le influenzi” aveva illustrato perentorio il dio.
“Nessuna di loro, però può riuscire da sola” aveva detto.
Champ aveva tossito, poi attirati i loro sguardi aveva chiesto, fissando il dio, aveva chiesto: “Tu vuoi che noi le aiutiamo?”.
 
 
 
 

*Serena Joy è un personaggio dei libri e del telefilm di The Headmaid’s tale (Lo amo ma mi mette angoscia) nel telefilm non emerge, ma nei libri viene ripetuto allo svenimento che Serena Joy fa quantità industriali di lavori a maglia.
**Dea delle Reti della mitologia Minoica e poi Greca. Tiene i cani da caccia di Artemide ed è anche la sua bff – come ci viene detto ne La Profezia Oscura
*** E’ un rifermento alla dea norvegese dei mari: Ran; nella saga di Magnus Chase viene rappresentata come una senzatetto che accumula nella sua rete qualsiasi cosa (dai relitti marini alle anime delle persone morte in acqua).
   
 
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